LA CURA
Suonano il campanello. Siamo da tempo in piedi io e
Francesca. Vestiti, lavati e rinfrescati. Francesca ha anche pulito e cambiato
Giulia, e dopo una seduta di toilette l’ha riporta a letto. Ora è in cucina, è
lei che prepara la colazione, incombenza che è stata in questi giorni svolta da
Giulia. Ma lei è inferma. È stata violentemente picchiata dagli assassini di
Callispera. Forse per indurla a tacere, chi lo sa? Oppure l’aggressione subita
dalla mia giovane compagna è dovuta ad altre cause. A motivi che magari lei sa,
ma che non ha voluto raccontare a me e a Francesca. Motivazioni, qualunque esse
siano, che in realtà a noi interessano, a noi sono indispensabili per capire
quale è e quale sarà la nostra posizione in questa lunga, triste e complessa
storia di sesso, violenza e morte. Io mi avvicino a Francesca. Le chiedo: ha
chiamato il dottor Lamberti? Si, fa lei, Costante mi ha promesso che verrà in
giornata, qui, da te. Costante è il nome che i genitori diedero al rampollo di
una piccola famiglia nobile del meridione. È un nome che richiama, allo stesso
tempo, la nobiltà germanica che dominò il Sud d’Italia fra l’anno 1000 e l’anno
1200, ma è anche un nome da imperatore bizantino. Insomma è il racconto attraverso
un nome della storia del Sud Italia, centro e crocevia del Mediterraneo. Terra che
fu dominata da germani e de greci, da mussulmani e cristiani. Terra di mezzo,
per parafrasare John Ronald Reuel Tolkien, l’autore de “Il signore degli anelli”,
in cui culture, tradizioni e modelli di governo diversissimi fra loro si sono
confrontati, spesso scontrati anche violentemente, forse senza trovare una vera
sintesi. Il Mezzogiorno d’Italia è il posto delle contraddizioni, secoli fa
come oggi. Questa è la sua bellezza. Questo è il suo orrore. Questo è anche il
motivo per cui vi sono nascosti monumenti bellissimi e fascinosi. L’architettura
del sud è bella perché sa essere latrice di profonda bellezza e ma è anche
schifo perché non cela anzi mostra follemente posti putridi, esattamente come
avviene nell’animo umano, che sa compiere voli angelici verso il cielo e
precipitare rovinosamente all’inferno. Insomma nel suo nome il dottor Costante
Lamberti esplicitava ciò che erano le contraddizioni della sua terra natia, Avellino,
terra al confine fra il proletariato cortigiano di Napoli e quello rurale delle
campagne degli Appennini che stanno a sud di Roma. Insomma le contraddizioni
del paese. Le bassezze e le altezze dell’Italia. Le gradi civiltà di cui è
erede, i grandi delitti di cui è stata silente testimone, sono celati in un
nome, in un nome nobile e tremendo, che nasconde arte e guerra, come può essere
quello di Costante Lamberti.
Si è riaddormentata, mi dice Francesca. È inutile portarle
la colazione. Aspettiamo. Io mi limito ad accennare un piccolo movimento della
testa, che indica l’assenso per ciò che ha detto Francesca. Lei continua. La
vedo serena. Non sembra avere problemi ulteriori. Diciamo che sta bene. Tenendo
ovviamente conto di tutto quello che l’è successo. Io accenno a chiedere.
Secondo te supererà tutto questo? La domanda giusta è se noi saremo in grado di
affrontare e vincere tutto ciò? Continua lei. Siamo in tre in profondo
pericolo, viviamo uno sbandamento profondo. Comunque concordo con te, è lei, è
un dato oggettivo, che sta vivendo in maniera più drammatica la vicenda. È lei
che era sulla scena dei due crimini, dei due omicidi. È lei che rischia di più.
Noto che Francesca accomuna l’omicidio del senatore Callispera con quella del
magnaccia Igor. Il motivo è semplice. Igor è stato ucciso sicuramente da Giulia.
Io sono il testimone oculare dell’accaduto. Francesca vuole lanciarmi un messaggio chiaro.
È da assimilare l’omicidio Callispera a quello di Igor. Di conseguenza i due
hanno in comune lo stesso omicida. Che non può essere che Giulia. Spero proprio
che abbia torto, o meglio il mio cuore vuole che la sua ricostruzione non sia
vera. La mia anima è convinta che la vicenda sia andata come la racconta
Giulia. Callispera è stato ucciso da terzi, forse killer della Camorra, e Igor
è spirato perché la stava picchiando a morte, lei ha agito per legittima
difesa. Insomma Giulia non è passibile di alcuna condanna. Ma di questo non ne
sono sicuro. Con tutto che ero nella stessa stanza, non sono neanche certo che
Giulia abbia ucciso Igor per legittima difesa. Certo il rumeno la stava
violentando. La stava picchiando. Ma Giulia sembrava aver preso il controllo
della situazione. Si era fatta consenziente. Aveva ceduto alla sua violenza,
concedendosi a lui con docilità in cambio di uno stop ai calci e i pugni che
subiva. Ha ucciso Igor non durante l’amplesso, non mentre la brutalizzava, ma
mentre la fuoriuscita dello sperma dal suo pisello placava i suoi ardori e la
sua violenza. Giulia ha approfittato del suo sfinimento legato all’atto
sessuale, per infilargli un coltello nella gola. Gli ha reciso violentemente la
giugulare. Il sangue è stato riverso ovunque. È comunque legittima difesa?
Certo la dottrina giuridica e le sentenze in materia fanno trasparire un
dibattito accesso in proposito. La donna, beh diciamo il violentato in questo
caso, pur avendo cessato lo stato di pericolo e di sottomissione, è comunque in
uno stato psicologico tale da sentirsi ancora in uno stato di schok che
giustifica l’atto violento di difesa. Ma comunque questa tesi non è affatto
considerata acquisita dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Un tribunale può
rovesciare immantinente tale tesi, addirittura condannando i rei come Giulia
per omicidio intenzionale. Si intenzionale. Addirittura ricostruendo la vicenda
come se la violentata si fosse volutamente sottomessa al violentatore, per poi
ucciderlo più agevolmente. Roba da brividi.
Suonano il campanello. Francesca accorre al citofono. Mi
dice. Non ti preoccupare, è il dottore, ci penso io. Non gli dico nulla, il mio
silenzio è assenso. Dopo alcuni minuti entra quello che ritenni essere Costante
Lamberti. Io non lo conoscevo. Non avevo mai avuto l’occasione di incontrarlo
prima. Francesca lo ha atteso alla porta, nei minuti che hanno separato il suo
scampanellare al portone e la sua salita al piano. Lo abbraccia. Abbiamo
bisogno di te! Gli dice. Il medico gli risponde. Non ti preoccupare, sono qui,
cosa è successo? Gli fa un sorriso,
proprio per tranquillizzarla. Non ti preoccupare, in pochi minuti l’hanno detto
sia Francesca che il suo medico. Chissà forse è proprio il caso di
preoccuparsi, sogghigno. Ma in realtà io sono preoccupato fin da quando è
iniziata la storia, fin da quando Giulia è entrata a casa mia e senza un perché
mi ha abbassato i pantaloni e mi ha fatto un bocchino. Quella scena è ancora
presente nella mente. È certo il ricordo di un intenso piacere carnale. Ma è
anche oscuro presagio di eventi che si sono succeduti in maniera drammatica e
ridicola allo stesso tempo. Questa storia è follia. Non faccio altro che
ripetermelo. Il dottore è scortato da Francesca nella mia camera da letto.
Buongiorno, dice, credo a Giulia, lì non c’è nessun’altro. Come si va? Decido
di affacciarmi anche io sull’alcova ove riposa la giovine. Vedo gli occhi di
Giulia aprirsi, prima è spaventata alla vista dello sconosciuto. Poi si
tranquillizza, è lampante il viso ha un repentino mutamento che fa trasparire
un ritorno a una certa serenità, quando fissa il volto sorridente di Francesca.
È il dottore. Dice la mia collega. Ah, risponde la trans. Ha dolori forti? Fa
Lamberti. No, risponde lei. Ho un senso di sofferenza diffusa, come se dovessi
riprendermi da una malattia grave ma passata. Bene! Continua il medico. Non ci
sono dolori acuti al momento, indice che i traumi si stanno lentamente riassorbendo.
Se la sente di alzarsi? Si! Risponde Giulia. Bene. Il dottore gli toglie le
coperte di dosso. Appare Giulia nuda, coperta solo di garze e bende. Il medico
vede i lividi. Vede i suoi seni. Vede il suo pene. Si fa subito un’opinione,
giusta o sbagliata che sia, sia sulla prognosi dello stato fisico di Giulia,
sia sulla sua vita presente e futura. Scusi se lo chiedo. Quale è il suo nome
di battesimo? Vuole sapere il nome da maschio di Giulia. Mi chiamo Marco
Ingome. Bene. Continua il dottore. La sua attività? Beh, fa Giulia. Posso dirle
che faccio la vita? Si, fa il dottore imbarazzato. Stia tranquilla non sono un
giudice o un poliziotto e nemmeno un prete, sono un dottore che vuole
assicurarsi del suo stato fisico. Grazie, risponde Giulia. Di niente, replica
il laureato. Ora le chiedo, se la sente di affidarsi a me? L’aiuterò a
sollevarsi e a mettersi seduta. Si, risponde Giulia. Con un minimo sforzo
Lamberti la fa sedere sul letto cingendola con le sue braccia e sollevandola.
Giulia si ridesta dal suo giaciglio che sembrava il suo catafalco mortuario.
Invece Giulia non è spirata, lo dico alla mia mente folle per la troppa
preoccupazione, è viva. Il medico curante di Francesca ausculta il petto e la
schiena di Giulia con lo stetoscopio che porta sempre con sé nella sua
valigetta da dottore, che ora è aperta sul comodino della mia stanza da letto.
Ha preso quell’arnese da lavoro, chiamiamolo così, con la nonchalance di un
uomo abituato a gestire i momenti difficili della vita non solo propria ma di
quella di chiunque gli sta attorno. Respiri, dice, respiri prima profondi, poi
normali. Ora tossisca, coraggio. Le faccio un prelievo del sangue. Vediamo cosa
indica il suo emocromo. Certo è un’indagine molto parziale. Per fare una visita
approfondita, cosa di cui lei ha veramente bisogno. Qui il medico guarda con
occhi intensi Giulia, scruta lo smarrimento e il terrore di lei. È dice. Per fare
una visita approfondita bisogna andare in ospedale. No! Questa sono le due
lettere pronunciate da Giulia. Io non posso imporle il ricovero. Non ci sono le
ragioni previste dalla legge e dalla Costituzione. Lei non appare in pericolo
di vita imminente. Il suo non ricovero non danneggia la salute pubblica. Ma le
ricordo che è bene controllarsi. No! Questo continua a dire Giulia.
Il medico l’aiuta ad alzarsi. La fa camminare tenendola per
le braccia. Costata che il suo barcollare è causato dal dolore delle ferite e
dalla spossatezza, non sembra essere la manifestazione di problemi neurologici.
È soddisfatto della visita. Per lei la paziente può presto riprendersi. Ma non
vuole dirlo a lei, a Giulia. Vorrebbe convincerla a farsi ricoverare. Ci sono
tanti elementi che potrebbero essere causa di pericolo per la sua salute. Non
ultimo il Covid, pensa, qualche persona che l’ha diciamo incontrata, o meglio
picchiata, potrebbe esserne affetto. E qui controlla che la sua mascherina sia
correttamente a posto. Continua il suo pensiero. Sono una merda di medico, si
dice, nella concitazione mi sono dimenticato di chiedere a Francesca e ai suoi
amici di indossare la mascherina in mia presenza. Fra una settimana mi tocca
fare il tampone. Spero di non infettare Carla, sarebbe la moglie, e Giovanni e
Grazia, i figli. Ora devo spiegarmi come ha saputo i pensieri del dottore in
quel frangente drammatico. Sono io che vi parlo, la voce narrante, il
protagonista scrittore del suo dolore, Fabio Lizzo. Ovviamente non ho mai saputo
esattamente cosa pensava il dottor Costante Lamberti mentre visitava Giulia. La
mia è una ricostruzione a posteriori fatta dalla mia fantasia. Ma tale
ricostruzione non è frutto semplicemente di un mio azzardo mentale. Ho parlato
più volte in seguito col dottore, come con gli altri coprotagonisti di questa
storia, è ho potuto appurare cosa pensassero in determinati momenti della
concitata vicenda, così da esporli. Sia chiaro io vi ho raccontato quello che Costante
si ricordava a posteriori avvenisse nella sua mente in quell’attimo, ho
aggiunto alcuni dettagli che la verosimiglianza della ricostruzione storica
rendono plausibili. Poi cosa sia la realtà, ciò che Luigi Pirandello
contrapponeva alla spesso falsa verosimiglianza, non lo so. Io vi posso
raccontare la verità dei miei pensieri, ciò che succede ed è successo a me è
vero, vi assicuro. Ma non posso fare lo stesso per il pensiero e gli
accadimenti degli altri. Comunque ora so che cosa è la “Cura” che cantava il
compianto Franco Battiato. Autore di musica pop sublime. Ve la ricordate la
Cura? La canzone? Io avrò cura di te, diceva il poeta siciliano a una amata
reale, non immaginaria e presente, anche se l’ascoltatore non la conosce. La
cura è l’amore del marito verso la moglie, l’amore della moglie verso il
marito. La cura è l’amore del padre o della mamma verso i figli. È la voglia di
proteggere chi si ama. Il desiderio di non farlo soffrire. La consapevolezza
che l’unica mia gioia è nella gioia che vive chi amo. La voglia di essere per
lui o per lei un dio buono che lo protegge o la protegge da ogni pericolo, ti
proteggerò da ogni malattie e perfino da ogni malinconia.. dice la canzone..
perché sei un essere speciale. Per me e credo anche per Francesca, Giulia era
un essere speciale e noi avremo cura di lei..
Preso dai miei voli pindarici non sentivo il dottore che
cercava di congedarsi ed andare via. Come al solito è Francesca che gestisce la
situazione. Saluta il medico. Gli chiede: quanto ti devo? Una bella cena appena
sta merda di coronavirus si toglie dai coglioni. Dice il Medico, come battuta.
Ma almeno la benzina.. prova a replicare lei. Taci. Mi raccomando fatevi il
tampone, lo farò anch’io. Non si sa mai. E tenete sottocchio Giulia. Appena
riscontrate qualcosa di strano, non indugiate, chiamate un’ambulanza e poi
chiamate anche me. Ma io confido che un bel periodo di riposo possa essere
sufficiente a farla riprendere. Quello che è male per la sua salute, è la vita
che faceva prima. Lo dico chiaro. Se vuole essere Giulia o Marco sono cavoli
suoi. Ma se vuole star bene deve smettere di fare la trans-puttana. Mi viene da
ridere. Mi rendo conto di averla chiamata come un treno, c’è la transiberiana e
c’è la transputtana. A sto punto gli rispondo “Lupo ulu-là, castello ulu-lì”.
Il dottore ride: anche a lei piace Frankenstein junior? Be si! Continua Lamberti:
Io volevo essere come il dottore del film, volevo dare la vita a chi non l’ha
più. Certo follia. Ma che vuole, per questo folle scopo mi sono preso la laurea.
Per la serie la cura dell’altro supera perfino la barriera della morte. Il
dottore chiude la porta dietro di sé e se ne va. Riprende la cura.