mercoledì 2 ottobre 2019

CITTADINANZA


IUS CULTURAE
Il dibattito su chi abbia diritto alla cittadinanza italiana da qualche anno infiamma la comunità nazionale italiana. La domanda è: è giusto che un bimbo che nasce in Italia da genitori non italiani debba essere considerato straniero. Secondo l'attuale ordinamento la materia è così regolata. Si può acquistare la cittadinanza italiana, se si è nati in Italia, se si è stati stabilmente residenti nel nostro paese durante la fanciullezza, al compimento dei diciotto anni. In caso contrario se si è generati da stranieri, pur nascendo sul suolo italico, per lo stato italiano si è stranieri. Ci sono migliaia di ragazzini che vanno a scuola in città e paesi italiani, abitano in terre della nostra repubblica, hanno amici italiani, ma non sono italiani. E' giusto che sia così? Per una certa sinistra no. Per molti componenti del PD negare la cittadinanza a bimbi e bimbe, ragazzi e ragazze, vuol dire tradire lo spirito accogliente della costituzione. Infatti, secondo la loro valutazione, lo "ius sanguinis" , il principio che ha ispirato la legge sull'acquisto della cittadinanza italiana attualmente in vigore, non era esclusiva ma inclusiva. Quando entrò in vigore erano più gli italiani che emigravano dalla Penisola che le persone che giungevano nel nostro paese. Lo Ius sanguinis, il dare la cittadinanza a uomini e donne figli di Italiani ma nati in terre lontane, voleva dire accogliere nel nostro paese persone nate e cresciute in terre lontane. Oggi è questo che dovrebbe animare una riforma del processo di acquisto della cittadinanza italiana. Includere, aprire lo stato ad altre genti, oggi vuol dire dare la cittadinanza a figli di persone che hanno raggiunto il nostro paese per lavorare, per studiare e in generale per vivere meglio, garantiti dal nostro ordinamento costituzionale. Insomma sarebbe un modo per incarnare in una legge dello stato i principi di ricerca della pace, solidarietà, fraternità e rispetto reciproco propri dell'ordinamento costituzionale. E' inutile negare che sono molti i già cittadini, cioè noi elettori, che invece non gradiscono molto l'idea dello "ius Culturae", l'idea che il compagno di scuola di proprio figlio, nato da stranieri, possa essere considerato cittadino. Cambiare il modo di attribuire la cittadinanza. Decidere che chi è nato in Italia, pur da stranieri, sia italiano. Non è una decisione da poco. E' inevitabile che sia un argomento divisivo. Da un lato ci c'è i "diritti di avere diritti" che è di tutti, parafrasando Hanna Harendt, da un altro lato la legittima (? non so, decidete voi) paura del diverso. Da un punto di vita morale è indubbio che sia giusto dare la cittadinanza ai bimbi. Ma sarebbe auspicabile approvare una legge che cambia profondamente le basi su cui si fonda l'appartenenza al paese senza una vasto consenso popolare? Io vorrei rispondere: quello che è giusto è giusto, anche se il popolo non l'approva. Ma una democrazia per funzionare deve saper rallentare, deve sapere ascoltare anche chi non la pensa secondo giustizia, e provare insieme a cambiare prima di tutto la struttura statale, ma anche, se possibile, l'animo delle persone. Una democrazia deve saper agire secondo la volontà della maggioranza. Ma deve anche fare in modo che la maggioranza decida in base a sistemi valoriali positivi.

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