sabato 4 aprile 2020

INSIEME CONTRO IL MALE


LE ISTITUZIONI CONTRO IL VIRUS
Il 31 marzo 2020 si è inaugurato l'ospedale speciale per curare le persone affette da Corona Virus. E' stato inaugurato a Milano, nella zona fiera- A volerlo è stato il presidente della regione Lombardia, Attilio Fontana. Il nosocomio di emergenza è frutto della convergenza delle istituzioni locali e del governo nazionale. Ma non c'è dubbio che l'artefice dell'impresa è stata l'attuale giunta che presiede la più industrializzata regione italia. Ha coordinare i lavori è stato Guido Bertolaso, il simbolo della "Italia del fare", cioè quella parte del paese che governava assieme a Silvio Berlusconi, quando questi era presidente del consiglio. Insomma si è rimessa in moto quella macchina di lavoro che era il cardine stesso delle politiche del Cavaliere. Ora tutto il paese deve pensare a mettere in moto le proprie energie. Bisogna fare insieme, bisogna cooperare. Il governo nazionale ha fatto benissimo a mettere ogni sforzo per rendere operativo l'ospedale nella fiera di Milano, nonostante che sia una scelta della destra non ha lesinato a mettere a disposizione attrezzature medicali, macchinari ed operatori, per costruire il sogno di un grande centro di soccorso contro il Corona Virus che va oltre gli ambiti territoriali e si propone di essere centro di cura e di ricerca a libello internazionale. Il Corona Virus si sconfigge insieme. Si sconfigge con lo sforzo di tutti, medici, politici, forze dell'ordine, certo, ma anche comuni cittadini. Ci sono ancora tante difficoltà da superare. La malattia è ancora minaccia immanente nel nostro paese. La solidarietà è l'unica arma per vincerla. Già oggi l'impegno sociale sta dando dei risultati. Il male si può vincere, le cure mediche possono avere strumenti per bloccarlo e cacciarlo, l'ospedale alla fiera di Milano lo dimostra. Spetta a noi tutti fare in modo che questo avvenga il prima possibile. Ognuno deve compiere il proprio compito, anche se consiste solo nello stare a casa, per poter ottenere una vittoria che vorrà dire benessere, salute e, speriamo, felicità per tutti.

L'AIUTO DI MANZONI


STORIA DELLA COLONNA INFAME
Alessandro Manzoni, mentre limava e scriveva il Romanzo, I Promessi Sposi, pubblicò un piccolo, ma importantissimo, saggio: La Storia della Colonna Infame. Lo diede alle stampe nel 1840. Cosa è quest'opera. Prima di tutto una testimonianza di sofferenza. E' la storia di Guglielmo Piazza e di Gina Giacomo Mora accusati di essere "untori" e per questo giudicati e condannati a morte dalla Santa Inquisizione. Cosa vuol dire essere "Untori". Proviamo a spiegarlo per gradi. La vicenda narrata dal sommo narratore è da collocare temporalmente nel 1600, Alessandro Manzoni studia ed elabora l'episodio giudiziario basandosi sulle cronache milanesi del tempo. Siamo ai tempi della grande peste che colpisce tutta l'Europa e, in particolare l'Italia. I due malcapitati sono accusati di aver strofinato e impiastricciato le pareti di via Vetra, una specifica strada milanese, con unguenti latrici del morbo. A testimoniarlo sono due gentil donne: Caterina Rosa e Ottavia Bono. Ma cose dice una famosissima romanza di Gioacchino Rossini: la calunnia è un venticello.. che diventa tempesta. I due malcapitati furono costretti a confessare, sotto tortura, un reato che non solo non avevano commesso, ma che in realtà è inesistente: non si contagia gli altri con pece o intrugli indefiniti. In verità alcune testimonianze scritte attestano che vi furono delle persone che credettero realmente di spargere il terribile morbo con strane misture. Cioè cosparsero i quartieri e i borghi di schifezze conviti di portare il male. Questi non furono certo né Piazza né Mora, estranei ad ogni malfatto. E' certo che l'opera di tali uomini non ebbe alcun effetto reale sull'aumento dei contagi. Questa consapevolezza spinse Manzoni a raccontare questo tragico episodio. L'intento dell'Autore era quello di ricordare anche ai suoi contemporanei e a noi, futuri lettori, che il pregiudizio, la ricerca spasmodica di capri espiatori, di colpevoli senza attenuanti, non solo non vince il male, ma per di più provoca tragici sconvolgimenti sociali. E' facile pensare che il processo e la condanna a morte pubblica dei poveri innocenti abbia portato tanti nuovi contagi, quante persone assiepate nella pizza della Colonna Infame, ove vennero giustiziati Guglielmo Piazza e Gian Giacomo Mora hanno contratto la peste magari perché morsi da quei topi reali latori del virus, come dimostrò secoli dopo la scienza. Oggi siamo ad affrontare un altro terribile microrganismo patogeno, quello chiamato Coronavirus. E' un nemico reale e mortale. Tanti persone sono già decedute, tante sono malate a causa di questo orrendo piccolissimo essere. E' bene trovare strumenti adeguati di difesa. E' bene sapere che bisogna essere distanti l'un l'altro per evitare il male. Abbiamo il dovere di utilizzare la scienza per difenderci. Prima di tutto confidando nei medici che lottano per guarire i malati. Poi fidando negli scienziati che sfidano i tempi tecnici dello sforzo di ricerca per trovare il prima possibile il vaccino. Ma la cosa più importante è che dobbiamo avere noi comportamenti virtuosi. Dobbiamo avere la capacità di superare i pregiudizi e le facili letture. Dobbiamo saper utilizzare la nostra ragione per discernere fra cosa è giusto fare, perché è razionale, e ciò che è deleterio nella sfida che ognuno di noi intraprende ogni giorno per evitare di essere infettato e scongiurare che siano infettati i propri cari. Dobbiamo saper rispettare le norme delle istituzioni statuali volte a contenere la propagazione della malattia, anche se queste appaiono complesse e di difficile interpretazione. Spetta a noi sciogliere i dubbi usando il buonsenso. Manzoni ci dà la via. Un percorso frutto del suo essere uomo '800. Figlio dei lumi e allo stesso tempo di una cultura cattolica che fida nella provvidenza divina e nell'amore fraterno degli uomini. Solidarietà è possibile anche nei tempi difficili. Ce lo ricorda Manzoni tracciando la figura di "uomo per gli uomini" si uomo che si fa strumento di salvezza per glia altri: è il personaggio di fra Cristoforo. Ricordiamolo quale figura chiave del romanzo "I promessi sposi". Bisogna avere coraggio e fiducia nel prossimo questo ci invita a ricordare sempre Alessandro Manzoni.

martedì 31 marzo 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE



I PATTI LATERANENSI E LA COSTITUZIONE: ARTICOLO 7 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Lo stato e la chiesa cattolica sono ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.

I loro rapporti dono regolati dai patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”

Dante Alighieri paragonava il papato, il potere spirituale, e l’impero, ai suoi tempi il potere temporale, quali due soli che riscaldavano la vita e rendevano floride le terre di tutti gli uomini. Il sommo poeta utilizzava questa allegoria per teorizzare una benefica e pacifica convivenza fra il potere di Dio e quello degli umani. Camillo Benso Conte di Cavour,  padre della patria e presidente del consiglio di re Vittorio Emanuele primo re d’Italia, motteggiò, in una celebre frase: libera chiesa in libero stato. Alla luce del pensiero di questi due grandi della storia italica, con la dovuta umiltà e con la consapevolezza di non poter considerarci degni di narrare nella loro interezza le complesse vicende che caratterizzano i rapporti fra Vaticano e Stato Italiano, noi di “racconto a mano libera” continuiamo il percorso di lettura della costituzione, riportando, quest’oggi, l’articolo 7. Questo articolo è stato lungamente dibattuto nell’assemblea costituente. Il nostro paese, allora come oggi, è forgiato culturalmente dalla religione cristiana ed è grandemente influenzato dalla dottrina cattolica. Il problema principale era conciliare il dato di fatto che la stragrande maggioranza degli italiani era cattolica con l’esigenza di tutelare chi non lo era. In più era necessario che fossero definiti in maniera chiara gli ambiti propri della Chiesa e gli ambiti della nascente Repubblica, libera chiesa in Libero stato, le parole di Cavour riecheggiavano nell’assemblea costituente. Prima di tutto era a cuore dei costituenti chiarire che la Repubblica, lo stato, riconosce l’indipendenza della chiesa dal potere della politica. D’altro canto è d’obbligo che la chiesa sappia non influenzare la politica. La costituzione esplicita che i due poteri hanno un “proprio ordine”, cioè agiscono in ambiti diversi, quello delle anime l’una e quello delle faccende temporali, l’altra. E sono indipendenti, cioè lo stato  e la chiesa non devono influenzarsi nelle loro scelte. Ambedue hanno sovranità nel loro ambito. Questo vuol dire che sono in una condizione di parità. Né lo stato è sottoposto alla chiesa. Né la chiesa è prostrata davanti al potere temporale. Sono, quali stati fratelli e uguali, indipendenti fra loro. Quello che infiammava maggiormente i cuori dei costituente, che discutevano animatamente su come dovesse essere sancito in costituzione il rapporto fra il papa e la repubblica, era il rispetto dei cosiddetti Patti lateranensi. I Patti erano stati firmati da Benito Mussolini, nelle vesti di Presidente del consiglio italiano, e da papa Pio XI nel 1929. Gli accordi intendevano superare le cosiddette “guarentige”, i privilegi che casa Savoia aveva concesso  in via unilaterale, senza consenso del papa, al pontefice all’indomani della debellatio, la fine storica, dello stato pontificio a seguito della presa italiana di Roma. Privilegi che servivano al papa a mantenere i propri possedimenti e quelli della chiesa e allo stesso tempo di avere sostentamento economico. Le guarantige non furono mai accettate giuridicamente dal papa, ma solo esercitate di fatto. Con i patti Lateranensi l’Italia e lo Stato della Città del Vaticano, istituzione statuale che di fatto ha le sue fondamenta giuridiche e nasce proprio a seguito della firma in Laterano degli accordi, trovano una comune e concordata gestione dei loro rapporti istituzionali. Fu ampio e serrato il dibattito in assemblea costituente. I partiti laici, socialisti e liberali, intendevano non riconoscere i patti lateranensi come parte dell’ordinamento giuridico della nascente Repubblica. Trovavano indegno che una simile negoziazione, fatta e voluta dal dittatore Mussolini, entrasse nella nuova democrazia. La proposta era di considerare la Chiesa come una formazione sociale, di enorme rilevanza sociale e culturale, ma pur sempre sottordinata allo stato. Alla fine prevalse la tesi del leader della Democrazia Cristiana, Alcide De Gasperi, e del leader del Partito Comunista, Palmiro Togliatti, che ascoltando gli ammonimenti di un giovanissimo giurista oltre che membro dell’assemblea costituente, Aldo Moro, imposero l’inserimento dei Patti Lateranensi in costituzione, atto che fu votato in assemblea a larga maggioranza. A caldeggiare e a scrivere questo articolo fu il giovane Aldo Moro, spalleggiato dall’anziano Don Luigi Sturzo, padre nobile del popolarismo italiano. L’Italia aveva trovato il modo di salvaguardare la propria laicità e allo stesso tempo di garantire alla chiesa di continuare ad operare nel nostro paese. E’ giusto ricordare, però, che coloro che erano contrari alla legittimazione costituzionale dei patti non erano fanatici laicisti, non erano famelici mangiapreti. Avevano ragione nel dire che Mussolini aveva offerto diritti e privilegi alla chiesa che erano in contrasto evidente con i valori di eguaglianza di libertà e pluralismo della Costituzione che si andava scrivendo. La chiesa aveva privilegi di natura economica che di fatto danneggiavano, per la loro prominenza, le altre religioni. Vi era il reato penale di dileggio alla religione nazionale, quella cristiana, che nettamente contrastava con il principio di parità. Perché bestemmiare, scusate il termine, Gesù era un reato e invece bestemmiare Geova no? Perché a scuola si insegnava religione cattolica e non le altre fedi? Sono domande che hanno trovato solo una risposta parziale nel 1984 quando il presidente del consiglio di allora, Bettino Craxi, e il segretario di stato vaticano, Agostino Casaroli, hanno modificato i Patti Lateranensi liberando l’Italia da un fardello che imponeva delle lesioni della libertà ai cittadini che non intendevano praticare la fede cattolica. Anche quella riforma però non ha superato interamente le contraddizioni e le aporie che il concordato ha in sé. La strada per un sano e fruttuoso rapporto fra stato e chiesa non è ancora interamente percorsa. Molto c’è da fare. Urge però sottolineare che, alla luce degli eventi che si sono susseguiti nella storia della nostra nazione, è da ritenere un atto di lungimiranza quello del Pci e della Dc di voler scrivere l’articolo 7 della Costituzione così com’è. Un atto e un’intuizione che proviene da due parti politiche così diverse e allora lontane fra loro, ma che, fatto proprio dall’intera assemblea, ha portato benefici e serenità a una nazione come l’Italia che allora era composta per la quasi totalità da cattolici.

Testo di Giovanni Falagario

PARLANDO DI COSTITUZIONE


ARTICOLO 6 DELLA COSTITUZIONE ITALIA
La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.
Prosegue l'iniziativa di "Racconto a mano Libera" che pubblica gli articoli della costituzione italiana in occasione del settantesimo anniversario dell'entrata in vigore della nostra legge fondamentale. Oggi parliamo di un articolo che, seppur nella sua brevità, è uno dei più significativi. Per la prima volta nel nostro paese si proclama solennemente che le minoranze hanno diritti che lo stato tutela. Nel 1947, quando si scrive la costituzione, sono passati pochi anni dalle politiche di "italianizzazione" forzata perseguite dal fascismo. In regioni come l'alto Adige il fascismo aveva misconosciuto la presenza della comunità germanofona, pur presente da molti secoli. Lo stesso aveva fatto, nelle terre balcaniche occupate dall'Italia e durante la guerra, con le comunità di lingua croata. Insomma il fascismo aveva perseguitato chiunque non parlasse l'italiano quale lingua madre. A questa violenza contro le minoranze i costituenti hanno risposto con l'articolo 6, che invece rende la Repubblica, lo stato, garante della cultura e della lingua delle minoranze. È un atto di democrazia e di libertà. Ogni cittadino italiano deve esprimersi secondo gli usi e i costumi dei propri avi, se lo vuole. La diversità è ricchezza. Lo stesso spirito che ha spinto i costituenti a scrivere norme in difesa dei malati poveri e diseredati ha spinto a scrivere in favore delle minoranze linguistiche. Chi fa parte di una minoranza, per qualsiasi motivo, deve essere tutelato. Urge notare che il costituente parla di minoranze linguistiche. Non considera affatto la questione etnica. Non ci sono tedeschi o francesi, ci sono francofoni e germanofoni. I costituenti avevano ben in mente le leggi razziali del regime fascista, perciò considerarono orrendo e da cancellare il termine "razza" così usato dal nazifascismo. Fa specie e dispiace che a settanta anni dalla promulgazione della carta in Italia non ci sia una legge che dichiari che si è italiani, cittadini, non per sangue, non per ascendenza parentale, ma per nascita e per cultura. Non è un caso, forse,che la non adozione di questa norma fa felice soprattutto la destra che ricorda con nostalgia il fascismo e le leggi razziali che Mussolini ha voluto.ma pensiamo in positivo. Malgrado queste persone abbiamo ancora la nostra costituzione che ci insegna i valori della tolleranza e del rispetto della diversità. Durante i primi anni della Repubblica l'attuazione dell'articolo 6 portò alla creazione delle regioni a statuto speciale. In Val d'Aosta, in Trentino Alto Adige e in Friuli Venezia Giulia si adottarono ordinamenti locali volti alla tutela delle minoranze linguistiche. Nei primi anni del XXI secolo furono fatte delle leggi a tutela delle minoranze linguistiche che vivono in altre regioni. Il percorso in difesa delle minoranze è stato lungo, difficoltoso, contraddittorio e purtroppo ancora incompleto. Altre realtà si affacciano nel nostro paese, altre minoranze vivono nella penisola, giungendo da terre lontane. È il tempo che tutte queste realtà siano tutelate. Dobbiamo avere lo stesso spirito solidale che fu dei nostri padri costituenti.
Testo di Giovanni Falagario


sabato 28 marzo 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE



ARTICOLO 4 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA 

“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo dritto.

Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiare e spirituale della società”.

Prosegue la pubblicazione degli articoli della Costituzione Italiana su “Racconto a mano libera” per celebrare i settant’anni della promulgazione della nostra carta fondamentale. L’articolo quattro è l’esplicitazione di un concetto già formulato nell’articolo 1. Si spiega cosa vuol dire che “la Repubblica.. è fondata sul lavoro”. La Repubblica riconosce non istituisce il diritto al lavoro. Come per altri diritti fondamentali il padre costituente esplicita che il “diritto al lavoro” è un diritto che esiste ancor prima dell’ordinamento statale, esiste come diritto proprio di ogni persona che nella laboriosità esplicita il proprio essere. La Repubblica ha il dovere di promuoverlo. Ha il dovere di mettere in atto le politiche istituzionali necessarie per portare la piena occupazione nel nostro paese. Deve fare in modo che la disoccupazione, almeno quella involontaria, sia un lontano ricordo di epoche buie. Diciamo subito che questo obbiettivo, è agli occhi di tutti, non è stato realizzato e pare lungi dal realizzarsi. La disoccupazione nel nostro paese, soprattutto quella giovanile, è a livelli allarmanti. Noi siamo la nazione in cui i ragazzi, in età fra i venti e quarant’anni, stentano ancora a trovare lavoro e se lo trovano è precario e sottopagato. La repubblica è ben lungi da rendere “effettivo” il diritto al lavoro per tutti. Il lavoro è nel nostro paese, di fatto, un privilegio non un diritto. E’ questo dato di fatto ci rende molto cupi e tristi. L’Italia è il paese che vede sempre con meno speranza il domani. Si fanno meno figli. Si sceglie sempre meno spesso di sposarsi e di “mettere famiglia”, come si suol dire. Il senso di precarietà rende il nostro paese sempre meno aperto al domani, sempre meno ottimista. L’intuizione dei padri costituenti di mettere il lavoro al centro dei valori fondanti del nostro ordinamento, si dimostra giusta proprio analizzando gli effetti deleteri che la precarietà e l’assenza del posto sicuro sta producendo nella nostra società. E’ la mancanza di lavoro che determina lo scollamento sociale. Senza lavoro siamo diventati una società frantumata, senza sogni e obbiettivi comuni da realizzare. Ognuno vive isolato in se stesso, concentrato a difendere il propri privilegi, piccoli o grandi che siano, senza pensare al bene comune e ai diritti che a differenza dei privilegi non sono di pochi e per pochi ma di tutti e per tutti. Allora la scelta dei padri costituenti di rendere l’Italia un paese che mette al centro i lavoratori era vincente. Un paese in cui il lavoro, intellettuale o manuale, sia il fulcro del vivere sociale è un paese sano. Come ogni diritto anche il lavoro ha l’altra faccia della medaglia, cioè il dovere. Se ogni cittadino ha il diritto di lavorare, ha anche il dovere di farlo. Tutti dobbiamo concorrere alla crescita non solo economica, ma anche morale e culturale della nazione attraverso lo svolgimento di un’attività lavorativa. Questo è ben esplicitato nel secondo comma dell’articolo quattro della Costituzione. Ognuno deve dare tutto il proprio impegno per rendere la nostra società migliore, per questo si dice che !ogni cittadino ha il dovere di svolgere.. un’attività  o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della nazione”. Concetti nobili che invitano ogni persona a farsi cosciente che la propria opera è e deve essere preziosa al fine di rendere fulgidi i destini della nazione. Il lavoratore deve finalizzare il suo impegno non solo, come è pur giusto, per far vivere meglio se stesso e la propria famiglia, non deve lavorare solo per avere soldi, ma deve lavorare per realizzare un progetto collettivo comune a tutto il popolo che si incarna nella stessa nazione italiana. Allora appare non solo disdicevole ma anche moralmente inaccettabile il lavoro legato all’illegalità. Il lavoro nero, l’evasione fiscale, la frode sono tutti aspetti della vita economica che non solo sono illegali ma scardinano i valori fondanti del nostro stato. La corruzione dilagante, il dover pagare per avere appalti pubblici, è lo svilire del valore morale che il concetto di lavoro ha in sé. Il dichiarare il falso al fisco, il non pagare i contributi, il dichiarasi disoccupato e invece lavorare, non sonno solo atti di slealtà verso lo stato, ma sono atti di vero e proprio attacco alla collettività che deve fondare il proprio vivere comune sulla lealtà reciproca. Infine vorrei chiudere con un’altra nota dolente del nostro paese. Nel lavoro si esplicita l’emarginazione sociale. E’ sotto gli occhi di tutti che chi è povero, disabile o in stato di difficoltà invece di avere da parte dello stato strumenti atti a superare la propria difficoltà, come imporrebbe l’articolo 3 della Costituzione, è invece spinto ancora più in basso, è messo sempre più ai margini. La nostra società invece che includere, come vorrebbe la formazione culturale cristiana del nostro paese, esclude. In Italia i disabili che lavorano sono pochi, eppur tanti avrebbero i mezzi psichici e fisici per svolgere un’attività che concorra al progresso materiale, eppure non riescono a trovare lavoro. Da un lato ci sono i canali di inserimento dei disabili nell’impiego che non funzionano. Le “categorie protette”, come vengono dette le persone che sono iscritte al collocamento pubblico essendo invalide, non sono affatto tutelate. Dall’altra c’è una cultura distorta, che vede il disabile come un usurpatore di lavoro e di reddito. La stessa logica che alimenta l’odio xenofobo verso gli immigrati, anche loro visti come “ruba lavoro”. La Carta Costituzionale ci insegna che il diritto dell’altro non deve voler dire un “rubare” qualcosa a te. Se un disabile ha un lavoro, non lo ruba a te, ma esercita il diritto alla realizzazione personale insieme con te. I disabili, i disoccupati cronici, tutti gli emarginati sociali sono visti come un pericolo dagli “altri”. Come coloro che vorrebbero prenderti il posto. Proviamo invece a cambiare completamente punto di vista. Le parole di papa Francesco, che invitano all’inclusione, secondo me non valgono solo per il cattolico. Il pontefice indica una strada per costruire una società migliore nell’accoglienza, nell’abbraccio dell’altro, concetti che non sono lungi dai dettami costituzionali. Allora proviamo a costruire veramente una nazione includente, proviamo a rendere il lavoro strumento per crescere insieme come collettività, niente esclusione niente rancore. A questo punto vorrei provare ad invitare tutti a portare nei luoghi in cui lavorano quei valori di solidarietà di comunanza di fratellanza che rendono possibile debellare l’emarginazione e il rancore. Sono oggi valori di pochi, ma che potrebbero diventare valori di tutti contribuendo così a rendere l’Italia intera una nazione migliore.
Testo di Giovanni Falagario


CIAO PINO


Un vuoto incolmabile.

Oggi, 28 marzo 2020, si è spento il Cavaliere Giuseppe Tulipani. Il garante della regione Puglia per le persone diversamente abili ha avuto un ictus. Nulla sono valsi i soccorsi. Il lascito di Pino, così voleva essere chiamato da tutti, è immenso. Il suo impegno per gli uomini, le donne,i bimbi e le bimbe in difficoltà sono esempio di spirito di servizio e amore per il prossimo.Io ho avuto la fortuna di conoscerlo. La sua amicizia mi ha cambiato in meglio la vita. Dico questo perché è certo sono tanti, tantissimi, quelli che possono testimoniare la stessa cosa. Pino aveva il dono, il carisma, di portare non solo requie nei cuori scossi dagli accidenti della vita, ma anche dì donare gioia. Forte di un senso etico fondato sui valori cristiani, sapeva trasformare ogni ostacolo della vita in strumento di emancipazione per chiunque gli chiedesse una mano.Era sempre lì, instancabile, ad aiutare chi avesse bisogno. Questo suo impegno è nato ben prima di ricoprire il ruolo istituzionale di garante. Pino è sempre stato con i più deboli, non è un caso, ma anzi una scelta consapevole, che abbia fondato l'associazione"Angeli della vita", una realtà composta da famiglie con almeno un componente disabile, che non solo si aiutano ma vivono la vita in amicizia. Il messaggio che ci lascia Pino è proprio in quello che ha fatto per il benessere degli altri. Impossibile dimenticarlo, impossibile non sentire il suo contributo prezioso per rendere la vita quotidiana di tutti più bella. Come poter esprimere il senso di vicinanza alla sua amata famiglia, senza rischiare di esprimere pensieri insufficienti a disegnare l'umanità di Pino. l'unica cosa che posso dirvi che io che l'ho conosciuto, mi sento per questo una persona fortunata. Io ho avuto il privilegio di conoscere un uomo buono e di estremo valore.Mi mancherà come mancherà all'intera collettività che ha perso un uomo prezioso. Son certo che comunque la sua opera rimarrà per sempre patrimonio prezioso della comunità. Ma Pino, padre instancabile, mancherà soprattutto a sua moglie e ai suoi figli, a cui porgo un saluto.

LA PREGHIERA DEL PAPA




MAESTRO NON TI IMPORTA CHE SIAMO PERDUTI?
Ieri, 27/03/2020, papa Francesco ha pregato Dio, in una Piazza San Pietro vuota, di fermare la malattia che sta affliggendo il mondo e l'Italia. Una supplica disperata e, allo stesso tempo, piena di speranza. Il Sommo Pontefice ha citato espressamente il Vangelo di Marco, Capitolo IV. In quel passo si ricorda come gli apostoli, navigando su una barca, impauriti per una improvvisa tempesta sul mare di Galilea, chiedano soccorso a Gesù, che si era assopito. "Maestro non ti importa che periamo?" è questa la domanda che fecero davanti al manifestarsi imperioso della procella. Gesù si risveglia e dice al mare: Taci, calmati. E il vento cessò e si fece bonaccia. Poi si rivolse a coloro che lo circondavano: Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?. Il papa ha preso spunto da questo passo evangelico per proferire la sua omelia di fede nell'opera salvifica di Cristo. Davanti al disorientamento, ai timori giustificati, che il grande morbo produce bisogna avere fede nella pronta opera salvifica della Provvidenza. Dio è con noi, non ci ha mai abbandonato, anche in questi momenti estremamente tristi. Il vescovo di Roma l'ha proclamato con forza. Dio può sembrare sopito, può sembrare silente davanti al dolore degli uomini e delle donne, ma in realtà è con noi. Ci sprona, ci fa coraggio, ma anche si mostra magnanimo salvandoci dal pericolo immanente. E' questo che dobbiamo credere. E' questo che ci offre la possibilità di guardare la luce, nei momenti di buio. La consapevolezza che non siamo mai soli. La consapevolezza che c'è sempre il Buon Pastore che ci riporta nell'ovile al sicuro, quando siamo persi nella selva. Il messaggio di ieri, 27/03/2020, dell'uomo venuto dal Nuovo Continente è stato forte. Noi vinceremo il Corona Virus, cacceremo il patogeno grazie all'opera e all'impegno dei medici e degli scienziati, ma anche attraverso la fede di ognuno. Bisogna affrontare le difficoltà e le vicissitudini della vita con piglio e decisione. Anche questo morbo è parte del fluire della storia. Anche questo tragico evento è una prova che l'intera umanità deve vincere e superare. Il papa ha tenuto a sottolineare che questa dura battaglia la vinceremo se riusciremo a superare i nostri egoismi. La tempesta, il Corona Virus, smaschera le nostre vulnerabilità, infrange le nostre certezze; ha detto il papa. L'unica via di salvezza è sentirci tutti fratelli, figli di un unico Padre, Dio. Insomma Francesco invita ancora una volta l'intera umanità a sentirsi comunità, unica famiglia fondata sui principi dell'amore e del servizio verso il prossimo. L'esempio sono i medici, gli infermieri e tutti coloro che in queste ore fatali si impegnano per gli altri. Loro sanno che Gesù ha gridato al male : Taci. Ma allo stesso tempo sono consapevoli che l'opera dell'Emmanuele si concretizza grazie all'impegno di ciascuno di noi, nessuno escluso. L'invito del papa è di avere Speranza e Fede fondate sul concreto realizzarsi delle opere. Noi siamo lo strumento del miracolo divino. Ognuno deve fare ciò che le circostanze gli chiedono di fare. I medici e gli infermieri stanno in prima linea negli ospedali. Noi, non esperti in medicina, dobbiamo stare a casa e, se credenti, pregare, se laici, avere fiducia nel cammino dell'umanità. Vinceremo il male, lo vinceremo avendo vicino Gesù. Saremo come Pietro, che vinta la tempesta fermato il pericolo, dice a Gesù: "gettiamo in te ogni preoccupazione, perché tu hai cura di noi". Noi dobbiamo essere come i discepoli di Emmaus , che davanti alla notte incipiente, chiediamo al Maestro: resta con noi.