lunedì 2 agosto 2021

UNA STORIA SBAGLIATA XXVIII PUNTATA

 


IL CASTELLO DEI DESTINI INCROCIATI

Siamo ancora nel vortice del gioco. Tutto sembra incredibile. È avventura. È paura. È sconforto, ma allo stesso tempo voglia di sfidare gli eventi. Mi vergogno di pensare in questo modo, mentre Giulia è sul mio letto, a combattere per la sua sopravvivenza, poiché è stata brutalmente picchiata e violenta da malviventi. Ma la verità è questa: più passa il tempo, più questa vicenda della mia vita si ingarbuglia, è più l’adrenalina sale nel mio cervello. Voglio misurami con gli eventi, per confrontarmi con me stesso e vagliare la mia tenuta fisica e psichica. Siamo come in un libro di Italo Calvino: il castello dei destini incrociati. Ci troviamo di fronte a una realtà fisica, un luogo, ove le vicende dei vari protagonisti, che non sono figure uscite dalla penna di un qualche autore, ma siamo noi di carne ed ossa, si trovano ad affrontare nuove difficoltà e nuove prove che stabiliranno il futuro di ciascuno. Riusciremo a trovare una strada? Riusciremo a cavalcare il nostro destino, evitando così di farci travolgere da lui? In buona sostanza eviteremo di farci ammazzare da camorristi vendicativi? Riusciremo, se sopravviviamo fisicamente, ad evitare la galera? Daremo delle plausibili risposte alle domande che ci farà il magistrato, che sia la dottoressa Martina Buonasera, o un altro, poco importa? Poi una domanda atroce mi sovviene. E se adesso venisse a bussare un rappresentante delle forze dell’ordine? Se vedesse Giulia? Che spiegazione daremmo al suo stato di salute, per usare un eufemismo, non ottimale? Tutto potrebbe cambiare. Tutto potrebbe rimescolarsi, come un mazzo di carte in mano a un sapiente croupier. “Volta la carta” era il titolo di una canzone di Fabrizio De Andrè. Volta la carta e tutto potrebbe essere diverso a seconda che la carta porti l’effige del Re, magari di spade, o del Jolly. Tutto nella vita è spiegabile. Ma lo si spiega a posteriori. Magari quando si è anziani e si medita sui fatti trascorsi. Al momento in cui accadono gli eventi è quasi impossibile controllarli con la ragione. Certo il tuo cervello è. La tua mente funziona, più o meno bene aggiungere. Ma il susseguirsi di atti e avvenimenti compiuti da te e da altri in maniera vorticosa, creano la situazione presente difficilmente controllabile. Diceva Italo Svevo nelle conclusioni del suo libro quasi certamente più importante e famoso “La Coscienza di Zeno” con fare profetico. Siamo agli inizi del XX secolo. Ci sarà un uomo, come gli altri uomini ma un poco più intelligente, che inventerà una bomba potente, talmente potente da distruggere il mondo, profezia avverata. Ci sarà un altro uomo, uguale agli altri uomini solo un poco, badate bene un poco, più pazzo, che ruberà questa bomba e la porterà al centro della terrà.. e boom.. la farà esplodere.. e il nostro mondo tornerà ad essere un’ineffabile nebulosa di purezza. Ora questo è il destino incrociato, questo è il vero che ci attende, noi possiamo fare grandi opere e imprese, come quell’uomo come altri uomini solo un po’ più intelligente, ma non possiamo controllare ciò che ne farà quell’altro uomo uguale ad altri uomini, ma solo un po’ più pazzo. Potremmo addirittura essere noi, essere io, ambedue gli uomini allo stesso tempo. L’uomo che fa grandi imprese e l’uomo distruttore. Non erano così: Stalin, Hitler, Mussolini Churchill. Uomini diversissimi ma che avevano in comune una miscela incredibilmente densa di intelligenza e pazzia nel loro cervello. Churchill ha saputo controllarla. Ha saputo mettere la sua intelligenza al servizio del bene comune. Gli altri no. Hanno usato l’intelligenza per uccidere, depredare, mettere sotto prigionia milioni di persone. Ora il mondo è chiamato a scegliere, scegliere Churchill o scegliere Stalin? Apparentemente la scelta è facile. Ma in realtà quante volte scegliamo Hitler o Stalin? Ma non sono solo i grandi a compiere atrocità. La nostra triste storia è la prova che anche noi, uomini e donne da poco o addirittura niente, possono commettere cose terribili. Giulia non è una persona comune? Io, Fabio Lizzo, non sono un uomo qualunque? Francesca, che è la mia collega di lavoro la mia vicina di scrivania in un lavoro di compilazione di noiosissime scartoffie, una donna buona, eppure non si è resa complice di un crimine? Ma finanche Tantalo Castelli, il boss della camorra, se lo guardi, se osservi la sua fisionomia, senza sapere che attività svolge, appare una persona onesta e beneducata. Ciò appare oggettivamente una bestemmia, per un paese come il nostro, troppo sottomesso al potere criminale. Gente del genere dovrebbe essere marchiata a vista, dovrebbe essere lampante che i loro atti sono antisociali, eppure non è così. Siamo tutti sospesi, sono sospesi i nostri giudizi in attesa, chi lo sa, che ci sia oltre la vita veramente un Dio che ci giudichi per chi realmente siamo. Tutto sembra un susseguirsi di eventi senza alcun filo logico.

Mentre pensavo così Giulia e Francesca entrano nel soggiorno. Francesca sostiene Giulia. Dice, quasi a volersi giustificare, non è voluta tornare a letto, Il dottore l’ha fatta alzare, lei non ha voluto rinunciare a camminare e venire a vederti. Ciao, faccio io, con un misto di gioia ed imbarazzo. Sono felice che sia tornata così immantinente a camminare, e sono imbarazzato dal fatto che non sono riuscito al meglio ad accudirla, se non fosse venuta Francesca ad aiutarci Giulia starebbe ancora sul suo giaciglio avvolta da quelle bende che gli avevo messo così maldestramente. Era cinta dalla vestaglia che si era comprata il giorno che era venuta ad abitare da me, quando il suo appartamento era sotto sequestro. Francesca l’aveva lavata e, credo, anche stirata. Non so come abbia fatto. Non me ne sono neanche accorto. Giulia si siede sul divano. Ci guardiamo un po’ negli occhi tutti e tre. Non sappiamo che dirci. Abbiamo vissuto troppe cose insieme in questi concitati giorni. Non abbiamo fiato per evocarli in una sessione comune. Forse è meglio. Il silenzio è quasi certamente più ristoratore delle parole. Siamo ad un incrocio della nostra esistenze. Tutte le vite nostre non potranno mai più essere uguali a prima. Questo è un dato oggettivo. Spetterà a noi saper rendere più bello il domani, evitando di cadere nell’oblio della disperazione. La sfida è questa. Essere quell’uomo come tutti gli uomini, ma più intelligente, che ha saputo inventare qualcosa di nuovo, come ci dice Italo Svevo. Evitando di tramutarlo in male, in una bomba, ma volgendolo a qualcosa non solo di buono, ma anche di benefico, non dico per tutta l’umanità, ma almeno per le nostre vite. Bisogna pensare a fare qualcosa che ci liberi da questa inchiesta giudiziaria e ci apra il domani alla felicità. Una scommessa da vivere. Da vivere nel castello dei destini incrociati.

domenica 1 agosto 2021

UNA STORIA SBAGLIATA XXVII PUNTATA - LA CURA

 


LA CURA

Suonano il campanello. Siamo da tempo in piedi io e Francesca. Vestiti, lavati e rinfrescati. Francesca ha anche pulito e cambiato Giulia, e dopo una seduta di toilette l’ha riporta a letto. Ora è in cucina, è lei che prepara la colazione, incombenza che è stata in questi giorni svolta da Giulia. Ma lei è inferma. È stata violentemente picchiata dagli assassini di Callispera. Forse per indurla a tacere, chi lo sa? Oppure l’aggressione subita dalla mia giovane compagna è dovuta ad altre cause. A motivi che magari lei sa, ma che non ha voluto raccontare a me e a Francesca. Motivazioni, qualunque esse siano, che in realtà a noi interessano, a noi sono indispensabili per capire quale è e quale sarà la nostra posizione in questa lunga, triste e complessa storia di sesso, violenza e morte. Io mi avvicino a Francesca. Le chiedo: ha chiamato il dottor Lamberti? Si, fa lei, Costante mi ha promesso che verrà in giornata, qui, da te. Costante è il nome che i genitori diedero al rampollo di una piccola famiglia nobile del meridione. È un nome che richiama, allo stesso tempo, la nobiltà germanica che dominò il Sud d’Italia fra l’anno 1000 e l’anno 1200, ma è anche un nome da imperatore bizantino. Insomma è il racconto attraverso un nome della storia del Sud Italia, centro e crocevia del Mediterraneo. Terra che fu dominata da germani e de greci, da mussulmani e cristiani. Terra di mezzo, per parafrasare John Ronald Reuel Tolkien, l’autore de “Il signore degli anelli”, in cui culture, tradizioni e modelli di governo diversissimi fra loro si sono confrontati, spesso scontrati anche violentemente, forse senza trovare una vera sintesi. Il Mezzogiorno d’Italia è il posto delle contraddizioni, secoli fa come oggi. Questa è la sua bellezza. Questo è il suo orrore. Questo è anche il motivo per cui vi sono nascosti monumenti bellissimi e fascinosi. L’architettura del sud è bella perché sa essere latrice di profonda bellezza e ma è anche schifo perché non cela anzi mostra follemente posti putridi, esattamente come avviene nell’animo umano, che sa compiere voli angelici verso il cielo e precipitare rovinosamente all’inferno. Insomma nel suo nome il dottor Costante Lamberti esplicitava ciò che erano le contraddizioni della sua terra natia, Avellino, terra al confine fra il proletariato cortigiano di Napoli e quello rurale delle campagne degli Appennini che stanno a sud di Roma. Insomma le contraddizioni del paese. Le bassezze e le altezze dell’Italia. Le gradi civiltà di cui è erede, i grandi delitti di cui è stata silente testimone, sono celati in un nome, in un nome nobile e tremendo, che nasconde arte e guerra, come può essere quello di Costante Lamberti.

Si è riaddormentata, mi dice Francesca. È inutile portarle la colazione. Aspettiamo. Io mi limito ad accennare un piccolo movimento della testa, che indica l’assenso per ciò che ha detto Francesca. Lei continua. La vedo serena. Non sembra avere problemi ulteriori. Diciamo che sta bene. Tenendo ovviamente conto di tutto quello che l’è successo. Io accenno a chiedere. Secondo te supererà tutto questo? La domanda giusta è se noi saremo in grado di affrontare e vincere tutto ciò? Continua lei. Siamo in tre in profondo pericolo, viviamo uno sbandamento profondo. Comunque concordo con te, è lei, è un dato oggettivo, che sta vivendo in maniera più drammatica la vicenda. È lei che era sulla scena dei due crimini, dei due omicidi. È lei che rischia di più. Noto che Francesca accomuna l’omicidio del senatore Callispera con quella del magnaccia Igor. Il motivo è semplice. Igor è stato ucciso sicuramente da Giulia. Io sono il testimone oculare dell’accaduto.  Francesca vuole lanciarmi un messaggio chiaro. È da assimilare l’omicidio Callispera a quello di Igor. Di conseguenza i due hanno in comune lo stesso omicida. Che non può essere che Giulia. Spero proprio che abbia torto, o meglio il mio cuore vuole che la sua ricostruzione non sia vera. La mia anima è convinta che la vicenda sia andata come la racconta Giulia. Callispera è stato ucciso da terzi, forse killer della Camorra, e Igor è spirato perché la stava picchiando a morte, lei ha agito per legittima difesa. Insomma Giulia non è passibile di alcuna condanna. Ma di questo non ne sono sicuro. Con tutto che ero nella stessa stanza, non sono neanche certo che Giulia abbia ucciso Igor per legittima difesa. Certo il rumeno la stava violentando. La stava picchiando. Ma Giulia sembrava aver preso il controllo della situazione. Si era fatta consenziente. Aveva ceduto alla sua violenza, concedendosi a lui con docilità in cambio di uno stop ai calci e i pugni che subiva. Ha ucciso Igor non durante l’amplesso, non mentre la brutalizzava, ma mentre la fuoriuscita dello sperma dal suo pisello placava i suoi ardori e la sua violenza. Giulia ha approfittato del suo sfinimento legato all’atto sessuale, per infilargli un coltello nella gola. Gli ha reciso violentemente la giugulare. Il sangue è stato riverso ovunque. È comunque legittima difesa? Certo la dottrina giuridica e le sentenze in materia fanno trasparire un dibattito accesso in proposito. La donna, beh diciamo il violentato in questo caso, pur avendo cessato lo stato di pericolo e di sottomissione, è comunque in uno stato psicologico tale da sentirsi ancora in uno stato di schok che giustifica l’atto violento di difesa. Ma comunque questa tesi non è affatto considerata acquisita dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Un tribunale può rovesciare immantinente tale tesi, addirittura condannando i rei come Giulia per omicidio intenzionale. Si intenzionale. Addirittura ricostruendo la vicenda come se la violentata si fosse volutamente sottomessa al violentatore, per poi ucciderlo più agevolmente. Roba da brividi.

Suonano il campanello. Francesca accorre al citofono. Mi dice. Non ti preoccupare, è il dottore, ci penso io. Non gli dico nulla, il mio silenzio è assenso. Dopo alcuni minuti entra quello che ritenni essere Costante Lamberti. Io non lo conoscevo. Non avevo mai avuto l’occasione di incontrarlo prima. Francesca lo ha atteso alla porta, nei minuti che hanno separato il suo scampanellare al portone e la sua salita al piano. Lo abbraccia. Abbiamo bisogno di te! Gli dice. Il medico gli risponde. Non ti preoccupare, sono qui, cosa è  successo? Gli fa un sorriso, proprio per tranquillizzarla. Non ti preoccupare, in pochi minuti l’hanno detto sia Francesca che il suo medico. Chissà forse è proprio il caso di preoccuparsi, sogghigno. Ma in realtà io sono preoccupato fin da quando è iniziata la storia, fin da quando Giulia è entrata a casa mia e senza un perché mi ha abbassato i pantaloni e mi ha fatto un bocchino. Quella scena è ancora presente nella mente. È certo il ricordo di un intenso piacere carnale. Ma è anche oscuro presagio di eventi che si sono succeduti in maniera drammatica e ridicola allo stesso tempo. Questa storia è follia. Non faccio altro che ripetermelo. Il dottore è scortato da Francesca nella mia camera da letto. Buongiorno, dice, credo a Giulia, lì non c’è nessun’altro. Come si va? Decido di affacciarmi anche io sull’alcova ove riposa la giovine. Vedo gli occhi di Giulia aprirsi, prima è spaventata alla vista dello sconosciuto. Poi si tranquillizza, è lampante il viso ha un repentino mutamento che fa trasparire un ritorno a una certa serenità, quando fissa il volto sorridente di Francesca. È il dottore. Dice la mia collega. Ah, risponde la trans. Ha dolori forti? Fa Lamberti. No, risponde lei. Ho un senso di sofferenza diffusa, come se dovessi riprendermi da una malattia grave ma passata. Bene! Continua il medico. Non ci sono dolori acuti al momento, indice che i traumi si stanno lentamente riassorbendo. Se la sente di alzarsi? Si! Risponde Giulia. Bene. Il dottore gli toglie le coperte di dosso. Appare Giulia nuda, coperta solo di garze e bende. Il medico vede i lividi. Vede i suoi seni. Vede il suo pene. Si fa subito un’opinione, giusta o sbagliata che sia, sia sulla prognosi dello stato fisico di Giulia, sia sulla sua vita presente e futura. Scusi se lo chiedo. Quale è il suo nome di battesimo? Vuole sapere il nome da maschio di Giulia. Mi chiamo Marco Ingome. Bene. Continua il dottore. La sua attività? Beh, fa Giulia. Posso dirle che faccio la vita? Si, fa il dottore imbarazzato. Stia tranquilla non sono un giudice o un poliziotto e nemmeno un prete, sono un dottore che vuole assicurarsi del suo stato fisico. Grazie, risponde Giulia. Di niente, replica il laureato. Ora le chiedo, se la sente di affidarsi a me? L’aiuterò a sollevarsi e a mettersi seduta. Si, risponde Giulia. Con un minimo sforzo Lamberti la fa sedere sul letto cingendola con le sue braccia e sollevandola. Giulia si ridesta dal suo giaciglio che sembrava il suo catafalco mortuario. Invece Giulia non è spirata, lo dico alla mia mente folle per la troppa preoccupazione, è viva. Il medico curante di Francesca ausculta il petto e la schiena di Giulia con lo stetoscopio che porta sempre con sé nella sua valigetta da dottore, che ora è aperta sul comodino della mia stanza da letto. Ha preso quell’arnese da lavoro, chiamiamolo così, con la nonchalance di un uomo abituato a gestire i momenti difficili della vita non solo propria ma di quella di chiunque gli sta attorno. Respiri, dice, respiri prima profondi, poi normali. Ora tossisca, coraggio. Le faccio un prelievo del sangue. Vediamo cosa indica il suo emocromo. Certo è un’indagine molto parziale. Per fare una visita approfondita, cosa di cui lei ha veramente bisogno. Qui il medico guarda con occhi intensi Giulia, scruta lo smarrimento e il terrore di lei. È dice. Per fare una visita approfondita bisogna andare in ospedale. No! Questa sono le due lettere pronunciate da Giulia. Io non posso imporle il ricovero. Non ci sono le ragioni previste dalla legge e dalla Costituzione. Lei non appare in pericolo di vita imminente. Il suo non ricovero non danneggia la salute pubblica. Ma le ricordo che è bene controllarsi. No! Questo continua a dire Giulia.

Il medico l’aiuta ad alzarsi. La fa camminare tenendola per le braccia. Costata che il suo barcollare è causato dal dolore delle ferite e dalla spossatezza, non sembra essere la manifestazione di problemi neurologici. È soddisfatto della visita. Per lei la paziente può presto riprendersi. Ma non vuole dirlo a lei, a Giulia. Vorrebbe convincerla a farsi ricoverare. Ci sono tanti elementi che potrebbero essere causa di pericolo per la sua salute. Non ultimo il Covid, pensa, qualche persona che l’ha diciamo incontrata, o meglio picchiata, potrebbe esserne affetto. E qui controlla che la sua mascherina sia correttamente a posto. Continua il suo pensiero. Sono una merda di medico, si dice, nella concitazione mi sono dimenticato di chiedere a Francesca e ai suoi amici di indossare la mascherina in mia presenza. Fra una settimana mi tocca fare il tampone. Spero di non infettare Carla, sarebbe la moglie, e Giovanni e Grazia, i figli. Ora devo spiegarmi come ha saputo i pensieri del dottore in quel frangente drammatico. Sono io che vi parlo, la voce narrante, il protagonista scrittore del suo dolore, Fabio Lizzo. Ovviamente non ho mai saputo esattamente cosa pensava il dottor Costante Lamberti mentre visitava Giulia. La mia è una ricostruzione a posteriori fatta dalla mia fantasia. Ma tale ricostruzione non è frutto semplicemente di un mio azzardo mentale. Ho parlato più volte in seguito col dottore, come con gli altri coprotagonisti di questa storia, è ho potuto appurare cosa pensassero in determinati momenti della concitata vicenda, così da esporli. Sia chiaro io vi ho raccontato quello che Costante si ricordava a posteriori avvenisse nella sua mente in quell’attimo, ho aggiunto alcuni dettagli che la verosimiglianza della ricostruzione storica rendono plausibili. Poi cosa sia la realtà, ciò che Luigi Pirandello contrapponeva alla spesso falsa verosimiglianza, non lo so. Io vi posso raccontare la verità dei miei pensieri, ciò che succede ed è successo a me è vero, vi assicuro. Ma non posso fare lo stesso per il pensiero e gli accadimenti degli altri. Comunque ora so che cosa è la “Cura” che cantava il compianto Franco Battiato. Autore di musica pop sublime. Ve la ricordate la Cura? La canzone? Io avrò cura di te, diceva il poeta siciliano a una amata reale, non immaginaria e presente, anche se l’ascoltatore non la conosce. La cura è l’amore del marito verso la moglie, l’amore della moglie verso il marito. La cura è l’amore del padre o della mamma verso i figli. È la voglia di proteggere chi si ama. Il desiderio di non farlo soffrire. La consapevolezza che l’unica mia gioia è nella gioia che vive chi amo. La voglia di essere per lui o per lei un dio buono che lo protegge o la protegge da ogni pericolo, ti proteggerò da ogni malattie e perfino da ogni malinconia.. dice la canzone.. perché sei un essere speciale. Per me e credo anche per Francesca, Giulia era un essere speciale e noi avremo cura di lei..

Preso dai miei voli pindarici non sentivo il dottore che cercava di congedarsi ed andare via. Come al solito è Francesca che gestisce la situazione. Saluta il medico. Gli chiede: quanto ti devo? Una bella cena appena sta merda di coronavirus si toglie dai coglioni. Dice il Medico, come battuta. Ma almeno la benzina.. prova a replicare lei. Taci. Mi raccomando fatevi il tampone, lo farò anch’io. Non si sa mai. E tenete sottocchio Giulia. Appena riscontrate qualcosa di strano, non indugiate, chiamate un’ambulanza e poi chiamate anche me. Ma io confido che un bel periodo di riposo possa essere sufficiente a farla riprendere. Quello che è male per la sua salute, è la vita che faceva prima. Lo dico chiaro. Se vuole essere Giulia o Marco sono cavoli suoi. Ma se vuole star bene deve smettere di fare la trans-puttana. Mi viene da ridere. Mi rendo conto di averla chiamata come un treno, c’è la transiberiana e c’è la transputtana. A sto punto gli rispondo “Lupo ulu-là, castello ulu-lì”. Il dottore ride: anche a lei piace Frankenstein junior? Be si! Continua Lamberti: Io volevo essere come il dottore del film, volevo dare la vita a chi non l’ha più. Certo follia. Ma che vuole, per questo folle scopo mi sono preso la laurea. Per la serie la cura dell’altro supera perfino la barriera della morte. Il dottore chiude la porta dietro di sé e se ne va. Riprende la cura.

venerdì 30 luglio 2021

UNA STORIA SBAGLIATA

 

LA COGNIZIONE DEL DOLORE

Il racconto di Giulia mi ha sconvolto. Le violenze ripetute che ha subito in quella discarica in periferia sono l’epifania di un dolore e di un rancore profondo che è presente nella società e nei singoli esseri umani. Che senso ha fare scempio del corpo dell’altro? Apparentemente non ne ha alcuno! Eppure sono milioni al giorno, non credo di esagerare, gli episodi di violenza gratuita simili a quelli che ha subito Giulia. Quello che l’è successo mi fa venire in mente un libro di Carlo Emilio Gadda. È intitolato “La cognizione del dolore”. È stato pubblicato nel 1963, ma l’autore, nato a Milano nel 1893, lo aveva scritto a cavallo fra il 1938 e il 1941, proprio quando scoppiava la Seconda Guerra Mondiale. Il libro è ambientato in un immaginario paese andino. Gadda utilizza lo stesso espediente letterario di una terra immaginata, ma legata alla realtà latino americana, che sarà l’aspetto connotante dello stile letterario di un altro grande romanziere, questa volta colombiano, Gabriel Garcia Marquez. Un territorio, una città, una regione che non esistono, ma che potrebbero essere riconosciute in una delle tante campagne e terre amerinde. Insomma Gadda in questo libro è per certi versi l’anticipatore del cosiddetto verismo magico, l’elemento costitutivo di tutta la letteratura del Sud America del XX e, ormai, anche del XXI secolo. Ma la cognizione del dolore non è solo il racconto di quello che succedeva dall’altra parte del mondo, in un porto lontano migliaia di chilometri dall’Italia. Era il racconto di come la violenza è un’irrazionale elemento connotante della natura umana. Come Gaetano Palumbo, il protagonista de “La cognizione del Dolore”, tortura senza una ragione la madre, così il nazismo uccideva crudelmente milioni di innocenti, solo perché ebrei, zingari, diversi. È il racconto della follia umana che è capace di produrre ai danni del prossimo un dolore immane. Conoscere il dolore, averne cognizione, ci dice Gadda, vuol dire, certo, immancabilmente, conoscere le sofferenze di chi lo subisce, ma anche sapere la folle intelligenza oppure la pazzia razionale di chi opera la violenza. Siamo veramente in un ambito orrorifico. La “Banalità del male”, come la definisce Hannah Arendt, cioè il male che diventa un elemento connotante della vita di tutti i giorni dell’assassino, del violentatore, del torturatore di turno, è un dato di fatto che si ripete costantemente nella storia. Soprattutto in queste decadi che viviamo, in cui la tecnologia, la scienza (che orrore che l’intelligenza sia strumento di morte), così facile uccidere, così asettico, quasi l’omicidio fosse niente più di una semplice attività imprenditoriale. Si uccide con la stessa scioltezza e decisione con cui un operaio alla catena di montaggio mette una vite in un ingranaggio. Siamo alla vera follia. Siamo a Srebrenica, ove durante la guerra Jugoslava avvenuta l’ultima decade del XX secolo, gli uomini si uccidevano con la “semplicità” con cui si può svolgere una qualsiasi mansione lavorativa.

Non sai quanto dolore conservo nel mio corpo. Giulia si confessa, mentre io cerco di medicare le sue numerose ferite corporali. Non sai come quegli uomini mi hanno fatto profondamente male, ancor più in queste ore, di quando mi violentarono nel mio appartamento. Mi hanno picchiato brutalmente. Sento tutte le mie ossa rotte. A questo punto io, che la sto medicando, ho un dubbio tremendo. Forse sarebbe meglio andare al pronto soccorso, ove hanno competenze e strumenti adeguati per soccorrere un’inferma. Lei continua a parlare. Non si ferma. Vuole condividere con me tutto il suo dolore, credo per provare a non farsi soverchiare dalla enormità dell’angoscia che sta vivendo. Hanno utilizzato spranghe di ferro per picchiarmi in ogni parte del mio corpo. Mi hanno fatto veramente male alle parti genitali. Hanno usato armi che io neanche conoscevo, oggetti di ogni tipo, tira pugni, addirittura un estintore buttato lì nella discarica, perché, credo, non più utilizzabile. Hanno riso. Hanno riso della mia sofferenza, del mio dolore. Mi hanno spogliato, come si tosa un agnello prima di essere macellato. Mi hanno messo il loro “arnese” a turno nel mio ano, mentre facevano scempio del mio pene, prendendolo a calci violentemente. Era così forte il dolore al mio cazzo, che non avevo la percezione della violenza che subivo al mio culo. È veramente folle quello che mi è successo. L’uomo, chiamiamolo così quell’animale,  dietro di me mi inculava con violenza, mentre avanti c’era uno che mi prendeva a calci l’uccello, e l’altro che alternava i suoi pugni in faccia, che mi hanno rotto gran parte dell’arco dentale, con il suo pene che entrava nella mia bocca. Rideva. Diceva: mi ringrazierai. Sai a quanti clienti piace che gli sia fatto un bocchino da una sdentata. È giù pugni sul mio mento e poi il pisello in bocca e poi ancora pugni e poi il pisello. Una cosa allucinante.

Dopo che l’ho medicata. Dopo che le ho messo bende e cerotti ove è possibile. In realtà ogni parte del suo corpo dovrebbe essere bendata, dovrebbe diventare una mummia le cui garze servono a celare i rigori della morte incombente. Ma che dire. Si direbbe in contesti meno violenti, che sarebbe bene pregare per la malata. Ma.. Tutta questa storia è folle. Mi sovviene una commedia di Edoardo De Filippo. È “Napoli milionaria”. Finisce con i due protagonisti, marito e moglie, che attendono impazienti il passaggio della notte, in attesa e nella speranza che loro figlio guarisca da una terribile malattia, Il personaggio maschile, Gennaro Jovine, guarda la moglie, la debosciata fedifraga e dedita a turpi commerci, Amalia. Ella che l’aveva tradito, che si era arricchita facendo contrabbando con i soldati americani, siamo nella Napoli del 1945, e gli dà una speranza di salvezza per il loro comune figlio ammalato e allo stesso tempo di riscatto etico. Gennaro gli dice: adda passà a nuttata. Deve passare la nottata. L’indomani sapremo se il nostro comune figlio è sopravvissuto al male. Questo è il primo e diretto significato della frase. E penso che anche Giulia “Adda passa a nuttata”. Ma vuol dire anche altro. Vuol dire che ci sarà, ci deve essere, un tempo di riscatto morale. Ci sarà un giorno in cui non vi saranno più bassezze alle quali essere soggiogati. Non ci saranno più torturatori e violentatori. Non ci saranno più magnaccia e strozzini. La vita sarà migliore. Adda passà a nuttata. Ma per far passare questa notte che ci tormenta e ci mette in pericolo di vita, dobbiamo chiarire cosa sia successo nell’appartamento di Giulia, chi ha realmente ucciso il senatore Callispera. E se sono stati loro, i tre violentatori di Giulia, ad assassinarlo, come dice lei, bisogna che siano arrestati immantinente. Più passa il tempo, e più mi convinto che per noi la soluzione migliore sarebbe raccontare tutta la verità agli inquirenti, anche se Giulia, anche perché lei ha ammazzato Igor, teme di farlo. Ma Igor, mi devo anch’io convincere di questo, è stato ucciso da Giulia per legittima difesa. È così che è andata. Basta dubbi, basta perplessità. Bisogna essere fermi nel proferire i fatti e bisogna essere trasparenti.

Sento lo squillo del campanello, o meglio del citofono. Chi sarà? Ora che Giulia è stesa sul letto a riposare, credevo che avremo vissuto un momento di calma. Chiedo: Chi è? Sono Francesca! Ancora, penso, non mi aveva lasciato solo poche ore fa. Comunque mi potrà aiutare a prendermi cura di Giulia. Sale. L’accolgo con fare concitato. Le spiego quello che è successo. Cacchio, fa lei. Corre nella mia camera da letto, senza dire niente altro. Trova Giulia dormiente. Ha paura. Teme che non sia sonno, ma un incipiente coma. Non lo sa. Non è un medico. Lo pensa solo perché ha visto tanti telefilm che parlano di ospedali, mi dice quando intuisce che i miei occhi vogliono conoscere le ragioni delle sue apprensioni. Insomma Francesca ha lo stesso mio pensiero. Bisogna portare Giulia immediatamente in un centro specializzato in traumatologia. Giulia si desta. Ci guarda. Io sono sollevato: stava dormendo, non era in coma. Cosa volete da me? Dice con l’aria di chi vive in uno stato confusionale. Fra l’altro ciò è giustificato da tutto ciò che le sta avvenendo. Francesca la guarda. Diamine, dice, non posso lasciarvi un secondo che succede un quarantotto. Lei rivoluzionaria di natura, tanto è vero che fa l’impiegata statale sorrido, ama citare i grandi sommovimenti  del XVII e XIX secolo. La sua citazione del 1848, i grandi moti popolari che sconvolsero tutta l’Europa post napoleonica, è voluta. Vaffanculo, gli risponde Giulia. Convinta, come può essere decisa chi si sente sottratta improvvisamente da un sonno ristoratore. Francesca sorride. Si sente soddisfatta di essere stata oggetto di un’offesa riservata a chi si considera un amico. Penso io: si sentirà lusingata del fatto che Giulia si fida di lei, oppure sorride perfidamente perché immagina di sfruttare a suo vantaggio questo senso di amicizia e, in ultima analisi, di sottomissione che Giulia nutre per lei, così da danneggiarla? Chi lo sa. Intanto si avvicina a Giulia. Gli guarda le bende. Cerca di riparare ai danni che avevo fatto io. Cerca di rimettere al meglio le garze, che già stavano scivolando dalla pelle della ferita. Sembra rammaricata, credo che lo sia veramente, del dolore che ha sofferto Giulia, il cui corpo è una prova parlante dell’orrore che ha subito.

Possa sapere chi è stato? Tu? Mi guarda con fare indagatore. Come fai a pensare soltanto una cosa del genere, gli rispondo stordito dall’atrocità che Francesca ha soltanto immaginato. Io non sarei in grado, non voglio esserlo, di far male ad alcuno. Giulia dice: sono stati gli stessi assassini del senatore. Ah. Esclama Francesca. E come hai fatto a fuggire? Continua. Come hai fatto a fuggire?, replica Giulia, rispondendo con la stessa risposta che le aveva fatto Francesca. In realtà non sono affatto fuggita ho subito ogni tipo di violenza. Francesca si pente di aver detto quella frase. Ormai, però, non può tornare indietro. Volevo dire, contrae i muscoli del viso, visto che ormai eri nelle loro mani, perché, perdonami la mia brutalità, non ti hanno ammazzata? È intervento Tantalo, il camorrista, li ha fermati. Quindi c’è in mezzo la mafia? Fa Francesca. Credo proprio di si, continua Giulia. O meglio la Camorra napoletana. Francesca alza le spalle. Prende disinfettante, pomate e garze che erano sul comodino. Si siede ai margini del letto ove Giulia giaceva. Gli toglie una a una le garze che io le avevo messo, la medica un’altra volta e la cura con sapienza materna. La medica, cura le sue ferite, ferma le emorragie che io non ero riuscito a fermare. È contristata. Si vede. Stanotte restiamo tutti e tre qui. Domani se tutto andrà per il meglio chiameremo il mio medico curante per una visita approfondita, se dovesse, però, succedere qualsiasi cosa in questo notte, chiamiamo un’autoambulanza. Adda passà a nuttata. Penso io.  

UNA STORIA SBAGLIATA XXIV

 


IL TEMPO CORRE

Giulia si veste, in fretta. Guarda da diversi minuti il suo telefonino con impazienza. Non so cosa le sia successo, quale sia la comunicazione che gli ha scosso l’animo e turbato il risveglio. Dove devi andare? Gli dico nella maniera più dolce possibile, anche se traspare il mio rammarico per quello che sembra un abbandono. Devo fare una cosa importante. Quale? Beh, la verità? Riguarda il mio passato, che spero rimanga presto alle mie spalle! Questa ultima frase l’ha detta per tranquillizzarmi, lo so. Era un messaggio a volermi dire: io voglio rimanere con te, la mia vita sei tu, il passato è solo un triste conto sull’esistenza da chiudere! Ma sarà vero? Circola questo pensiero nella mia testa. Giulia vuole veramente chiudere i conti con la vecchia vita, aprendone un altro con la nuova accanto a me? Poi.. Poi.. A me conviene che ciò accade? Mi faccio questa domanda cattiva. Conviene che un trans, un uomo, rinunci alla sua vita, termine inteso secondo il vocabolario di Pasolini, per avere una nuova esistenza con me. Cosa sarà la mia di esistenza accanto a lei? Questa è la domanda. Ma intanto Giulia esce. Corre per andare chissà dove. È incurante dei divieti di circolazione imposti dalla normativa della Presidenza del Consiglio per arginare la pandemia legata al cosiddetto virus cinese. Insomma per fare i suoi conti con il passato, Giulia se ne infischia delle normative di Conte, inteso come Giuseppe Conte Presidente del Consiglio. Devo correre, mi dice, anzi, aggiunge, bisogna correre. I nodi devono essere sciolti. Tutto ciò che mi lega al passato deve essere cassato come problema definitivamente superato. Devo andare ad incontrare Tantalo. Devo sapere cosa pensa di fare del corpo di Igor. Devo sapere se non abbia intenzione di incastrarci con qualche trabocchetto, facendo riapparire il corpo del romeno e rilevando, con una qualche soffiata, che siamo stati noi ad accopparlo. Il pensiero di Giulia è chiaro, non lascia spazio ad interpretazioni ambigue. Bisogna trovare una soluzione per sciogliere i nodi della vicenda, lei ha deciso che la soluzione spetta a lei trovarla, lo farà a qualunque costo. Io gli dico. Vengo anche io! Lei è secca e decisa: No! Perché? Gli chiedo. Abbiamo avuto già un incontro a tre con Antonio Castelli detto Tantalo, è stato disastroso! Tu hai preso botte, io mi sono presa il cazzo nel culo, con tale violenza che ancora cammino a gambe aperte. Capito allora il motivo per cui non ti voglio con me?! Io ho una stretta al cuore. Mi vergogno della mia impotenza, mi vergogno di me stesso. Certo la violenza sessuale che Giulia ha subito, qui, nella mia casa, da parte del Boss della camorra la ricordo, è stata una cosa orrenda. Io sono di Bari, la criminalità mafiosa è di casa anche nella mia città, ma forse perché non conoscevo le persone “giuste”, cioè i più criminali dei criminali, la violenza mafiosa barese ai miei occhi è stata qualche pistolettata, qualche omicidio, qualche “lezioncina”, cioè botte, a chi alzava la testa. Non ho mai sentito della violenza sessuale come strumento di esplicitazione del potere. Certo è probabile, anzi sicuro, che ciò avvenga anche a Bari, ma io non ne sono stato né testimone oculare né ho sentito di episodi del genere. Forse tali violenze rimangono nelle mura dei fortini dei clan, senza che escano fuori. La violenza la subiscono, almeno a leggere i giornali di cronaca, le immigrate, purtroppo anche questo è fatto orrendo, ma si tace sulla violenza sessuale inferta a uomini o donne italiane. Bari è Savinuccio, il vecchio boss di uno dei quartieri periferici e popolosi cittadini, che va a cavallo per le strade, mostrando il suo dominio. Savinuccio, Savino Parisi, ha smesso di andare a cavallo, ora è in galera, ma il suo potere, purtroppo, rimane intatto, come dimostra il figlio che abbina il suo ruolo di facente capo clan in assenza del padre recluso e di cantante che si fa tutte le sagre di paese. La mala barese compie nefandezze esattamente come la Camorra e la Mafia e l’andrangheta, ma le nasconde perché purtroppo ha ancora consenso, vuole apparire “buona” agli occhi della gente. Ma è la gente non buona. Cioè non deve essere supina ancora alle angherie della mala. Certo Giulia è alle prese con un camorrista, io faccio i conti con la mafia del mio paese e ancora non sono riuscito a trovare la pace. La mafia è un cancro mortale che attanaglia tutta l’Italia e uccide soprattutto i luoghi dove è presente maggiormente il suo potere, luoghi che ormai non sono solo il Mezzogiorno, ma anche la Capitale, il Veneto, La Lombardia e perfino la dotta Emilia Romagna in cui diversi comuni sono sciolti per infiltrazione mafiosa.

Mentre penso a tutte queste cose Giulia è lontana. È andata ad incontrare Tantalo, forse si è andata a far uccidere. Chi lo sa. La mafia è implacabile. Chiunque prova ad alzare la testa viene freddato. Chiunque chiede libertà, trova solo morte. Spero che questo non succeda. Certo, il pensiero malvagio entra nella mia testa e nel mio cuore, se Giulia non ci fosse più per me molti problemi non sarebbero. Se fosse trovata incaprettata, cioè uccisa e legata come una capra, punizione eclatante della mafia per chi è infame, cioè per chi parla alla polizia e non rispetta e regole malavitose, io uscirei repentinamente dall’inchiesta, al limite il mio ruolo sarebbe derubricato come quello un testimone di reato, non sarei considerato più accusato e complice. Ma la mia vita forse sarebbe un infermo. Sarei torturato da un senso di vuoto, causato dalla mancanza di Giulia. Sarei sommerso dai sensi di colpa. Le mie paure mi tormenterebbero ogni notte e, forse, anche il giorno. Questi pensieri mi portano alla follia. Una vita senza Giulia è una prospettiva. Una vita con Giulia felici, senza colpa, scagionati di tutto, un’altra. Una vita insieme, ma fatta di condanne e denunce e infine di galera, che prospettiva.. Tutto mi terrorizza, qualsiasi prospettiva possibile ha un risvolto da incubo, vivere con Giulia vuol dire combattere i pregiudizi non solo degli altri, ma anche i miei. Vivere senza Giulia, vuol dire sentire la mancanza dei suoi pensieri, della sua anima e soprattutto del suo corpo. Ho paura. Qualsiasi domani io possa pensare, implica comunque qualcosa di orrendo da affrontare. Sembra che la felicità ormai mi è preclusa.

Suonano alla porta, non al campanello sotto il portone, ma direttamente al pulsante che sta dietro alla soglia del mio appartamento. Guardo dallo spioncino, non c’è nessuno. Provo ad aprire la porta. Trovo Giulia stesa a terra. Ha il vestito tutto rotto. Il suo vestitino che aveva comprato in concomitanza con l’inizio del suo abitare nel mio appartamento è diventato un cencio, tutto rotto e lercio. Ha diversi lividi. Il volto è tumefatto. Io l’ho riconosciuta.. perché.. perché? La amo. Ma altrimenti sarebbe irriconoscibile. La prendo in braccio e la poggio sul mio, nostro, letto. Gli tolgo le scarpe. Gli tolgo il vestito e lo vado a buttare. Non ha più nulla. È nuda. La biancheria intima è certamente persa nella tremenda colluttazione che ha avuto. Erano passate quasi cinque ore da quando era uscita da qui. Ora vi è rientrata ferita fisicamente in maniera grave. Credo che la ferita che rimarrà nella sua psiche sarà anche più profonda, dolorosa e duratura di quelle che gli sono state inferte sul corpo.

Vado a prendere un asciugamano e l’accappatoio, prendo cerotti e acqua ossigenata, prendo garze e ogni materia utile a un primo soccorso sanitario. Gli mondo le ferite. Sembra un Cristo flagellato. Ha lividi ovunque. Non l’hanno graziata in nulla. Ovunque l’hanno torturata e, penso, con qualsiasi mezzo. Ci sono lividi che possono procurare le mani, ma ci sono altri, credo non sono esperto, che solo mazze e oggetti contundenti possono fare. Sanguina. Io cerco di curare le sue ferite. Mi fa orrore e tenerezza allo stesso tempo il suo corpo.

Che è successo, alla fine gli chiedo. Lei continua a piangere. Sono andata da Tantalo per chiarire. Ahia questo è già un termine da criminale che parla a criminali, Giulia mi fa paura. Ho trovato i tre che hanno ucciso Callispera. Qui la interrompo. Come da tantalo c’erano loro? Esatto! Senza dire una parola mi hanno alzato la veste. Aspetta, scusa, la interrompo imbarazzato, dove eravate? In una discarica sulla Tiburtina, fa lei, è lì che Antonio Castelli, Tantalo il bastardo, mi aveva detto di andare. Ma come ci sei andata? Come, fa lei, ma con la mia macchina. Hai una macchina? Faccio io. Certo, una vecchia Tigra, che ha fatto più chilometri di quanto sia lunga la circonferenza terreste, cacchio penso io, da stolto visto il momento, quanto avrà speso di benzina per fare tanti chilometri con una Tigra, che notoriamente beve molto. Ma lasciamo stare le follie e balzi pindarici della mia psiche. Giulia continua. Mi hanno violentato in gruppo. Tutti e tre, non solo uno come l’altra volta. Non mi hanno dato la possibilità di respirare, letteralmente. A turno mettevano il loro cazzo nella mia bocca e mi turavano il naso con le loro dita di merda. Volevano letteralmente soffocarmi con il loro sborro di merda. Il riferimento a due secrezioni del corpo umano così diverse fra loro, mi fece sorridere e rabbrividire allo stesso tempo. La violenza è orrore, senza alcuna via alternativa. Chi compie violenza scende lui negli abissi della coscienza e vi trascina e proprie vittime. I tre erano animali senza cuori, anzi paragonarli al mondo ferino è un’offesa per le bestie. Giulia continua. Nel frattempo mi picchiavano con ogni mezzo che gli capitava per le mani. Bastoni, chiavi inglesi, bulloni. Ogni cosa era utile per infliggere sofferenza a me e portare ferite gravi e permanenti al mio corpo. Mentre uno di loro, lo stesso che mi inculato mentre gli altri uccidevano Callispera, penetrava nel mio ano, l’altro mi dava violenti calci sul mio pisello e l’altro mi stringeva con le sue braccia per evitare la mia fuga. Non ho mai provato tanto dolore. Non so cosa succederà al mio fisico, dopo tutto ciò. Sentivo un pisello penetrare nel mio culo, mentre la mia mente impazziva letteralmente per il dolore troppo forte che subiva il mio cazzo. Ogni colpo alla vita, mi toglieva il respiro, mi sottraeva alla vita. Sembrava giunta la mia fine. Guarda i miei denti, mi mostra il suo arco dentario con diversi buchi, canini e incisivi non c’erano più. Il terzo, quando ha visto che ogni mia resistenza era vinta, ha lasciato la sua morsa, e appena chi mi ha inculato è venuto, ha messo il suo sperma nel mio ano. Ha cominciato ha darmi calci in bocca. Io sputavo sangue, denti, saliva e sperma che quei bastardi avevano appena lasciato nel mio apparato orale, imponendomi bocchini furiosi. Sembrava la fine. Loro erano stanchi di violentarmi. Allora ero certo che mi avrebbero ucciso. Ma in quel momento arriva Tantalo. Non pensavo che venisse. Pensavo a un tranello. Grida: basta. I tre si fanno da parte. Ora capisco, sono uomini suoi. Non toccatela più. Ve lo ordino. Dice con tono autoritario il camorrista. I tre vanno via. Stiamo qualche decina di minuti in silenzio. Tantalo vuole che mi riprenda. È chiaro. Poi mi dice: ce la fai a guidare? Io gli dico: cosa volevi da me. Niente, fa lui. Così so il motivo per cui mi ha fatto arrivare in quella sperduta discarica romana, per farmi picchiare e per farmi rovinare la carriera di trans di grido, scempiata come sono. Penso. Dovevo servire per uccidere il senatore che era venuto a tedio ai clan, dovevo essere il pretesto per uccidere Eugenio Callispera, ora non servo più e mi butta via. Certo il fatto che non mi uccidesse è già tanto, ma io sono rovinata per sempre. Giulia termina con un pianto a dirotto.

La lascio piangere. Non so che dire, non so che fare. Tutto è dolore, ma allo stesso tempo è surreale racconto di una storia incredibile. Come è possibile concentrare tanto male in così poche persone? Come è possibile un tale odio verso la vita, da poter assistere a torture o torturare senza batter ciglio? Giulia ha subito tante, troppe, violenze nella sua vita. Questa, però, è la definitiva. È difficile pensare al futuro se si è percossi con tale veemenza. Ho paura per lei. Temo che la sua mente possa vacillare, il suo cuore non possa reggere. Tento di abbracciarla. Lei mi respinge terrorizzata. Io che l’avevo appena lavata e medicata, io che ho sentito tacito il suo racconto di strazio, mentre nuda si rattrappiva sul divano, ora sono un nemico esattamente come i tre violentatori. Ciò mi addolora. Ma non posso che provare a capire il suo tremendo sommovimento psichico che è il prodotto di una violenza inaudita che ha subito. Povera Giulia.

martedì 27 luglio 2021

UNA STORIA SBAGLIATA

 

TROPPO VICINI

Francesca si riveste in fretta. È decisa a lasciare la mia casa. Desidero riposare, voglio andare a casa mia. Mi dice, quasi a giustificare la scelta di abbandonare il mio appartamento. È stata una giornata molto complicata. Troppi nodi sono arrivati al pettine. Molte tesi e antitesi si sono appalesate alla nostra mente, senza trovare una sintesi. L’incontro inaspettato con il giudice Buonasera, invece di chiarirci cosa è da fare, ci ha gettato in uno stato di smarrimento profondo. Tutta la vicenda è veramente al limite del sopportabile. Nessuno di noi avrebbe mai pensato di poter essere un indagato per omicidio. Ovviamente nulla è ufficiale ancora, non abbiamo avuto gli avvisi di garanzia, che ormai da decenni sono diventati argomento comune di conversazione fra tutti gli italiani, visti i fatti di “tangentopoli”. Però è nei fatti che solo noi siamo le persone che hanno avuto a che fare con le vicende accorse al senatore Eugenio Callispera, nei pochi minuti precedenti alla sua dipartita. Giulia è stata l’unica persona, accertata ed accertabile, che era presente nello stesso luogo in cui il politico è spirato. I famigerati tre uomini che avrebbero picchiato a morte il povero rappresentante del popolo, così vengono chiamati i parlamentari, li ha visti solo Giulia. Potrebbe anche esserseli inventati, aggiungo. Poi Giulia, il motivo per cui mi abbia scelto come suo soccorritore nell’ambasce non mi è chiaro, è venuta a casa mia. Mi ha raccontato tutto. Era terrorizzata e sporca di sangue, questo è un dato incontrovertibile. Mentre Francesca chiude la porta dietro di sé e torna a casa sua, io sono arrovellato da questi fatti che non riescono ad avere una chiave di interpretazione da parte della mia mente. Tutto è confuso. Tutto è orrendo. Tutto mi fa paura. Dal momento in cui Giulia mi ha rilevato il tragico fatto avvenuto nelle sue magioni, il mio mondo è crollato. Niente è certo. Sono stato complice di un omicidio e di un occultamento di cadavere. Quello di Igor, il magnaccia rumeno ucciso da Giulia proprio nel mio appartamento per legittima difesa. Almeno questo dice lei. Io dovrei essere il testimone oculare del fatto di sangue. Giulia aveva conficcato nella gora di Igor un coltello da cucina, un mio coltello, nel mio appartamento. Io ero presente ai fatti. Eppure non sono certo che si possa considerare propriamente legittima difesa l’azione violenta di Giulia. Certo Igor la stava inculando, letteralmente. Ma in realtà era stata lei che l’aveva invitato a farlo. Certo per evitare che l’ira di Igor scatenasse la sua violenza su di lei e su di me. Per evitare che le pretese di soldi del magnaccia, diventassero atti violenti della sua mano contro i nostri corpi. Ma rimane il fatto che nel momento in cui Giulia uccideva Igor, egli non era per noi pericoloso e in più non si poteva certo dire che la stesse violentando, visto che era stata proprio lei ad invitarlo all’amplesso. Insomma tutta la vicenda è veramente tragicamente complicata. A una ricostruzione ragionata, come quella che sto tentando di fare, appare chiaro che il mio avvocato e amico, Antonello Scarzone, ha ragione nel voler dare tutta la responsabilità penale dei fatti a Giulia quando sarà il momento della ricostruzione processuale dei fatti. Siamo veramente a un bivio. Abbandonare Giulia ai suoi destini di rea, vorrebbe dire per me, prima di tutto, e anche per Francesca la salvezza. Ma veramente ho il coraggio di abbandonare Giulia? Veramente voglio rinunciare al legame che c’è fra noi due? Veramente sceglierei l’innocenza processuale, abbandonando il suo corpo fascinoso? Non so proprio.

Sento squillare il cellulare. Vedo chi mi sta chiamando. È Francesca. Pronto. Faccio io rispondendo. Ciao, è ciò che dice lei. Sono arrivata a casa. Tutto bene. Nessun problema. E voi? Io medito su cosa sia meglio rispondere. Beh non sono molto brillante. Dico. Anche noi tutto bene. Sono felice che tu non abbia avuto problemi a muoverti nella città in pieno Lockdown. Già, si limita a controbattere lei. Mi raccomando dormi bene. Lei risponde: e tu medita profondamente sul da farsi. Arriverai alla conclusione che ho ragione io. Che non abbiamo altra via, se non quella di abbandonare Giulia a se stessa. Se stessa, dice queste due ultime parole sottolineandole con un suono robusto di voce, come a voler dire che è lei la causa di tutto, è lei che ha nei fatti voluto che tutto avvenisse, è lei la colpevole. Non sa e non so se è colpevole dell’omicidio del senatore, ma è certamente causa di tutti gli eventi succedutisi, e forse anche quelli precedenti al compimento dell’assassinio. Noi, Francesca ed io, siamo solo tristi testimoni di un evento luttuoso. Chi lo sa, se veramente ha ragione Francesca. Io non mi sento innocente. Questo lo stavo meditando mentre mi parlava, ma non lo esplicitavo a lei e a Giulia che assisteva taciturna alla telefonata. Poi sento toccarmi il pene. È Giulia che chiaramente vuole staccarmi dalla conversazione telefonica con Francesca, attraverso delle chiare avance sessuali. Io rimango sgomento. Certo non è la prima volta che Giulia prova a imporre la sua presenza umana attraverso la sua prominente sessualità. Quando si sente messa da parte, usa il sesso per tornare protagonista della scena. In parte ci riesce, anzi ci riesce proprio. Troppo vicini. Questo è il vero. Siamo troppo vicini per rimanere indifferente ai suoi seni, l suo profilo eccitante, alla sua prepotente sessualità. Dopo appena qualche decina di minuti dal nostro ultimo amplesso, siamo ancora pronti a copulare. Io chiudo bruscamente la conversazione con Francesca. Non so nemmeno quali siano le ultime parole che dice, questo poi lo pagherò fortemente, gli dico “ciao”. Mi abbandono alle braccia di Giulia. Sono momenti di un’intensità ineffabile. Tutto è noi. Niente è altro  da noi. Siamo concentrati su noi stessi. Giulia mi bacia. La sua lingua entra voracemente nella mia bocca. La mia entra nella sua. I nostri cuori, li sento, palpitano all’unisono. Siamo una cosa sola, siamo un’entità sola. Siamo l’essere perfetto che evoca Platone nei suoi scritti. Abbiamo ritrovato l’anima gemella. Ogni nostro corpo è il perfetto completamento dell’altro. Siamo una sola cosa. I nostri corpi si uniscono. Lei mi incula. Io la inculo. Non ci sono regole, non ci sono ruoli. Non c’è nulla che ci divide. Ormai non siamo uomo e non siamo donna. Siamo l’uno il completamento dell’altro. Non esistiamo senza essere uniti. Non ha senso ricercare la nostra individualità, essa è sepolta, è superata dal nuovo essere possente che siamo noi due insieme. Sono felice. Mentre completiamo il nostro reciproco atto d’amore, intuisco che ho capito cosa sia l’essenza del mio essere.

giovedì 22 luglio 2021

UNA STORIA SBAGLIATA XXI PUNTATA

 


UNA VISITA INASPETTATA

Salve, sono Giulia Buonasera. Quando aprii alla porta trovai di fronte a me una signora dalla figura esile e di una bellezza ineffabile. Era una quarantenne verso la cinquantina, credo. Sapevo che la Buonasera era il giudice che aveva preso in carico l’inchiesta sull’omicidio Callispera, sul nostro omicidio. Non mi aspettavo che venisse a casa. Non sapevo proprio come comportarmi. Spero di non creare imbarazzo. Continua il pubblico ministero. Ero venuta a dare un’occhiata al luogo del delitto. Mi sono presa la libertà di bussare al suo uscio, Dottor Fabio Lizzo. Ha capito subito che ero io ad aprire la morte. D’altronde è normale: chi doveva aprirle? Abito ufficialmente solo io in questo appartamento. Io mi affretto a dire: ma si figuri entri. Lei, mi avventuro, sa meglio di me e dei miei ospiti, indico Giulia e Francesca, il miglior comportamento da tenere in questi frangenti. Mi affido alla sua maestria. Il giudice alza le sopracciglia. Penso: forse avrà preso questa affermazione come una presa per il culo. Ma io veramente non so come ci si comporta quando si è coinvolti in una inchiesta giudiziaria. Veramente mi affido al giudice inquirente per compiere al meglio il mio ruolo, che spero sia ancora e resterà solo di testimone. La dottoressa buonasera si fa condurre da me al divano, ove siedono anche Giulia e Francesca, rivestite e composte dopo ore di amplessi sessuali. Si siede accanto alle due donne. Chiede: come mai insieme, è vostra abitudine ritrovarvi a chiacchierare così liberamente? Il provo a rispondere, imbarazzato. Il signor Marco Ingome è mio ospite da quando è stato posto sotto sequestro il mio appartamento. Giulia mi guarda un po’ storto. Sa che davanti alla legge il suo nome è ancora quello. Ma non può nascondere il fastidio che venga usato da me, quello che considera il suo amante. Io la guardo, guardo la sua rabbia, provo a far finta di nulla. L’ho comunicato, continuo, al Dottor Ettore Sportelli, dirigente della polizia di Stato che soprassiede all’inchiesta. Mi ha detto che al momento potevo farlo. Che avrebbe comunicato il fatto al giudice delle indagini preliminari, insomma a lei dottoressa. E se ci fossero stati eventuali dinieghi, ci avrebbe invitato a mutare lo stato di convivenza momentanea. Non abbiamo avuto comunicazioni. La Buonasera risponde. Si, avete ragione. Al momento nessun dato osta alla vostra, diciamo, convivenza. Devo essere franca, non posso escludere che l’evolversi delle indagini mutino lo stato di cose. Se nel caso vi comunicherò un mio atto - provvedimento d’urgenza che vi invita a non convivere durante l’inchiesta. Potrei inviarlo per messo prima dell’udienza preliminare, fissata, vi ricordate?, il 23 marzo, come non ricordare penso io e immagino anche Giulia, oppure comunicarlo direttamente in quella data. Al momento la situazione dell’inchiesta è fluida, si sta formando il quadro degli avvenimenti quasi fosse un pezzo di creta informe che diventa vaso. Io penso a un vecchio film “Gosth”, in cui i due protagonisti fanno sesso mentre il personaggio femminile sta compiendo una scultura con un manufatto di creta fresca. Il personaggio maschile la sta inculando, si capisce .. non si vede.. era un film non pornografico.. e allora lei vinta dal piacere distrugge ciò che stava costruendo, le sue mani non riescono più a modellare la creta. Chi lo sa se la dottoressa Buonasera lo metterà in culo a noi quel giorno, altro che costruire il vaso di creta, ci aspetta la prigione? Intanto ora tocca a Francesca essere presentata. Questa è la dottoressa Francesca Delfuoco, faccio io, una mia collega ed amica che è venuta a trovarmi. Anche con il coprifuoco? Fa il magistrato, con tono ironico, guardando anche al fatto che in quella stanza solo lei porta la mascherina. Forse è il caso di mettersi la mascherina, continua la giudice. Errore! Abbiamo fatto veramente una sciocchezza io, Giulia e Francesca. Ora ci sono oggettivamente pochissimi strumenti per giustificarci. Corriamo a prendere ognuno le nostre mascherine, io dal tiretto nella camera da letto prendo una per me, una per Giulia e l’altra per Francesca. Quest’ultima aveva, però, già indossato quella che aveva portato con sé nella borsa. Giulia accetta il mio dono, chiamiamolo così. Non ne aveva una a portata di mano. Il Giudice appare più sollevato. Sorride. Ora va bene! Dice. Comunque attenzione a rispettare il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri per fronteggiare l’emergenza Covid. Ci invita. La situazione sanitaria è veramente preoccupante. Speriamo che le misure del governo presieduto da Antonio Conte siano efficaci, continua il magistrato. Sono anche madre, non solo giudice. Sono preoccupata. Mi raccomando, le regole vanno rispettate.

Dopo questo suo prolegomena sui principi fondamentale per la prevenzione al morbo, il magistrato comincia a farci delle domande. Non so se la legge gli dà il diritto di farle qui ora in questo frangente. Non credo. Ma le fa. Chiede a Giulia se conoscesse il senatore Eugenio Callispera prima che lo incontrasse il giorno della sua dipartita. Giulia dice no. Ma poi aggiunge che vorrebbe discutere di questi argomenti in un contesto giudiziario e con il supporto di un avvocato. Il giudice si limita a dire: giusto! Continua il magistrato. Il mio è solo un modo per conoscerci, al fine di evitare imbarazzi che vanno oltre il normale al momento dei nostri incontri ufficiali. Null’altro. Lo capisco, continua Giulia. Si metta, però, nei nostri panni. Ci troviamo in una situazione che per noi è senza precedenti. Non sappiamo come comportarci. E in questi casi non fare è meglio che fare. Cioè si preferisce non rispondere per evitare errori, che potrebbero danneggiare non solo noi ma anche le parti civili, i familiari del senatore, ritardando il disvelamento della verità. Giusto. Fa la Giudice. Io in realtà cerco di operare proprio perché avvenga il contrario di ciò che, giustamente, paventa. Che non ci sia un ritardo nelle inchieste e che nessuna delle parti sia danneggiato. Io e Francesca taciamo. Tutto ciò è oggettivamente fuori da ogni canone istituzionale. Un giudice che parla privatamente con potenziali imputati in una inchiesta che sta conducendo. Bah! La domanda è: che cosa è venuta a fare la Buongiorno a casa mia quest’oggi? Signor Marco, il giudice risponde a Giulia, noi, immagino che si riferisca alla sua procura, proveremo a dare le risposte adeguate a tutti i dubbi che l’omicidio del senatore ha prodotto alla pubblica opinione e proveremo a ridare serenità a voi, tutti, parti coinvolte a diverso titolo, fra l’altro ancora ben lungi da essere appurato. Lei, dottoressa Francesca, come la vede la situazione? Il giudice si rivolge alla mia collega, coinvolgendola così per la prima volta nel discorso. Bah, risponde, che le devo dire? Sono assolutamente impreparata all’argomento. Fa come fosse una studentessa colta in fallo da una professoressa con un cosiddetta domanda trabocchetto. Ha ragione, dice il giudice. Sa che non ha guadagnato molto dalla visita che ha fatto oggi a casa mia, e lo manifesta visibilmente con un viso insoddisfatto. Cosa vorrà scoprire la dottoressa Buonasera? Quali sono le sue intenzioni? Ora che esce dalla mia casa, dopo una chiacchierata che a me è parsa inconcludente, mi arrovello in queste domande. Bisogna che chiami Antonello Scarzone, il mio avvocato, e lo informi di questa visita inaspettata.

lunedì 19 luglio 2021

SIGMUND FREUD


 

ES

Che cosa è “l’es”. Per la psicologia è la presenza della natura nell’animo umano. Una affermazione importante certo. Per me che sono ignorante è difficile mettere in chiaro questo concetto. Prima di tutto bisogna essere consapevoli della dicotomia fra ognuno di noi e la natura che ci circonda. Noi siamo ciò che siamo, siamo una individualità specifica, proprio perché ci mettiamo in contrapposizione con l’altro, con l’altra donna o uomo che ci sono vicini, ma anche con il mondo naturale che ci circonda. L’uomo è diventato tale perché ha preso consapevolezza di essere, certamente parte, della natura, ma allo stesso tempo componente speciale e particolare del mondo naturale. La sua capacità di distinguersi da esso è il frutto della capacità propria del genere umano di pensare e, soprattutto, di pensarsi. L’uomo acquista consapevolezza di se stesso, perché si contrappone a ciò che è naturale. Ma questo non comporta che sia fuori dalla natura. L’uomo è parte del naturale. Il naturale è fondamentale parte della vita dell’uomo. Ecco perché Sigmund Freud concepisce il concetto di “es”. L’uomo è esso, es in latino è il pronome terza persona singolare, cioè è anche naturalità ed istinto. Anzi proprio questi aspetti contribuiscono a formare in maniera esaustiva la singola personalità di ciascuno di noi. È l’incontro scontro dialettico fra “es”, fra gli istinti, e il super ego, cioè la consapevolezza che è bene obbedire alle regole sociali e alle convenzioni che la vita comune degli uomini ha posto, che contribuisco a formare nel bene e nel male l’Ego, cioè la personalità di ognuno di noi. Ma il mio procedere nel pensiero può apparire azzardato. Freud non è Hegel. Per il secondo è “naturale” e benefico  che attraverso il confronto e scontro fra due concetti in antitesi, pervenga una sintesi che vuol dire superamento e soluzione di una controversia. Per Freud non è così. Le molteplici tensioni emotive e razionali che caratterizzano l’essere umano non hanno una soluzione, una tensione a superare il problema e a guardare avanti. Le conflittualità che albergano nella mente dell’uomo, per Freud, sono costanti e in sostanza insuperabili. Si possono sublimare, esattamente come il ghiaccio può diventare immediatamente sostanza gassosa, cioè possono diventare il motore che spinge ogni essere della nostra specie a creare. Ma non possono essere risolte e non possono essere contenute, pena gravissimi danni per la psiche.  Per Freud, infatti, qualsiasi atto razionale dell’uomo è mosso dall’irrefrenabile sete di soddisfare i nostri istinti. La passione istintuale crea l’estro creativo dell’artista. La stessa, però, genera l’istinto omicida dell’assassino. Ogni atto, vile o ottimo che sia, è il compimento del bisogno di soddisfare i nostri istinti più reconditi. Insomma è “ES”, cioè il nostro essere più naturale, brutali, che ci spinge a creare o a distruggere. È la fame di bisogni primari a farci scultori o brutali capi di governo che ordinano efferati omicidi. È la razionalità che ci fa diventare persone illustri o di potere, per spiegare: bisogna essere bravi nell’arte del comando e del governo per arrivare alla cancelleria tedesca anche se ti chiami Adolf Hitler e anche se ordinerai la morte di milioni di persone. Ma è la tua incapacità di trasformare gli istinti primari in bene per gli altri a spingerti ad ammazzare e perseguitare milioni di ebrei e di esseri umani in generale. Allora si può capire come la differenza fra l’omicida e l’artista, parlo per opposti radicalmente incompatibili, la fa l’Ego, cioè la persona, che sa calibrare al meglio i propri istinti, sublimandoli, se è buono in opera d’arte o in capacità di guidare gli altri con saggezza, o se invece materializza i propri bisogni primari in sete omicida. È bene ricordare, per meglio accentrare la questione, che non vi è nell’opera umana, quasi mai, una perfetta separazione fra azione e uomini del bene e fra quelli del male. Ogni opera umana, non solo può essere studiata, ma anche può essere nella sua concretezza sia fonte di bene che di male. Pensiamo in ambito di politica internazionale alle cosiddette “missioni di pace”, queste possono realmente portare pace e benessere, ma anche morte e peggiori sciagure di quelle che volevano combattere. Allora in questo caso è difficile dire se “Es” sublimato abbia prodotto il bene o il male. Allora spetta a noi trovare una risposta. Non solo per analizzare le scelte dei capi di stato, ma anche per valutare come vivere al meglio la nostra vita. L’Es è fonte di litigi anche per noi gente comune. La nostra brama istintuale alla salvezza nostra e dei nostri più stretti congiunti, i figli ad esempio, ci spingono a compiere atti prima di tutto crudeli e cattivi, ma anche non consoni a risolvere i problemi che siamo chiamati ad affrontare. Per semplificare: se abbiamo un problema da risolvere con un’altra persona, molto meglio sarebbe il confronto aperto e l’ascolto, che lo scontro. Meglio ascoltare l’altro che attaccarlo. Sublimare l’Es vuol dire anche la capacità di porsi sulla stessa corrente d’onda dell’ altro, sapere che anche egli ha i suoi bisogni e che possono non necessariamente essere in contrasto insolubile con i tuoi, ma che potrebbero produrre invece una fruttuosa e pacifica collaborazione, sublimando così lo scontro in fruttuosa compartecipazione. Ci proviamo? Proviamo a trovare una sintesi fra Engel e Freud, dicendo si il secondo ha ragione quando sottolinea che alcuni aspetti del nostro animo sono insuperabili e li dobbiamo portare “appresso” per tutta la vita, ma allo stesso tempo possiamo trovare in essi una sintesi, come diceva Engel, ma non tanto per superarli, Freud avrebbe detto rimuoverli, ma per farli diventare elemento comune denominatore della vita collettiva e presupposto per vivere in pace con coloro che interagiscono con noi.