ARTICOLO 96 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA
“Il Presidente del Consiglio dei ministri ed i ministri, anche
se cessati dalla carica, sono sottoposti, per i reati commessi nell’esercizio
delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del
Senato della Repubblica o della Camera dei deputati, secondo le norme stabilite
con legge Costituzionale”.
L’articolo 96 della Costituzione Italiana, novellato dalla Legge
Costituzionale del 16 gennaio 1989, regolamenta le procedure volte a chiarire
eventuali responsabilità penali dei singoli ministri. Prima della riforma
dell’articolo 96, i titolari dei dicasteri erano giudicati per i loro crimini
dalla Corte Costituzionale integrata da sedici membri tratti a sorte da un
elenco di cittadini aventi i requisiti di eleggibilità a senatore, tale elenco
è rinnovato ogni nove anni dal Parlamento riunito in seduta comune. Il
procedimento era simile a quello previsto nel caso in cui il Presidente della
Repubblica è accusato di Alto Tradimento della Patria o Attentato alla Costituzione,
in base al dettame dell’articolo 90 della Costituzione. Non a caso l’elenco dei
cittadini che integrano la Corte Costituzionale è ancora valido, il Parlamento
si riunisce in seduta comune per compilarlo, proprio nell’eventualità che il
Presidente della Repubblica possa essere incriminato. Oggi i ministri della
Repubblica sono incriminati senza alcuna autorizzazione delle Camere se hanno
commesso reati al di fuori delle loro funzioni. Il compito di metterli sotto
inchiesta è della magistratura ordinaria, insomma i titolari dei dicasteri sono
posti alla stessa stregua dei comuni cittadini. Questa scelta politica fu
dovuta all’indignazione dei cittadini che chiedevano un agire più trasparente
della politica e un metodo meno macchinoso per imputare i membri del governo se
sospettati di crimini. A subire le conseguenze di tale scelta è stato Silvio
Berlusconi. Ricordiamo che il capo di Forza Italia e della coalizione di
destra, pur ricoprendo a lungo le vesti di Presidente del Consiglio, fu
incriminato per reati di natura fiscale, per l’aver creato fondi neri
all’estero e per aver fatto patti leonini. Tutti gesti che chi vota Lega e
Forza Italia considera atti veniali e facilmente scusabili, ma che purtroppo
fanno parte del codice penale italiano. Oggi, infatti, il 35% degli italiani,
coloro che votano Forza Italia e Lega, certamente non applaudirebbero alla
riforma del 1989. Ad onor del vero anche un ministro del governo di Romano
Prodi, presidente del consiglio di sinistra, fu indagato per una vicenda di tangenti.
Il governo cadde per lo scandalo, anche se alla fine i ministri indagati, Prodi
compreso, furono scagionati. Nessuno a sinistra invocò leggi speciali, leggi
che tutelano gli indagati, come invece chiesero Lega e Forza Italia. Insomma i
ministri della Repubblica sono indagati, come tutti i cittadini, se commettono
reati comuni. Sono perseguiti dalla giustizia ordinaria, previa autorizzazione
della camera di cui fanno parte se parlamentari, oppure della Camera dei
Deputati se non sono membri del parlamento, nel caso commettano reati
nell’esercizio delle loro funzioni di Ministro della Repubblica. Bisogna
annotare una cosa. In caso di reati si natura ministeriale. Se la procura
costata che un membro del governo potrebbe essere coinvolto in una inchiesta, deve,
attraverso il Procuratore della Repubblica, inviare la notitia criminis ad un
collegio di tre magistrati, estratti a sorte ogni due anni nel distretto della
procura. Tale collegio, se non ritiene la questione infondata e non archivia
l’inchiesta, la trasmette al presidente della camera competente che sarà
chiamata a dare l’autorizzazione a procedere con voto a maggioranza assoluta
dei suoi membri. Bisogna notare che la legge del 7 aprile 2010 aveva introdotto
il legittimo impedimento, cioè il diritto del Presidente del Consiglio e dei
singoli Ministri di addurre inderogabili esigenze politiche che impediscano di
comparire in udienza. Questa norma di fatto bloccava i processi, costringendo a
rinviarli per impossibilità dell’imputato a presenziare. Questa norma è stata
ritenuta parzialmente incostituzionale dalla sentenza della Consulta numero 23
del 2011, nella parte in cui dava assoluta discrezionalità al ministro
nell’addurre eventuali impedimenti a presenziare al processo, poi la norma è
stata abrogata dal referendum che si è tenuto nel 2012. Insomma l’articolo 96
della Costituzione è volto a moderare il giusto diritto alla giustizia con il
bisogno che siano garantite le prerogative di sicurezza dell’esecutivo in nome
della divisione dei poteri che vieta un’indebita ingerenza della politica sulla
magistratura e viceversa. Il Ministro non deve essere perseguito penalmente
quale ferma di persecuzione contro le proprie convinzioni e attività politiche.
Allo stesso tempo non può e non deve utilizzare la propria carica per impedire
che vi sia un processo a suo carico. È deprecabile l’azione di Lega e Forza
Italia che, durante gli anni che sono stati al governo, hanno scritto ed
emanato leggi volte solamente ad impedire inchiesti a carico di propri
aderenti. Ricordiamo la norma denominata “processo breve”, che in realtà
impediva di indagare su reati di corruzione. È bene ricordare che l’articolo
117 della Costituzione impone al magistrato di esercitare l’azione penale, a
prescindere da chi sia l’imputato. Difendere ministri e presidenti del
consiglio dal loro giusto processo è atto politicamente disdicevole, anche se a
farlo sono forze che coalizzate hanno raggiunto alle ultime elezioni il 35% dei
voti dimostrandosi prima forza del paese.
Bisogna aggiungere che in caso di richiesta d’arresto i ministri
come i parlamentari possono essere messi in cattività dalla magistratura solo
ed esclusivamente se tale grave atto processuale è avallato da voto
parlamentare. Non è ammesso che un membro del governo sia privato della propria
libertà senza l’avvallo assembleare.
La legge denominata
Severino, dal nome del ministro della giustizia che l’ha presentata alle Camere
le quali l’hanno approvata, prevede che in caso di condanna definitiva di un
ministro o di un parlamentare questo decada dalla propria carica a seguito di
un voto, che ha mero carattere di controllo di legittimità, da parte del ramo
del parlamento di cui il reo fa parte. Al momento nessun ministro in carica è
stato oggetto della nuova norma. Solo l’ex presidente del consiglio, Silvio
Berlusconi, è decaduto dalla carica di senatore a seguito di una vicenda legata
a fondi neri ed evasione fiscale. Urge notare che la decadenza ha una durata di
sette anni. Attualmente Silvio Berlusconi, libero cittadino perché ha espiato
la pena, ma ineleggibile alla carica di parlamentare, è entrato al Quirinale
quale componente della delegazione di Forza Italia che partecipa alle
consultazioni per il nuovo governo. Al prossimo incontro si presenterà al
fianco di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni quale esponente del centrodestra
unito. Questo fa trasparire come ben poco appele abbiano le norme
anticorruzione su un elettorato che comunque vota una coalizione politica in
cui si promette che un incandidabile, perché condannato per reati fiscali.
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