giovedì 24 dicembre 2020

ATTENDIAMO IL BAMBIN GESU'

 


AVVENTO

Oggi è il 24 dicembre 2020. È la vigilia di Natale. Ogni famiglia attende di festeggiare la venuta del Salvatore del Mondo. Chi è Cristiano riconosce in queste ore della notte, l’aurora che illumina l’intera storia dell’umanità. Gesù, il bambinello che è nato 2020 anni fa, è colui che ha portato luce nelle tenebre, e il 25 Dicembre di ogni anni questo si ripete. Per questo motivo chi crede in lui oggi è in attesa, esattamente come lo erano nell’antica Israele le spose in attesa degli sposi. Queste secondo la tradizione ebraica erano sveglie nella notte, con le lampade ad olio accese, pronte ad aprire la porta al promesso in matrimonio. Insomma Gesù era ed è l’atteso da una terra e da un genere umano che ha bisogno del suo redentore. Ecco perché la notte del 24 è importante quanto il Natale stesso. La Vigilia è il tempo degli uomini e delle donne. È il momento in cui ci prepariamo all’arrivo dello sposo. È il momento in cui dobbiamo rimodellare la nostra stessa esistenza per accogliere colui che è figlio di Dio. Avvento vuol dire attesa di una venuta. Ma coloro che attendono non devono e non possono rimanere inerti. Devono compiere un atto di rigenerazione interiore che li pone in sintonia con il Salvatore che viene. Allora non possiamo altro che sperare e cambiare in meglio la nostra anima. Non possiamo che far altro che meditare sul senso della nostra esistenza alla luce del messaggio di salvezza che Gesù, nato a Betlemme, ci offre.

Meditiamo su quello che siamo. Pensiamo a come ci rapportiamo alle nostre relazioni sociali, sentimentali, affettive umane. Impariamo a stravolgere i nostri codici interpretativi. Sappiamo trasformare il nostro stesso sistema di relazioni e di interrelazioni sulla base della certezza che un bambino è nato per cambiare radicalmente la vita di tutti noi in meglio. Attendiamo la nascita del fanciullo. Sappiamo che porterà terre nuove e cieli nuovi, per parafrasare una frase del Nuovo Testamento. Sappiamo che le nostre interrelazioni umane saranno radicalmente migliori se fondate sulla consapevolezza che siamo chiamati ad essere redenti dal Cristo. Un bambino può cambiare il mondo. È una certezza che nasce direttamente dal nostro cuore. Ogni nascita è la speranza che quel nuovo essere umano cambierà in meglio la vita di tutti, sicuramente renderà felici i propri genitori. Allora quello che ricordiamo oggi è che attendere colui che viene, attendere una nuova nascita, è un momento di veritiera rigenerazione comunitaria. Non sono solo i genitori, non sono solo Maria e Giuseppe, che attendono la nascita del redentore. Non è solo la Madonna che avverte le doglie del parto, ma, per citare San Paolo, è l’intera umanità che geme per la gestazione, perché quella nascita cambierà radicalmente l’intera umanità. Questa è la fede del cristiano. Questa brama di rifiorire a nuova vita, però, non è solo di chi crede in Dio, ma di tutti. Ognuno di noi, anche se ateo, attende che la vita cambi in meglio, rivoluzionata da un uomo, che è ancora bambino, con la sua semplicità e purezza d’animo.

giovedì 10 dicembre 2020

ADDIO PAOLO ROSSI, SIMBOLO DELLE NOTTI MAGICHE 1982

 


CIAO PABLITO

Io non ci credo. Non può essere che Paolo Rossi, l’eroe dei miei sogni di bambino, sia morto. È avvenuto il 9 dicembre 2020. Avevo nove anni quando Pablito ha sconvolto la mia vita con i suoi goals ai danni del Brasile, Argentina e Germania, le potenze calcistiche di allora e di sempre. Rossi è stato la favola che si fa realtà. Assieme a Dino Zoff, il portierone, ad Antonio Cabrini, a Bruno Conti, a Gaetano Scirea, purtroppo anni fa scomparso in un tragico incidente stradale, e a tanti altri Paolo Rossi ha regalato il sogno all’Italia di vincere il mondiale di Spagna. Era un’Italia triste quella del 1982, ma allo stesso tempo orgogliosa. Si possono fare i paragoni con i tempi di oggi. Allora il paese era segnato dalla paura della crisi economica causata dalla incontrollata inflazione e dal terrorismo, oggi è in apprensione per gli effetti sulla salute e sulla socialità pubblica del Corona Virus. Allora c’era Sandro Pertini alla Presidenza della Repubblica, oggi c’è Sergio Mattarella. Allora c’era la paura per un domani incerto, anche oggi si nutre lo stesso sentimento. Nel 1982 una coppa alzata da un mingherlino attaccante veneto, appunto Paolo Rossi, ha saputo ridare speranza a un paese impaurito. Oggi dobbiamo fare lo stesso, rialzare la testa e guardare il futuro. Certo non c’è una Coppa del Mondo che dobbiamo festeggiare, non ci sono ragazzini che giocano a palla da far diventare dei, come successe nel 1982, ma c’è la nostra forza di pensare al meglio davanti alle avversità.

La Morte del goleador del 1982 deve essere uno sprone per seguire il suo esempio. Si può cadere, come successe al calcio professionista italiano in quello strano anno passato fra un inverno tormentato dalle polemiche e dai reati penali legati al calcio scommesse, e rialzarsi diventando la nazione più forte nel mondo del pallone. Ecco cosa ci lascia Paolo Rossi, e non è poca cosa. La convinzione che si può diventare migliori, si può vincere, anche se si è nella polvere. Si può alzare la Coppa del Mondo, anche quando pochi mesi prima si è vista la polizia entrare negli spogliatoi in cui ti cambi per cercare la prova di qualche fio che, se non proprio tu, ma i tuoi superiori devono scontare.

Paolo Rossi ha vinto tanto. È nato in una cittadina, Vicenza, che è il simbolo in Italia e nel mondo della dedizione al lavoro. Rossi, come la quasi totalità dei suoi compaesani, hanno fatto dell’abnegazione e dell’impegno economico e civile la loro stessa ragione di vita. Ricordiamo che Paolo Rossi appena finita la sua carriera calcistica ha cominciato a lavorare. Cioè non ha pensato a godere dei benefici conquistati per i suoi meriti atletici, ma ha ricominciato una nuova vita facendo prima l’assicuratore e poi il manager di una società finanziaria. Certo poi ha lavorato anche come commentatore di Calcio in televisione e nei mass media. Ma è opportuno ricordare che il suo lavoro e impegno non ha mai avuto una soluzione di continuità. Da buon Veneto, aggiungerei da buon italiano, si è sempre rimboccato le maniche e ha sempre dato il massimo. Per questo esempio etico, per la sua assoluta fedeltà allo spirito del lavoro, che merita il ricordo di tutti noi. Certo io avrò sempre gli occhi del bambino che guardava Paolo Rossi mettere il pallone nella rete dell’Argentina, del Brasile e della Germania. Avrò sempre in mente il campione che ha saputo battere Diego Armando Maradona, detto niente, Zico, Falcao, Rumenigge. Ma Paolo Rossi non era solo questo. Paolo Rossi era un uomo. Una persona umile che amava la propria compagna, i propri figli, la propria famiglia. Era un uomo come tanti, ma allo stesso tempo un uomo che tanti volevano essere, insomma un modello di vita, un punto di riferimento di condotta morale ed etica. Mi vengono in mente dei versi  una canzone di Antonello Venditti: era l’anno dei mondiali, quelli del 1982, Paolo Rossi era un ragazzo come noi. Così lo definiva il cantante romano. E secondo me questo era il grande pregio di Pablito, fare cose grandi, diventare il re si Spagna, quando l’Italia vinse il mondiale a Madrid, ma allo stesso tempo rimanere persona umile e semplice.

Che dire? La morte di Paolo Rossi è un evento assolutamente triste. È come se i sogni di ragazzino, i sogni di un bambino, siano stati sfumati da un risveglio troppo brusco. Il Mondiale del 1982, Paolo Rossi, per me sono i ricordi di un’infanzia complessa e difficoltosa, come quella di tutti, ma allo stesso tempo felice, un’infanzia fatta di bandiere tricolori che sventolano per una palla finita nella rete giusta, cioè quella difesa dagli avversari. Insomma io non posso che dire grazie a Paolo Rossi. Grazie al suo racconto di vita che è patrimonio di tutta l’Italia.

martedì 8 dicembre 2020

IMMACOLATA CONCEZIONE

 


MARIA

L’otto Dicembre è di fatto l’inizio delle feste natalizie. In questo giorno la chiesa Cattolica ricorda al mondo che Maria, la madre del Salvatore Gesù, è monda dal peccato originale. Oggi infatti si festeggia “l’immacolata concezione”. Una denominazione teologica che può apparire ambivalente e criptica. Questo lo dico alla luce del mio personale bagaglio culturale e di fede, che è poca cosa. Non dubito che altri, più devoti, più pii e più colti di me non hanno e non avranno problemi a cogliere il senso escatologico e salvifico della “Immacolata concezione”. Ma io ho bisogno di tempo e di calma meditativa per comprendere.

Inizio dalla fine. Inizio dalla proclamazione della immacolata concezione di Maria fatta dal papa Pio IX con la Bolla “Ineffabilis deus”resa nota al mondo l’Otto Dicembre 1854. Attraverso quel documento si dichiarava che era una verità di fede il fatto che Maria, la madre del Redentore e di Dio, fosse l’unico essere umano, assieme al suo divin figliolo, a non essere toccata dal Peccato Originale, la colpa commessa dai primi esseri viventi, Adamo ed Eva, che si trasmette ad ogni concepito della nostra specie, a condanna perenne della nostra disubbidienza a Dio, vana gloria e alterigia.

Ma questo atto papale è solo il concludersi di un processo di fede popolare e di elaborazione teologica durata millenni, nata fin dalla formazione delle prime comunità cristiane. Il culto per la personalità di Maria è nato ancor prima della stessa assunzione al cielo della vergine, avvenuta secondo la tradizione mentre abitava e veniva accudita da Giovanni, l’apostolo che Gesù amava come un fratello e un figlio e a cui ha affidato la madre mentre spirava in croce. Gesù disse, mentre spirava in Croce,  a Maria e Giovanni: Donna ecco tuo figlio, Uomo ecco tua Madre.

Ecco tre dogmi fondamentali della chiesa legati al culto mariano. L’assunzione al cielo, che si festeggia il 15 agosto. Il duplice status di Maria, quale vergine e madre. In fine, il dogma che si festeggia oggi, la sua nascita senza alcun fio da espiare. Quest’ultimo dogma la rende unica fra gli esseri viventi, la pone in contrapposizione a Eva, che ha causato la perdizione dell’umanità facendosi tentare dal serpente assieme al suo compagno Adamo. Mentre Eva, per sete di conoscenza, ha assaporato il frutto proibito e vietato da Dio. Maria ha saputo scegliere la conoscenza salvifica, quella che non è frutto della ribellione al divino, ma al contrario è sottomissione al Santo dei Santi. Milletrecento anni dopo Dante Alighieri riconoscerà nella Teologia, allegoricamente rappresentata nella “Divina Commedia “ da Beatrice, la scienza della ragione che porta alla salvezza. Insomma Maria avrebbe scelto la lettura teologica della realtà, avrebbe usato la sua ragione per giungere alla felice conclusione che la mente e l’intelligenza non può condurti al bene, l’unico modo per giungervi è affidarsi a Dio. L’umanità intera deve essere quale sposa che si lascia cadere nelle braccia dello sposo. Ma è tutta la religiosità medievale che pone al centro la figura di Maria. Sant’Agostino nei suoi trattati sulla Città Celeste, molto prima di Dante, scrive parole preziose per riconoscere la importanza fondamentale di Maria quale madre di Dio e, soprattutto, dell’umanità. San Tommaso D’Aquino pone al centro della sua elaborazione intellettuale e teologica la figura di Maria. La Chiesa, la comunità dei credenti, diventa la rappresentazione secolare dell’affetto materno di Maria. Ma non solo, se andiamo a leggere il Libro del Nuovo Testamento che ha una visione escatologica marcata della predicazione di Gesù, mi riferisco all’Apocalisse, che secondo la tradizione è scritta proprio da Giovanni, l’apostolo che ha vissuto per anni a fianco di Maria, abbiamo una Maria che geme per le doglie del parto, ed è allo stesso tempo capace di vincere il demonio, scacciare la serpe. Insomma è la lampante indicazione di come tutta la visione cristiana sia fondata sul vincente connubio fra Madre, Maria, e Figlio, il figlio di Dio ma anche figlio di una donna, Gesù. La salvezza non potrebbe essere senza l’apporto prezioso di Maria. Non solo perché Maria fu tanto Bella da non far disdegnare il sommo Fattore a farsi sua fattura, per parafrasare Dante, cioè Dio non disdegnò di nascere dal suo grembo, ma anche perché Maria fu ed è parte integrante del progetto di salvezza che il Signore ha donato a noi esseri viventi. È lei che intercede per la dare misericordia al genere umano. È lei che soffre per le violenze che segnano la terra. È lei che scende sulla terra a indicare la strada di redenzione ad una umanità caduta nel peccato.

Festeggiamo con gioia questo 8 maggio 2020, questo tempo segnato dalla paura e dalla malattia. Maria è al nostro fianco. Maria ci indica la strada della salvezza. Maria ci prende per mano e ci consola. La sua immacolata concezione, il suo essere senza peccato originale, appare un dato marginale davanti alla sua persona che è amore, è affettuoso accudimento  di noi tutti che viviamo nelle ambasce. È consolazione per il mondo “che vive le doglie del parto” per parafrasare San Paolo. Allora dobbiamo avere la certezza, come l’aveva l’Apostolo delle genti, che il nostro dolore non è inspiegabile, non è fine a se stesso, c’è un momento in cui le nostre ambasce porteranno cieli nuovi e terre nuove, che partoriranno la salvezza, ed uno strumento per raggiungerla è abbandonarsi a Maria, esattamente come lei più di Duemila Anni fa si abbandono alla volontà di Dio, senza farsi troppe domande, perché le risposte le aveva già trovate nel suo cuore. Buona festa a tutti.

domenica 6 dicembre 2020

AUGURI A CHI SI CHIAMA NICOLA

 


SAN NICOLA

Oggi, 06/12/2020,si festeggia la nascita al cielo di San Nicola, vescovo di Mira. Secondo la tradizione il prelato sarebbe morto nel 343 dopo Cristo proprio in questo giorno. La vita di Nicola non è molto certa. Le fonti storiche sulla sua esistenza si intrecciano con una vasta letteratura leggendaria. La sua bibliografia è talmente incerta che alcuni storici affermano che in realtà non sia mai esistito. Tali tesi, però, sono invalidate da certe comparazioni storiche che accertano la presenza di Nicola in alcuni eventi fondamentali per il suo tempo, come lo storico Concilio di Nicea, il consesso di prelati e teologi cristiani che definì la natura consustanziale di Gesù. Cioè in quel concilio di riconobbe la natura Divina e Umana del Cristo, negando sia la tesi di Ario, che affermava che Gesù era un uomo e basta, sia quella Gnostica, che affermava che Gesù era Dio sceso in terra quale semplice effige della sua regalità senza aver assunto le fattezze umane se non solo nella forma. Insomma se noi festeggeremo il Natale quale nascita di Dio in terra il 25 dicembre prossimo, lo dobbiamo anche a San Nicola. Ma il vescovo di Mira non era solo un fine teologo. Era un sacerdote a servizio della sua comunità. Seppe proteggere brillantemente la sua comunità di fedeli dalla terribile e, ultima, persecuzione Romana voluta dall’imperatore Diocleziano nel 305, atto che lo costrinse all’esilio.  Nicola era protettore dei bimbi e delle vedove. Non sappiamo se è vero o è solo un apologo il racconto che abbia resuscitato dei bambini, uccisi e tagliati a pezzi da un perfido oste (i possessori di vinerie sono da allora considerati persone perfide per la letteratura mondiale, ricordiamo l’oste dei “Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni oppure il maldicente proprietario di un albergo dei “Fratelli Karamazof”) e poi nascosti in una botte di vino. Un atto terribile che esplicita la cultura violenta dei tempi in cui visse Nicola, una violenza che il santo combatte con decisione, facendosi testimone di una cultura di amore e solidarietà in contrasto con la spada e la forza allora, come purtroppo anche oggi, prominente. Questo miracolo valse al santo il giusto titolo di protettore dell’infanzia, fino al punto che le popolazioni del Nord Europa gli riconobbero il compito di essere latore di doni ai più piccoli il giorno di Natale. Infatti da secoli San Nicola è Babbo Natale. È lui il vecchietto sulla slitta tirata da renne che porta doni ai bambini e alle bambine buone/i.

La centralità di San Nicola nel Cristianesimo è dovuta al fatto che la sua predicazione è avvenuta in Asia Minore, oggi la sua Mira è in Turchia, terra che ai suoi tempi si chiamava Anatolia ed era parte più importante dell’Impero Romano d’Oriente, non a caso a pochi chilometri sorgeva la maestosa capitale romana, Costantinopoli, oggi Istanbul. Questo lo rende caro sia ai Cattolici che agli ortodossi, i due rami del Cristianesimo che lo scisma del 1054, frutto della discordia fra il papa di Roma Leone IX e il patriarca di Costantinopoli Michele, divise. Nicola è venerato in tutta la Russia, la grande nazione Ortodossa, convertita al cristianesimo dalla cultura greca e per questo da sempre legata alla chiesa nata sulle sponde dell’Egeo. Insomma Nicola è il santo che unisce, che allevia gli scontri, che purtroppo sono stati durissimi nei secoli. Quando nel XI secolo alcuni marinai baresi presero le spoglie mortali di San Nicola da Mira e le posarono nella loro città che eresse la monumentale basilica a lui dedicata, la storia mediterranea cambiò radicalmente. Da allora una piccolissima città di mare pugliese, Bari appunto, che fino a quel momento  relegata alla marginalità dalle più prospere città di Taranto e Brindisi, divenne il centro di una devozione internazionale che ancor oggi porta milioni di pellegrini nel capoluogo pugliese, probabilmente diventato tale, superando Lecce Brindisi Taranto e Foggia, proprio perché si conservano in tale luogo le spoglie mortali di San Nicola. Urge ricordare che addirittura Bari, in quei tempi, non era neanche sede di tribunale imperiale(dell’impero bizantino, prima, e dell’impero Sacro e Romano, poi) , Trani una cittadina a pochi chilometri aveva questo titolo. Allora appare chiaro che le sorti della città di mare pugliese sono una cosa sola con il culto nicolaiano. Bari è San Nicola. La sua storia, le sue tradizioni, i suoi riti, le sue feste sono segnate dall’impronta che il santo ha lasciato nella città. Bari è la sua tradizione e la tradizione della città si basa sul racconto della vita del santo. Allora è facile capire il perché 8 dicembre, data della salita al cielo di Nicola, e l’otto maggio, data in cui si festeggia l’arrivo delle spoglie mortali del santo in città, diventata fin dagli anni 1000 festa patronale, sono i momenti più importanti della vita comunitaria cittadina. Bari è la città che ospita le spoglie mortali del santo che unisce le due anime del cristianesimo, quella orientale e quella occidentale, per questo motivo Bari è il luogo in cui ostinatamente e con decisione si cerca l’unità in nome della fede. A inizio di quest’anno, il 2020, poco prima che la terribile pandemia cambiasse le nostre abitudini sociali e i modi di vivere le esperienza collettive, papa Francesco è venuto proprio a Bari, proprio nella Basilica di San Nicola, per dialogare con le altre chiese cristiane, continuando un processo di riappacificazione e riunione iniziato dal suo sommo predecessore San Giovanni Paolo II che seguì le tracce di unità lasciate proprio da San Nicola, il santo di tutti i cristiani.

Insomma Nicola è la sintesi di allegorie cristiane importanti. Ricordiamo che l’allegoria è una forma di espressione fondamentale per il mondo cristiano. Un uomo, una donna, o anche un oggetto oltre ad essere se stesso riesce a incarnare qualcosa di altro, da cui il termine allegoria, qualcosa di ben più grande. Per provare a comprendere il senso dell’allegoria è bene ricordare che la Beatrice di Dante, oltre ad essere l’amata del poeta è anche nella Divina Commedia la Teologia. Lo stesso è San Nicola, oggi non è solo il vescovo vissuto quasi duemila anni fa, è anche la stessa unità dei cristiani, in suo nome il credente di Mosca e il credente di Bari, Roma e Parigi si sentono parte di una comunità. Ecco perché il Santo di Mira è fondamentale per la vita umana.

Vorrei aggiungere una cosa. Ci sono alcuni storici Turchi che affermano che non è vero che i marinai baresi abbiano trafugato le spoglie del santo nel 1089, dicono che il santo si trova tutt’oggi nella chiesa patriarcale di Mira e che i marinai abbia traslato, per sbaglio, i resti di un comune fedele, non del Santo. Io sono barese, io non credo che il santo si trovi ancora in Turchia, non solo per spirito di campanilismo, ma per la certezza che i dati storiografici che attestano l’arrivo delle spoglie mortali del santo a Bari sono di fatto inconfutabili, perché si basano su un indagine documentale ed archeologica. Ma appare confortante sapere che uno stato mussulmano, che apparentemente non ha alcun interesse culturale e religioso a rivendicare i legami con San Nicola, in realtà si senta pronto ad assecondare le tesi di studiosi che affermano che il santo è nella loro terra e a farsi orgogliosi di questo, questo è segno infatti che la pace fra culture e religioni diverse è possibile, grazie anche a figure che uniscono i popoli come appunto quella di San Nicola. Allora auguri a tutti quelli che si chiamano Nicola, auguri ai bimbi che aspettano i doni portati dal santo, e auguri a tutta l’umanità che ha bisogno di figure, di allegorie, che uniscono e non dividono. Insomma auguri a tutti noi, perché San Nicola è il santo di tutti e di ognuno.

giovedì 3 dicembre 2020

IL GARANTE PUGLIESE DELLE PERSONE DIVERSAMENTE ABILI



 UN RICORDO

Nella giornata internazionale della disabilità, il giorno in cui le Nazioni Unite ricordano il valore assoluto dell’inclusione sociale, il mio pensiero non può che correre verso il ricordo di una persona unica e preziosa che purtroppo ci ha lasciati in primavere di quest’anno. Mi riferisco al dottor Giuseppe Tulipani, garante pugliese dei diritti delle persone diversamente abili, salito al cielo qualche mese fa a causa di un infarto. Io non ho gli strumenti linguistici per esprimere le infinite qualità morali e intellettuali di Giuseppe, per tutti coloro che gli volevano bene, Pino. Questo mio scritto sicuramente non renderà le molteplici capacità professionali, le infinite doti umane, la capacità di essere vicino all’altro che caratterizzavano la personalità di Tulipani. Le parole non potranno mai esplicitare il lavoro di una vita donato per aiutare chi più ha bisogno. Pino era sempre dalla parte dei più deboli. Sempre pronto ad ascoltare le esigenze altri e di mettersi “capa sotto” (come si dice in Puglia, per indicare che si è instancabili) e lavorare per risolvere i problemi dei più deboli, con lo spirito di solidarietà e gratuità propria di colui che lo faceva per spirito di volontariato e senso di fratellanza verso il genere umano. Un attacco di cuore ci ha fatto perdere una persona preziosa per tutti e per le istituzioni. Una persona che ha contribuito a rendere la Puglia, l’Italia intera, un posto migliore. Oggi, nella giornata mondiale della disabilità, noi che abbiamo avuto la fortuna di averlo conosciuto abbiamo il dovere etico e morale di meditare sui suoi insegnamenti e sulle sue opere, per poter imparare dal suo esempio e continuare la strada che aveva tracciato con dovizia di sforzi. Pensare al prossimo, pensare al bene dell’altro, avere a cuore il suo destino, avere cura dell’altro è quello che Giuseppe, Pino, Tulipani faceva ogni giorno della propria esistenza. Imitarlo è il modo per rendere la propria esistenza, la comunità in cui si vive e l’intera società migliore.

Scusate se le mie parole non sono state abbastanza buone per esplicitare le migliaia di pregi di Pino. Scusate se il mio ricordo è stato non abbastanza esplicativo di una vita data per gli altri. Quello che volevo solo esprimere è gratitudine e affetto per Giuseppe Tulipani. La sua assenza corporea fa sentire un po’ soli. Ma la certezza che lui e con noi con lo spirito forte che lo caratterizzava e lo caratterizza ancora adesso fra le nuvole, ci rende più decisi nel continuare la sua opera, ognuno in base alle proprie capacità e competenze

GIORNATA INTERNAZIONALE DISABILITA'


 3 DICEMBRE GIORNATA DELL'INCLUSIONE

Il 3 dicembre ormai da diversi anni è la giornata internazionale della disabilità. Cosa vuol dire? Le Nazioni Unite hanno scelto questo giorno per fermarsi e meditare tutti insieme su come superare ogni tipo di barriera che rende difficile, e in alcuni casi purtroppo impossibile, per le persone diversamente abili avere una vita sociale attiva ed esercitare interamente tutti i loro diritti sociali, politici ed, in generale, propri di ogni persona. Si parla di diritto alla salute, ogni persona deve avere la possibilità di vivere senza gli affanni prodotti dalle patologie. Si parla di diritto alle relazioni sociali, ogni persona deve interagire e ha diritto di farlo con il proprio prossimo con i propri concittadini. Diritto alla dignità, che vuol dire che ognuno, a prescindere dal proprio status sociale alla propria appartenenza ad un genere e, è bene sottolinearlo, a prescindere dalla proprie capacità psicofisica, ha diritto ad avere una vita in cui esprima tutte le sue potenzialità ed abbia la possibilità di esprimere la ricchezza che è nel proprio animo.

In forza di questo assunto, che deve essere proprio di ogni istituzione pubblica o privata, di ogni organizzazione sociale pronta a promuovere la persona umana, è bene che oggi si pensi a come fronteggiare le gravi inadempienze sociali che rendono inattuato l’articolo 3 della Costituzione Italiana che mette come pilastro della vita politica ed istituzionale della Repubblica la rimozione di ogni tipo di ostacolo che rende difficile il compimento dell’uguaglianza di ogni essere umano. Lo sforzo deve essere attuato a più li
velli. In ambito internazionale le istituzioni interstatali, penso all’ONU ma anche alla Comunità Europea devono operare attivamente rendere fattibile la lotta ad ogni tipo di diseguaglianza. Le comunità statali e regionali devono mettere in primo luogo al centro la persona umana, con le sue fragilità e potenzialità, affinché i diversamente abili, le donne, gli uomini, gli operai gli intellettuali riescano, tutti, a mettere al servizio le proprie energie per il bene comune e per avere un sostentamento dignitoso per la propria vita e per quella dei propri familiari. Cambiare in meglio il nostro stato sociale è possibile, anche in questo tempo di pandemia. Anzi aggiungo proprio in questo tempo segnato dal coronavirus, dobbiamo e possiamo pensare ad una società inclusiva, in cui le capacità di tutti possano essere strumento per superare ogni tipo di difficoltà e crisi economico sociale. Ecco perché, oggi, 3 dicembre 2020, non è solo la giornata della disabilità, non deve essere soltanto un tributo, pur doveroso, a tutti coloro che soffrono di problemi psico motori gravi, purtroppo spesso gravissimi. Ma deve essere un giorno per pensare e operare in modo da costruire non solo un domani, ma anche un oggi migliore, in cui l’inclusività, il rendere tutti cittadini e cittadine attive, è una risorsa fondamentale per l’intero paese e per il mondo intero. Allora buona giornata della diversabilità, ognuno di noi è diverso dall’altro, ognuno di noi ha difficoltà e capacità uniche rispetto al proprio prossimo, saperle utilizzare e metterle in risalto, è un modo per creare ricchezza soprattutto umana, ma anche economica, che renderà migliore la vita e gli darà un senso nuovo, più compiuto.