venerdì 25 dicembre 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE

 


ARTICOLO 86

“Le funzioni del presidente della Repubblica, in ogni caso che egli non possa adempierle, sono esercitate dal Presidente del Senato.

In caso di impedimento permanente o di morte o di dimissioni del Presidente della Repubblica, il Presidente della Camera dei deputati indice la elezione del nuovo Presidente della Repubblica entro quindici giorni, salvo il maggiore termine previsto se le Camere sono sciolte o manca meno di tre mesi alla loro cessazione”.

L’articolo 86 della Costituzione Italiana indica quale debba essere il comportamento delle istituzioni repubblicane nel caso in cui il Presidente della Repubblica non possa, per motivi di forza maggiore, esercitare le sue funzioni. Chi ha il gravoso compito di sostituirlo momentaneamente è il Presidente del Senato. Infatti chi si siede sullo scranno più alto di Palazzo Madama è la seconda carica dello stato, dopo il Presidente della repubblica. È inevitabile dunque che sia il sostituto momentaneo del Presidente della Repubblica. Urge sottolineare che nel nostro ordinamento non esiste la figura del vicepresidente. Il presidente del senato non è un vicario del presidente della repubblica. In caso di sua assenza non lo sostituisce nel ruolo e non assume i suoi titoli istituzionali, come farebbe un vice. Svolge le funzioni del presidente, adempie alle sue mansioni, pur rimanendo titolare della propria carica, Presidente del senato, e non acquisendo quella di Presidente della Repubblica. Cosa diversa avviene ad esempio negli Stati Uniti d’America. In quello stato la carica di vicepresidente è istituzionalizzata. Questi ha un ruolo di stretto collaboratore del Presidente degli Stati Uniti, in caso di morte o di impedimento permanente del “comandante in capo” diviene a tutti gli effetti Presidente della Repubblica. Ricordiamo il caso di Lyndon Baines Johnson che, essendo vicepresidente, giurò come presidente degli Stati Uniti il giorno della morte di John Fitzgerald Kennedy avvenuta a Dallas il 22 Novembre 1963. In Italia questo non avviene. Il Presidente del Senato in nessun caso assumerà le vesti di Presidente della Repubblica. Sarà chiamato a firmare leggi e a promulgarne, ad esempio, se è assente l’inquilino del colle. Rimarrà comunque chiaro che la sua funzione e il suo ruolo è diverso da quello del Presidente della Repubblica. I casi di assenza del presidente della Repubblica possono essere dovuti anche ai suoi viaggi all’estero per motivi diplomatici. È stato sempre preferito, in questi casi, che il Presidente della Repubblica continuasse ad esercitare la propria attività anche da luoghi lontani, utilizzando quella che è la tecnologia. Insomma Il Presidente della Repubblica, in caso di sua assenza momentanea, ha preferito telefonare o anche utilizzare messi diplomatici per far sentire la sua presenza in Italia, senza che il presidente del senato dovesse sostituirlo. Comunque la dottrina è concorde, in caso di viaggi istituzionali, in caso di assenze promulgate, il presidente del senato può esercitare, ove è necessario, le funzioni di Presidente della Repubblica a Roma. Il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, ha chiesto che fosse sostituito al Quirinale dal Presidente del Senato in un paio d’occasioni legate a suoi viaggi istituzionali, siamo nell’ultima decade del XX secolo. L’unica volta che l’Italia fu costretta a prendere seriamente in considerazione la possibilità che il Presidente del Senato sostituisse per un tempo abbastanza lungo il presidente della Repubblica è stato quando Antonio Segni, primo cittadino dello Stato, fu colpito da gravissima e debilitante malattia. Il primo cittadino dello stato era incosciente, le sue speranze di vita erano minime. I presidenti delle due camere e l’allora presidente del consiglio si riunirono in una riunione drammatica per decidere cosa fare. Siamo nel 1971. Era necessario che il presidente del senato sostituisse il presidente della repubblica permanentemente. Poi il caso, il destino, la Divina Provvidenza, qualunque sia la forza che determina i destini degli uomini, decise per loro. Antonio Segni spirò. Il Presidente della Camera convocò il Parlamento in seduta comune per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. Il Presidente del Senato svolse le funzioni del Presidente della Repubblica nel limitatissimo lasso di tempo necessario per svolgere le operazioni elettorali, senza realmente assumere le vesti di primo cittadino dello stato.

In caso di inadempimento permanente o di morte o di dimissioni del Presidente della Repubblica, come abbiamo ricordato pocanzi, il Presidente della camera dei deputati deve indire nuove elezioni. Deve convocare il Parlamento in seduta comune, secondo le modalità indicate dall’articolo 83 della Costituzione e dai regolamenti della Camera dei Deputati. Deve convocare i rappresentati dei consigli regionali delegati ad eleggere il Presidente della Repubblica. In caso di impossibilità di esercizio delle funzioni, il presidente della repubblica deve essere sostituito. Presidenti che si sono dimessi sono molti. Si è dimesso Giovanni Leone, nel 1975, perché coinvolto nello scandalo legato a tangenti per la fornitura di aerei militari. Si è dimesso, Francesco Cossiga, negli anni ’90, per ragioni di politica costituzionale dell’allora maggioranza parlamentare, da lui non condivisa. Si è dimesso Giorgio Napolitano nel 2015, per valutazioni di opportunità istituzionale,  essendo l’unico Presidente della storia Repubblicana ad essere stato eletto per un secondo mandato e non ritenendo giusto che ciò fosse avvenuto. In tutti questi casi è stata necessaria l’applicazione del secondo comma dell’articolo 86. È d’obbligo ricordare che in caso di scioglimento delle Camere, si preferisce posticipare l’elezione e la nomina del Presidente della Repubblica. Questo è chiaramente ricordato dal secondo comma dell’articolo 86. In casi del genere. In casi di vacanza al Quirinale e di impossibilità di convocare il Parlamento in seduta comune, perché sono in corso i comizi elettorali, è d’uopo che sia il Presidente del Senato, ovviamente uscente, ad adempiere le funzioni di Presidente della Repubblica. È d’obbligo dire che questa situazione non si è mai verificata. Non è mai capitato che il presidente della repubblica si fosse dimesso in concomitanza con le elezioni. Bisogna ritenere che nulla ostacola il presidente del senato a svolgere ed esercitare le funzioni del Presidente della Repubblica in questo caso, anche se la sua carica di presidente del senato è prossima al termine visto l’incombere delle elezioni.

Una curiosità. L’attuale Presidente del Senato, Maria Alberti Casellati è una valente giurista e noto avvocato. È stata appena eletta alla seconda carica dello stato grazie all’accordo fra centro-destra e Movimento Cinque Stelle, le due formazioni che hanno vinto le elezioni. Dovrebbe essere colei che svolgerebbe le funzioni di presidente della repubblica in caso di malaugurata impossibilità di Sergio Mattarella. I due si sono scontrati, sia pur soltanto dialetticamente, diverse volte. Mattarella nelle vesti di membro della Corte Costituzionale ha censurato spesse volte le cosiddette “leggi ad personam”, cioè le leggi scritte e pensate per aiutare Silvio Berlusconi ad uscire dalle sue difficoltà giudiziarie. La dottoressa Casellati, nelle vesti di vice guardasigilli dei governi Berlusconi, è stata l’ideatrice e il difensore delle leggi per il cavaliere. Oggi sarebbe chiamata a sostituire Mattarella. È un modo per chiudere un epoca. Per chiudere la “guerra di Arcore”. Le elezioni di quest’anno hanno visto sconfitti coloro che vedevano nel conflitto d’interesse un problema per il paese. L’elezione della dottoressa Casellati al Senato sono un segno di cambiamento. La nuova classe politica che vede con affetto e stima Silvio Berlusconi. Sergio Mattarella è l’esplicitazione di una politica di trasparenza e integrità ormai relegata al passato.

Una nota. La riforma Costituzionale voluta dall’ex Ministro Maria Elena Boschi, votata in parlamento e bocciata dai cittadini al referendum, prevedeva che le funzioni di vicario del Presidente della Repubblica fossero esercitate non dal Presidente del Senato, ma dal Presidente della Camera dei Deputati. La riforma prevedeva che questo ultimo ruolo istituzionale fosse da considerare seconda carica dello stato e quindi assumesse le funzioni di Presidente della Repubblica in caso di vacanza. Spettava al presidente del senato indire le elezioni del nuovo presidente. La riforma, come sappiamo, non ha avuto corso. La Costituzione non è stata modificata.

 

LA RES PUBLICA NEL MEDIOEVO

 


IL SENSO DELLO STATO

Stavo riflettendo insieme a un gruppo di amici sul valore della Res Publica nella cultura medievale. Un cittadino nell’epoca di mezzo era componente di una città, di un comune, era parte dell’impero universale ed era un componente della comunità dei credenti. Insomma un abitante della comune medievale era componente contemporaneamente di diverse entità istituzionale, con leggi e regolamenti propri e spesso in contrasto fra di loro. Bisognava servire lo Stato, ma chi era il capo dello Stato? L’imperatore? Il Papa? Le autorità del comune?

Questa è una domanda che si faceva quotidianamente ogni uomo e donna che avesse una coscienza politica. Dante Alighieri ha scritto un trattatello fondamentale, il de Monarchia, proprio su questo argomento. Il sommo poeta è sempre stato consapevole della natura triplice, locale e universale, mondana e religiosa, del potere. Insomma il potere, per Dante e per i suoi contemporanei, ha bisogno di una guida universale religiosa, il papa, di una guida universale e politica, l’imperatore, e di un sistema di governo democratico locale, il Comune. Insomma il potere era multiforme. Era autoritario, quando si incarnava nel potere del Sommo Pontefice e del sommo Dux. Era democratico quando si trattava di condurre la quotidianità della vita della gente comune, attraverso il potere comunale. Dante non metteva affatto in dubbio che il senso ultimo delle istituzioni fosse unitario. Pur nella parcellizzazione del potere, il senso di appartenenza alla Universitas Cristiana rendeva ogni cittadino parte di un corpo unico, unitario come era fin dalla visione romana, ricordiamo il famosissimo e leggendario apologo di Menenio Agrippa. Insomma tutto il mondo era come un corpo che aveva bisogno per vivere di due soli, la Chiesa e l’Impero, che dovevano illuminare la via di tutti i pellegrini della terra, e doveva avere un comune sistema nervoso, le autorità comunali che reggevano la vita sociale quotidiana. Era una visione allo stesso tempo teologica, cioè fondata sulla certezza che la struttura sociale era determinata direttamente dalla volontà divina e le sue storture e brutture erano dolorosi frutti del peccato umano, e teleologica, cioè finalizzata a un fine di comune convivenza.

Questa era la visione di Dante. Il mondo era destinato da Dio all’armonia. Le guerre, i dolori, le torture, le iniquità erano il frutto umano della ribellione alla divina provvidenza. Il disegno di Dio per l’uomo era costantemente presente in ogni atto. Dio era per Dante costantemente presente nella vita di ognuno. Ricordiamo il fenomenale incipit della Divina Commedia. Dante era perso nella Selva Oscura. Era braccato da tre perfide e feroci fiere: il leone, la lonza e la lupa. Il leone era l’allegoria del potere che si fa sopruso. La Lonza era l’allegoria della cupidigia, della sete di denaro ed averi. La lupa era l’allegoria del desiderio sessuale insano. Dio non lascia indietro nessuno. Perfino un uomo “qualunque” come Dante Alighieri era così caro al Divino, da chiamare la Teologia, allegoricamente rappresentata dalla donna amata dal poeta Beatrice, a salvarlo. In realtà sono tutte donne coloro che si muovono a salvare il poeta, c’è Maria, madre di Gesù, c’è santa Lucia e in fine, appunto, Beatrice. Tutti chiamano in soccorso Virgilio, il poeta latino che allegoricamente rappresenta la ragione umana non accecata dal peccato, a ricondurre Dante sulla retta via. Simbolicamente Dante ci dice che non è solo lui ad essere salvato dalle miserrime passioni umane, che portano al caos sociale, ma lo è l’intera umanità. Attraverso la Commedia, attraverso la salvezza e la redenzione che avviene attraverso il viaggio nei tre luoghi dell’aldilà, non si salva solo il fiorentino che cantò il Dolce Stil Novo, ma l’intera società del suo tempo, e anche noi che leggiamo il sommo poema anche dopo secoli dalla sua stesura. Insomma l’equilibrio sociale si può ritrovare attraverso un viaggio di redenzione che riconosce i poteri costituiti, mai come nemici, ma come guide sicure per una vita serena. Come Dante si affida a Beatrice, così ognuno di noi deve affidarsi alla autorità costituita, il ribellarsi crea disordine e morte. Dante non sta dicendo che non bisogna combattere per ciò in cui si crede. Era stato soldato anche lui, sconfitto ma valoroso, nella fratricida guerra fra Bianchi e Neri, fra componenti della stessa parte Guelfa, che aveva segnato nel dolore la sua Firenze. Ma Dante è consapevole che la guerra non è la cura delle malefatte, e al contrario la tragica epifania di queste. Se scoppia un conflitto il male è già dentro le istituzioni, e in fin dei conti già dentro il cuore di ognuno. Dante propone ai suoi contemporanei, a se stesso, ed in ultima analisi anche a noi, una soluzione alla guerra. La risoluzione è nell’armonia. Ognuno deve essere consapevole di essere parte di un tutto. Ognuno deve avere la certezza che le proprie idee e la propria opera è preziosa se si fonda sul principio di armonia con gli altri. Si può trovare il modo per convivere se si acquista la certezza che ogni nostra azione deve essere finalizzata a uno scopo più alto, al bene comune. Questo bene comune è il senso dello stato, che non è solo il rispetto dell’autorità e delle istituzioni, è anche la certezza di essere parte di un disegno corale, di cui il Papa e l’Imperatore non sono i facitori, il fattore è solo Dio, ma sono gli elementi più importanti, che devono vivere in armonia e non in conflitto come vorrebbero i due partiti: Guelfi e Ghibellini.

BUON NATALE

 


NATALE

Oggi è il 25 Dicembre 2020. È il natale. Oggi il mondo Cristiano celebra la nascita del Redentore del Mondo. Gesù, il bimbo nato in una mangiatoia, è colui che monda l’intera umanità da ogni peccato. Gesù è il Cristo, cioè l’unto del Signore, colui che ha i segni e i crismi atti a guidare l’intera umanità in un cammino di radicale conversione e di redenzione. È il messo del divino che vince il male. È colui che deve porre fine ad ogni violenza, ad ogni guerra, ad ogni dissidio. Gesù deve aprire il tempo in cui il lupo pascolerà con l’agnello, per parafrasare le bellissime parole raccolte nel mirabile scrigno di bellezza che è il Libro del Profeta Isaia. Gesù è colui che pone fine ad ogni dissidio. Colui che riporta serenità in una società che vive sotto tensione. È la calma dopo una notte procellosa. Non è un caso che lo si ricorda nel momento della sua nascita. Come ogni Bambino è la promessa di un futuro più bello e sereno per ogni genitore che lo procrea, come ogni infante fra le braccia della propria madre è la promessa di una felicità che è adesso, ma che si propagherà per tutta la durata della sua esistenza, anche e soprattutto la nascita di Gesù, il suo essere cullato fra le braccia di sua madre Maria, è la promessa di un domani radioso per l’intera umanità.

Gesù è il puer, bambino in latino, che porterà una nuova età dell’oro. Questa visione proviene non solo dal mondo ebraico, ma anche dal mondo greco romano, cioè dal mondo pagano. L’esempio è la IV Egloga di Publio Virgilio Marone. Il Poeta che ha scritto l’Eneide non conosceva il messaggio di Gesù, anzi era al mondo prima che il divin fanciullo nascesse in una grotta di Betlemme, eppure ha saputo cogliere il messaggio di attesa, di speranza e di redenzione che non era solo nel mondo giudaico, ma era un elemento fondamentale di tutta la società allora conosciuta. Allora è questo il senso profondo che provo a dare al Natale. Questo tempo è un momento di rinascita non solo per il credente, ma per l’intera umanità. Non è un caso che si celebra il Natale proprio in prossimità del solstizio d’inverno, quando la luce vince le tenebre, quando la giornata comincia ad allungarsi e la notte, l’oscurità, ad abbreviarsi.  Il Bimbo, il Puer, che nasce è la speranza di un domani non solo più bello per tutti, ma anche l’apertura di un tempo che è condivisione, che è progetto di un mondo che si fa bello perché costruito insieme. Gesù, il bambinello, è la promessa che nessuno sarà lasciato indietro. È la promessa che anche i migranti, anche i malati, anche i disabili, insomma tutti coloro che oggi sono esclusi dal consesso civile avranno un posto della società di domani, quella segnata da Gesù. Gesù è nato povero e umile. Proprio per esplicitare che chi sta indietro può diventare il facitore di buone pratiche. Il mondo può diventare più bello se è  inclusivo. Questo il messaggio di Gesù. Come i pastori non si fecero domande sulla natura del bambinello, ma accorsero ad adorarlo, anche noi siamo chiamati ad aiutare e confortare chi è in difficoltà.

Oggi è il tempo della Pandemia, il tempo del Corona Virus. Oggettivamente un pericolo imminente e immanente potrebbe suscitare ancora di più il senso di solipsismo che caratterizza ognuno di noi. Il morbo potrebbe suscitare con preminenza gli egoismi. Penso a me, degli altri non mi importa. Ma proviamo a pensare diversamente. Proviamo a ribaltare l’ordine della storia, esattamente come fece Gesù nascendo in una stalla di Betlemme. Essere solidali, diventare ultimo fra gli ultimi, cambiare radicalmente il punto di vista umano( che vede vincente chi prevale e non chi aiuta), può veramente essere la soluzione alla emergenza infettiva. Aiutare gli altri, vuol dire aiutare se stessi. Prendere per mano un disabile, accompagnarlo nella sua vita particolare, fatta di difficoltà ma anche di gioia, può essere, ad esempio, un modo per vivere al meglio la propria vita. Aiutare un anziano solo, fargli compagnia, ricordargli che questa parte di esistenza che oggi gli tocca in sorte e che toccherà a tutti, non è un crepuscolo ma una fase di condivisione di affetti, se si vive in simbiosi con gli altri. Allora proviamoci. Sia chiaro non sto dicendo: diventiamo tutti cristiani. So che sono molti quelli che rifiutano, legittimamente, il messaggio solidale di Gesù bambino. Ma sappiamo cogliere anche l’afflato universale. L’afflato di speranza che ci ricorda che l’ultimo, il nato in una stalla, è diventato colui che ha salvato l’umanità ferita. Insomma anche chi non è cristiano, come il credente, può cogliere il valore assoluto e la preziosità di sapersi donare interamente agli altri come ha fatto il Nazareno.

Che Dire, un felice Natale a tutti, un momento di rinascita.

giovedì 24 dicembre 2020

PARLANDO DELLA COSTUZIONE

 


ARTICOLO 89 DELLA COSTITUZIONE

“Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità.

Gli atti che hanno valore legislativo e gli altri indicati dalla legge sono controfirmati anche dal Presidente del Consiglio dei ministri.”

Tutti gli atti del Presidente della Repubblica sono controfirmati dai ministri proponenti, che se ne assumono la responsabilità politica. L’articolo 89 della Costituzione sancisce la irresponsabilità politica del Presidente della Repubblica. Il Primo cittadino dello stato è arbitro imparziale della vita Repubblicana. Non può assumere un ruolo che lo faccia scendere dallo scranno del saggio arbitro. Per questo motivo tutti gli atti che compie devono avere l’avvallo del governo, o meglio, del Ministro proponente e competente per materia. Bisogna ricordare che molti atti che sono sostanzialmente governativi portano la firma del presidente. Sono i regolamenti governativi e ministeriali, i disegni di legge da presentare alle Camere, i decreti legge e i decreti legislativi, tutti gli atti che assumono la forma di Decreti del Presidente della Repubblica, quando vengono emanati, ma che sono atti decisi e prodotti dall’esecutivo o dai uno dei suoi componenti. In questi casi la firma del Presidente della Repubblica assume il valore di sigillo di regolarità costituzionale. Il Primo Cittadino dello stato non è responsabile dell’atto che il testo contiene, non l’ha voluto lui, ma ne attesta la conformità alle regole dello stato. Il Presidente della Repubblica non partecipa alla definizione dell’indirizzo politico del governo. Di conseguenza non ha alcuna responsabilità politica istituzionale. Egli non è chiamato a rispondere del proprio operato nell’ambito delle sue funzioni istituzionali, se non per alto tradimento e attentato alla Costituzione. Eventuali responsabilità giuridiche e politiche scaturenti da atti firmati dal presidente sono a carico del ministro cofirmante. Gli atti aventi forza di legge, quali decreti legge e decreti legislativi, che formalmente sono atti presidenziali, ma sostanzialmente sono atti dell’esecutivo, devono tassativamente essere controfirmati dal Presidente del Consiglio. Una curiosità. I costituzionalisti si sono chiesti chi debba controfirmare l’atto di nomina del Presidente del Consiglio? Che l’atto di nomina, compiuto dal Presidente della Repubblica in forza dell’articolo 92 secondo comma della Costituzione, debba essere controfirmato dal Presidente del Consiglio non ci sono dubbi. Ma lo deve fare il presidente uscente o quello subentrante? Da un punto di vista formale il presidente del consiglio nominato non avrebbe titolo per firmare. La sua carica istituzionale è conseguita proprio a seguito della nomina. Prima che questa è il suo predecessore a governare il paese. In teoria dovrebbe essere lui a firmare il decreto presidenziale che nomina il suo successore. Ma la prassi e la logica hanno indotto a considerare più opportuno che sia il nuovo presidente del consiglio a controfirmare la sua stessa nomina, anche contravvenendo ai canoni di formalità giuridico amministrativi. Perché? Il vecchio presidente del consiglio potrebbe essere impossibilitato a firmare, perché morto o malato. Oppure, potrebbe non essere disposto a rendere legittimo costituzionalmente un atto che lo defenestra dalla carica di capo del governo. Per evitare delicate frizioni politiche si è preferito che fosse evitato che questo atto di nomina vedesse coinvolto in qualche modo il capo del governo uscente. Ricordiamo il famoso passaggio della campanellina fra Enrico Letta, presidente del Consiglio uscente, e Matteo Renzi, Presidente del Consiglio entrante. Lo “scambio della campanellina” è un atto rituale e simbolico, il vecchio capo del governo affida la campanella che tintinna durante le riunioni del Consiglio dei Ministri al nuovo. È un rito di folclore. In quel frangente, però, apparve chiara l’irritazione e l’astio di Letta verso Renzi, che l’aveva defenestrato. Figuriamoci: se Enrico Letta fosse stato costretto a firmare il decreto di nomina di Renzi, cosa sarebbe successo? Insomma la controfirma è importantissima. Negli atti che sono sostanzialmente presidenziale, nomina del presidente del consiglio nomina dei senatori a vita etc, serve come atto di controllo da parte del governo, è un’ulteriore garanzia e di controllo sulle iniziative del primo cittadino dello stato, se invece la firma è posta su atti sostanzialmente governativi è un atto di presa di responsabilità politica, il presidente del consiglio, se è lui che firma, oppure il ministro risponderà davanti alle camere e al paese del contenuto dell’atto. È avvenuto sotto la presidenza di Francesco Cossiga, che atti sostanzialmente presidenziali, quali la nomina di senatori o il conferimento di cariche o testi scritti al Consiglio della Magistratura, trovassero forti perplessità all’interno del governo allora in carica. Allora ci fu un ampio ed aspro dibattito sulla possibilità, reale e concreta, che il ministro competente si rifiutasse di controfirmare un atto presidenziale. Si trattava di un decreto del presidente rivolto al Consiglio Superiore della Magistratura che doveva essere controfirmato dal guardasigilli, ministro competente. Lo scontro dialettico fra ministro e capo dello stato fu risolto dalla scelta del Presidente del Consiglio, di controfirmare lui l’atto del presidente. Insomma la controfirma è un istituto giuridico di estrema delicatezza. Gli atti Presidenziali assumono validità solo e unicamente se sono messe in calce le firme sia dell’inquilino del Quirinale sia di un componente dell’esecutivo in carica. 

ATTENDIAMO IL BAMBIN GESU'

 


AVVENTO

Oggi è il 24 dicembre 2020. È la vigilia di Natale. Ogni famiglia attende di festeggiare la venuta del Salvatore del Mondo. Chi è Cristiano riconosce in queste ore della notte, l’aurora che illumina l’intera storia dell’umanità. Gesù, il bambinello che è nato 2020 anni fa, è colui che ha portato luce nelle tenebre, e il 25 Dicembre di ogni anni questo si ripete. Per questo motivo chi crede in lui oggi è in attesa, esattamente come lo erano nell’antica Israele le spose in attesa degli sposi. Queste secondo la tradizione ebraica erano sveglie nella notte, con le lampade ad olio accese, pronte ad aprire la porta al promesso in matrimonio. Insomma Gesù era ed è l’atteso da una terra e da un genere umano che ha bisogno del suo redentore. Ecco perché la notte del 24 è importante quanto il Natale stesso. La Vigilia è il tempo degli uomini e delle donne. È il momento in cui ci prepariamo all’arrivo dello sposo. È il momento in cui dobbiamo rimodellare la nostra stessa esistenza per accogliere colui che è figlio di Dio. Avvento vuol dire attesa di una venuta. Ma coloro che attendono non devono e non possono rimanere inerti. Devono compiere un atto di rigenerazione interiore che li pone in sintonia con il Salvatore che viene. Allora non possiamo altro che sperare e cambiare in meglio la nostra anima. Non possiamo che far altro che meditare sul senso della nostra esistenza alla luce del messaggio di salvezza che Gesù, nato a Betlemme, ci offre.

Meditiamo su quello che siamo. Pensiamo a come ci rapportiamo alle nostre relazioni sociali, sentimentali, affettive umane. Impariamo a stravolgere i nostri codici interpretativi. Sappiamo trasformare il nostro stesso sistema di relazioni e di interrelazioni sulla base della certezza che un bambino è nato per cambiare radicalmente la vita di tutti noi in meglio. Attendiamo la nascita del fanciullo. Sappiamo che porterà terre nuove e cieli nuovi, per parafrasare una frase del Nuovo Testamento. Sappiamo che le nostre interrelazioni umane saranno radicalmente migliori se fondate sulla consapevolezza che siamo chiamati ad essere redenti dal Cristo. Un bambino può cambiare il mondo. È una certezza che nasce direttamente dal nostro cuore. Ogni nascita è la speranza che quel nuovo essere umano cambierà in meglio la vita di tutti, sicuramente renderà felici i propri genitori. Allora quello che ricordiamo oggi è che attendere colui che viene, attendere una nuova nascita, è un momento di veritiera rigenerazione comunitaria. Non sono solo i genitori, non sono solo Maria e Giuseppe, che attendono la nascita del redentore. Non è solo la Madonna che avverte le doglie del parto, ma, per citare San Paolo, è l’intera umanità che geme per la gestazione, perché quella nascita cambierà radicalmente l’intera umanità. Questa è la fede del cristiano. Questa brama di rifiorire a nuova vita, però, non è solo di chi crede in Dio, ma di tutti. Ognuno di noi, anche se ateo, attende che la vita cambi in meglio, rivoluzionata da un uomo, che è ancora bambino, con la sua semplicità e purezza d’animo.

giovedì 10 dicembre 2020

ADDIO PAOLO ROSSI, SIMBOLO DELLE NOTTI MAGICHE 1982

 


CIAO PABLITO

Io non ci credo. Non può essere che Paolo Rossi, l’eroe dei miei sogni di bambino, sia morto. È avvenuto il 9 dicembre 2020. Avevo nove anni quando Pablito ha sconvolto la mia vita con i suoi goals ai danni del Brasile, Argentina e Germania, le potenze calcistiche di allora e di sempre. Rossi è stato la favola che si fa realtà. Assieme a Dino Zoff, il portierone, ad Antonio Cabrini, a Bruno Conti, a Gaetano Scirea, purtroppo anni fa scomparso in un tragico incidente stradale, e a tanti altri Paolo Rossi ha regalato il sogno all’Italia di vincere il mondiale di Spagna. Era un’Italia triste quella del 1982, ma allo stesso tempo orgogliosa. Si possono fare i paragoni con i tempi di oggi. Allora il paese era segnato dalla paura della crisi economica causata dalla incontrollata inflazione e dal terrorismo, oggi è in apprensione per gli effetti sulla salute e sulla socialità pubblica del Corona Virus. Allora c’era Sandro Pertini alla Presidenza della Repubblica, oggi c’è Sergio Mattarella. Allora c’era la paura per un domani incerto, anche oggi si nutre lo stesso sentimento. Nel 1982 una coppa alzata da un mingherlino attaccante veneto, appunto Paolo Rossi, ha saputo ridare speranza a un paese impaurito. Oggi dobbiamo fare lo stesso, rialzare la testa e guardare il futuro. Certo non c’è una Coppa del Mondo che dobbiamo festeggiare, non ci sono ragazzini che giocano a palla da far diventare dei, come successe nel 1982, ma c’è la nostra forza di pensare al meglio davanti alle avversità.

La Morte del goleador del 1982 deve essere uno sprone per seguire il suo esempio. Si può cadere, come successe al calcio professionista italiano in quello strano anno passato fra un inverno tormentato dalle polemiche e dai reati penali legati al calcio scommesse, e rialzarsi diventando la nazione più forte nel mondo del pallone. Ecco cosa ci lascia Paolo Rossi, e non è poca cosa. La convinzione che si può diventare migliori, si può vincere, anche se si è nella polvere. Si può alzare la Coppa del Mondo, anche quando pochi mesi prima si è vista la polizia entrare negli spogliatoi in cui ti cambi per cercare la prova di qualche fio che, se non proprio tu, ma i tuoi superiori devono scontare.

Paolo Rossi ha vinto tanto. È nato in una cittadina, Vicenza, che è il simbolo in Italia e nel mondo della dedizione al lavoro. Rossi, come la quasi totalità dei suoi compaesani, hanno fatto dell’abnegazione e dell’impegno economico e civile la loro stessa ragione di vita. Ricordiamo che Paolo Rossi appena finita la sua carriera calcistica ha cominciato a lavorare. Cioè non ha pensato a godere dei benefici conquistati per i suoi meriti atletici, ma ha ricominciato una nuova vita facendo prima l’assicuratore e poi il manager di una società finanziaria. Certo poi ha lavorato anche come commentatore di Calcio in televisione e nei mass media. Ma è opportuno ricordare che il suo lavoro e impegno non ha mai avuto una soluzione di continuità. Da buon Veneto, aggiungerei da buon italiano, si è sempre rimboccato le maniche e ha sempre dato il massimo. Per questo esempio etico, per la sua assoluta fedeltà allo spirito del lavoro, che merita il ricordo di tutti noi. Certo io avrò sempre gli occhi del bambino che guardava Paolo Rossi mettere il pallone nella rete dell’Argentina, del Brasile e della Germania. Avrò sempre in mente il campione che ha saputo battere Diego Armando Maradona, detto niente, Zico, Falcao, Rumenigge. Ma Paolo Rossi non era solo questo. Paolo Rossi era un uomo. Una persona umile che amava la propria compagna, i propri figli, la propria famiglia. Era un uomo come tanti, ma allo stesso tempo un uomo che tanti volevano essere, insomma un modello di vita, un punto di riferimento di condotta morale ed etica. Mi vengono in mente dei versi  una canzone di Antonello Venditti: era l’anno dei mondiali, quelli del 1982, Paolo Rossi era un ragazzo come noi. Così lo definiva il cantante romano. E secondo me questo era il grande pregio di Pablito, fare cose grandi, diventare il re si Spagna, quando l’Italia vinse il mondiale a Madrid, ma allo stesso tempo rimanere persona umile e semplice.

Che dire? La morte di Paolo Rossi è un evento assolutamente triste. È come se i sogni di ragazzino, i sogni di un bambino, siano stati sfumati da un risveglio troppo brusco. Il Mondiale del 1982, Paolo Rossi, per me sono i ricordi di un’infanzia complessa e difficoltosa, come quella di tutti, ma allo stesso tempo felice, un’infanzia fatta di bandiere tricolori che sventolano per una palla finita nella rete giusta, cioè quella difesa dagli avversari. Insomma io non posso che dire grazie a Paolo Rossi. Grazie al suo racconto di vita che è patrimonio di tutta l’Italia.