IL GIORNO DELLE PALME
Gesù è colui che ha resuscitato Lazzaro, colui che nutre, ha distribuito alla folla pani e pesci. Colui che vince il male e la sofferenza del popolo per donargli gioia. Per questo il giorno del suo ingresso a Gerusalemme, poche ore prima di essere messo a morte da Pilato, è osannato quale Re d’Israele dalla folta provenuta da ogni parte d’Israele a Gerusalemme.
Entra nella città santa sul dorso di una mula. Non su cavalli di guerra, ma su un animale domestico da lavoro, mansueto per antonomasia. È il re della pace, non della guerra. Il re che trasformerà la spada in aratro, come aveva predetto il profeta Isaia. La folla lo ama. La folla riconosce in lui la speranza di una vita migliore.
Eppure quella stessa gente, che è la rappresentazione di tutta l’umanità, non esita poche ore dopo a chiedere davati alle autorità statali, il romano Ponzio Pilato, e religiose, le autorità del tempio, i sacerdoti, la sua morte.
Perché questo? Perché la gloria tributata dagli uomini dura lo spazio di un mattino? È questo l’interrogativo che ci pone il racconto evangelico dell’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme.
La folla che accoglie il messia muovendo rami di albero, quale manifestazione di riconoscimento dell’autorità di Gesù, lo accolgono nella Capitale morale, politica e spirituale di Israele, sarà la stessa che sceglierà di salvare la vita al ladrone Barabba e di condannare alla croce il figlio di Dio.
È la manifestazione e l’allegoria di ciò che è la cupidigia dell’intero genere umano. Davanti alle scelte radicali di solidarietà e di abnegazione, noi tutti alle volte preferiamo voltare le spalle. Lo facciamo soprattutto quando ci sentiamo parte di una folla. È la folla che sceglie di crocifiggere Gesù. È la folla che volta le spalle davanti all’olocausto degli ebrei durante la seconda guerra mondiale. È la folla che è silente davanti agli innocenti morti in Ruanda. È la folla che rimane muta davanti alla bomba di Hiroshima e Nagasaki. È la folla che volta le spalle davanti ai gulag di Stalin, agli orrori del comunismo.
Questo ci deve essere da monito. Noi quando siamo “folla”, quando preferiamo perdere la nostra individualità di esseri umani scegliendo di essere parte di una comunità informe e indefinita, siamo capaci dei più terribili delitti. Quando ci sentiamo “popolo”, ci sentiamo “classe”, ci sentiamo parte di un gruppo radicalmente contrapposto a qualcosa e, soprattutto, a qualcuno ci sentiamo autorizzati ad annichilirlo a sottometterlo. Arriviamo all’assurdo di chiedere la morte di colui che magari poche ore prima abbiamo osannato, come è avvenuto alla folla di duemila anni fa con Gesù.
Allora utilizziamo il ricordo della giornata delle Palme, l’ingresso dell’Emanuele nella Città di Dio, per acquisire quella coscienza personale che ci permette di agire come persone, come individui scienti e dotati di spirito etico, anche in momenti in cui esplicitiamo la nostra essenza di esseri umani in manifestazioni collettive. Noi non siamo la folla che mostra il pollice verso nel circo di Roma, chiedendo la morte del gladiatore sconfitto. Noi siamo coloro che ha spirito di solidarietà, di compassione (nel senso etimologico di soffrire insieme all’altro sofferente), di amore che ci rende odioso alcun gesto di rabbia e di violenza. Noi siamo la folla che prima osanna, quale re, Gesù e poi lo condanna a morte. Ma possiamo e dobbiamo cambiare. Dobbiamo sentire palpitare il nostro cuore che mostra solidarietà verso l’altro. Dobbiamo imparare a scegliere non se donare la vita a Gesù o a Barabba, ma a imparare che ogni vita è preziosa, certamente è sacra la vita di un giusto, quale era il nazareno, ma è sacra anche quella di un criminale quale era quella di Barabba.
Allora la domenica delle Palme è un momento per imparare a non farci trasportare da facili decisioni prese collettivamente, ma a saper discernere sempre, anche in situazioni collettive, ciò che è giusto da ciò che è sbagliato.
Faccio un ragionamento impossibile. Mettiamo per assurdo che i nostri nonni e bisnonni nel fatidico 1940, mentre Mussolini era sul balcone di piazza Venezia a proclamare la guerra alla Francia e l’Inghilterra, invece di essere folla e di applaudire la folle ambizione del dittatore, avessero pensato come persone singoli e scienti al dolore che una guerra avrebbe portato, forse la storia del mondo sarebbe stata profondamente diversa. Sono stati esattamente come la folla di Gerusalemme che ha preferito il sonno della coscienza cullata dalla moltitudine. Quanti morti innocenti a causa del colpevole assuefarsi ad una indefinita volontà collettiva.
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