martedì 31 marzo 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE



I PATTI LATERANENSI E LA COSTITUZIONE: ARTICOLO 7 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Lo stato e la chiesa cattolica sono ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.

I loro rapporti dono regolati dai patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”

Dante Alighieri paragonava il papato, il potere spirituale, e l’impero, ai suoi tempi il potere temporale, quali due soli che riscaldavano la vita e rendevano floride le terre di tutti gli uomini. Il sommo poeta utilizzava questa allegoria per teorizzare una benefica e pacifica convivenza fra il potere di Dio e quello degli umani. Camillo Benso Conte di Cavour,  padre della patria e presidente del consiglio di re Vittorio Emanuele primo re d’Italia, motteggiò, in una celebre frase: libera chiesa in libero stato. Alla luce del pensiero di questi due grandi della storia italica, con la dovuta umiltà e con la consapevolezza di non poter considerarci degni di narrare nella loro interezza le complesse vicende che caratterizzano i rapporti fra Vaticano e Stato Italiano, noi di “racconto a mano libera” continuiamo il percorso di lettura della costituzione, riportando, quest’oggi, l’articolo 7. Questo articolo è stato lungamente dibattuto nell’assemblea costituente. Il nostro paese, allora come oggi, è forgiato culturalmente dalla religione cristiana ed è grandemente influenzato dalla dottrina cattolica. Il problema principale era conciliare il dato di fatto che la stragrande maggioranza degli italiani era cattolica con l’esigenza di tutelare chi non lo era. In più era necessario che fossero definiti in maniera chiara gli ambiti propri della Chiesa e gli ambiti della nascente Repubblica, libera chiesa in Libero stato, le parole di Cavour riecheggiavano nell’assemblea costituente. Prima di tutto era a cuore dei costituenti chiarire che la Repubblica, lo stato, riconosce l’indipendenza della chiesa dal potere della politica. D’altro canto è d’obbligo che la chiesa sappia non influenzare la politica. La costituzione esplicita che i due poteri hanno un “proprio ordine”, cioè agiscono in ambiti diversi, quello delle anime l’una e quello delle faccende temporali, l’altra. E sono indipendenti, cioè lo stato  e la chiesa non devono influenzarsi nelle loro scelte. Ambedue hanno sovranità nel loro ambito. Questo vuol dire che sono in una condizione di parità. Né lo stato è sottoposto alla chiesa. Né la chiesa è prostrata davanti al potere temporale. Sono, quali stati fratelli e uguali, indipendenti fra loro. Quello che infiammava maggiormente i cuori dei costituente, che discutevano animatamente su come dovesse essere sancito in costituzione il rapporto fra il papa e la repubblica, era il rispetto dei cosiddetti Patti lateranensi. I Patti erano stati firmati da Benito Mussolini, nelle vesti di Presidente del consiglio italiano, e da papa Pio XI nel 1929. Gli accordi intendevano superare le cosiddette “guarentige”, i privilegi che casa Savoia aveva concesso  in via unilaterale, senza consenso del papa, al pontefice all’indomani della debellatio, la fine storica, dello stato pontificio a seguito della presa italiana di Roma. Privilegi che servivano al papa a mantenere i propri possedimenti e quelli della chiesa e allo stesso tempo di avere sostentamento economico. Le guarantige non furono mai accettate giuridicamente dal papa, ma solo esercitate di fatto. Con i patti Lateranensi l’Italia e lo Stato della Città del Vaticano, istituzione statuale che di fatto ha le sue fondamenta giuridiche e nasce proprio a seguito della firma in Laterano degli accordi, trovano una comune e concordata gestione dei loro rapporti istituzionali. Fu ampio e serrato il dibattito in assemblea costituente. I partiti laici, socialisti e liberali, intendevano non riconoscere i patti lateranensi come parte dell’ordinamento giuridico della nascente Repubblica. Trovavano indegno che una simile negoziazione, fatta e voluta dal dittatore Mussolini, entrasse nella nuova democrazia. La proposta era di considerare la Chiesa come una formazione sociale, di enorme rilevanza sociale e culturale, ma pur sempre sottordinata allo stato. Alla fine prevalse la tesi del leader della Democrazia Cristiana, Alcide De Gasperi, e del leader del Partito Comunista, Palmiro Togliatti, che ascoltando gli ammonimenti di un giovanissimo giurista oltre che membro dell’assemblea costituente, Aldo Moro, imposero l’inserimento dei Patti Lateranensi in costituzione, atto che fu votato in assemblea a larga maggioranza. A caldeggiare e a scrivere questo articolo fu il giovane Aldo Moro, spalleggiato dall’anziano Don Luigi Sturzo, padre nobile del popolarismo italiano. L’Italia aveva trovato il modo di salvaguardare la propria laicità e allo stesso tempo di garantire alla chiesa di continuare ad operare nel nostro paese. E’ giusto ricordare, però, che coloro che erano contrari alla legittimazione costituzionale dei patti non erano fanatici laicisti, non erano famelici mangiapreti. Avevano ragione nel dire che Mussolini aveva offerto diritti e privilegi alla chiesa che erano in contrasto evidente con i valori di eguaglianza di libertà e pluralismo della Costituzione che si andava scrivendo. La chiesa aveva privilegi di natura economica che di fatto danneggiavano, per la loro prominenza, le altre religioni. Vi era il reato penale di dileggio alla religione nazionale, quella cristiana, che nettamente contrastava con il principio di parità. Perché bestemmiare, scusate il termine, Gesù era un reato e invece bestemmiare Geova no? Perché a scuola si insegnava religione cattolica e non le altre fedi? Sono domande che hanno trovato solo una risposta parziale nel 1984 quando il presidente del consiglio di allora, Bettino Craxi, e il segretario di stato vaticano, Agostino Casaroli, hanno modificato i Patti Lateranensi liberando l’Italia da un fardello che imponeva delle lesioni della libertà ai cittadini che non intendevano praticare la fede cattolica. Anche quella riforma però non ha superato interamente le contraddizioni e le aporie che il concordato ha in sé. La strada per un sano e fruttuoso rapporto fra stato e chiesa non è ancora interamente percorsa. Molto c’è da fare. Urge però sottolineare che, alla luce degli eventi che si sono susseguiti nella storia della nostra nazione, è da ritenere un atto di lungimiranza quello del Pci e della Dc di voler scrivere l’articolo 7 della Costituzione così com’è. Un atto e un’intuizione che proviene da due parti politiche così diverse e allora lontane fra loro, ma che, fatto proprio dall’intera assemblea, ha portato benefici e serenità a una nazione come l’Italia che allora era composta per la quasi totalità da cattolici.

Testo di Giovanni Falagario

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