domenica 7 febbraio 2021

CAMMINO DI REDENZIONE

 


IL CAMMINO

Quest’anno ricorrono settecento anni dalla morte di Sante Alighieri. Il poeta fiorentino spirò a Ravenna nel settembre del 1321. Dante, lo sappiamo tutti, ha scritto il sommo poema in lingua italiana, la Divina Commedia. Cosa è la Divina Commedia? Il racconto in versi di un viaggio. Il grande menestrello fiorentino immagina il suo cammino attraverso i luoghi dell’oltretomba cristiano. Immagina di visitare l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso. In questo viaggio incontra personaggi e persone di grande caratura intellettuale, morale, storica e caratteriale. I personaggi della Commedia sono di una levatura ideale ed estetica incomparabile.

Ma quello che mi preme sottolineare in questa breve scrittura è l’aspetto costante di tutte le tre cantiche, è il muoversi, il camminare. Dante nell’inferno procede verso il basso, fino ad incontrare il male assoluto, l’entità così addentra al peccato da perdere ogni individualità ontologia e a essere Male assoluto, cioè Lucifero. Dopo questo oscuro e terribile incontro, Dante, per grazia divina, rivede le stelle, ricordiamo lo straordinario ultimo verso della prima cantica. Da lì, finalmente osiamo dire, ricomincia a salire. Dante comincia ad attraversare, o meglio a scalare,  il Purgatorio, una enorme montagna che diventa la rappresentazione allegorica di una via crucis che tutta l’umanità deve intraprendere per trovare redenzione. Lì incontra uomini e donne di una dirittura etica e morale forte, ma che si sono fatti forviare da fugaci passioni perdendo, per un attimo fatale, l’amore di Dio. Ecco perché, ravvedute dal peccato, compiono un cammino di espiazione che li porterà a rivedere Dio. Possiamo dire che i protagonisti del Purgatorio siamo tutti noi che viviamo la vita mondana, tutti noi sbagliamo, tutti noi perdiamo la strada, tutti noi siamo come Dante persi nella selva oscura, ma come il poeta possiamo trovare la salvezza riconoscendo nell’etica e nel bene collettivo la nostra stessa ragione d’essere. Ecco i purganti, chi è del Purgatorio, letteralmente eliminano le brutture che hanno segnato la loro vita. Chi vi scrive è un ignorante appassionato (sarei io). Il suo riferimento, volgare, al purgante come liberatore delle vie intestinali è voluto. Come il nostro apparato rettale ci libera dalle impurità corporee, anche il purgatorio ha il compito di liberarci dall’impurità che incrostano le nostre anime. Insomma nel Purgatorio si cammina, si scala la montagna, per lasciare il fardello del peccato che ci è ostacolo nella contemplazione di Dio.

L’ultima cantica, il Paradiso, è l’esplicazione stessa dell’intero viaggio. Il pellegrino penitente, Dante, e anche noi che lo leggiamo, mondato dal peso della propria colpa si può issare, volare, verso la sommità del cielo, guidato da Beatrice che è la teologica che indica il sommo benne. Così può vedere l’empireo, può vedere i beati, i santi. Può vedere Maria, colei che è tanto splendida che il sommo fattore non disdegnò di farsi sua fattura. Scusate se parafraso maldestramente uno dei passi più belli ed ineffabili della Divina Commedia. Dopo aver visto la bellezza della beatitudine, Dante può addirittura vedere la causa della Santità, cioè Dio stesso, la cui luce infinita illumina i volti dei santi e delle sante.

Insomma la Divina Commedia è un cammino. È un avvicinarsi al senso vero ed ultimo della vita attraverso un viaggio. È un percorso di formazione del poeta, ma anche di tutti noi, per scoprire il senso profondo del suo /nostro essere umani. È un modo per conoscere i lati oscuri di noi stessi, l’Inferno, trovare gli strumenti per combatterli, Il Purgatorio, e trovare la felicità contemplativa del bene, il Paradiso. Ecco perché Dante Alighieri, a 700 anni dalla sua morte, non solo è un grandissimo poeta e intellettuale, ma è anche un maestro di vita, è una persona che ci può dire il senso ultimo delle cose e di noi stessi.

MARIO DRAGHI E I DESTINI DEL PAESE

 


SCEGLIERE

In questi giorni le sorti e i destini dell’Italia sembrano affidate alle robuste braccia di Mario Draghi. L’ex governatore della Banca Europea ha avuto l’incarico da parte del Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, di formare un nuovo governo. Oggi Draghi è chiamato a prendere decisioni, che se avranno l’avvallo del Parlamento, segneranno i destini di ognuno di noi. Il Presidente del Consiglio Incaricato sta conducendo un intenso dialogo con i rappresentanti delle forze politiche del paese. Sta incontrando la Lega, il partito che amministra le regioni che più seriamente sono rimaste colpite dalla perdurante tragedia della pandemia. I contatti con Matteo Salvini sono intensi. Ma ovviamente sono anche gli altri attori politici ad essere interpellati, il pensiero è al Partito Democratico, a Italia Viva, a Liberi e Uguali e, soprattutto, al Movimento di maggioranza relativa in parlamento: I Cinque Stelle. Bisogna fare in fretta. È tassativo trovare i numeri in parlamento per costruire un progetto di governance che permetta al paese di uscire dalle sacche prodotte dall’emergenza sanitaria ed economica.

Ecco è arrivato il momento di scegliere. Mario Draghi deve scegliere le politiche di un potenziale governo da lui guidato. Deve designare le persone che dovranno sedere nel suo Gabinetto. Dovrà individuare i ministri che il Presidente della Repubblica nominerà, ottemperando all’articolo 92, secondo comma, della Costituzione Italiana. Ma in questa fase di acuta crisi e di angoscia crescente i partiti e la politica sono chiamati ad assumersi un fardello di scelte e di responsabilità non indifferenti. È arrivato il tempo in cui è bene superare gli elementi divisivi, così ingombranti da inficiare ogni forma di dialogo fra le parti. È bene che tutti ed ognuno porti il suo contributo, espliciti le proprie idee, senza però che ciò gli impedisca l’ascolto delle  tesi altrui. Mario Draghi deve essere, non ci sono altre possibilità, l’uomo che è in grado di trovare una sintesi fra le diverse posizioni. È bene ad esempio che le richieste di democrazia diffusa e di partecipazione collettiva, che sono l’essenza stessa delle posizioni del Movimento Cinque Stelle, vengano ascoltate. Conciliare gli interessi economici pubblici e privati con un sistema inclusivo è possibile. Basta rileggere e studiare le elaborazioni euristiche sull’argomento che il compianto professore Stefano Rodotà ci ha lasciato nei suoi libri.

Rodotà ci ha insegnato che diritto ed economia non sono argomenti delle elite. Non sono materie che si studiano in polverose biblioteche ove pochi hanno accesso. Sono, non dico dovrebbero essere, ma sono elementi di dibattiti propri di tutti i cittadini. Quando parliamo di Corona Virus, di rischio di contagio, quando ricerchiamo le modalità per difenderci, parliamo dei nostri diritti (diritto alla salute ad esempio, contemplato nell’articolo  32 della Costituzione Italiana) e discutiamo di come farli valere. Dobbiamo esserne consapevoli. Ecco perché Mario Draghi deve includere nel suo programma di governo quella che viene chiamata, forzando il termine, democrazia diretta. Che è invece uno strumento partecipativo di tutta la popolazione alla scelta della politica che tuteli destini collettivi della nazione. Bisogna rompere la logica dell’elite quale piccola quota di cittadini che si arroccano davanti ai bisogni dei più. Ma è bene che l’elite sia, seguendo la visione di Antonio Gramsci sull’argomento, il volano che rende tutte la comunità delle persone protagonista dei propri destini. Insomma l’elite, il governo i partiti, non devono essere l’esplicazione degli interessi dei ricchi e dei privilegiati, ma devono essere la guida di un popolo che marcia verso un futuro, se non è possibile felice, almeno sereno. Ecco perché bisogna provare a dare fiducia a Mario Draghi, perché è il tempo che si abbia consapevolezza che o ci salviamo tutti o precipitiamo tutti. Allora Draghi non deve essere il tecnico sordo ai bisogni dei più. Deve essere l’orecchio che ascolta i bisogni di tutti, inevitabilmente poli formi, e ne deve trovare la sintesi. L’obbiettivo è che, per parafrasare una fondamentale frase di Hanna Arendt tanto cara a Stefano Rodotà, Tutti abbiano il “diritto di avere diritti”. Cioè che tutti siano parte di un concetto di stato che si fa comunità e che non lascia indietro nessuno. In questo momento storico prendersi allegoricamente tutti per mano, per evitare di cadere, è un bisogno oltre che un dovere. Mario Draghi è una speranza per il paese. Ma il fine non è e non può essere la nascita del suo governo. L’esecutivo Draghi, o al limite di qualche altro, deve avere come motore il cuore vibrate della comunità nazionale e lo scopo di regalare serenità e progresso al paese ed ad ognuno di noi.

lunedì 1 febbraio 2021

PARLANDO DI COSTITUZIONE

 


ARTICOLO 96 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Il Presidente del Consiglio dei ministri ed i ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati, secondo le norme stabilite con legge Costituzionale”.


L’articolo 96 della Costituzione Italiana, novellato dalla Legge Costituzionale del 16 gennaio 1989, regolamenta le procedure volte a chiarire eventuali responsabilità penali dei singoli ministri. Prima della riforma dell’articolo 96, i titolari dei dicasteri erano giudicati per i loro crimini dalla Corte Costituzionale integrata da sedici membri tratti a sorte da un elenco di cittadini aventi i requisiti di eleggibilità a senatore, tale elenco è rinnovato ogni nove anni dal Parlamento riunito in seduta comune. Il procedimento era simile a quello previsto nel caso in cui il Presidente della Repubblica è accusato di Alto Tradimento della Patria o Attentato alla Costituzione, in base al dettame dell’articolo 90 della Costituzione. Non a caso l’elenco dei cittadini che integrano la Corte Costituzionale è ancora valido, il Parlamento si riunisce in seduta comune per compilarlo, proprio nell’eventualità che il Presidente della Repubblica possa essere incriminato. Oggi i ministri della Repubblica sono incriminati senza alcuna autorizzazione delle Camere se hanno commesso reati al di fuori delle loro funzioni. Il compito di metterli sotto inchiesta è della magistratura ordinaria, insomma i titolari dei dicasteri sono posti alla stessa stregua dei comuni cittadini. Questa scelta politica fu dovuta all’indignazione dei cittadini che chiedevano un agire più trasparente della politica e un metodo meno macchinoso per imputare i membri del governo se sospettati di crimini. A subire le conseguenze di tale scelta è stato Silvio Berlusconi. Ricordiamo che il capo di Forza Italia e della coalizione di destra, pur ricoprendo a lungo le vesti di Presidente del Consiglio, fu incriminato per reati di natura fiscale, per l’aver creato fondi neri all’estero e per aver fatto patti leonini. Tutti gesti che chi vota Lega e Forza Italia considera atti veniali e facilmente scusabili, ma che purtroppo fanno parte del codice penale italiano. Oggi, infatti, il 35% degli italiani, coloro che votano Forza Italia e Lega, certamente non applaudirebbero alla riforma del 1989. Ad onor del vero anche un ministro del governo di Romano Prodi, presidente del consiglio di sinistra, fu indagato per una vicenda di tangenti. Il governo cadde per lo scandalo, anche se alla fine i ministri indagati, Prodi compreso, furono scagionati. Nessuno a sinistra invocò leggi speciali, leggi che tutelano gli indagati, come invece chiesero Lega e Forza Italia. Insomma i ministri della Repubblica sono indagati, come tutti i cittadini, se commettono reati comuni. Sono perseguiti dalla giustizia ordinaria, previa autorizzazione della camera di cui fanno parte se parlamentari, oppure della Camera dei Deputati se non sono membri del parlamento, nel caso commettano reati nell’esercizio delle loro funzioni di Ministro della Repubblica. Bisogna annotare una cosa. In caso di reati si natura ministeriale. Se la procura costata che un membro del governo potrebbe essere coinvolto in una inchiesta, deve, attraverso il Procuratore della Repubblica, inviare la notitia criminis ad un collegio di tre magistrati, estratti a sorte ogni due anni nel distretto della procura. Tale collegio, se non ritiene la questione infondata e non archivia l’inchiesta, la trasmette al presidente della camera competente che sarà chiamata a dare l’autorizzazione a procedere con voto a maggioranza assoluta dei suoi membri. Bisogna notare che la legge del 7 aprile 2010 aveva introdotto il legittimo impedimento, cioè il diritto del Presidente del Consiglio e dei singoli Ministri di addurre inderogabili esigenze politiche che impediscano di comparire in udienza. Questa norma di fatto bloccava i processi, costringendo a rinviarli per impossibilità dell’imputato a presenziare. Questa norma è stata ritenuta parzialmente incostituzionale dalla sentenza della Consulta numero 23 del 2011, nella parte in cui dava assoluta discrezionalità al ministro nell’addurre eventuali impedimenti a presenziare al processo, poi la norma è stata abrogata dal referendum che si è tenuto nel 2012. Insomma l’articolo 96 della Costituzione è volto a moderare il giusto diritto alla giustizia con il bisogno che siano garantite le prerogative di sicurezza dell’esecutivo in nome della divisione dei poteri che vieta un’indebita ingerenza della politica sulla magistratura e viceversa. Il Ministro non deve essere perseguito penalmente quale ferma di persecuzione contro le proprie convinzioni e attività politiche. Allo stesso tempo non può e non deve utilizzare la propria carica per impedire che vi sia un processo a suo carico. È deprecabile l’azione di Lega e Forza Italia che, durante gli anni che sono stati al governo, hanno scritto ed emanato leggi volte solamente ad impedire inchiesti a carico di propri aderenti. Ricordiamo la norma denominata “processo breve”, che in realtà impediva di indagare su reati di corruzione. È bene ricordare che l’articolo 117 della Costituzione impone al magistrato di esercitare l’azione penale, a prescindere da chi sia l’imputato. Difendere ministri e presidenti del consiglio dal loro giusto processo è atto politicamente disdicevole, anche se a farlo sono forze che coalizzate hanno raggiunto alle ultime elezioni il 35% dei voti dimostrandosi prima forza del paese.

Bisogna aggiungere che in caso di richiesta d’arresto i ministri come i parlamentari possono essere messi in cattività dalla magistratura solo ed esclusivamente se tale grave atto processuale è avallato da voto parlamentare. Non è ammesso che un membro del governo sia privato della propria libertà senza l’avvallo assembleare.

La legge denominata Severino, dal nome del ministro della giustizia che l’ha presentata alle Camere le quali l’hanno approvata, prevede che in caso di condanna definitiva di un ministro o di un parlamentare questo decada dalla propria carica a seguito di un voto, che ha mero carattere di controllo di legittimità, da parte del ramo del parlamento di cui il reo fa parte. Al momento nessun ministro in carica è stato oggetto della nuova norma. Solo l’ex presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, è decaduto dalla carica di senatore a seguito di una vicenda legata a fondi neri ed evasione fiscale. Urge notare che la decadenza ha una durata di sette anni. Attualmente Silvio Berlusconi, libero cittadino perché ha espiato la pena, ma ineleggibile alla carica di parlamentare, è entrato al Quirinale quale componente della delegazione di Forza Italia che partecipa alle consultazioni per il nuovo governo. Al prossimo incontro si presenterà al fianco di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni quale esponente del centrodestra unito. Questo fa trasparire come ben poco appele abbiano le norme anticorruzione su un elettorato che comunque vota una coalizione politica in cui si promette che un incandidabile, perché condannato per reati fiscali.

 

 

PARLANDO DI COSTITUZIONE

                                                              

  


NOTE A MARGINE DELL’ARTICOLO 96 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“il presidente del Consiglio dei ministri e i ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati, secondo le norme stabilite con legge costituzionale.”

Questo articolo della Costituzione Italiana è uno dei più latori di tensione politica. I fatti di cronaca giudiziaria, ormai è noto, si intrecciano spesso con l’attività politica. L’ultimo ministro messo sotto processo è stato Matteo Salvini, che nell’esecutivo “Conte 1” rivestiva il ruolo di Ministro degli Interni.

Ricordiamo succintamente la vicenda. Nell’estate del 2019 c’erano diverse imbarcazioni precarie che partivano dall’Africa, trasportando persone che volevano raggiungere i lidi europei, in buona sostanza la Spagna, la Grecia e, soprattutto, l’Italia. Erano barche destinate a un tragico destino, il naufragio e il conseguente bilancio di tragici lutti. Per evitare il peggio, navi private, di organizzazioni umanitarie e perfino navi militari italiane issavano a bordo i naufraghi. Matteo Salvini, in veste di ministro degli interni, vietò l’attracco nei porti italiani di queste navi, perfino navi che facevano parte del corpo militare italiano.

La procura di Catania e di Palermo quella aprirono un fascicolo per “sequestro di persona”. Il tribunale dei ministri, l’organo giudiziario istituito in ogni mandamento per avviare l’iter in caso di coinvolgimento nell’inchiesta di organi apicali dello strato, dei due capoluoghi siciliani chiese l’autorizzazione a procedere al Senato, camera parlamentare di cui l’onorevole Salvino fa parte. La richiesta della procura di Palermo fu negata. Quella di Catania fu accolta, e il processo è oggi ancora in corso.

Difficile valutare la questione giuridica da parte mia. Spetta agli organi giudiziari giudicare, almeno nel caso di Catania. Mentre la questione giuridica di Palermo è stata chiusa dalla scelta del Senato della Repubblica di non concedere autorizzazione. Quello certo è che la vicenda l’epifania di uno scontro fra politica e magistratura. Non possiamo scordare che Salvini è solo l’ultimo ministro colpito dal provvedimento di autorizzazione a procedere. In anni passati anche Bettino Craxi, esponente del PSI, anche Silvio Berlusconi, anima della coalizione del centro destra, anche esponenti di sinistra, ad esempio Romano Prodi, furono colpiti da tale provvedimento. Come non ricordare Danis Verdini indagato dai magistrati toscani e simbolo della destra di sempre, prima collaboratore di Silvio Berlusconi e oggi parte integrante della famiglia di Matteo Salvini, che è fidanzato della figlia del grande consigliere della destra.

“Non ci faremo processare” è il grido di battaglia rivolto agli elettori dal segretario della lega. Matteo Salvini chiede solidarietà agli elettori non solo per sé ma anche per i tanti martiri della Lega. Difficile leggere compitamente la realtà. Difficile capire dove è il torto e dove è la ragione. Lo scontro fra giustizia e politica ormai si dipana nella storia Repubblicana. Gli episodi in cui la magistratura ha chiesto l’autorizzazione a procedere per ministri e parlamentari sono veramente tanti. Quello del processo “Open arms” è solo uno dei tanti ricordiamo solo che l’articolo 96 è stato modificato con legge costituzionale del 16 gennaio 1989, per rendere più facile l’azione giudiziaria. Prima per avere l’autorizzazione a procedere di un ministro della repubblica era necessari il pronunciamento del parlamento in seduta comune, esattamente come avviene se si dovesse mettere sotto accusa, come dicono in America l’impicment, il Presidente della Repubblica secondo i dettami dell’articolo 90, 2 comma, della Costituzione Italiana.

E’ bene ricordare che recentemente anche un altro ministro è stato coinvolto in una questione giudiziaria complessa. È il ministro Luca Lotti, attualmente deputato, coinvolto in una vertenza giudiziaria su fatti che sarebbero avvenuti quando svolgeva la funzione di responsabile del dicastero dello Sport sotto i governi di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. È bene dire che non si è, ancora, arrivati alla richiesta di autorizzazione a procedere. L’inchiesta è ancora aperta. Allo stato di cose i magistrati non sembra vogliano coinvolgere quale imputato l’ex ministro. Ma appare chiaro che la questione politica rimane. La questione è il rapporto dialettico, spesso di scontro, fra la politica e la magistratura. Ricordiamo che il ministro Lotti sarebbe legato da amicizia con il magistrato Luca Palamara, e questi è indagato per aver gestito in maniera impropria alcuni processi influenzandone gli esiti. Se ciò fosse vero, ovviamente, sarebbe un reato gravissimo. Insomma l’articolo 96 della Costituzione italiana deve diventare un’arma fondamentale per garantire l’integrità morale dei politici e della politica. Speriamo che così presto avvenga.                 

Capire cosa sia il meglio per il paese è complesso. Si intersecano questioni Istituzionali, giuridiche e politiche. Indagare un esponente, per giunta di spicco, della politica italiana ha senza dubbio ripercussioni anche nel quotidiano contendersi dell’egemonia elettorale. La Costituzione in ultima analisi si presenta come pietra d’inciampo. È l’esplicitazione di come sia necessario affrontare le questione, anche etiche e morali, senza tirarsi indietro dietro futili schermaglie giuridiche degne di un manzoniano Azzeccagarbugli. Bisogna aver ben chiaro che giudicare penalmente e civilmente l’operato di qualsiasi persona, tanto più di un esponente politico, non spetta né ai comuni cittadini, noi, né ai colleghi dell’indagato, ma solo e unicamente alla magistratura che è sottoposta solo e unicamente alla legge. La Camera, in ottemperanza al rispetto delle garanzie costituzionali, è chiamata solo e unicamente ad appurare se ci sia un Fumus pesecutionis, cioè se il procedimento giudiziario non sia posto su basi assolutamente infondate. Ma dirimere la questione spetta solo al tribunale.  

PARLANDO DI COSTITUZIONE

 

NOTE A MARGINE DELL’ARTICOLO 96 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“il presidente del Consiglio dei ministri e i ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati, secondo le norme stabilite con legge costituzionale.”

Questo
articolo della Costituzione Italiana è uno dei più latori di tensione politica. I fatti di cronaca giudiziaria, ormai è noto, si intrecciano spesso con l’attività politica. L’ultimo ministro messo sotto processo è stato Matteo Salvini, che nell’esecutivo “Conte 1” rivestiva il ruolo di Ministro degli Interni.

Ricordiamo succintamente la vicenda. Nell’estate del 2019 c’erano diverse imbarcazioni precarie che partivano dall’Africa, trasportando persone che volevano raggiungere i lidi europei, in buona sostanza la Spagna, la Grecia e, soprattutto, l’Italia. Erano barche destinate a un tragico destino, il naufragio e il conseguente bilancio di tragici lutti. Per evitare il peggio, navi private, di organizzazioni umanitarie e perfino navi militari italiane issavano a bordo i naufraghi. Matteo Salvini, in veste di ministro degli interni, vietò l’attracco nei porti italiani di queste navi, perfino navi che facevano parte del corpo militare italiano.

La procura di Catania e di Palermo quella aprirono un fascicolo per “sequestro di persona”. Il tribunale dei ministri, l’organo giudiziario istituito in ogni mandamento per avviare l’iter in caso di coinvolgimento nell’inchiesta di organi apicali dello strato, dei due capoluoghi siciliani chiese l’autorizzazione a procedere al Senato, camera parlamentare di cui l’onorevole Salvino fa parte. La richiesta della procura di Palermo fu negata. Quella di Catania fu accolta, e il processo è oggi ancora in corso.

Difficile valutare la questione giuridica da parte mia. Spetta agli organi giudiziari giudicare, almeno nel caso di Catania. Mentre la questione giuridica di Palermo è stata chiusa dalla scelta del Senato della Repubblica di non concedere autorizzazione. Quello certo è che la vicenda l’epifania di uno scontro fra politica e magistratura. Non possiamo scordare che Salvini è solo l’ultimo ministro colpito dal provvedimento di autorizzazione a procedere. In anni passati anche Bettino Craxi, esponente del PSI, anche Silvio Berlusconi, anima della coalizione del centro destra, anche esponenti di sinistra, ad esempio Romano Prodi, furono colpiti da tale provvedimento. Come non ricordare Danis Verdini indagato dai magistrati toscani e simbolo della destra di sempre, prima collaboratore di Silvio Berlusconi e oggi parte integrante della famiglia di Matteo Salvini, che è fidanzato della figlia del grande consigliere della destra.

“Non ci faremo processare” è il grido di battaglia rivolto agli elettori dal segretario della lega. Matteo Salvini chiede solidarietà agli elettori non solo per sé ma anche per i tanti martiri della Lega. Difficile leggere compitamente la realtà. Difficile capire dove è il torto e dove è la ragione. Lo scontro fra giustizia e politica ormai si dipana nella storia Repubblicana. Gli episodi in cui la magistratura ha chiesto l’autorizzazione a procedere per ministri e parlamentari sono veramente tanti. Quello del processo “Open arms” è solo uno dei tanti ricordiamo solo che l’articolo 96 è stato modificato con legge costituzionale del 16 gennaio 1989, per rendere più facile l’azione giudiziaria. Prima per avere l’autorizzazione a procedere di un ministro della repubblica era necessari il pronunciamento del parlamento in seduta comune, esattamente come avviene se si dovesse mettere sotto accusa, come dicono in America l’impicment, il Presidente della Repubblica secondo i dettami dell’articolo 90, 2 comma, della Costituzione Italiana.

Capire cosa sia il meglio per il paese è complesso. Si intersecano questioni Istituzionali, giuridiche e politiche. Indagare un esponente, per giunta di spicco, della politica italiana ha senza dubbio ripercussioni anche nel quotidiano contendersi dell’egemonia elettorale. La Costituzione in ultima analisi si presenta come pietra d’inciampo. È l’esplicitazione di come sia necessario affrontare le questione, anche etiche e morali, senza tirarsi indietro dietro futili schermaglie giuridiche degne di un manzoniano Azzeccagarbugli. Bisogna aver ben chiaro che giudicare penalmente e civilmente l’operato di qualsiasi persona, tanto più di un esponente politico, non spetta né ai comuni cittadini, noi, né ai colleghi dell’indagato, ma solo e unicamente alla magistratura che è sottoposta solo e unicamente alla legge. La Camera, in ottemperanza al rispetto delle garanzie costituzionali, è chiamata solo e unicamente ad appurare se ci sia un Fumus pesecutionis, cioè se il procedimento giudiziario non sia posto su basi assolutamente infondate. Ma dirimere la questione spetta solo al tribunale.  

RIFLESSIONI SULLA FENOMENOLOGIA DELL'ESSERE

 


SCRIVERE.

Oggi,01/02/2021, mi è capitato di leggere sul quotidiano “La Repubblica” un articolo di Eugenio Scalfari. Il novantasettenne  giornalista fa un’ampia riflessione sulla scrittura. Il titolo del suo articolo è “Quando si arriva alla fine del viaggio”. Come si evince da questa frase il “pezzo giornalistico” vuole essere un bilancio, approssimativo, della propria vita. Inevitabilmente è l’enunciazione del valore che l’autore dà alla scrittura. Infatti Scalfari è “uno che scrive per vivere”. Parlare di come si esplicita il proprio pensiero, fa parte della formazione professionale del vegliardo giornalista.

Eugenio Scalfari arriva alla conclusione che la scrittura può avere una escatologia assolutamente differente a seconda di quale sia il mezzo con cui viene resa noto. Un conto è il pezzo giornalistico, o meglio lo scrivere per raccontare un fatto, esso deve avere uno scopo. Deve esplicitarsi una tesi, una analisi dei fatti. Altro conto è scrivere per quello che si chiama ricerca dell’assoluto. Assoluto, per Scalfari, non è una cosa che è altro da noi. Non è da ricercare nelle “idee” che esplicita Palatone nei suoi trattati, cioè entità esterne alla psiche umana che illuminano l’esistenza delle genti terrestri. Ma è all’interno della nostra mente che va ricercato l’elemento fondante della visione etica di tutti ed di ognuno. Una visione che ovviamente non è altro dalla filosofia di Emmanuel Kant, il filosofo tedesco che ha fondato sulla coscienza individuale la ricerca ermeneutica. Così rompendo la visione rigida fra analisi scientifica e visione etica. Ogni ricerca, scientifica o sulle questioni umane che sia, si basa sull’intelligenza umana. Che vuol dire, partendo dal verbo inteligere latino, leggere i moti che caratterizzano le procelle dell’esistenza.

Lo scrivere che vuole riscoprire l’anziano giornalista è proprio l’esplicitazione di quella capacità dell’intelletto di capire cosa si dipana nel proseguire repentino della vita. Trovare un senso a un susseguirsi di eventi che a primo acchito appaiono il frutto di un caso crudele e indifferente alle esigenze dell’umanità. Invece è bene ricercare in profondità. Quali sono le ragioni profonde che muovono l’esistenza propria e degli altri?. Insomma lo scrivere per esplicitare la propria anima è qualcosa che non solo è diverso da commentare le vicende di cronaca, ma è ontologicamente altro. L’essenza dello scrivere alla ricerca del proprio essere è diverso dal quotidiano commentare le vicende politiche, di cronaca, ma anche di cronaca culturale. È la capacità di mettere a nudo e di far conoscere agli altri il proprio essere, la propria dialettica interiore che si dipana nel diuturno pensare di ogni uomo e donna.

Scrivere come ricerca personale del proprio “Io” è il fine ultimo dell’arte. Ecco quale è la profonda differenza fra un’opera poetica e un saggio euristico. Questo ha il fine di esplicitare e di rendere noto quale sia il processo che ha portato alla creazione di qualche cosa umana, che sia una costruzione o una poesia. Il primo invece e l’esplicitazione dei sentimenti dello scrivente, è la capacità di trasformare delle lettere, delle parole, in forza e passione. La capacità di farsi strumento per arrivare al cuore del lettore, per fargli comprendere la bellezza dell’animo dello scrivente e fargli intuire la maestosità e le infinite possibilità dell’animo anche di chi legge. La scrittura è questo. la scrittura è tempesta e vento. È quell’elemento che travolge un apparente ordine acquisito, per poter creare le premesse per la costruzione di una realtà più bella e più compiuta. Ecco cosa è l’arte. Il riuscire a raccontare se stessi.

RIFLESSIONI SULL'ESSERE E SULLA SUA FENOMENOLOGIA

 


SCRIVERE.

Oggi,01/02/2021, mi è capitato di leggere sul quotidiano “La Repubblica” un articolo di Eugenio Scalfari. Il novantasettenne  giornalista fa un’ampia riflessione sulla scrittura. Il titolo del suo articolo è “Quando si arriva alla fine del viaggio”. Come si evince da questa frase il “pezzo giornalistico” vuole essere un bilancio, approssimativo, della propria vita. Inevitabilmente è l’enunciazione del valore che l’autore dà alla scrittura. Infatti Scalfari è “uno che scrive per vivere”. Parlare di come si esplicita il proprio pensiero, fa parte della formazione professionale del vegliardo giornalista.

Eugenio Scalfari arriva alla conclusione che la scrittura può avere una escatologia assolutamente differente a seconda di quale sia il mezzo con cui viene resa noto. Un conto è il pezzo giornalistico, o meglio lo scrivere per raccontare un fatto, esso deve avere uno scopo. Deve esplicitarsi una tesi, una analisi dei fatti. Altro conto è scrivere per quello che si chiama ricerca dell’assoluto. Assoluto, per Scalfari, non è una cosa che è altro da noi. Non è da ricercare nelle “idee” che esplicita Palatone nei suoi trattati, cioè entità esterne alla psiche umana che illuminano l’esistenza delle genti terrestri. Ma è all’interno della nostra mente che va ricercato l’elemento fondante della visione etica di tutti ed di ognuno. Una visione che ovviamente non è altro dalla filosofia di Emmanuel Kant, il filosofo tedesco che ha fondato sulla coscienza individuale la ricerca ermeneutica. Così rompendo la visione rigida fra analisi scientifica e visione etica. Ogni ricerca, scientifica o sulle questioni umane che sia, si basa sull’intelligenza umana. Che vuol dire, partendo dal verbo inteligere latino, leggere i moti che caratterizzano le procelle dell’esistenza.

Lo scrivere che vuole riscoprire l’anziano giornalista è proprio l’esplicitazione di quella capacità dell’intelletto di capire cosa si dipana nel proseguire repentino della vita. Trovare un senso a un susseguirsi di eventi che a primo acchito appaiono il frutto di un caso crudele e indifferente alle esigenze dell’umanità. Invece è bene ricercare in profondità. Quali sono le ragioni profonde che muovono l’esistenza propria e degli altri?. Insomma lo scrivere per esplicitare la propria anima è qualcosa che non solo è diverso da commentare le vicende di cronaca, ma è ontologicamente altro. L’essenza dello scrivere alla ricerca del proprio essere è diverso dal quotidiano commentare le vicende politiche, di cronaca, ma anche di cronaca culturale. È la capacità di mettere a nudo e di far conoscere agli altri il proprio essere, la propria dialettica interiore che si dipana nel diuturno pensare di ogni uomo e donna.

Scrivere come ricerca personale del proprio “Io” è il fine ultimo dell’arte. Ecco quale è la profonda differenza fra un’opera poetica e un saggio euristico. Questo ha il fine di esplicitare e di rendere noto quale sia il processo che ha portato alla creazione di qualche cosa umana, che sia una costruzione o una poesia. Il primo invece e l’esplicitazione dei sentimenti dello scrivente, è la capacità di trasformare delle lettere, delle parole, in forza e passione. La capacità di farsi strumento per arrivare al cuore del lettore, per fargli comprendere la bellezza dell’animo dello scrivente e fargli intuire la maestosità e le infinite possibilità dell’animo anche di chi legge. La scrittura è questo. la scrittura è tempesta e vento. È quell’elemento che travolge un apparente ordine acquisito, per poter creare le premesse per la costruzione di una realtà più bella e più compiuta. Ecco cosa è l’arte. Il riuscire a raccontare se stessi.