lunedì 2 agosto 2021

UNA STORIA SBAGLIATA XXVIII PUNTATA

 


IL CASTELLO DEI DESTINI INCROCIATI

Siamo ancora nel vortice del gioco. Tutto sembra incredibile. È avventura. È paura. È sconforto, ma allo stesso tempo voglia di sfidare gli eventi. Mi vergogno di pensare in questo modo, mentre Giulia è sul mio letto, a combattere per la sua sopravvivenza, poiché è stata brutalmente picchiata e violenta da malviventi. Ma la verità è questa: più passa il tempo, più questa vicenda della mia vita si ingarbuglia, è più l’adrenalina sale nel mio cervello. Voglio misurami con gli eventi, per confrontarmi con me stesso e vagliare la mia tenuta fisica e psichica. Siamo come in un libro di Italo Calvino: il castello dei destini incrociati. Ci troviamo di fronte a una realtà fisica, un luogo, ove le vicende dei vari protagonisti, che non sono figure uscite dalla penna di un qualche autore, ma siamo noi di carne ed ossa, si trovano ad affrontare nuove difficoltà e nuove prove che stabiliranno il futuro di ciascuno. Riusciremo a trovare una strada? Riusciremo a cavalcare il nostro destino, evitando così di farci travolgere da lui? In buona sostanza eviteremo di farci ammazzare da camorristi vendicativi? Riusciremo, se sopravviviamo fisicamente, ad evitare la galera? Daremo delle plausibili risposte alle domande che ci farà il magistrato, che sia la dottoressa Martina Buonasera, o un altro, poco importa? Poi una domanda atroce mi sovviene. E se adesso venisse a bussare un rappresentante delle forze dell’ordine? Se vedesse Giulia? Che spiegazione daremmo al suo stato di salute, per usare un eufemismo, non ottimale? Tutto potrebbe cambiare. Tutto potrebbe rimescolarsi, come un mazzo di carte in mano a un sapiente croupier. “Volta la carta” era il titolo di una canzone di Fabrizio De Andrè. Volta la carta e tutto potrebbe essere diverso a seconda che la carta porti l’effige del Re, magari di spade, o del Jolly. Tutto nella vita è spiegabile. Ma lo si spiega a posteriori. Magari quando si è anziani e si medita sui fatti trascorsi. Al momento in cui accadono gli eventi è quasi impossibile controllarli con la ragione. Certo il tuo cervello è. La tua mente funziona, più o meno bene aggiungere. Ma il susseguirsi di atti e avvenimenti compiuti da te e da altri in maniera vorticosa, creano la situazione presente difficilmente controllabile. Diceva Italo Svevo nelle conclusioni del suo libro quasi certamente più importante e famoso “La Coscienza di Zeno” con fare profetico. Siamo agli inizi del XX secolo. Ci sarà un uomo, come gli altri uomini ma un poco più intelligente, che inventerà una bomba potente, talmente potente da distruggere il mondo, profezia avverata. Ci sarà un altro uomo, uguale agli altri uomini solo un poco, badate bene un poco, più pazzo, che ruberà questa bomba e la porterà al centro della terrà.. e boom.. la farà esplodere.. e il nostro mondo tornerà ad essere un’ineffabile nebulosa di purezza. Ora questo è il destino incrociato, questo è il vero che ci attende, noi possiamo fare grandi opere e imprese, come quell’uomo come altri uomini solo un po’ più intelligente, ma non possiamo controllare ciò che ne farà quell’altro uomo uguale ad altri uomini, ma solo un po’ più pazzo. Potremmo addirittura essere noi, essere io, ambedue gli uomini allo stesso tempo. L’uomo che fa grandi imprese e l’uomo distruttore. Non erano così: Stalin, Hitler, Mussolini Churchill. Uomini diversissimi ma che avevano in comune una miscela incredibilmente densa di intelligenza e pazzia nel loro cervello. Churchill ha saputo controllarla. Ha saputo mettere la sua intelligenza al servizio del bene comune. Gli altri no. Hanno usato l’intelligenza per uccidere, depredare, mettere sotto prigionia milioni di persone. Ora il mondo è chiamato a scegliere, scegliere Churchill o scegliere Stalin? Apparentemente la scelta è facile. Ma in realtà quante volte scegliamo Hitler o Stalin? Ma non sono solo i grandi a compiere atrocità. La nostra triste storia è la prova che anche noi, uomini e donne da poco o addirittura niente, possono commettere cose terribili. Giulia non è una persona comune? Io, Fabio Lizzo, non sono un uomo qualunque? Francesca, che è la mia collega di lavoro la mia vicina di scrivania in un lavoro di compilazione di noiosissime scartoffie, una donna buona, eppure non si è resa complice di un crimine? Ma finanche Tantalo Castelli, il boss della camorra, se lo guardi, se osservi la sua fisionomia, senza sapere che attività svolge, appare una persona onesta e beneducata. Ciò appare oggettivamente una bestemmia, per un paese come il nostro, troppo sottomesso al potere criminale. Gente del genere dovrebbe essere marchiata a vista, dovrebbe essere lampante che i loro atti sono antisociali, eppure non è così. Siamo tutti sospesi, sono sospesi i nostri giudizi in attesa, chi lo sa, che ci sia oltre la vita veramente un Dio che ci giudichi per chi realmente siamo. Tutto sembra un susseguirsi di eventi senza alcun filo logico.

Mentre pensavo così Giulia e Francesca entrano nel soggiorno. Francesca sostiene Giulia. Dice, quasi a volersi giustificare, non è voluta tornare a letto, Il dottore l’ha fatta alzare, lei non ha voluto rinunciare a camminare e venire a vederti. Ciao, faccio io, con un misto di gioia ed imbarazzo. Sono felice che sia tornata così immantinente a camminare, e sono imbarazzato dal fatto che non sono riuscito al meglio ad accudirla, se non fosse venuta Francesca ad aiutarci Giulia starebbe ancora sul suo giaciglio avvolta da quelle bende che gli avevo messo così maldestramente. Era cinta dalla vestaglia che si era comprata il giorno che era venuta ad abitare da me, quando il suo appartamento era sotto sequestro. Francesca l’aveva lavata e, credo, anche stirata. Non so come abbia fatto. Non me ne sono neanche accorto. Giulia si siede sul divano. Ci guardiamo un po’ negli occhi tutti e tre. Non sappiamo che dirci. Abbiamo vissuto troppe cose insieme in questi concitati giorni. Non abbiamo fiato per evocarli in una sessione comune. Forse è meglio. Il silenzio è quasi certamente più ristoratore delle parole. Siamo ad un incrocio della nostra esistenze. Tutte le vite nostre non potranno mai più essere uguali a prima. Questo è un dato oggettivo. Spetterà a noi saper rendere più bello il domani, evitando di cadere nell’oblio della disperazione. La sfida è questa. Essere quell’uomo come tutti gli uomini, ma più intelligente, che ha saputo inventare qualcosa di nuovo, come ci dice Italo Svevo. Evitando di tramutarlo in male, in una bomba, ma volgendolo a qualcosa non solo di buono, ma anche di benefico, non dico per tutta l’umanità, ma almeno per le nostre vite. Bisogna pensare a fare qualcosa che ci liberi da questa inchiesta giudiziaria e ci apra il domani alla felicità. Una scommessa da vivere. Da vivere nel castello dei destini incrociati.

domenica 1 agosto 2021

UNA STORIA SBAGLIATA XXVII PUNTATA - LA CURA

 


LA CURA

Suonano il campanello. Siamo da tempo in piedi io e Francesca. Vestiti, lavati e rinfrescati. Francesca ha anche pulito e cambiato Giulia, e dopo una seduta di toilette l’ha riporta a letto. Ora è in cucina, è lei che prepara la colazione, incombenza che è stata in questi giorni svolta da Giulia. Ma lei è inferma. È stata violentemente picchiata dagli assassini di Callispera. Forse per indurla a tacere, chi lo sa? Oppure l’aggressione subita dalla mia giovane compagna è dovuta ad altre cause. A motivi che magari lei sa, ma che non ha voluto raccontare a me e a Francesca. Motivazioni, qualunque esse siano, che in realtà a noi interessano, a noi sono indispensabili per capire quale è e quale sarà la nostra posizione in questa lunga, triste e complessa storia di sesso, violenza e morte. Io mi avvicino a Francesca. Le chiedo: ha chiamato il dottor Lamberti? Si, fa lei, Costante mi ha promesso che verrà in giornata, qui, da te. Costante è il nome che i genitori diedero al rampollo di una piccola famiglia nobile del meridione. È un nome che richiama, allo stesso tempo, la nobiltà germanica che dominò il Sud d’Italia fra l’anno 1000 e l’anno 1200, ma è anche un nome da imperatore bizantino. Insomma è il racconto attraverso un nome della storia del Sud Italia, centro e crocevia del Mediterraneo. Terra che fu dominata da germani e de greci, da mussulmani e cristiani. Terra di mezzo, per parafrasare John Ronald Reuel Tolkien, l’autore de “Il signore degli anelli”, in cui culture, tradizioni e modelli di governo diversissimi fra loro si sono confrontati, spesso scontrati anche violentemente, forse senza trovare una vera sintesi. Il Mezzogiorno d’Italia è il posto delle contraddizioni, secoli fa come oggi. Questa è la sua bellezza. Questo è il suo orrore. Questo è anche il motivo per cui vi sono nascosti monumenti bellissimi e fascinosi. L’architettura del sud è bella perché sa essere latrice di profonda bellezza e ma è anche schifo perché non cela anzi mostra follemente posti putridi, esattamente come avviene nell’animo umano, che sa compiere voli angelici verso il cielo e precipitare rovinosamente all’inferno. Insomma nel suo nome il dottor Costante Lamberti esplicitava ciò che erano le contraddizioni della sua terra natia, Avellino, terra al confine fra il proletariato cortigiano di Napoli e quello rurale delle campagne degli Appennini che stanno a sud di Roma. Insomma le contraddizioni del paese. Le bassezze e le altezze dell’Italia. Le gradi civiltà di cui è erede, i grandi delitti di cui è stata silente testimone, sono celati in un nome, in un nome nobile e tremendo, che nasconde arte e guerra, come può essere quello di Costante Lamberti.

Si è riaddormentata, mi dice Francesca. È inutile portarle la colazione. Aspettiamo. Io mi limito ad accennare un piccolo movimento della testa, che indica l’assenso per ciò che ha detto Francesca. Lei continua. La vedo serena. Non sembra avere problemi ulteriori. Diciamo che sta bene. Tenendo ovviamente conto di tutto quello che l’è successo. Io accenno a chiedere. Secondo te supererà tutto questo? La domanda giusta è se noi saremo in grado di affrontare e vincere tutto ciò? Continua lei. Siamo in tre in profondo pericolo, viviamo uno sbandamento profondo. Comunque concordo con te, è lei, è un dato oggettivo, che sta vivendo in maniera più drammatica la vicenda. È lei che era sulla scena dei due crimini, dei due omicidi. È lei che rischia di più. Noto che Francesca accomuna l’omicidio del senatore Callispera con quella del magnaccia Igor. Il motivo è semplice. Igor è stato ucciso sicuramente da Giulia. Io sono il testimone oculare dell’accaduto.  Francesca vuole lanciarmi un messaggio chiaro. È da assimilare l’omicidio Callispera a quello di Igor. Di conseguenza i due hanno in comune lo stesso omicida. Che non può essere che Giulia. Spero proprio che abbia torto, o meglio il mio cuore vuole che la sua ricostruzione non sia vera. La mia anima è convinta che la vicenda sia andata come la racconta Giulia. Callispera è stato ucciso da terzi, forse killer della Camorra, e Igor è spirato perché la stava picchiando a morte, lei ha agito per legittima difesa. Insomma Giulia non è passibile di alcuna condanna. Ma di questo non ne sono sicuro. Con tutto che ero nella stessa stanza, non sono neanche certo che Giulia abbia ucciso Igor per legittima difesa. Certo il rumeno la stava violentando. La stava picchiando. Ma Giulia sembrava aver preso il controllo della situazione. Si era fatta consenziente. Aveva ceduto alla sua violenza, concedendosi a lui con docilità in cambio di uno stop ai calci e i pugni che subiva. Ha ucciso Igor non durante l’amplesso, non mentre la brutalizzava, ma mentre la fuoriuscita dello sperma dal suo pisello placava i suoi ardori e la sua violenza. Giulia ha approfittato del suo sfinimento legato all’atto sessuale, per infilargli un coltello nella gola. Gli ha reciso violentemente la giugulare. Il sangue è stato riverso ovunque. È comunque legittima difesa? Certo la dottrina giuridica e le sentenze in materia fanno trasparire un dibattito accesso in proposito. La donna, beh diciamo il violentato in questo caso, pur avendo cessato lo stato di pericolo e di sottomissione, è comunque in uno stato psicologico tale da sentirsi ancora in uno stato di schok che giustifica l’atto violento di difesa. Ma comunque questa tesi non è affatto considerata acquisita dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Un tribunale può rovesciare immantinente tale tesi, addirittura condannando i rei come Giulia per omicidio intenzionale. Si intenzionale. Addirittura ricostruendo la vicenda come se la violentata si fosse volutamente sottomessa al violentatore, per poi ucciderlo più agevolmente. Roba da brividi.

Suonano il campanello. Francesca accorre al citofono. Mi dice. Non ti preoccupare, è il dottore, ci penso io. Non gli dico nulla, il mio silenzio è assenso. Dopo alcuni minuti entra quello che ritenni essere Costante Lamberti. Io non lo conoscevo. Non avevo mai avuto l’occasione di incontrarlo prima. Francesca lo ha atteso alla porta, nei minuti che hanno separato il suo scampanellare al portone e la sua salita al piano. Lo abbraccia. Abbiamo bisogno di te! Gli dice. Il medico gli risponde. Non ti preoccupare, sono qui, cosa è  successo? Gli fa un sorriso, proprio per tranquillizzarla. Non ti preoccupare, in pochi minuti l’hanno detto sia Francesca che il suo medico. Chissà forse è proprio il caso di preoccuparsi, sogghigno. Ma in realtà io sono preoccupato fin da quando è iniziata la storia, fin da quando Giulia è entrata a casa mia e senza un perché mi ha abbassato i pantaloni e mi ha fatto un bocchino. Quella scena è ancora presente nella mente. È certo il ricordo di un intenso piacere carnale. Ma è anche oscuro presagio di eventi che si sono succeduti in maniera drammatica e ridicola allo stesso tempo. Questa storia è follia. Non faccio altro che ripetermelo. Il dottore è scortato da Francesca nella mia camera da letto. Buongiorno, dice, credo a Giulia, lì non c’è nessun’altro. Come si va? Decido di affacciarmi anche io sull’alcova ove riposa la giovine. Vedo gli occhi di Giulia aprirsi, prima è spaventata alla vista dello sconosciuto. Poi si tranquillizza, è lampante il viso ha un repentino mutamento che fa trasparire un ritorno a una certa serenità, quando fissa il volto sorridente di Francesca. È il dottore. Dice la mia collega. Ah, risponde la trans. Ha dolori forti? Fa Lamberti. No, risponde lei. Ho un senso di sofferenza diffusa, come se dovessi riprendermi da una malattia grave ma passata. Bene! Continua il medico. Non ci sono dolori acuti al momento, indice che i traumi si stanno lentamente riassorbendo. Se la sente di alzarsi? Si! Risponde Giulia. Bene. Il dottore gli toglie le coperte di dosso. Appare Giulia nuda, coperta solo di garze e bende. Il medico vede i lividi. Vede i suoi seni. Vede il suo pene. Si fa subito un’opinione, giusta o sbagliata che sia, sia sulla prognosi dello stato fisico di Giulia, sia sulla sua vita presente e futura. Scusi se lo chiedo. Quale è il suo nome di battesimo? Vuole sapere il nome da maschio di Giulia. Mi chiamo Marco Ingome. Bene. Continua il dottore. La sua attività? Beh, fa Giulia. Posso dirle che faccio la vita? Si, fa il dottore imbarazzato. Stia tranquilla non sono un giudice o un poliziotto e nemmeno un prete, sono un dottore che vuole assicurarsi del suo stato fisico. Grazie, risponde Giulia. Di niente, replica il laureato. Ora le chiedo, se la sente di affidarsi a me? L’aiuterò a sollevarsi e a mettersi seduta. Si, risponde Giulia. Con un minimo sforzo Lamberti la fa sedere sul letto cingendola con le sue braccia e sollevandola. Giulia si ridesta dal suo giaciglio che sembrava il suo catafalco mortuario. Invece Giulia non è spirata, lo dico alla mia mente folle per la troppa preoccupazione, è viva. Il medico curante di Francesca ausculta il petto e la schiena di Giulia con lo stetoscopio che porta sempre con sé nella sua valigetta da dottore, che ora è aperta sul comodino della mia stanza da letto. Ha preso quell’arnese da lavoro, chiamiamolo così, con la nonchalance di un uomo abituato a gestire i momenti difficili della vita non solo propria ma di quella di chiunque gli sta attorno. Respiri, dice, respiri prima profondi, poi normali. Ora tossisca, coraggio. Le faccio un prelievo del sangue. Vediamo cosa indica il suo emocromo. Certo è un’indagine molto parziale. Per fare una visita approfondita, cosa di cui lei ha veramente bisogno. Qui il medico guarda con occhi intensi Giulia, scruta lo smarrimento e il terrore di lei. È dice. Per fare una visita approfondita bisogna andare in ospedale. No! Questa sono le due lettere pronunciate da Giulia. Io non posso imporle il ricovero. Non ci sono le ragioni previste dalla legge e dalla Costituzione. Lei non appare in pericolo di vita imminente. Il suo non ricovero non danneggia la salute pubblica. Ma le ricordo che è bene controllarsi. No! Questo continua a dire Giulia.

Il medico l’aiuta ad alzarsi. La fa camminare tenendola per le braccia. Costata che il suo barcollare è causato dal dolore delle ferite e dalla spossatezza, non sembra essere la manifestazione di problemi neurologici. È soddisfatto della visita. Per lei la paziente può presto riprendersi. Ma non vuole dirlo a lei, a Giulia. Vorrebbe convincerla a farsi ricoverare. Ci sono tanti elementi che potrebbero essere causa di pericolo per la sua salute. Non ultimo il Covid, pensa, qualche persona che l’ha diciamo incontrata, o meglio picchiata, potrebbe esserne affetto. E qui controlla che la sua mascherina sia correttamente a posto. Continua il suo pensiero. Sono una merda di medico, si dice, nella concitazione mi sono dimenticato di chiedere a Francesca e ai suoi amici di indossare la mascherina in mia presenza. Fra una settimana mi tocca fare il tampone. Spero di non infettare Carla, sarebbe la moglie, e Giovanni e Grazia, i figli. Ora devo spiegarmi come ha saputo i pensieri del dottore in quel frangente drammatico. Sono io che vi parlo, la voce narrante, il protagonista scrittore del suo dolore, Fabio Lizzo. Ovviamente non ho mai saputo esattamente cosa pensava il dottor Costante Lamberti mentre visitava Giulia. La mia è una ricostruzione a posteriori fatta dalla mia fantasia. Ma tale ricostruzione non è frutto semplicemente di un mio azzardo mentale. Ho parlato più volte in seguito col dottore, come con gli altri coprotagonisti di questa storia, è ho potuto appurare cosa pensassero in determinati momenti della concitata vicenda, così da esporli. Sia chiaro io vi ho raccontato quello che Costante si ricordava a posteriori avvenisse nella sua mente in quell’attimo, ho aggiunto alcuni dettagli che la verosimiglianza della ricostruzione storica rendono plausibili. Poi cosa sia la realtà, ciò che Luigi Pirandello contrapponeva alla spesso falsa verosimiglianza, non lo so. Io vi posso raccontare la verità dei miei pensieri, ciò che succede ed è successo a me è vero, vi assicuro. Ma non posso fare lo stesso per il pensiero e gli accadimenti degli altri. Comunque ora so che cosa è la “Cura” che cantava il compianto Franco Battiato. Autore di musica pop sublime. Ve la ricordate la Cura? La canzone? Io avrò cura di te, diceva il poeta siciliano a una amata reale, non immaginaria e presente, anche se l’ascoltatore non la conosce. La cura è l’amore del marito verso la moglie, l’amore della moglie verso il marito. La cura è l’amore del padre o della mamma verso i figli. È la voglia di proteggere chi si ama. Il desiderio di non farlo soffrire. La consapevolezza che l’unica mia gioia è nella gioia che vive chi amo. La voglia di essere per lui o per lei un dio buono che lo protegge o la protegge da ogni pericolo, ti proteggerò da ogni malattie e perfino da ogni malinconia.. dice la canzone.. perché sei un essere speciale. Per me e credo anche per Francesca, Giulia era un essere speciale e noi avremo cura di lei..

Preso dai miei voli pindarici non sentivo il dottore che cercava di congedarsi ed andare via. Come al solito è Francesca che gestisce la situazione. Saluta il medico. Gli chiede: quanto ti devo? Una bella cena appena sta merda di coronavirus si toglie dai coglioni. Dice il Medico, come battuta. Ma almeno la benzina.. prova a replicare lei. Taci. Mi raccomando fatevi il tampone, lo farò anch’io. Non si sa mai. E tenete sottocchio Giulia. Appena riscontrate qualcosa di strano, non indugiate, chiamate un’ambulanza e poi chiamate anche me. Ma io confido che un bel periodo di riposo possa essere sufficiente a farla riprendere. Quello che è male per la sua salute, è la vita che faceva prima. Lo dico chiaro. Se vuole essere Giulia o Marco sono cavoli suoi. Ma se vuole star bene deve smettere di fare la trans-puttana. Mi viene da ridere. Mi rendo conto di averla chiamata come un treno, c’è la transiberiana e c’è la transputtana. A sto punto gli rispondo “Lupo ulu-là, castello ulu-lì”. Il dottore ride: anche a lei piace Frankenstein junior? Be si! Continua Lamberti: Io volevo essere come il dottore del film, volevo dare la vita a chi non l’ha più. Certo follia. Ma che vuole, per questo folle scopo mi sono preso la laurea. Per la serie la cura dell’altro supera perfino la barriera della morte. Il dottore chiude la porta dietro di sé e se ne va. Riprende la cura.