sabato 31 marzo 2018

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE:ARTICOLO 85



ARTICOLO 85

“Il presidente della Repubblica è eletto per sette anni.

Trenta giorni prima che scada il termine il Presidente della Camera dei deputati convoca in seduta comune il Parlamento e i delegati regionali, per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica.

Se le Camere sono sciolte, o manca meno di tre mesi alla loro cessazione, la elezione ha luogo entro quindici giorni dopo la riunione delle Camere nuove. Nel frattempo sono prorogati i poteri del Presidente in carica.”


Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.

L’articolo 85 della Costituzione Italiana, al primo comma, stabilisce che la durata del mandato presidenziale è di sette anni. Il primo cittadino dello stato è eletto dal Parlamento in seduta comune. La Carta Fondamentale non dice nulla sulla possibilità che il primo cittadino dello stato venga rieletto al termine del suo mandato. A tale silenzio si è dedotto che nulla osta alla sua rielezione. L’unico precedente è la rielezione del Presidente uscente Giorgio Napolitano avvenuta il 20 aprile 2013. Ricordiamo che la riconferma dell’inquilino del Quirinale avvenne in un momento difficile della storia repubblicana. Il Partito Democratico, partito di maggioranza relativa, non aveva i numeri per formare un governo. La rielezione di Napolitano fu un gesto di Silvio Berlusconi, capo della coalizione Lega – Forza Italia,  volto a dare una mano a una sinistra zoppicante. Fu un gesto di apertura e dialogo, che aprì la strada al governo dell’onorevole Enrico Letta, frutto dell’accordo fra Forza Italia (la lega rimase all’opposizione) e i partiti della sinistra. In precedenza la dottrina era propensa a negare la possibilità della rielezione di un presidente. Già sette anni sono un periodo lungo, si diceva. È meglio non prolungare oltre un tale ufficio pubblico. Giorgio Napolitano, pur accettando con spirito di servizio la rielezione, sposò questa tesi e scelse di dimettersi il 14 giugno 2015, quando il nuovo scenario politico e parlamentare aveva posto le basi per la elezione di un nuovo presidente della repubblica, Giorgio Mattarella. Quale errore! Mattarella è sempre stato considerato da coloro che votano Lega e Forza Italia come il nemico. Da Presidente della Corte Costituzionale aveva censurato le leggi che garantivano la Fininvest e Berlusconi. Il mondo di destra si adirò contro tale provocazione, e votò “no” al referendum costituzionale voluto e concordato dal Partito Democratico e da Forza Italia. Berlusconi fu chiaro, la riforma del paese è possibile a patto che siano difesi gli interessi delle aziende di sua proprietà. La scelta di Renzi di eleggere al Quirinale un nemico della Fininvest determinò la fine delle riforme, naufragate il giorno del referendum costituzionale. Oggi lo scenario è diverso. Il Partito Democratico è minoranza nel paese. I nuovi soggetti politici sono più concilianti verso i bisogni di Silvio Berlusconi. Non è un caso che a presiedere la seconda carica dello stato, la presidenza del senato, sia l’avvocato Maria Elisabetta Alberti Casellati, da sempre impegnata a difendere gli interessi di Silvio Berlusconi, fin da quando ricopriva la carica di sottosegretario al ministero di giustizia. È stata una scelta precisa di Matteo Salvini e Luigi Di Maio, leader rispettivamente di Lega e M5S, per garantire il cavaliere Silvio Berlusconi. Insomma a un Quirinale ostile agli azionisti Fininvest, si contrappone Palazzo Madama difensore dei dividendi delle aziende del Cavaliere.

Trenta giorni prima della scadenza del mandato presidenziale, il presidente della Camera convoca il parlamento in seduta comune. Questa assemblea, composta dai componenti della Camera dei deputati,  del senato e i delegati regionali , è chiamata ad eleggere il nuovo presidente della Repubblica. A presiederla è, a norma costituzionale, il presidente di Montecitorio, il presidente della camera dei deputati. Il suo ruolo è importantissimo, è chiamato ad invitare tutti i grandi elettori, oltre ai parlamentari anche i rappresentati delle regioni, a sedersi in un unico emiciclo e a scegliere il futuro capo dello stato. La convocazione del Parlamento deve avvenire prima che scada il mandato del Presidente della Repubblica, per evitare un vuoto di potere. È d’obbligo sottolineare che il Presidente del Senato svolge la carica di presidente della repubblica vicario, in caso di morte o di assenza o di malattia del Presidente della Repubblica. Alla luce di questo dato si è preferito dare al presidente della camera l’onere di presiedere il parlamento in seduta comune che eleggerà il nuovo capo dello stato. Appare chiaro che durante le votazioni, la seconda carica dello stato potrebbe essere impegnata nell’annoso e delicatissimo compito di sostituire il Presidente della Repubblica, per questo motivo la Costituzione ha preferito dare al Presidente delle Camere il compito di presiedere l’assemblea scrutinante.

Se la legislatura corrente è al termine. Se la scadenza del mandato presidenziale coincide con la scadenza della legislatura. Si preferisce sciogliere le Camere, prorogare di qualche mese il mandato presidenziale e  far eleggere il nuovo presidente dal Parlamento rinnovato dalle elezioni. Questa è una deroga al “semestre bianco”, il periodo di sei mesi coincidenti con la fine del mandato presidenziale, in cui il primo cittadino dello stato non può sciogliere le camere. La dottrina e la prassi dello stato è concorde, il Presidente della Repubblica può sciogliere le Camere e indire nuove elezioni anche in prossimità della scadenza del suo mandato, se tale evento coincide con gli ultimi sei mesi della legislatura. Tale prassi è stata incisa nella Costituzione, dando la potestà al Presidente di sciogliere le camere, con la legge costituzionale del 4 novembre 1991, che la riformato l’articolo 88 della nostra Carta Fondamentale. Il secondo comma di tale articolo recita: (il presidente) non può esercitare tale facoltà (sciogliere le camere) negli ultimi mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura. Insomma è meglio che si rinnovi prima il parlamento, attraverso la consultazione di tutto l’elettorato italiano, e poi il Parlamento, rinfrancato dal consenso popolare, elegga il nuovo Presidente della Repubblica. Il semestre bianco, il periodo di sei mesi in cui il Presidente della Repubblica non può sciogliere le camere e indire nuove elezioni, è importantissimo. È volto ad evitare eventuali ricatti del Quirinale verso il potere legislativo. Non mi rieleggi, ti sciolgo e faccio eleggere un’assemblea a me più amica! Questo potrebbe essere il pensiero dell’inquilino del Colle. Ma se l’elezione delle nuove camere avviene per il naturale concludersi dei cinque anni di legislatura, appare chiaro che un eventuale ritardo nello scioglimento del Parlamento sarebbe ingiustificato. La riforma dell’articolo 88 quindi è stato un mettere ordine a una prassi costituzionale che già riteneva incongruo che non vi potessero essere elezioni parlamentari durante gli ultimi sei mesi di Presidenza. Un appunto. La scelta di far durare la carica del Presidente della Repubblica sette anni è anche volta a slegare la sua elezione dai destini della legislatura che lo ha eletto. Il Presidente non è espressione della maggioranza parlamentare che lo ha eletto. Non rappresenta gli interessi di parte. La sua funzione travalica i destini dei parlamentari che lo hanno votato. Il Presidente della Repubblica è chiamato a rappresentare e garantire l’intera nazione. Deve essere il sommo difensore del diritto e della Costituzione. Si deve far protettore dei cittadini. Ecco perché il suo mandato è di sette anni, proprio per sottolineare che il suo ruolo è altro rispetto agli interessi, pur legittimi, della classe politica che lo ha eletto. Il suo ufficio è volto a servire la Patria, non gli interessi di parte.

Scritto da Gianfranco Pellecchia

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 84



ARTICOLO 84

“Può essere eletto Presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto cinquanta anni d’età e goda dei diritti civili e politici.

L’ufficio del Presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica.

L’assegno e la dotazione del Presidente sono determinati per legge.”

Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
L’articolo 84 della Costituzione Italiana stabilisce i criteri e i presupposti affinché si possa ambire alla carica di Presidente della Repubblica. Può essere eletto primo cittadino dello stato chiunque sia italiano. Una parte della  dottrina è ritiene che anche chi è italiano, ma non appartenente alla Repubblica, perché nato all’estero ma figlio di cittadini italiani, può in teoria concorrere a ricoprire la carica di Presidente. Secondo questa tesi, insomma, la cittadinanza italiana non sarebbe un presupposto inderogabile all’elezione alla Presidenza, così derogando l’articolo 51 della Costituzione che dice che i cittadini italiani sono richiamati a ricoprire uffici pubblici. Questa tesi contrasta, evidentemente, con la scelta dei costituenti di utilizzare il termine “cittadino” per definire chi può ambire al titolo di Presidente della Repubblica. Se avessero ragione i giuristi che dicono che può essere presidente anche un “oriundo” perché utilizzare la parola “cittadino” e non semplicemente il termine “italiano”? Chi è chiamato alla Presidenza della Repubblica deve godere dei diritti politici e civili. L’interdetto dai pubblici uffici, il condannato a pene ausiliarie che implicano il divieto di assumere cariche pubbliche, non può ambire alla Presidenza della Repubblica. Il pensiero va a Silvio Berlusconi, l’uomo simbolo della destra non potrebbe essere eletto Presidente della Repubblica, incatenato da una legge che lo interdice dai pubblici uffici. È un dolore per i milioni di italiani che votano Lega e Forza Italia. Pensare che il simbolo dell’Italia che produce non possa essere primo cittadino della Repubblica è uno smacco. Il Movimento Cinque Stelle, Lega e Forza Italia hanno eletto al senato, quale presidente, l’avvocato Elisabetta Alberti Casellati, valente giurista che si è da sempre battuta a favore di Silvio Berlusconi, fin da quando ha ricoperto la carica di viceministro della Giustizia. È un segno chiaro. Un segno di riforma concreta. Basta con le leggi che inibiscono ad alte cariche chi ha commesso reati penali. Sarebbe giunto il tempo anche di cambiare la Costituzione. Dico il vero io non concordo con questa tesi. Il presidente della Repubblica, a mio parere, dovrebbe essere scevro da condanne, al pari di qualsiasi altro uomo delle istituzioni. Costatare che gli italiani la pensano diversamente da me è un dovere di onestà intellettuale.
Il presidente della Repubblica deve aver compiuto, al momento dell’elezione, i cinquant’anni. La maturità è una delle caratteristiche che lo dovrebbe rendere saggio. La saggezza è la caratteristica fondamentale per una carica che si erge a strenua barriera a difesa dei valori costituzionali. Il presidente della Repubblica assume un delicatissimo e importantissimo compito di silente moderatore fra le parti politiche. Deve facilitare il dialogo fra le forze politiche e le parti sociali, ecco perché la maturità e l’esperienza sono doti fondamentali. L’attuale presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ad esempio, ha un’esperienza e una maturità acquisita da decenni di lavoro nell’ambito del diritto. I suoi trascorsi come membro della Corte Costituzionale lo fanno uomo affidabile e ligio servitore delle istituzioni. Altri presidenti della repubblica hanno avuto un passato di servitori dello stato. Ricordiamo Carlo Azeglio Ciampi, che prima di salire al Quirinale, era stato Presidente della Banca d’Italia e Presidente del Consiglio in anni difficilissimi per il nostro paese. Ricordiamo Sandro Pertini, che prima di essere eletto alla presidenza era stato valente Presidente della Camera e soprattutto eroico Partigiano. Insomma l’età matura favorisce la salita al soglio presidenziale di persone che già si sono distinte per il loro fervore verso la patria.
Il secondo comma dell’articolo 84 chiarisce che nessuna altra carica pubblica o privata è compatibile con quella della presidenza della repubblica. Chi è eletto Presidente deve immediatamente dimettersi da qualsiasi ruolo istituzionale precedentemente assunto. Che sia Deputato, che sia Senatore, la sua carica decade. Anzi è d’obbligo dire che la decadenza della carica precedente è automatica. Se il presidente giura davanti al Parlamento in seduta comune, automaticamente decade dalle cariche assunte anteriormente. Il titolo di avvocato, medico o di qualsiasi altro lavoro professionale è da considerarsi sospeso. Il Presidente della Repubblica non può e non deve esercitare la sua professione durante il mandato, ma la dottrina è concorde nel dire che riacquista pienamente il titolo a professarle al momento della decadenza della carica presidenziale. Lo stesso vale se è dirigente o impiegato di aziende private, deve essere immediatamente considerato in aspettativa e scevro di poteri decisionali all’interno dell’azienda al momento delle elezioni, posizione che potrebbe riacquistare alla fine dei sette anni del mandato presidenziale. A meno che, ovviamente, non contrasti con la carica di senatore a vita, titolo che spetta ad ogni ex Presidente della Repubblica.
L’ultimo comma dell’articolo 84 afferma che è il Parlamento, con legge, a stabilire l’assegno e le dotazioni del Presidente della Repubblica.  Anche il primo cittadino dello stato deve i suoi emolumenti alla libera decisione dei rappresentanti del Popolo. Questo ha implicazioni istituzionali importanti. Il Quirinale, sede della Presidenza della Repubblica, per funzionare e vivere deve sottostare alla insindacabile sovranità del Parlamento che decide quanti e quali soldi versare. Esiste l’autonomia finanziaria del Presidente della Repubblica. In nome della divisione dei poteri il presidente della repubblica può gestire autonomamente i soldi che ha in dotazione, ma chi li stanzia e chi decide il loro ammontare è il parlamento. Questo è un principio cardine di tutti gli stati parlamentari. Secondo un detto inglese vecchio ormai di millenni, non ci può essere tassazione (quindi spesa pubblica) senza la rappresentanza. Questo motto è inciso nella “Magna charta Libertatum”, concessa da re Giovanni d’Inghilterra nel 1215.  Sono i membri delle camere, direttamente eletti dai cittadini, ha decidere delle finanze pubbliche e quindi anche dei soldi da tributare al Presidente della Repubblica. La stessa cos vale per il suo stipendio , l’assegno. Attualmente il presidente Sergio Mattarella guadagna la ragguardevole cifra di 239mila euro l’anno. Sergio Mattarella ha scelto di rinunciare alle pensioni di ex deputato, ex professore universitario e di membro della Corte Costituzionale. Il presidente ha introdotto per sé e per i suoi collaboratori il divieto di cumulo delle retribuzioni con trattamenti pensionistici erogati da pubbliche amministrazioni. Insomma, facendo dei conti in tasca al presidente, si può dire che Sergio Mattarella ha rinunziato a 2 milioni e 800mila euro di guadagni annui. Una bella cifra. Insomma l’attuale presidente ha operato un significativo taglio alle sue entrate personali, rinunciando a assegni pensionistici e benefit di vario genere. Sarebbe bene indicarlo come esempio. L’autonomia finanziaria del Quirinale è necessaria per rendere l’istituzione presidenziale autonoma e scevra da influenze esterne. Non deve essere strumento d’arricchimento per lo staff presidenziale. La carica di Presidente della Repubblica è importantissima. Chi la ricopre rappresenta la Repubblica e la nazione. Bisogna che lo faccia con lo spirito di servizio e con la dedizione propria di un umile servitore dello stato. Noi cittadini dobbiamo rivolgere al Presidente il rispetto e l’onore dovuto a colui che incarna la storia e la gloria dello Stato.

giovedì 29 marzo 2018

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 83



ARTICOLO 83

“Il presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri.

All’elezione partecipano tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Valle d’Aosta ha un solo delegato.

L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell’assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta.”

Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
L’articolo 83 della Costituzione è il primo dei nove articoli che compongono il titolo secondo della seconda parte della nostra Carta Fondamentale. Tale Titolo è interamente dedicato a delineare la figura e le funzioni del Presidente della Repubblica. Il Primo Cittadino dello stato ha un ruolo importantissimo. È il garante dell’unità nazionale ed è il sommo custode dei valori repubblicani. Il suo ruolo non è politico, non entra nell’agone dello scontro tra i partiti. La sua funzione travalica i tradizionali poteri dello stato. Il presidente della Repubblica non è inquadrabile all’interno del potere giudiziario, politico e legislativo. È chiamato a vegliare sull’attività di tutta la repubblica, in modo che venga garantito il rispetto delle regole democratiche fondamentali e la volontà del popolo. L’articolo 83 indica le modalità d’elezione dell’inquilino del Quirinale. La prima cosa da notare è che il Primo Cittadino dello stato non è eletto direttamente dal Popolo. È il Parlamento ad eleggerlo. Sono i rappresentanti dei cittadini, in seduta comune, a designare tale carica. A questi si sommano tre delegati per ogni Regione, solo la Valle d’Aosta, poiché ha un numero esiguo di abitanti, ha un solo delegato. Occorre notare che i delegati regionali vengono nominati dai Consigli Regionali. Ogni Regione sceglie i propri rappresentanti chiamati ad eleggere la prima carica dello stato. Le modalità di voto devono garantire che siano rappresentate anche le minoranze all’interno del Consiglio. Bisogna sottolineare che all’elezione del Presidente della Repubblica è chiamato il Parlamento in seduta comune. Non sono le due Camere gli organi costituzionali chiamati a questo compito, è un organo con proprie caratteristiche e con propria autonomia che è il “parlamento in seduta comune”. Un organo diverso anche da quello chiamato ad eleggere i membri della Corte Costituzionale e i membri del Consiglio Superiore. In questi casi il Parlamento è costituito dai membri del Senato e della Camera, mentre nell’elezione del Presidente della Repubblica vi è l’apporto prezioso dei rappresentanti delle Regioni. Insomma il Presidente della Repubblica eletto non è la mera espressione delle forze politiche nazionali, è anche il frutto delle scelte delle assemblee regionali. Il  Presidente della Repubblica è slegato da ogni rapporto con la maggioranza che l’ha eletto. Non deve dare conto alla maggioranza che l’ha eletto, ma deve rispondere all’intera nazione dei suoi atti. Il suo alto mandato non è politico nel senso stretto, è volto a compiere gli alti oneri che la Costituzione gli impone di rispettare. Anche per questo l’articolo 83 prescrive maggioranze elevate per eleggerlo. Il Parlamento in seduta comune deve raggiungere un consenso molto ampio sul candidato. Nei primi due scrutini è necessario il convergere dei due terzi dell’assemblea su un candidato per determinarne l’elezione. Negli scrutini successivi il quorum si abbassa. Comunque è necessario il consenso della maggioranza assoluta dei componenti dell’assemblea per determinare l’elezione del Presidente della Repubblica. Un quorum alto se si pensa che è stato pensato quando le i rappresentanti delle Camere erano eletti con un sistema proporzionale che favoriva la frammentazione politica. Bisogna ricordare che il parlamento in seduta comune è, per prassi e tradizione, presieduto dal Presidente della camera dei Deputati, che svolge la funzione di garante dell’assemblea parlamentare. Gli uffici di presidenza sono gli stessi della Camera, come lo sono i funzionari e gli assistenti. Insomma il Parlamento in seduta Comune mutua i regolamenti e la prassi della camera dei Deputati. In teoria potrebbe darsi un regolamento proprio, come tutti gli organi costituzionali assembleari. Ma le funzioni, meramente elettive, e i tempi, limitati all’espletamento delle funzioni elettorali, hanno scoraggiato tale scelta. Si è preferito mutuare il regolamento della Camera dei deputati.

TERRIBILE INCIDENTE SUL LAVORO


NON C'E' PACE PER LIVORNO

Ieri, 28/03/2018, un terribile incidente al porto di Livorno ha tolto la vita a due giovani. Lorenzo Mazzoni,25 anni, e Nunzio Viola, 53 anni, sono morti mentre pulivano una cisterna. All'interno c'era ancora carburante che ha preso fuoco, per i due non c'è stato scampo. E' ancora fresco il ricordo delle 9 vittime dell'alluvione del 10 ottobre scorso. Ancora una volta la città Toscana vive nel lutto un giornata tragica. Per i due operai non c'è stato nulla da fare. Sono stati arsi vivi dall'infuriare delle fiamme. I due lavoravano per la ditta Neri, che si occupa della gestione delle navi attraccate al porto. E' coinvolta anche nelle operazioni di recupero e bonifica dei rottami della nave da crociera Concordia, che alcuni anni fa affondò davanti all'isola Del Giglio. La sicurezza sul lavoro dovrebbe essere la priorità per tutti. Il governo da anni dice di voler fare una fattiva politica di prevenzione. Certo è che queste tragedie aprono grandi interrogativi sull'efficacia dei provvedimenti. In tutta Italia avvengono gravi incidenti sul lavoro. E' di pochi mesi fa il grave incendio avvenuto in una fabbrica di Milano, anch'esso latore di morti. E' un dolore immane vedere lo strazio dei parenti delle vittime, che piangono i loro cari caduti adempiendo il loro lavoro. Non deve essere concepibile che qualcuno possa perdere la vita nel quotidiano svolgersi delle sue attività. Bisogna che la cura e la protezione dell'altro sia l'elemento dominante che caratterizza ogni attività industriale. Prima il benessere e la salute, poi il denaro e il profitto. Bisogna che ogni attività sia svolta nel rispetto assoluto delle normative antinfortunistiche. Bisogna che la salvaguardia della vita prevalga. Città di grandi tradizioni cantieristiche, come Livorno, possono pensare seriamente a una rinascita, anche economica, mettendo al centro la vita e la dignità umana. Bisogna pensare alla tutela del lavoro. Livorno è stato il luogo ove è nato il Partito Comunista Italiano, nel 1921. Bisogna che lì vengano rispettati i bisogni e i diritti del lavoratore, come in ogni posto d'Italia. La città deve rinascere. I Livornesi hanno diritto ad ambire a una vita serena e felice. Non si devono più piangere morti sul lavoro in Toscana come nel resto dell'Italia.

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 82




ARTICOLO 82

“Ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse.

A tale scopo nomina fra i propri componenti una commissione formata in modo da rispecchiare la proporzione dei vari gruppi. La Commissione d’inchiesta procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria”.


Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
L’articolo 82 della Costituzione prevede che ciascuna Camera possa disporre inchieste su materie di pubblico interesse. Ciò non esclude, come avviene sovente, che le camere possano disporre, con legge o atto bicamerale non legislativo, di impegnare nell’inchiesta l’intero Parlamento, istituendo una commissione detta bicamerale. Tale commissione è composta, in pari numero, da deputati e senatori. Sia che nasca una commissione monocamerale, sia che si istituisca una bicamerale, è d’obbligo che siano rispettati i rapporti di forza fra le organizzazioni politiche esistenti all’interno del parlamento. Ogni partito deve essere adeguatamente rappresentato all’interno delle commissioni d’inchiesta. L’inchiesta è uno strumento di controllo. È volta ad accertare le responsabilità di funzionari e uomini politici, in relazione ad una situazione di pubblico interesse. Basti ricordare le inchieste sul disastro del Vajont, sul caso Sindona, sulla loggi massonica P2. Possono essere istituite commissioni d’inchiesta volte a controllare il funzionamento di un apparato dello Stato. Tempo addietro è stata istituita una commissione sulla gestione delle risorse della principale azienda industriale dello Stato, I.R.I. Vi possono essere commissioni denominate legislative. Il loro scopo è quello di compiere inchieste su specifiche realtà sociali, al fine di trovare soluzioni normative atte a superare eventuali disparità socio culturali in determinate parti del paese. Pensiamo alle Commissioni per il Mezzogiorno. Le commissioni d’inchiesta vengono istituite con voto a maggioranza semplice. Questo ha prodotto non poche polemiche. Quando fu istituita la commissione Mitrochin, nel 2002, si voleva provare le responsabilità politiche di Romano Prodi in una vicenda di spie che coinvolgeva la vecchia Unione Sovietica. Fu una commissione voluta dalla maggioranza parlamentare composta da Forza Italia (all’ora si chiamava Popolo delle Libertà) e Lega. Un modo per vendicarsi del “nemico” di Berlusconi, quel Romano Prodi che gli aveva conteso la leadership del paese. Una storiaccia fatta di ex miliziani coinvolti nella guerra Jugoslava disposti a dire qualunque cosa pur di avere compensi. Sono stati diversi i cosiddetti “reclutatori”, come Le Havre, gente disposta a dire che Romano Prodi era stato pagato dalla URSS pur di avere non chiari benefici da parte della destra italiana. Questa Commissione d’Inchiesta si risolse in una farsa. È da ricordare l’imbarazzata relazione finale di Paolo Guzzanti, presidente della Commissione, che doveva essere il censore del “traditore” Prodi e invece fu costretto ad ammettere di aver chiamato persone a testimoniare senza aver accertato la loro credibilità dibattimentale. Lo scontro si trasferì sui giornali. Da  una parte “Il Giornale”, quotidiano di propaganda di Berlusconi, e dall’altra “Repubblica”, che al contrario critica da sempre le destre. L’uno difendeva la scelta di attaccare Prodi, l’altro intendeva stigmatizzare la Lega e il Popolo delle Libertà disposti a credere a notizie false pur di mettere in difficoltà l’avversario politico. Questo forse è stato il momento più basso della storia delle Commissioni d’Inchiesta. Che in passato hanno invece avuto il compito di combattere la mafia e la criminalità. Le Commissioni hanno gli stessi poteri e limitazioni dell’autorità giudiziaria. Possono interrogare testimoni, ordinare perizie, richiedere documenti. Il loro compito è di appurare verità storiche e giudiziarie. Il fine è di chiarire davanti alla nazione eventi oscuri che hanno turbato il quieto vivere della Repubblica. Ricordiamo le commissioni sul “Rapimento Moro”. Aldo Moro, statista e giurista di prestigio, fu rapito e ucciso dalle Brigate Rosse, un gruppo terrorista di matrice marxista leninista. I punti oscuri del tremendo atto di barbarie furono oggetto di elaborazione politica e di indagine di un’apposita commissione parlamentare. Leonardo Sciascia, intellettuale e scrittore siciliano di fama mondiale, ne fece parte, in quanto eletto in parlamento,scrisse da quell’esperienza un libro memorabile: “Il caso Moro”. Sono passati Quaranta anni da quel gesto barbaro, ancor oggi non si è fatta luce interamente sulla vicenda. Una cosa è certa le commissioni parlamentari sono state fonte di nuovi elementi che hanno reso possibile ulteriori indagini da parte della Magistratura Ordinaria. Un dato su cui si può ripartire per dimostrare che l’azione parlamentare d’inchiesta può avere importanza e può contribuire realmente a scoprire verità nascoste. Sarebbe bene che lo spirito della politica, in questo ambito, fosse quello di voler far luce su verità storiche e non quello di utilizzare gli strumenti d’indagine per meri interessi di parte. Il nostro paese ha vissuto tragedie epocali. Ricordiamo la strage di Ustica, quando cadde nei mari siciliani un aereo di linea uccidendo tutti i suoi passeggeri. Quell’incidente forse non fu un incidente. Quel veivolo fu abbattuto. Da chi? Nessuno lo sa ancora! È bene che la politica faccia luce su tali tragedie, è bene che le autorità statali dicano alla nazione intera ciò che sanno e al momento nascondono per non chiari interessi politici. Questo è il compito delle inchieste parlamentari. Fare luce sui problemi dell’Italia, aprendo una discussione franca e costruttiva fra tutte le forze politiche.


mercoledì 28 marzo 2018

PRESIDENTE IN AUTOBUS


IL PRESIDENTE IN AUTOBUS
Roberto Fico, neopresidente della Camera, raggiunge Montecitorio in autobus. Niente auto blu al seguito! Una novità che sembra segnare la legislatura appena iniziata. Un cittadino con i cittadini viaggia con i mezzi pubblici per raggiungere il suo posto di lavoro. Si è voluto distinguere dalla politica tradizionale che utilizza autoblu e privilegi. Una bella novità in un panorama politico sempre dominato dal senso di superiorità verso i cittadini. Forse la casta sta facendo un passo indietro? Forse la politica si fa più umile. Speriamo. Certo che mentre la nuova presidente del senato, Maria Elisabetta Aberti, si è distinta da sottosegretario del Governo Berlusconi, per aver "sistemato" una figlia, in nome di quel privilegio che la vecchia politica rivendica con forza. Roberto Fico prova a distinguersi. Come dire: Salvini purtroppo è un interlocutore indispensabile, ma noi disprezziamo i costumi intrallazzosi di cui Forza Italia e Lega sono campioni.

I FUNERALI DI FABRIZIO

IL PAESE COMMOSSO
L'altro ieri notte, 26/03/2018, si è spento Fabrizio Frizzi. Il notissimo presentatore televisivo soffriva da tempo di una gravissima malattia, che affrontava con la sua proverbiale forza d'animo e dignità. Un morbo che non gli impediva di presentarsi al pubblico, da ineffabile intrattenitore qual'era. Oggi che non c'è più sono in migliaia a piangerlo, raggiungendo la Camera Ardente per lui allestita nel palazzo della RAI situato in viale Mazzini a Roma. Sono in tantissimi coloro che parteciperanno ai suoi funerali, che si terranno oggi, 28/03/2018, alle 12 presso la Chiesa degli Artisti, in Piazza del Popolo. Una persona simpatica, un viso gioviale, che allietava le serate e le giornate di milioni di telespettatori. Una persona che riusciva a non eccedere in esuberanza. La sua simpatia non scadeva mai nell'esasperata voglia di apparire. Era un uomo timido, attento a non ferire il cuore altrui. Appariva fuori posto quando era chiamato a fare la cosiddetta "Tv del dolore", quando giovanissimo intervistava persone in difficoltà nella trasmissione "Affari tuoi". Il suo viso appariva quello di chi vuole aiutare l'altro, non certo di chi era bramoso di curiosare nella vita altrui. Ma il vero Fabrizio Frizzi era il sorridente giocherellone che si divertiva a vedere e a far vedere bizzarre performance di perfetti sconosciuti. Forse la trasmissione che più gli somigliava era "Scommettiamo che.." trasmessa e condotta da lui con estremo successo per anni. Poi i Quiz. L'eredità, l'ultima trasmissione da lui condotta. Lo sguardo perplesso di Fabrizio davanti a un risposta sbagliata del concorrente, faceva trasparire la capacità di cogliere tutte le sfaccettature dell'animo umano che si manifestano perfino durante una trasmissione a premi. Il paese, l'Italia, sa che Fabrizio Frizzi era una brava persona. Sa che era una persona pronta ad aiutare il prossimo e non solo perché era impegnato nella conduzione della trasmissione Telethon, la maratona Rai di beneficenza, ma anche perché era un donatore di sangue e di midollo osseo, anche perché sapeva offrire se stesso per il bene degli altri. Il sorriso di Frizzi ci mancherà. Ci mancherà sapere che potremmo accendere la televisione e ascoltare il suo "Buonasera" sempre gioviale. I personaggi televisivi appaiono spesse volte come chiusi in una torre d'avorio, estranei alla quotidianità. Frizzi invece riusciva ad essere parte della nostra quotidianità, ecco perché oggi alla Chiesa degli Artisti saluteremo e diremo arrivederci a un amico che parte, che ci abbandona troppo presto. Non possiamo fare altro che piangere assieme alla moglie e alla figliola una persona preziosa.