domenica 3 gennaio 2021

700 ANNI FA: LA MORTE DI DANTE

 


DANTE SEMPRE PIU’ DANTE

In questo anno, 2021, ricorrono i settecento anni dalla morte di Dante Alighieri. Il poeta fiorentino è spirato a Ravenna, ove era in esilio, la notte fra il 13 e 14 settembre del 1321.

Ora è difficile esprimere compiutamente il valore morale e spirituale che il sommo vate ha lasciato a noi, suoi posteri. L’impresa di enumerare i suoi meriti è così imponente da diventare ardua per chiunque, figuriamoci per me.  Le sue opere sono il fondamento stesso della cultura, non solo italiana, ma di tutto il mondo. Il valore letterario dell’opera dantesca è scorgibile anche dalla sua capacità di forgiare il linguaggio. A Dante si attribuiscono una serie infinita di vocaboli ed espressioni italiane che hanno caratterizzato lo scrivere e il dialogare delle generazioni a lui succedute. Assieme a Francesco Petrarca e a Giovanni Boccaccio, Dante è stato il maestro, il vate, la guida che ha forgiato il linguaggio italiano, l’eloquio che ha fondato la nostra nazione.

Ma Dante Alighieri non ha solo utilizzato la lingua volgare, il toscano che diventerà italiano, per lasciare ai posteri i componimenti poetici che hanno toccato l’anima di molti. E bisogna dirlo: solo l’aver fatto questo sarebbe sufficiente a rendere la sua opera immortale ed eterna. Ha anche posto le basi filosofiche e filologiche per fondare una grammatica e una dialettica italiana. Il suo “de Vulgari Eloquentia” ha posto le basi del linguaggio italiano come lingua elaborata intellettualmente. Un trattato di natura tecnico linguistica, scritto in latino proprio perché la lingua classica romana è la lingua della scienza. Il linguaggio con cui si scrivevano da sempre i trattati di tutte le branche della cultura, dalla medicina all’astronomia, fino, appunto, alla elaborazione della struttura letteraria.

Dante è insomma il padre della lingua Italia, colui che ha posto le basi perché diventi un linguaggio utilizzabile a tutti i livelli: da quello colloquiale a quello tecnico scientifico. Dante, sotto questo punto di vista, è da paragonare ad Alessandro Manzoni. Il vate fiorentino ha costruito l’Italiano come strumento di comunicazione di una nazione che dal punto di vista politico era ancora lungi da nascere, ma grazie a lui, era già un fatto nel cuore e negli animi di tanti, che si sentivano una cosa sola, una nazione, leggendo di Paolo e di Francesca, leggendo di Catone o di Cacciaguida, Piccarda Donati e di tanti altri grandi evocati nella Commedia dantesca. Esattamente come fece Alessandro Manzoni, nell’Ottocento, in un’Italia che bramava essere entità politica oltre ad essere una essenza spirituale e culturale, che scrisse il Romanzo, I Promessi Sposi, per dare alla borghesia italica, e al popolo tutto, un linguaggio nuovo fondato sul valore indiscutibile della letteratura del passato, ovviamente compresa quella dantesca, ma allo stesso tempo capace di farsi strumento di comunicazione in un XIX secolo che doveva essere al tempo stesso secolo della tecnica, ma anche e soprattutto tempo di libertà e di emancipazione sociale per ogni uomo e donna e per tutte le nazioni, prima fra tutte quella Italiana.

Allora non dimentichiamo mai Dante Alighieri è stato padre della lingua che oggi noi parliamo. È stato l’artefice del linguaggio dei grandi dotti. Ma è stato colui che ha donato a noi tutti, anche a me povero ignorate semianalfabeta, uno strumento magnifico di comunicazione: la Lingua Italiana. Linguaggio capace di solcare le tempestose procelle che caratterizzano la storia. Come non ricordare che l’Italiano, grazie a grandi come Giuseppe Ungaretti, è stato lo strumento per raccontare sofferenze, dolori, ma anche gioie e felicità. È stato lo strumento per esprimersi di Pasolini e di Leopardi. Ho evocato pochissimi grandi, ma tutti noi sappiamo che tanti sono i letterati che scrivendo in italiano hanno lasciato un qualche dono prezioso all’intera umanità. Insomma ricordando i sette secoli che ci separano dalla morte di Dante Alighieri, noi rimembriamo il valore etico, morale, sentimentale, oltre che letterario del linguaggio che è uno delle caratteristiche fondamentali di noi abitanti della penisola che comprende la Sicilia (che pur è un’isola come la Sardegna, ma è parte del destino comune) e giunge fino alla vetta più alta, quella del Monte Bianco.

Ricordare Dante, Ricordare le sue opere. Ricordare il Convivio, in cui scrive di poesia e di letteratura, Ricordare “La Vita Nuova” in cui fa dell’amore per la sua Beatrice, un messaggio sul valore dell’amore che supera ogni tipo di barriera, che sia temporale o terrestre, per arrivare fino a noi, noi pellegrini del XXI secolo, per riempirci i cuori di speranza. Dante è tutto. Dante è il poeta che realmente a compiuto l’opera universale, quella che spiega l’essenze profonde del genere umano. Dante ha saputo narrare le innumerevoli bassezze che caratterizzano l’umano, penso ai barattieri, agli avari e agli strozzini torturati nell’Inferno dantesco e disprezzati profondamente dal poeta. Penso anche ai Grandi, alle anime belle, che Dante ha saputo tracciare e raccontare amabilmente nel Purgatorio, come non citare il nobile romano Catone, messo da Dante a guardia dell’ingresso del Purgatorio, uomo pronto a morire per i suoi ideali e per la Repubblica (di Roma antica).

Veramente c’è tanto da dire del sommo poeta. Per commentare il pensiero, la poesia, l’opera di Dante Alighieri non sono bastati generazioni di dotti, di letterati, di critici letterari. Il mio scritto è poca cosa, è certamente svilente di fronte alla potenza etica e letteraria di Dante Alighieri. Il suo essere uomo di Stato, uomo di Chiesa, uomo pronto a morire per le sue convinzioni più profonde lo rendono un eroe immortale, un conduttore dell’anima assetata di vero, bisogno che è comune all’intera umanità. Ricordare la sua morte, ricordare il suo valore universale, è un modo per rimetterci in cammino per raggiungere il bene collettivo attraverso la sua guida. Come Dante ebbe Virgilio, il poeta romano per antonomasia, come guida nell’inferno per riveder le stelle, così finisce la sua prima cantica, noi abbiamo lo stesso Dante a indicarci la strada per costruire una patria comune, una patria fiera e pacifica, tutta orientata alla armoniosa convivenza. Dante, 700 anni, è non dimostrarli affatto.

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