lunedì 4 gennaio 2021

PARLANDO DI COSTITUZIONE

 


ARTICOLO 90 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA 

“Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione.

In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri”.

Il Presidente della Repubblica, nell’esercizio del suo mandato, gode dell’immunità per tutti gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni. Il Presidente della Repubblica è irresponsabile dei sui gesti dal punto di vista della giustizia civile, amministrativa e penale. Non può essere perseguito. Nel caso abbia compiuto reati al di fuori dell’esercizio delle sue funzioni il procedimento penale è sospeso fino a quando rimane in carica. Al momento della cessazione del suo mandato potrà subire il procedimento penale necessario per definire le sua responsabilità. Questo status presidenziale è sancito dall’articolo 90 della Costituzione. Tale norma, però, fa una importantissima eccezione. Il Presidente della Repubblica può essere perseguito anche quando è in carica se compie atti di alto tradimento verso lo Stato e per aver violato i dettami costituzionali. La dottrina è divisa nella definizione dei reati presidenziali. Difficile configurare nell’ambito di una precisa fattispecie normativa il concetto di “alto tradimento” e “attentato alla Costituzione”. Molti giuristi sembrano orientati ad intendere tali concetti come la manifestazione di una palese violazione del giuramento di fedeltà alla Repubblica, attraverso atti che concretamente violano l’integrità e l’indipendenza dello stato. Altri fanno risalire la fattispecie di “alto tradimento del Presidente della Repubblica” alla norma 283 del Codice Penale che punisce chiunque attenti alla Costituzione dello Stato. Altri la fanno risalire all’articolo 77 del Codice Penale Militare che puniscono i delitti contro la personalità dello stato. Però la maggioranza dei costituzionalisti è concorde nel dire che il reato presidenziale non può essere ricondotto a tali norme penali. Le peculiarità delle funzioni presidenziali renderebbero il reato di “alto tradimento” da lui compiuto non pienamente riconducibile a fattispecie normative. Il Presidente della Repubblica sarebbe privo della garanzia costituzionale che impone che nessuno possa essere condannato penalmente senza che abbia infranto una specifica e determinata norma. L’alto tradimento rimarrebbe un concetto giuridico vago, che non ha fondamenti nell’ordinamento penale. Il Parlamento in seduta comune, l’organo che mette in stato d’accusa il Presidente, dovrebbe esaminare i comportamenti del primo cittadino e definire compiutamente l’atto censurabile e censurato che la corte costituzionale dovrebbe giudicare. Il Parlamento in seduta comune infatti vota l’incriminazione del Presidente, la Consulta è l’organo giudicante che punisce o assolve l’inquilino del Quirinale. Questo è in estrema sintesi l’iter costituzionale. Il parlamento a maggioranza assoluta dei componenti mette in stato d’accusa il presidente, come ricorda il secondo comma dell’articolo 90. Ma quali sono gli atti presidenziali perseguibili? L’aver confabulato con politici stranieri contro la nazione italiana, può essere un reato. L’aver attentato ai principi democratici incisi nella Costituzione, può essere un reato perseguibile. Insomma i reati presidenziali sono gesti volti a sovvertire l’ordine Repubblicano. Magari possono essere non soltanto atti specifici, ma comportamenti ripetuti volti a denigrare e infangare quelle che sono le istituzioni repubblicane.

Ricordiamo succintamente il procedimento di messa in stato d’accusa del presidente. Quando viene presentata da un gruppo di parlamentari la richiesta formale di messa in stato d’accusa del presidente, si riunisce d’urgenza un comitato di 20 deputati e senatori scelti d’intesa fra i due presidenti delle Camere. Questa prima commissione decide se archiviare l’accusa, ritenuta inconsistente, oppure se proporla al voto delle Camere. In tal caso il Presidente della Camera, letta la valutazione della Commissione, convoca il Parlamento in seduta comune che voterà a maggioranza assoluta l’Impeachment, questo è il termine giuridico anglosassone che definisce il processo penale a carico del capo dello stato, istituto conosciuto anche negli Stati Uniti d’America. In tal caso tutti gli atti saranno inviati alla Corte Costituzionale che istruirà il processo contro il Presidente della Repubblica. La Consulta istituirà, a norma dell’articolo 135 ultimo comma della Costituzione, un collegio giudicante composto non solo dai quindici magistrati ordinari, ma anche da sedici membri tratti a sorte da un elenco di cittadini aventi i requisiti di eleggibilità a senatore, che il Parlamento compila ogni nove anni mediante elezione con le stesse lodabilità stabilite per la nomina dei giudici ordinari. Ricordiamo che l’elezione sia dei giudici ordinari che di quelli straordinari è fatta dal Parlamento in seduta comune. Dopo le operazioni istruttorie la Consulta si chiude in camera di consiglio e vota, in caso di parità fra due verdetti possibili si sceglie quello più favorevole all’imputato. In caso di scelta fra assoluzione o condanna, in caso di parità, si assolve l’imputato.

L’istituto di messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica è stato utilizzato solo nel caso dello scandalo Lockheed. Una azienda aereonautica americana  aveva pagato delle ingenti tangenti a membri del governo, arrivando a lambire l’onorabilità della Presidenza della Repubblica. Il processo si svolse fra l’aprile del 1977 e marzo del 1978. Allora rispondevano davanti alla consulta per reati compiuti nell’esercizio delle loro funzioni anche i ministri del governo. Oggi invece i ministri rispondono davanti al giudice ordinario dei propri reati. Per questo motivo il processo Lockheed vide sfilare membri dell’esecutivo, ma non Giovanni Leone, l’allora presidente della Repubblica dimessosi dalla carica a causa dello scandalo. Ad onor del vero Leone non fu coinvolto direttamente nel processo. Il presidente si dimostrò scevro da ogni colpa. Ad essere imputato era il figlio. A questo punto ricordiamo il mutare dei tempi. La vicenda Paolo Berlusconi, il fratello del Presidente del consiglio Silvio Berlusconi. Paolo Berlusconi fu condannato per tangenti. Il Popolo della Lega e di Forza Italia, i sostenitori della destra, sostennero Paolo. Lo difesero strenuamente. Premiarono elettoralmente Lega e Forza Italia che avevano condotto alacremente un duello contro l’autorità giudiziaria che stava processando Paolo Berlusconi. Tutto diverso il comportamento dell’elettorato di sinistra pronto a punire Matteo Renzi, segretario del Partito democratico, per i reati, presunti, compiuti dal padre. Poco importa che il genitore è stato assolto. Alla luce di questo il popolo di sinistra appare il vecchio, legato ai valori di legalità e rispetto delle leggi, mentre la Lega e Forza Italia appaiono il nuovo che propugna il prevalere dei legami familiari sulle responsabilità civili e democratiche. Basta vedere come Matteo Salvini, segretario della lega, rivendichi con orgoglio gli atti del suo partito volti a finanziare amici e parenti dei leader. Insomma la terza repubblica, come si chiama quella uscita dalle ultime elezioni, sembra lontana dalla prima che si scandalizzava per le vicende Lockheed.

 

 

PARLANDO DI COSTITUZIONE

 


ARTICOLO 89 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità.

Gli atti che hanno valore legislativo e gli altri indicati dalla legge sono controfirmati anche dal Presidente del Consiglio dei ministri.”

Tutti gli atti del Presidente della Repubblica sono controfirmati dai ministri proponenti, che se ne assumono la responsabilità politica. L’articolo 89 della Costituzione sancisce la irresponsabilità politica del Presidente della Repubblica. Il Primo cittadino dello stato è arbitro imparziale della vita Repubblicana. Non può assumere un ruolo che lo faccia scendere dallo scranno del saggio arbitro. Per questo motivo tutti gli atti che compie devono avere l’avvallo del governo, o meglio, del Ministro proponente e competente per materia. Bisogna ricordare che molti atti che sono sostanzialmente governativi portano la firma del presidente. Sono i regolamenti governativi e ministeriali, i disegni di legge da presentare alle Camere, i decreti legge e i decreti legislativi, tutti gli atti che assumono la forma di Decreti del Presidente della Repubblica, quando vengono emanati, ma che sono atti decisi e prodotti dall’esecutivo o dai uno dei suoi componenti. In questi casi la firma del Presidente della Repubblica assume il valore di sigillo di regolarità costituzionale. Il Primo Cittadino dello stato non è responsabile dell’atto che il testo contiene, non l’ha voluto lui, ma ne attesta la conformità alle regole dello stato. Il Presidente della Repubblica non partecipa alla definizione dell’indirizzo politico del governo. Di conseguenza non ha alcuna responsabilità politica istituzionale. Egli non è chiamato a rispondere del proprio operato nell’ambito delle sue funzioni istituzionali, se non per alto tradimento e attentato alla Costituzione. Eventuali responsabilità giuridiche e politiche scaturenti da atti firmati dal presidente sono a carico del ministro cofirmante. Gli atti aventi forza di legge, quali decreti legge e decreti legislativi, che formalmente sono atti presidenziali, ma sostanzialmente sono atti dell’esecutivo, devono tassativamente essere controfirmati dal Presidente del Consiglio. Una curiosità. I costituzionalisti si sono chiesti chi debba controfirmare l’atto di nomina del Presidente del Consiglio? Che l’atto di nomina, compiuto dal Presidente della Repubblica in forza dell’articolo 92 secondo comma della Costituzione, debba essere controfirmato dal Presidente del Consiglio non ci sono dubbi. Ma lo deve fare il presidente uscente o quello subentrante? Da un punto di vista formale il presidente del consiglio nominato non avrebbe titolo per firmare. La sua carica istituzionale è conseguita proprio a seguito della nomina. Prima che questa è il suo predecessore a governare il paese. In teoria dovrebbe essere lui a firmare il decreto presidenziale che nomina il suo successore. Ma la prassi e la logica hanno indotto a considerare più opportuno che sia il nuovo presidente del consiglio a controfirmare la sua stessa nomina, anche contravvenendo ai canoni di formalità giuridico amministrativi. Perché? Il vecchio presidente del consiglio potrebbe essere impossibilitato a firmare, perché morto o malato. Oppure, potrebbe non essere disposto a rendere legittimo costituzionalmente un atto che lo defenestra dalla carica di capo del governo. Per evitare delicate frizioni politiche si è preferito che fosse evitato che questo atto di nomina vedesse coinvolto in qualche modo il capo del governo uscente. Ricordiamo il famoso passaggio della campanellina fra Enrico Letta, presidente del Consiglio uscente, e Matteo Renzi, Presidente del Consiglio entrante. Lo “scambio della campanellina” è un atto rituale e simbolico, il vecchio capo del governo affida la campanella che tintinna durante le riunioni del Consiglio dei Ministri al nuovo. È un rito di folclore. In quel frangente, però, apparve chiara l’irritazione e l’astio di Letta verso Renzi, che l’aveva defenestrato. Figuriamoci: se Enrico Letta fosse stato costretto a firmare il decreto di nomina di Renzi, cosa sarebbe successo? Insomma la controfirma è importantissima. Negli atti che sono sostanzialmente presidenziale, nomina del presidente del consiglio nomina dei senatori a vita etc, serve come atto di controllo da parte del governo, è un’ulteriore garanzia e di controllo sulle iniziative del primo cittadino dello stato, se invece la firma è posta su atti sostanzialmente governativi è un atto di presa di responsabilità politica, il presidente del consiglio, se è lui che firma, oppure il ministro risponderà davanti alle camere e al paese del contenuto dell’atto. È avvenuto sotto la presidenza di Francesco Cossiga, che atti sostanzialmente presidenziali, quali la nomina di senatori o il conferimento di cariche o testi scritti al Consiglio della Magistratura, trovassero forti perplessità all’interno del governo allora in carica. Allora ci fu un ampio ed aspro dibattito sulla possibilità, reale e concreta, che il ministro competente si rifiutasse di controfirmare un atto presidenziale. Si trattava di un decreto del presidente rivolto al Consiglio Superiore della Magistratura che doveva essere controfirmato dal guardasigilli, ministro competente. Lo scontro dialettico fra ministro e capo dello stato fu risolto dalla scelta del Presidente del Consiglio, di controfirmare lui l’atto del presidente. Insomma la controfirma è un istituto giuridico di estrema delicatezza. Gli atti Presidenziali assumono validità solo e unicamente se sono messe in calce le firme sia dell’inquilino del Quirinale sia di un componente dell’esecutivo in carica. 

domenica 3 gennaio 2021

PARLANDO DI COSTITUZIONE

 


ARTICOLO 89 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità.

Gli atti che hanno valore legislativo e gli altri indicati dalla legge sono controfirmati anche dal Presidente del Consiglio dei ministri.”

Tutti gli atti del Presidente della Repubblica sono controfirmati dai ministri proponenti, che se ne assumono la responsabilità politica. L’articolo 89 della Costituzione sancisce la irresponsabilità politica del Presidente della Repubblica. Il Primo cittadino dello stato è arbitro imparziale della vita Repubblicana. Non può assumere un ruolo che lo faccia scendere dallo scranno del saggio arbitro. Per questo motivo tutti gli atti che compie devono avere l’avvallo del governo, o meglio, del Ministro proponente e competente per materia. Bisogna ricordare che molti atti che sono sostanzialmente governativi portano la firma del presidente. Sono i regolamenti governativi e ministeriali, i disegni di legge da presentare alle Camere, i decreti legge e i decreti legislativi, tutti gli atti che assumono la forma di Decreti del Presidente della Repubblica, quando vengono emanati, ma che sono atti decisi e prodotti dall’esecutivo o dai uno dei suoi componenti. In questi casi la firma del Presidente della Repubblica assume il valore di sigillo di regolarità costituzionale. Il Primo Cittadino dello stato non è responsabile dell’atto che il testo contiene, non l’ha voluto lui, ma ne attesta la conformità alle regole dello stato. Il Presidente della Repubblica non partecipa alla definizione dell’indirizzo politico del governo. Di conseguenza non ha alcuna responsabilità politica istituzionale. Egli non è chiamato a rispondere del proprio operato nell’ambito delle sue funzioni istituzionali, se non per alto tradimento e attentato alla Costituzione. Eventuali responsabilità giuridiche e politiche scaturenti da atti firmati dal presidente sono a carico del ministro cofirmante. Gli atti aventi forza di legge, quali decreti legge e decreti legislativi, che formalmente sono atti presidenziali, ma sostanzialmente sono atti dell’esecutivo, devono tassativamente essere controfirmati dal Presidente del Consiglio. Una curiosità. I costituzionalisti si sono chiesti chi debba controfirmare l’atto di nomina del Presidente del Consiglio? Che l’atto di nomina, compiuto dal Presidente della Repubblica in forza dell’articolo 92 secondo comma della Costituzione, debba essere controfirmato dal Presidente del Consiglio non ci sono dubbi. Ma lo deve fare il presidente uscente o quello subentrante? Da un punto di vista formale il presidente del consiglio nominato non avrebbe titolo per firmare. La sua carica istituzionale è conseguita proprio a seguito della nomina. Prima che questa è il suo predecessore a governare il paese. In teoria dovrebbe essere lui a firmare il decreto presidenziale che nomina il suo successore. Ma la prassi e la logica hanno indotto a considerare più opportuno che sia il nuovo presidente del consiglio a controfirmare la sua stessa nomina, anche contravvenendo ai canoni di formalità giuridico amministrativi. Perché? Il vecchio presidente del consiglio potrebbe essere impossibilitato a firmare, perché morto o malato. Oppure, potrebbe non essere disposto a rendere legittimo costituzionalmente un atto che lo defenestra dalla carica di capo del governo. Per evitare delicate frizioni politiche si è preferito che fosse evitato che questo atto di nomina vedesse coinvolto in qualche modo il capo del governo uscente. Ricordiamo il famoso passaggio della campanellina fra Enrico Letta, presidente del Consiglio uscente, e Matteo Renzi, Presidente del Consiglio entrante. Lo “scambio della campanellina” è un atto rituale e simbolico, il vecchio capo del governo affida la campanella che tintinna durante le riunioni del Consiglio dei Ministri al nuovo. È un rito di folclore. In quel frangente, però, apparve chiara l’irritazione e l’astio di Letta verso Renzi, che l’aveva defenestrato. Figuriamoci: se Enrico Letta fosse stato costretto a firmare il decreto di nomina di Renzi, cosa sarebbe successo? Insomma la controfirma è importantissima. Negli atti che sono sostanzialmente presidenziale, nomina del presidente del consiglio nomina dei senatori a vita etc, serve come atto di controllo da parte del governo, è un’ulteriore garanzia e di controllo sulle iniziative del primo cittadino dello stato, se invece la firma è posta su atti sostanzialmente governativi è un atto di presa di responsabilità politica, il presidente del consiglio, se è lui che firma, oppure il ministro risponderà davanti alle camere e al paese del contenuto dell’atto. È avvenuto sotto la presidenza di Francesco Cossiga, che atti sostanzialmente presidenziali, quali la nomina di senatori o il conferimento di cariche o testi scritti al Consiglio della Magistratura, trovassero forti perplessità all’interno del governo allora in carica. Allora ci fu un ampio ed aspro dibattito sulla possibilità, reale e concreta, che il ministro competente si rifiutasse di controfirmare un atto presidenziale. Si trattava di un decreto del presidente rivolto al Consiglio Superiore della Magistratura che doveva essere controfirmato dal guardasigilli, ministro competente. Lo scontro dialettico fra ministro e capo dello stato fu risolto dalla scelta del Presidente del Consiglio, di controfirmare lui l’atto del presidente. Insomma la controfirma è un istituto giuridico di estrema delicatezza. Gli atti Presidenziali assumono validità solo e unicamente se sono messe in calce le firme sia dell’inquilino del Quirinale sia di un componente dell’esecutivo in carica. 

700 ANNI FA: LA MORTE DI DANTE

 


DANTE SEMPRE PIU’ DANTE

In questo anno, 2021, ricorrono i settecento anni dalla morte di Dante Alighieri. Il poeta fiorentino è spirato a Ravenna, ove era in esilio, la notte fra il 13 e 14 settembre del 1321.

Ora è difficile esprimere compiutamente il valore morale e spirituale che il sommo vate ha lasciato a noi, suoi posteri. L’impresa di enumerare i suoi meriti è così imponente da diventare ardua per chiunque, figuriamoci per me.  Le sue opere sono il fondamento stesso della cultura, non solo italiana, ma di tutto il mondo. Il valore letterario dell’opera dantesca è scorgibile anche dalla sua capacità di forgiare il linguaggio. A Dante si attribuiscono una serie infinita di vocaboli ed espressioni italiane che hanno caratterizzato lo scrivere e il dialogare delle generazioni a lui succedute. Assieme a Francesco Petrarca e a Giovanni Boccaccio, Dante è stato il maestro, il vate, la guida che ha forgiato il linguaggio italiano, l’eloquio che ha fondato la nostra nazione.

Ma Dante Alighieri non ha solo utilizzato la lingua volgare, il toscano che diventerà italiano, per lasciare ai posteri i componimenti poetici che hanno toccato l’anima di molti. E bisogna dirlo: solo l’aver fatto questo sarebbe sufficiente a rendere la sua opera immortale ed eterna. Ha anche posto le basi filosofiche e filologiche per fondare una grammatica e una dialettica italiana. Il suo “de Vulgari Eloquentia” ha posto le basi del linguaggio italiano come lingua elaborata intellettualmente. Un trattato di natura tecnico linguistica, scritto in latino proprio perché la lingua classica romana è la lingua della scienza. Il linguaggio con cui si scrivevano da sempre i trattati di tutte le branche della cultura, dalla medicina all’astronomia, fino, appunto, alla elaborazione della struttura letteraria.

Dante è insomma il padre della lingua Italia, colui che ha posto le basi perché diventi un linguaggio utilizzabile a tutti i livelli: da quello colloquiale a quello tecnico scientifico. Dante, sotto questo punto di vista, è da paragonare ad Alessandro Manzoni. Il vate fiorentino ha costruito l’Italiano come strumento di comunicazione di una nazione che dal punto di vista politico era ancora lungi da nascere, ma grazie a lui, era già un fatto nel cuore e negli animi di tanti, che si sentivano una cosa sola, una nazione, leggendo di Paolo e di Francesca, leggendo di Catone o di Cacciaguida, Piccarda Donati e di tanti altri grandi evocati nella Commedia dantesca. Esattamente come fece Alessandro Manzoni, nell’Ottocento, in un’Italia che bramava essere entità politica oltre ad essere una essenza spirituale e culturale, che scrisse il Romanzo, I Promessi Sposi, per dare alla borghesia italica, e al popolo tutto, un linguaggio nuovo fondato sul valore indiscutibile della letteratura del passato, ovviamente compresa quella dantesca, ma allo stesso tempo capace di farsi strumento di comunicazione in un XIX secolo che doveva essere al tempo stesso secolo della tecnica, ma anche e soprattutto tempo di libertà e di emancipazione sociale per ogni uomo e donna e per tutte le nazioni, prima fra tutte quella Italiana.

Allora non dimentichiamo mai Dante Alighieri è stato padre della lingua che oggi noi parliamo. È stato l’artefice del linguaggio dei grandi dotti. Ma è stato colui che ha donato a noi tutti, anche a me povero ignorate semianalfabeta, uno strumento magnifico di comunicazione: la Lingua Italiana. Linguaggio capace di solcare le tempestose procelle che caratterizzano la storia. Come non ricordare che l’Italiano, grazie a grandi come Giuseppe Ungaretti, è stato lo strumento per raccontare sofferenze, dolori, ma anche gioie e felicità. È stato lo strumento per esprimersi di Pasolini e di Leopardi. Ho evocato pochissimi grandi, ma tutti noi sappiamo che tanti sono i letterati che scrivendo in italiano hanno lasciato un qualche dono prezioso all’intera umanità. Insomma ricordando i sette secoli che ci separano dalla morte di Dante Alighieri, noi rimembriamo il valore etico, morale, sentimentale, oltre che letterario del linguaggio che è uno delle caratteristiche fondamentali di noi abitanti della penisola che comprende la Sicilia (che pur è un’isola come la Sardegna, ma è parte del destino comune) e giunge fino alla vetta più alta, quella del Monte Bianco.

Ricordare Dante, Ricordare le sue opere. Ricordare il Convivio, in cui scrive di poesia e di letteratura, Ricordare “La Vita Nuova” in cui fa dell’amore per la sua Beatrice, un messaggio sul valore dell’amore che supera ogni tipo di barriera, che sia temporale o terrestre, per arrivare fino a noi, noi pellegrini del XXI secolo, per riempirci i cuori di speranza. Dante è tutto. Dante è il poeta che realmente a compiuto l’opera universale, quella che spiega l’essenze profonde del genere umano. Dante ha saputo narrare le innumerevoli bassezze che caratterizzano l’umano, penso ai barattieri, agli avari e agli strozzini torturati nell’Inferno dantesco e disprezzati profondamente dal poeta. Penso anche ai Grandi, alle anime belle, che Dante ha saputo tracciare e raccontare amabilmente nel Purgatorio, come non citare il nobile romano Catone, messo da Dante a guardia dell’ingresso del Purgatorio, uomo pronto a morire per i suoi ideali e per la Repubblica (di Roma antica).

Veramente c’è tanto da dire del sommo poeta. Per commentare il pensiero, la poesia, l’opera di Dante Alighieri non sono bastati generazioni di dotti, di letterati, di critici letterari. Il mio scritto è poca cosa, è certamente svilente di fronte alla potenza etica e letteraria di Dante Alighieri. Il suo essere uomo di Stato, uomo di Chiesa, uomo pronto a morire per le sue convinzioni più profonde lo rendono un eroe immortale, un conduttore dell’anima assetata di vero, bisogno che è comune all’intera umanità. Ricordare la sua morte, ricordare il suo valore universale, è un modo per rimetterci in cammino per raggiungere il bene collettivo attraverso la sua guida. Come Dante ebbe Virgilio, il poeta romano per antonomasia, come guida nell’inferno per riveder le stelle, così finisce la sua prima cantica, noi abbiamo lo stesso Dante a indicarci la strada per costruire una patria comune, una patria fiera e pacifica, tutta orientata alla armoniosa convivenza. Dante, 700 anni, è non dimostrarli affatto.

2021, SETTECENTO ANNI FA MORIVA DANTE

 


DANTE SEMPRE PIU’ DANTE

In questo anno, 2021, ricorrono i settecento anni dalla morte di Dante Alighieri. Il poeta fiorentino è spirato a Ravenna, ove era in esilio, la notte fra il 13 e 14 settembre del 1321.

Ora è difficile esprimere compiutamente il valore morale e spirituale che il sommo vate ha lasciato a noi, suoi posteri. L’impresa di enumerare i suoi meriti è così imponente da diventare ardua per chiunque, figuriamoci per me.  Le sue opere sono il fondamento stesso della cultura, non solo italiana, ma di tutto il mondo. Il valore letterario dello pera dantesca è scorgibile anche dalla sua capacità di forgiare il linguaggio. A Dante si attribuiscono una serie infinita di vocaboli ed espressioni italiane che hanno caratterizzato lo scrivere e il dialogare delle generazioni a lui succedute. Assieme a Francesco Petrarca e a Giovanni Boccaccio, Dante è stato il maestro, il vate, la guida che ha forgiato il linguaggio italiano, l’eloquio che ha fondato la nostra nazione.

Ma dante Alighieri non ha solo utilizzato la lingua volgare, il toscano che diventerà italiano, per lasciare ai posteri i componimenti poetici che hanno toccato l’anima di molti. E bisogna dirlo: solo questo è sufficiente per rendere la sua opera immortale ed eterna. Ha anche posto le basi filosofiche e filologiche per fondare una grammatica e una dialettica italiana. Il suo “de Vulgari Eloquentia” ha posto le basi del linguaggio italiano come lingua elaborata intellettualmente. Un trattato di natura tecnico linguistica, scritto in latino proprio perché la lingua classica romana è la lingua della scienza, il linguaggio con cui si scrivono i trattati di tutte le branche della cultura, dalla medicina all’astronomia, fino, appunto, alla elaborazione della struttura letteraria.

Dante è insomma il padre della lingua Italia, colui che ha posto le basi perché diventi un linguaggio utilizzabile a tutti i livelli: da quello colloquiale a quello tecnico scientifico. Dante, sotto questo punto di vista, è da paragonare ad Alessandro Manzoni. Il vate fiorentino ha costruito l’Italiano come strumento di comunicazione di una nazione che dal punto di vista politico era ancora lungi da nascere, ma grazie a lui, era già un fatto nel cuore e negli animi di tanti, che si sentivano una cosa sola, una nazione, leggendo di Paolo e di Francesca, leggendo di Catone o di Cacciaguida, Piccarda Donati e di tanti anni grandi evocati nella Commedia dantesca. Esattamente come fece Alessandro Manzoni, nell’Ottocento, in un’Italia che bramava essere entità politica oltre ad essere una essenza spirituale e culturale, che scrisse il Romanzo, I Promessi Sposi, per dare alla borghesia italica e al popolo tutto. Un linguaggio nuovo fondato sul valore indiscutibile della letteratura del passato, ovviamente compresa quella dantesca, ma allo stesso tempo capace di farsi strumento di comunicazione in un XIX secolo che doveva essere al tempo stesso secolo della tecnica, ma anche e soprattutto tempo di libertà e di emancipazione sociale per ogni uomo e donna e per tutte le nazioni, prima fra tutte quella Italiana.

Allora non dimentichiamo mai Dante Alighieri è stato padre della lingua che oggi noi parliamo. È stato l’artefice del linguaggio dei grandi dotti. Ma è stato colui che ha donato a noi tutti, anche a me povero ignorate semianalfabeta, uno strumento magnifico di comunicazione: la Lingua Italiana. Linguaggio capace di solcare le tempestose procelle che caratterizzano la storia. Come non ricordare che l’Italiano, grazie a grandi come Giuseppe Ungaretti, è stato lo strumento per raccontare sofferenze, dolori, ma anche gioie e felicità. È stato lo strumento per esprimersi di Pasolini e di Leopardi. Ho evocato pochissimi grandi, ma tutti noi sappiamo che tanti sono i letterati che scrivendo in italiano hanno lasciato un qualche dono prezioso all’intera umanità. Insomma ricordando i sette secoli che ci separano dalla morte di Dante Alighieri, noi rimembriamo il valore etico, morale, sentimentale, oltre che letterario del linguaggio che è uno delle caratteristiche fondamentali di noi abitanti della penisola che comprende la Sicilia (che pur è un’isola come la Sardegna, ma è parte del destino comune) e giunge fino alla vetta più alta, quella del Monte Bianco.

Ricordare Dante, Ricordare le sue opere. Ricordare il Convivio, in cui scrive di poesia e di letteratura, Ricordare “La Vita Nuova” in cui fa dell’amore per la sua Beatrice, un messaggio sul valore dell’amore che supera ogni tipo di barriera, che sia temporale o terrestre, per arrivare fino a noi, noi pellegrini del XXI secolo, per riempirci i cuori di speranza. Dante è tutto. Dante è il poeta che realmente a compiuto l’opera universale, quella che spiega l’essenze profonde del genere umane. Dante ha saputo narrare le innumerevoli bassezze che caratterizzano l’umano, penso ai barattieri, agli avari e agli strozzini torturati nell’Inferno dantesco e disprezzati profondamente dal poeta. Penso anche ai Grandi, alle anime belle, che Dante ha saputo tracciare e raccontare amabilmente nel Purgatorio, come non citare il nobile romano Catone, messo da Dante a guardia dell’ingresso del Purgatorio, uomo pronto a morire per i suoi ideali e per la Repubblica (di Roma antica).

Veramente c’è tanto da dire del sommo poeta. Per commentare il pensiero, la poesia, l’opera di Dante Alighieri non sono bastati generazioni di dotti, di letterati, di critici letterari. Il mio scritto è poca cosa, è certamente svilente di fronte alla potenza etica e letteraria di Dante Alighieri. Il suo essere uomo di Stato, uomo di Chiesa, uomo pronto a morire per le sue convinzioni più profonde lo rendono un eroe immortale, un conduttore dell’anima assetata di vero, bisogno che è comune all’intera umanità. Ricordare la sua morte, ricordare il suo valore universale, è un modo per rimetterci in cammino per raggiungere il bene collettivo attraverso la sua guida. Come Dante ebbe Virgilio, il poeta romano per antonomasia, come guida nell’inferno per riveder le stelle, così finisce la sua prima cantica, noi abbiamo lo stesso Dante a indicarci la strada per costruire una patria comune, una patria fiera e pacifica, tutta orientata alla armoniosa convivenza. Dante, 700 anni, è non dimostrarli affatto.

venerdì 1 gennaio 2021

ANNO NUOVO

 


BUON 2021

Il nuovo anno è sempre latore di speranza. È raffigurato, nella vignettistica, come un bimbo in fasce che prende il posto di un vegliardo, acciaccato e con il bastone per procedere nel suo incerto cammino al tramonto, che è la raffigurazione dell’anno che si conclude. Mai come quest’anno l’anno vecchio è veramente segnato dalle difficoltà dovute alla salute. L’anno 2020 è stato l’anno del Corona Virus. Nell’arco di pochi mesi questa terribile malattia si è manifestata a Huan, una città grande e popolosa della Cina, per poi infettare l’intero globo terraqueo. A Marzo si cercava di non fare entrare in Italia il male, ma invece è entrato ed ha manifestato la nostra impotenza di fronte a un evento naturale, ma catastrofico. Sono milioni i morti nel mondo, sono centinaia di migliaia quelli che solo nel nostro paese hanno dovuto lasciare la terra dei vivi a causa del male. Sono tanti i malati, anche quelli che, ringraziando il cielo (chiunque lo abiti), sono guariti. Allora lasciamoci alle spalle, con il 31 dicembre che muore e con il 1 gennaio che nasce a vita, un anno terribile. Non dimentichiamo chi non c’è più, i tanti che hanno sofferto, i troppi che hanno lottato per la vita nelle sale di rianimazione. Non dimentichiamoci di ringraziare i medici e i paramedici che sono stati in prima linea a fronteggiare il male. La capacità della scienza medica e farmaceutica di affrontare nuove emergenze, nuovi batteri e virus ha reso possibile creare delle procedure e delle tecniche di cura di una malattia che all’inizio dell’anno era sconosciuta. Questo è un dato di cui ogni italiano deve essere orgoglioso. Bisogna portare vanto della grande professionalità dei nostri dottori e dei nostri infermieri, donne, la maggioranza, o uomini che siano. Bisogna ringraziare i tanti ospedali lombardi e veneti che nella prima fase della pandemia si sono sforzati di affrontare l’emergenza senza avere una guida dirigenziale adeguata. Bisogna ringraziare l’esercito e tutto il personale che si è sforzato di garantire la salute e la sicurezza in questo momento difficile. Ma il male è stato ed è in tutta Italia, in ogni luogo della penisola e nelle nostre isole, tutto il personale sanitario è stato encomiabile. Grazie a tutti loro

L’anno che si è concluso ci ha dato un regalo: il vaccino. Il 27 dicembre 2020, due giorni dopo il Natale, i primi sono stati vaccinati, sono medici ed infermieri in prima linea e persone fragili, gli anziani, che rischiano di più contraendo il virus. Questo 2021 deve essere l’anno del vaccino. Deve essere l’anno della vittoria sul male. Io che vi scrivo ho utilizzato aggetti, verbi e nomi che richiamano alla guerra allo scontro. Il vaccino non è un nemico. Il vaccino è un essere vivente che tende a riprodursi, come è nella natura di ogni entità considerata appartenente alla sfera della vita, anche se non è da considerare alla stregua delle specie animali e vegetali, non avendo una struttura cellulare complessa. Insomma il virus tenta di continuare a riprodursi e ciò uccide chi lo ospita. Fermare il virus non vuol dire vincerlo, vuol dire “semplicemente” difendere la nostra vita da un elemento naturale che è di fatto incompatibile con noi. Se noi viviamo il virus muore, insomma la nostra vita è incompatibile con quella del Corona Virus. Il virus è un terribile essere che per proliferare e riprodursi ha bisogno di danneggiare, fino a farlo morire, l’essere vivente che lo ospita. Allora la nostra non è una battaglia contro il Virus, la nostra è una battaglia per la Vita, per la nostra vita, che è incompatibile con l’esistenza e il prolificare del Corona Virus. La scienza è quella che si mette al servizio del genere umano, per garantirgli una vita sana e una dipartita il più possibile lontana nel tempo. Il virus non è un nemico, è semplicemente un elemento patogeno che può essere messo alla porta dalla nostra capacità, dalla capacità della società umana, di mettere appunto strumenti di cita e non di morte, quali sono i vaccini e le medicine. Il 2021 deve essere l’anno della cura, della volontà di tutti e di ognuno di prendersi cura dell’altro, di fronte a un 2020 che è stato l’anno della morte dettata da un microrganismo così piccolo e in realtà così letale. Che il 2021 sia l’anno della scomparsa del Corona Virus e del trionfo della vita. Buon anno a tutti.  

BUON 2021

 


BUON 2021

Il nuovo anno è sempre latore di speranza. È raffigurato, nella vignettistica, come un bimbo in fasce che prende il posto di un vegliardo, acciaccato e con il bastone per procedere nel suo incerto cammino al tramonto, che è la raffigurazione dell’anno che si conclude. Mai come quest’anno l’anno vecchio è veramente segnato dalle difficoltà dovute alla salute. L’anno 2020 è stato l’anno del Corona Virus. Nell’arco di pochi mesi questa terribile malattia si è manifestata a Huan, una città grande e popolosa della Cina, per poi infettare l’intero globo terraqueo. A Marzo si cercava di non fare entrare in Italia il male, ma invece è entrato ed ha manifestato la nostra impotenza di fronte a un evento naturale, ma catastrofico. Sono milioni i morti nel mondo, sono centinaia di migliaia quelli che solo nel nostro paese hanno dovuto lasciare la terra dei vivi a causa del male. Sono tanti i malati, anche quelli che, ringraziando il cielo (chiunque lo abiti), sono guariti. Allora lasciamoci alle spalle, con il 31 dicembre che muore e con il 1 gennaio che nasce a vita, un anno terribile. Non dimentichiamo chi non c’è più, i tanti che hanno sofferto, i troppi che hanno lottato per la vita nelle sale di rianimazione. Non dimentichiamoci di ringraziare i medici e i paramedici che sono stati in prima linea a fronteggiare il male. La capacità della scienza medica e farmaceutica di affrontare nuove emergenze, nuovi batteri e virus ha reso possibile creare delle procedure e delle tecniche di cura di una malattia che all’inizio dell’anno era sconosciuta. Questo è un dato di cui ogni italiano deve essere orgoglioso. Bisogna portare vanto della grande professionalità dei nostri dottori e dei nostri infermieri, donne, la maggioranza, o uomini che siano. Bisogna ringraziare i tanti ospedali lombardi e veneti che nella prima fase della pandemia si sono sforzati di affrontare l’emergenza senza avere una guida dirigenziale adeguata. Bisogna ringraziare l’esercito e tutto il personale che si è sforzato di garantire la salute e la sicurezza in questo momento difficile. Ma il male è stato ed è in tutta Italia, in ogni luogo della penisola e nelle nostre isole, tutto il personale sanitario è stato encomiabile. Grazie a tutti loro

L’anno che si è concluso ci ha dato un regalo: il vaccino. Il 27 dicembre 2020, due giorni dopo il Natale, i primi sono stati vaccinati, sono medici ed infermieri in prima linea e persone fragili, gli anziani, che rischiano di più contraendo il virus. Questo 2021 deve essere l’anno del vaccino. Deve essere l’anno della vittoria sul male. Io che vi scrivo ho utilizzato aggetti, verbi e nomi che richiamano alla guerra allo scontro. Il vaccino non è un nemico. Il vaccino è un essere vivente che tende a riprodursi, come è nella natura di ogni entità considerata appartenente alla sfera della vita, anche se non è da considerare alla stregua delle specie animali e vegetali, non avendo una struttura cellulare complessa. Insomma il virus tenta di continuare a riprodursi e ciò uccide chi lo ospita. Fermare il virus non vuol dire vincerlo, vuol dire “semplicemente” difendere la nostra vita da un elemento naturale che è di fatto incompatibile con noi. Se noi viviamo il virus muore, insomma la nostra vita è incompatibile con quella del Corona Virus. Il virus è un terribile essere che per proliferare e riprodursi ha bisogno di danneggiare, fino a farlo morire, l’essere vivente che lo ospita. Allora la nostra non è una battaglia contro il Virus, la nostra è una battaglia per la Vita, per la nostra vita, che è incompatibile con l’esistenza e il prolificare del Corona Virus. La scienza è quella che si mette al servizio del genere umano, per garantirgli una vita sana e una dipartita il più possibile lontana nel tempo. Il virus non è un nemico, è semplicemente un elemento patogeno che può essere messo alla porta dalla nostra capacità, dalla capacità della società umana, di mettere appunto strumenti di cita e non di morte, quali sono i vaccini e le medicine. Il 2021 deve essere l’anno della cura, della volontà di tutti e di ognuno di prendersi cura dell’altro, di fronte a un 2020 che è stato l’anno della morte dettata da un microrganismo così piccolo e in realtà così letale. Che il 2021 sia l’anno della scomparsa del Corona Virus e del trionfo della vita. Buon anno a tutti.