giovedì 10 dicembre 2020

ADDIO PAOLO ROSSI, SIMBOLO DELLE NOTTI MAGICHE 1982

 


CIAO PABLITO

Io non ci credo. Non può essere che Paolo Rossi, l’eroe dei miei sogni di bambino, sia morto. È avvenuto il 9 dicembre 2020. Avevo nove anni quando Pablito ha sconvolto la mia vita con i suoi goals ai danni del Brasile, Argentina e Germania, le potenze calcistiche di allora e di sempre. Rossi è stato la favola che si fa realtà. Assieme a Dino Zoff, il portierone, ad Antonio Cabrini, a Bruno Conti, a Gaetano Scirea, purtroppo anni fa scomparso in un tragico incidente stradale, e a tanti altri Paolo Rossi ha regalato il sogno all’Italia di vincere il mondiale di Spagna. Era un’Italia triste quella del 1982, ma allo stesso tempo orgogliosa. Si possono fare i paragoni con i tempi di oggi. Allora il paese era segnato dalla paura della crisi economica causata dalla incontrollata inflazione e dal terrorismo, oggi è in apprensione per gli effetti sulla salute e sulla socialità pubblica del Corona Virus. Allora c’era Sandro Pertini alla Presidenza della Repubblica, oggi c’è Sergio Mattarella. Allora c’era la paura per un domani incerto, anche oggi si nutre lo stesso sentimento. Nel 1982 una coppa alzata da un mingherlino attaccante veneto, appunto Paolo Rossi, ha saputo ridare speranza a un paese impaurito. Oggi dobbiamo fare lo stesso, rialzare la testa e guardare il futuro. Certo non c’è una Coppa del Mondo che dobbiamo festeggiare, non ci sono ragazzini che giocano a palla da far diventare dei, come successe nel 1982, ma c’è la nostra forza di pensare al meglio davanti alle avversità.

La Morte del goleador del 1982 deve essere uno sprone per seguire il suo esempio. Si può cadere, come successe al calcio professionista italiano in quello strano anno passato fra un inverno tormentato dalle polemiche e dai reati penali legati al calcio scommesse, e rialzarsi diventando la nazione più forte nel mondo del pallone. Ecco cosa ci lascia Paolo Rossi, e non è poca cosa. La convinzione che si può diventare migliori, si può vincere, anche se si è nella polvere. Si può alzare la Coppa del Mondo, anche quando pochi mesi prima si è vista la polizia entrare negli spogliatoi in cui ti cambi per cercare la prova di qualche fio che, se non proprio tu, ma i tuoi superiori devono scontare.

Paolo Rossi ha vinto tanto. È nato in una cittadina, Vicenza, che è il simbolo in Italia e nel mondo della dedizione al lavoro. Rossi, come la quasi totalità dei suoi compaesani, hanno fatto dell’abnegazione e dell’impegno economico e civile la loro stessa ragione di vita. Ricordiamo che Paolo Rossi appena finita la sua carriera calcistica ha cominciato a lavorare. Cioè non ha pensato a godere dei benefici conquistati per i suoi meriti atletici, ma ha ricominciato una nuova vita facendo prima l’assicuratore e poi il manager di una società finanziaria. Certo poi ha lavorato anche come commentatore di Calcio in televisione e nei mass media. Ma è opportuno ricordare che il suo lavoro e impegno non ha mai avuto una soluzione di continuità. Da buon Veneto, aggiungerei da buon italiano, si è sempre rimboccato le maniche e ha sempre dato il massimo. Per questo esempio etico, per la sua assoluta fedeltà allo spirito del lavoro, che merita il ricordo di tutti noi. Certo io avrò sempre gli occhi del bambino che guardava Paolo Rossi mettere il pallone nella rete dell’Argentina, del Brasile e della Germania. Avrò sempre in mente il campione che ha saputo battere Diego Armando Maradona, detto niente, Zico, Falcao, Rumenigge. Ma Paolo Rossi non era solo questo. Paolo Rossi era un uomo. Una persona umile che amava la propria compagna, i propri figli, la propria famiglia. Era un uomo come tanti, ma allo stesso tempo un uomo che tanti volevano essere, insomma un modello di vita, un punto di riferimento di condotta morale ed etica. Mi vengono in mente dei versi  una canzone di Antonello Venditti: era l’anno dei mondiali, quelli del 1982, Paolo Rossi era un ragazzo come noi. Così lo definiva il cantante romano. E secondo me questo era il grande pregio di Pablito, fare cose grandi, diventare il re si Spagna, quando l’Italia vinse il mondiale a Madrid, ma allo stesso tempo rimanere persona umile e semplice.

Che dire? La morte di Paolo Rossi è un evento assolutamente triste. È come se i sogni di ragazzino, i sogni di un bambino, siano stati sfumati da un risveglio troppo brusco. Il Mondiale del 1982, Paolo Rossi, per me sono i ricordi di un’infanzia complessa e difficoltosa, come quella di tutti, ma allo stesso tempo felice, un’infanzia fatta di bandiere tricolori che sventolano per una palla finita nella rete giusta, cioè quella difesa dagli avversari. Insomma io non posso che dire grazie a Paolo Rossi. Grazie al suo racconto di vita che è patrimonio di tutta l’Italia.

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