mercoledì 30 giugno 2021

LA NOTTE CELA TUTTO

 LA NOTTE CELA TUTTO

Piena notte, il suono persistente del campanello. Cavolo ma che ore sono? L’una e trenta! Chi è? La mia risposta vorrebbe essere retorica. Il mio cuore, e anche un altro paio di miei organi sanno chi insiste al campanello. È Giulia. Certo stavo dormendo. Certo è tardi. Certo domani sarà  una giornata faticosa. Però! Un rapporto sessuale con Giulia vale la pena di accumulare sonno perduto. Tanto domani, con lo smart working, si può comunque dormire, sogghigno malevolo, facendo finta di essere un impiegato pubblico fannullone. Penso a Renato Brunetta, ai suoi tornelli, una serie di cancellate di ferro create per sua volontà nei vari uffici pubblici, penso alle prigioni in cui gli impiegati non facevano nulla se non guardarsi i piedi. Una cosa è certa. Il macello della canea politica italiana ha reso possibile almeno una cosa, che personaggi del genere, cresciuti per potere ai tempi di Bettino Craxi, legittimati nel loro sistema clientelare nel regime Berlusconiano, oggi non sarebbero più. Se per assurdo Matteo Salvini, l’attuale capo della destra italiana, dovesse imporre nel 2021, faccio un esempio impossibile, Brunetta quale ministro della funzione pubblica a un novello presidente del consiglio, il popolo del nord, i veneti i lombardi i piemontesi i liguri, sarebbero in prima fila ad imprecare contro l’infausta scelta. Sarebbe quasi, dico quasi mi rendo conto che la cosa sarebbe più grave, se Attilio Fontana, presidente della Lombardia scegliesse come responsabile della gestione della crisi Corona Virus Guido Bertolaso. Salvini sa che quelle persone, che tanti danni in passato hanno portato alla nazione, condurrebbero la coalizione Forza Italia, Fratelli di Italia e Lega ad avere lo 0.0.. dei consensi. Il “popolo”, come chiamano  noi elettori i leader di destra, non dimentica.

Un altro suono di campanello. Mentre faccio monologhi e soliloqui inutili parlando a me stesso di politica, l’avventrice ha fretta di stare con me. Certo che gli debbo far capire che non può, anche in tarda sera, presentarsi vestita così succintamente nel mio palazzo. I vicini mormorano, non è una frase fatta in questo caso, è proprio così. Apro la porta, anche per farla sparire dal pianerottolo e quindi celarla da potenziali occhi indiscreti. Lei ha una vestaglietta, niente altro, una giarrettiera che non sorregge nulla, le calze non le ha. Penso: cavolo non ha freddo? Non ha neanche la biancheria intima, si vede tutto attraverso la vestaglia chiusa malissimo, o meglio rimasta aperta. Dal suo viso non traspare desiderio, ma paura. Cosa sta succedendo? Mi sconvolge il suo sguardo che per la prima volta scorgo adesso. Chiaramente non c’è voglia di me nei suoi occhi, c’è un desiderio di chiedere aiuto, a qualcuno, a chiunque, non necessariamente a me. Chiedo: cosa è successo?. Ansima. Non riesce a respirare. Gli dico entra. Vado nel mio guardaroba e gli passo un po’ di vestiti miei, gli vanno un po’ stretti, ha spalle più grandi delle mie, e quei seni abbondanti non aiutano certo ad infilare le mie camicie e a chiudere i loro bottoni. I pantaloni della tuta gli vanno larghi, ha comunque gambe più affusolate delle mie anche se tornite al punto giusto. È a questo punto il mio pisello si rifà sentire, nonostante l’atteggiamento sconvolto di Giulia. Si rizza quale soldato sull’attenti. Ma lei comincia a piangere. Ora bisogna capire cosa è successo. Gli accarezzo la folta chioma di capelli corvini. Vorrei che trovasse riposo dall’angoscia che attraversa la sua anima. La tensione sessuale scema, ora voglio solo sapere cosa gli perturba il cuore. Certo non avrei mai immaginato, nonostante conoscessi l’attività, diciamo così, lavorativa di Giulia, una rivelazione così sconvolgente. È morto, disse. Io non capii. Chi? Risposi, Tuo padre? Non ho pensato alla mamma, perché aveva parlato al maschile. Che dici! Grazie a Dio. È mentre pronunciava il nome della divinità superiore il mio pensiero andava al Canto V dell’Inferno Dantesco in cui Francesca da Rimini dice al poeta fiorentino: o animal grazioso e benigno.. se fosse amico il re dell’universo, noi pregheremmo lui della tua pace. Anche io e Giulia, come i personaggi della Commedia, Paolo e Francesca, abbiamo tanto peccato da non poter nemmeno pronunciare la parola che definisce il divino, senza che questo sia considerato bestemmia. Come Francesca dovremmo utilizzare allocuzioni dialettiche per citare la divinità. Ovviamente questo mio pensiero non l’ho esplicitato a Giulia. Però è vero. Siamo oggettivamente in peccato mortale entrambi.

Lei si è vestita con i miei vestiti, l’ha fatto di fronte a me senza alcuna inibizione, si è tolto quel poco che aveva, vestaglia, giarrettiera e niente altro e si è infilata le mie mutande, la mia canottiera, le mie calze, la mia camicetta, che come detto gli va piuttosto stretta non si può nemmeno allacciare i bottoni, i pantaloni che invece gli vanno larghi alle gambe e stretti alle vita. Le scarpe, quei poco credibili tacchi alti portati ad ora tarda, erano rimasti appena all’interno dell’uscio della mia porta, io gli avevo portato le mie pantofole, ma lei portava il 43 io il 41, quindi le andavano un tantino strette, comunque se le è infilate ai piedi, senza chiuderle con i laccetti posteriori.

Ora che si era vestita, mi siedo accanto a lei sul mio divano che è stato in quei momenti il suo spogliatoio. Mi siedo, Mi porgo di profilo a lei, la guardo con occhi fuggenti e il meno indagatori possibili. Non dico nulla. Faccio parlare lei.

Giulia inizia il suo monologo. Erano le undici, dice, niente a buono o di cattivo da segnalare. Tutto normale. Stavo vedendo un film, un poliziesco. Suona il cellulare del lavoro. Io rispondo alla chiamata con un: dimmi amore. Dall’altra parte sento un timido ciao. Beh, vieni a trovarmi o vengo io da te? Gli faccio spavalda. Il mio interlocutore risponde: vengo io, dove sei? Rispondo, come è di routin, In via Tortelli numero 20, quando arrivi chiamami, amore! Spetto qualche tempo. Niente altre chiamate, nottata moscia penso, e mi guardo l’uccello che anche lui di salire non sembra avere intenzione, sogghigno. Bisogna attrezzarsi per accontentare un po’ tutti, ma io non posso stare sempre a prendere quelle schifezze che aumentano il volume e garantiscono l’erezione a comando del pene. Non voglio morire di infarto prima del tempo. Speriamo che almeno questa volta, visto la mancanza di un folto numero di clienti, l’uccello si rizzi senza aiutini. Cavolo, pensa Giulia, sto raccontando queste cose a un tizio che conosco pochissimo, il cui rapporto si limita a due scopate fatte di corsa. Vabbé. Sono fatta così. E continua a parlare.

Racconta. Il cellulare squilla, è lo stesso numero che mi ha chiamato trenta minuti fa. La stessa voce titubante di prima dice : sono al 20, mi apri? Io rispondo: amo, vieni di fronte, al numero 35, suona al citofono Tartadesc, ti aprirò io. Neanche trascorsi tre minuti e sento bussare il campanello. Chi è chiedo io, lo so che è lui, ma non si sa mai. Mi sono distratta. Pensando al film che stavo vedendo, ho detto incurante al cliente di bussare al campanello, invece di richiamarmi sul cellulare. Speriamo che non sbagli pulsante e non disturbi qualche inquilino o proprietario. Spero tanto che abbia bussato solo a me. Comunque gli dico di prendere l’ascensore e salire all’ottavo piano. Arriva davanti al mio appartamento, scede dall’ascensore. Io lo guardo dallo spioncino per farmi un’idea di chi mi porterò “a letto”. Un tipo in là con l’età, ma non in maniera esagerata. Con i tempi che corrono un sessantenne, almeno nelle apparenze, può essere una persona piacevole. E se poi ha settanta o ottanta anni, il fatto che ne dimostri sessanta è un dato a suo favore. Certo è un po’ grassottello, ha una discreta pancetta, diciamo da commendatore, come si dice nei vecchi film di Totò e Fabrizi. Ma il suo aspetto è compito ed elegante, come i suoi abiti, cosa eccezionale in un contesto di sesso a pagamento e per giunta a tarda notte e in pieno lockdown. Poi il problema è anche che se i poliziotti volessero fare una indagine più accurata, scoprirebbero che la signora Emanuela Coviello, nata a Napoli, ha un figlio . Chissà che scusa inventa se lo ferma la polizia? Io quando ho leason fuori dal mio appartamento , metto i miei indumenti da lavoro in una valigetta 48 ore, mi vesto da “educanda”, gonna lunga e camicetta più maglione e cappotto in inverno, così se mi ferma la stradale dico che mia mamma sta malissimo devo andare a trovarla. Povera mamma, spero di non tiragli i piedi. Il problema è che se la polizia volesse guardare i miei documenti, lì troverebbe scritto “Marco Ingome”, non Giulia.

Scusa Fabio, mi dice Giulia, quando racconto mi lascio perdere dalla magia dell’affabulare e parlo anche di cose non rilevanti per il mio interlocutore. A queste parole rispondo, confuso, prego non ti preoccupare. E lei senza preoccuparsi, continua.. Allora lo faccio entrare. Nulla di strano. Gli propongo le tariffe. Cinquanta un pompino, cento mi faccio inculare, centocinquanta se ti piacciono i piaceri forti, ammicco, e vuoi essere inculato. Io queste tariffe le sparo così, disponibilissima a trattare con i clienti. Ma lui, cavolo, tira fuori dieci biglietti da cinquanta. Li mette sul tavolo. Dice: divertiamoci. Beh, io sorrido, un sorriso vero, alla Paperon dei Paperoni quando vede i verdoni. Corro dietro un separé, dico che mi devo un attimo rinfrescare, ma afferro i soldi e li metto.. beh in un mio posto segreto, che scusa Fabio, ma non dico neanche a te.  Rientro nella camera dell’alcova con la vestaglia slacciata, con il reggi calze in evidenza, così tanto per dimostrare che è vero che mi ero andata a preparare e far dimenticare al cliente che sono andata a nascondere i soldi che mi aveva appena dato.

Beh ora, caro Fabio, ti dico la verità. Mi devo impegnare, devo fare in modo che questo munifico cliente ritorni volentieri e mi regali un’altra valanga di soldi. Comincio ad accarezzagli il corpo, mentre lui è ancora vestito. Comincio a spogliarlo. Gli tolgo la giacca. Gli tolgo la cravatta. Gli comincio a sbottonare la camicia. Prima ancora di sbottonarla completamente, comincio a baciargli il petto, villoso e con i peli brizzolati, mi fa un po’ schifo, ma i soldi.. Appare divertirsi ai miei modi. Si sta eccitando. Lo vedo dalle forme dei suoi pantaloni, che all’altezza del pube sanno acquistando la forma di montagne. Mentre gli bacio il petto, abbasso le mie mani sul suo cazzo. Ora a esporre i miei pensieri sono io, Fabio: pensare che questa donna si ecciti anche con altri uomini e non solo con me mi dà fastidio e mi fa arrabbiare. Comunque ora do voce a Francesca. Lei continua. Continua la narrazione di cosa è avvenuto in questa notte, ove lei è giunta al mio uscio a implorare aiuto.

Le mie mani aprono la patta. Prendono il pisello ritto del mio cliente. Un po’ accarezzano il gambo. Giungono alle palle. Le accarezzano lievemente, sento i peli che radi crescono su di loro, rizzarsi quasi a compartecipare al piacere del signore che è venuto nel mio appartamento. Ora mi sembra pronto. Io mi inginocchio sul sui bacino e prendo in bocca il suo pisello. Non è grandissimo, ma non è nemmeno dei più piccoli che ho incontrato. Vado “a braccio”, ops a Bocca, cioè faccio quel che voglio visto che lui non mia ha dato indicazioni precise su quello che vuole da me. Dopo che ho preso tutto lo stelo, fuin quasi a vomitare, mi concentro sul glande, rosso e bello grande. Prima lo bacio, con un bacio “casto”, che ridere, cioè semplicemente accostando le mie labbra sul suo prepotente rosso scarlatto. Poi lo mordicchio. Lui è felice.

Giulia smette di parlare. Capisco che questo è l’apoteosi, il climax, del racconto. Qualcosa succede che cambia i destini del sessantenne in cerca di emozioni forti, e, forse, anche della transessuale che si paga da vivere avendo incontri con sconosciuti. Giulia continua a parlare. Cambia tono. Per me i racconti delle sue scopate sono di per sé un fatto eccezionale. Ma capisco che per lei quello che ha raccontato è la norma, il normale lavoro che può avere una qualche variazione, ma che è in fin dei conti lo stesso con il mutare dei giorni, dei mesi e, forse, degli anni. Quello che racconterà da adesso in poi invece è l’eccezionale, l’orribile e lo spaventevole. Mentre gli stavo facendo un bel bocchino, e quel “bel” si capisce vuole ancora sottolineare che quel che sta succedendo in quella casa è per lei la normalità, parla di bocchino come il potrei parlare con Francesca di pratiche esattoriali, di un bel lavoro concluso con ottimi risultati, penso: però che tristezza. Ma intanto continua a parlare. Dice. Si spalanca improvvisamente la porta del mio appartamento. Tre uomini afferrano il mio cliente. Un quarto mi prende letteralmente per il culo e mi solleva dalla posizione “a pecorina” che avevo assunto. Mi dà un forte pugno in faccia, mi assesta un forte calcio all’inguine. Io rimango per terra dolorante, tramortita, quasi svenuta dal dolore. I tre uomini cominciano a martellare, con calci e pugni, il corpo del mio amante a pagamento. Gli vogliono rovinare il viso, il corpo, lo voglio far diventare sangue. Uno di loro prende perfino una spranga di ferro, che nascondeva sotto il cappotto, la usa come un randello che cade con fare sistematico e continuo sulla testa senza soluzione di continuità. Io intanto mi riprendo pian piano dal terribile colpo che quell’individuo mi ha inferto. Dovrebbe tenere gli occhi su di me, ma lo vedo distratto dal “lavoro” degli altri uomini. La porta è aperta. Scappo. Lui mi vede. Mi afferra il braccio. Ride. Si abbassa i pantaloni. Accosta il suo cazzo sui miei glutei scoperti, lasciati nudi dalla vestaglia che è ormai lacera. Gli altri tre alzano gli occhi dal loro lavoro di morte, dicono, lasciane un po’ anche per noi e sghignazzano. Il mio “custode” dice: Brutto ricchione ora ti faccio sentire cosa vuol dire essere donna inculata da un forte maschione. Sento il suo pisello che entra nel mio ano. Non ho mai provato una sensazione del genere. E’ allo stesso tempo un dolore fisico e una sensazione di pura paura. Uno stato di stress psicologico che si abbina a una percezione di male concreta. Continua a spingere. Sento il suo uccello entrare nel mio ano, e mi fa male. Mi afferma i seni e li stringe con violenza. Mi procura solo dolore, niente altro. Cerco di divincolarmi, non ci riesco. Lui spinge, su e giù, con ritmica frenesia. Poi arriva, sento il suo sperma penetrare nei miei interpizi. Sento che si sta rilassando. La sua presa si allenta. I suoi amici, lasciato atterra immobile il poveruomo, vorrebbero fare lo stesso. Si stanno muovendo verso di me. Il scappo a precipizio, esco dalla porta di casa, di casa mia, come se fossi io l’intruso scoperto, mi precipito a rotta di collo per le scale. I carnefici si affacciano sul pianerottolo, desistono ad inseguirmi. Mezza nuda e con tanto dolore sono giunta da te

UNA STORIA SBAGLIATA 1 CAPITOLO

 


“Che palle”. È un’espressione che racconta bene la mia esistenza, o meglio la mia non esistenza, in questi mesi di lockdown. Chiuso in casa. Certo come la maggioranza, la quasi totalità, delle persone. Anzi senza dubbio sono fortunato. Chi non può stare chiuso in casa sono i barboni, i senza tetto, gli ultimi. In questi giorni non solo devono fare i conti con la loro vita precaria, ma anche con il morbo. Poi ci sono i medici, gli infermieri che sono in giro per curare chi sta male, per prendersi cura di chi ha bisogno.

Insomma io che sto a casa, tranquillo, ma preoccupato, sono fortunato. Aspetto, guardo la TV, mi siedo dietro una tastiera tanto per passare il tempo. Insomma questo virus, il corona virus, non ha cambiato la mia vita, l’ha rattrappita. Non c’è più niente nel mio quotidiano, se non il mangiare, il dormire. Il resto della mia attività giornaliera non esiste. Non si può certo chiamare attività il giocare all’insulto fra utenti di un social network, sogghigno.

Ma cosa succede? Quello che non dovrebbe essere, è. Un suono strano, irreale, che non dovrebbe esserci, si fa largo nell’etere nel mio appartamento. Il campanello sta suonando. Non so chi sia, mi dico guardando dallo spioncino. In teoria non dovrei aprire, anzi non apro. Sai che faccio? Chiedo chi sia attraverso la protezione della porta che non dovrebbe far passare microrganismi patogeni ed altri pericoli.

“Chi è?”, chiedo con un accento il più distratto possibile. “Sono Giulia”, è la risposta che giunge da dietro lo stipite d’ingresso del mio appartamento. Si va bene, ma Giulia chi?, penso ma non dico. “Cosa è successo?”, provo a rispondere. Penso se non ci fosse stata la pandemia e se una ragazza, come sembrava giovane la figura femminile fuori alla porta, avesse bussato alla porta la domanda giusta da farle sarebbe stata “cosa desidera?” magari augurandosi che il suo desiderio fosse conoscerti. Ma con il Coronavirus che impazza, con i casi in aumento, trovare una persona che bussa alla porta di un estraneo appare senza dubbio come una minaccia. Anzi potrebbe avere con lei dei complici pronti ad aggredirmi e a derubarmi, appena apro gli infissi. Non che i ladri prima non ci fossero, anzi le statistiche dicono che i furti con la pandemia sono diminuiti, ma che cosa si dovrebbe pensare in questi frangenti? L’unica spiegazione al bussare alla porta di una donna è che questi porti un pericolo imminente.

Comunque continuo a guardare dallo spioncino. Certo è una bella ragazza. Certo non l’ho mai vista prima, almeno non mi ricorso di averla conosciuta. Una come lei, mi dico, se l’avessi già incontrata me la ricorderei. Cavolo potrebbe essere una vicina di casa che vuole un po’ di zucchero. Certo credevo di conoscere tutti nel palazzo, ma.. magari un trasloco fatto in fretta che mi è sfuggito.

Ora vado a mettermi la mascherina e apro!. Lei non l’ha. Che faccio apro lo stesso? Non ci avevo pensato a questo dettaglio che poi non è un dettaglio. Una donna bussa alla porta di uno sconosciuto, per giunta senza la mascherina in un tempo di pandemia. Gli effetti potrebbero essere devastanti. Lei potrebbe avere il virus.

Bah! Apriamo! Mantenendo le distanze.. Questa precauzione potrebbe essere anche efficace nel caso che costei, con o senza complici, voglia aggredirmi. Io potrei repentinamente chiudere la porta, vedendo la presenza di altra gente, magari nascosta dietro i muri delle rampe delle scale, prima ancora che possano agire bloccandomi ed impedendo ogni mia azione di difesa.

Comunque da costei non ho avuto alcuna risposta alla domanda: cosa è successo? Chiaramente attende l’apertura del soglio del mio appartamento, cavolo soglio come soglio papale, per continuare a proferire parola. Che fare? Certo che sto diventando proprio nevrotico. Guardo ogni azione altrui come se fosse un’aggressione nei miei confronti. Mi giustifico. Certamente è colpa del fatto che in questi tempi tutti i mass media presentano ogni interrelazione fra persone un pericolo. Ci sono esperti che consigliano l’uso della mascherina persino in casa, fra familiari, fra marito e moglie, perfino a letto. Figuriamoci se non bisogna essere prudenti quando si incontrano persone estranee al proprio ambito familiare.

Certo che io rischio! Apro la porta!

Aperta la porta, cambia l’orizzonte della mia esistenza. Colei che si è presentata pochi istanti fa come Giulia, entra repentinamente nel mio appartamento. Non mi dà il tempo di compiere alcun gesto o movimento. Richiude la porta. Si mette in ginocchio. Usa le mani. Con la mano destra abbassa la cerniera dei miei vecchi blue jens. Cavolo non mi ero accorto che il mio pisello era già in erezione, fin da quando l’avevo vista dallo spioncino.. forse. Certo che è ora il mio cazzo “era a piede libero”, cioè fuori dalla portella dei pantaloni, ma sottomesso, quasi fosse uno schiavo, alle sue mani. Certo che invece di piegarsi, come fanno i sottomessi, si rizzava ancora di più, se possibile, davanti al “lavoro” di Giulia.

E ora lo schiavo ritto in piedi, quale fosse Spartaco che si ribella ai romani, e la matrona sottomessa in ginocchio davanti alla possanza della servitù, si incontrano. Giulia apre la sua bocca. Accarezza con le sue labbra il mio glande. In un secondo di raziocinio penso: ora anche l’Aids.. non stiamo usando alcuna protezione. Ma poi mi perdo al pensiero che prima o poi toccherà ad altre sue labbra, poste più  giù nel suo corpo, sentire e contenere le forme del mio pesce. Un sorriso si spande sul mio labbro. E mi perdo per sempre.

Intanto Giulia continuava. Mentre aveva iniziato a baciare e a leccare le parti superiori del mio membro riproduttivo, ora con un movimento ondulatorio della testa, che in realtà coinvolgeva tutto il suo corpo sinuoso, aveva preso in bocca tutta l’asta, chiamarla così va bene? Insomma mi stava facendo un lungo e profondo bocchino.

Ah! Ah! Purtroppo non ci ho messo tanto tempo. Sono arrivato. Non sono un grande performer. Lei si rialza. Ha la bocca sporca del mio liquido spermale. Ora dovrò sapere, per forza, qualcosa di più della misteriosa, Giulia. La mia mente in quel momento aggiunge: purtroppo. In quel momento, col pisello ammosciato e con la stanchezza che produce il termine di un qualsiasi rapporto sessuale, anche se repentino, vorrei solo che lei se ne andasse e io andassi a letto a dormire. Tristezza delle abitudini sessuali del maschio in generale o sono io che sono uno squallido individuo, che dà una botta e via?

Certo a guardarla bene ha delle spalle muscolose. Sembrano più grandi delle mie, e forse lo sono. Deve essere una nuotatrice, magari una che si è allenata per ore al giorno nella vasca di una piscina. Certo che sono proprio antico. Si il nuoto rende le spalle possenti a tutti e a tutte coloro che lo praticano. Ma ci sono tante attività, oggi, atte a raggiungere lo scopo. Se fosse una neofita del body building si spiegherebbero le spalle grandi, ma non ancora pienamente muscolose. Comunque queste osservazioni mi hanno riacceso la curiosità verso il suo corpo.

Magari si togliesse la camicetta. Vediamo le spalle, certo, ma anche le tette. Poi che cavolo sarebbe triste se se ne andasse solo avendo fatto un fugace incontro di sesso. Meglio conoscerci.

Certo che queste idee che mi frullano per la mente dimostrano che la spossatezza postgoito sta passando. Sto riprendendo le forze. Sto riprendendo anche a vedere Giulia come un oggetto di piacere sessuale. Insomma pian piano sto attrezzandomi per una seconda leason con lei. Sono rapido nel riprendermi, ma devo fare in fretta prima che decida di andarsene, di lasciare dietro di sé l’incontro fugace con me.

Ma ecco la prendo. Punto alle labbra inferiori, alle grandi labbra, quelle che accendono la passione. Questa volta uso io le mani, come aveva fatto lei solo qualche istante prima. Penso: non è ancora dritto come prima, ma grazie al tocco del suo corpo il mio pene può riprendere immantinente vigore. Mi accingo  a toccarle la vagina.

Cavolo che cosa succede? Mi sa che ho sbagliato tutto. La mia vita è perduta. Al posto del monte di venere, c’è un oggetto che non dovrebbe essere. In realtà più grande del mio. Come è possibile? Una fattezza così femminile, dei lineamenti delicati anche se strabordanti di passione. Eppure è così. Tutto poi è lampo e tempesta.

Lei, forse dovrei dire lui, mi prende. In un lampo strappa i suoi vestiti, e appaiono due seni prosperosi e imponenti, ma appare anche nella sua magnificenza un cazzo di quasi trenta centimetri, non so potrei sbagliarmi travolto dal groviglio di emozioni e sensazioni che in quel momento il mio corpo sta provando. La mia casa è piccola. A poche decine di metri dall’ingresso c’è la mia camera da letto, una camera da sigle. Giulia la vede. Ambedue nudi, mi ha strappato ogni vestito, ci spinge sul mio letto. Non dice più nulla. Ora sento i suoi seni prosperosi che si urtano ritmicamente sulla mia schiena. Sono un massaggio devo dire il vero. Sono un colpo di piacere e di passione. Ma quello che avviene un po’ più giù è sconvolgente. Il suo grande pene sta penetrando nel mio ano. Lei sente che il mio uccello si sta risvegliando definitivamente. Mentre continua a battere ritmicamente sul mio corpo, prende con la mano il mio pene. Mentre il suo sta perlustrando il mio culo, il mio cazzo sta arrivando a una seconda eiaculazione.

Incredibile, sono già arrivato, pur essendo la seconda volta in poco tempo che tocco l’orgasmo. Ora sono in completa sua balia, che invece continua a spingere nel mio retto. I suoi seni mi toccano la pelle, il suo apparato genitale mi penetra fin in fondo nelle profondità del corpo. Sono completamente sua. Non ho più inibizioni, non ho più preconcetti. Ora mi accingo a prenderle il cazzo, mi divincolo e lo faccio uscire dal mio culo, ma non per ribellarmi al suo atto di prepotenza, ma per apparire ed essere ancor più sottomesso. Lo afferro con le mie mani e mi diverto a giocare.

Cosa sarà della mia esistenza, quale cambiamento procurerà questo stranissimo e inaspettato incontro? Staremo a vedere. Intanto mi perdo in questo conturbante gioco di ruoli che è la sessualità.  

 

domenica 27 giugno 2021

RIFLESSIONE SUI DIRITTI

 


CRESCERE NELLA DIVERSITA’

Come la gran parte di coloro che vivono in questo paese, anche io sono cresciuta secondo i valori del cattolicesimo. In soldoni vuol dire che i miei genitori, una donna ed un uomo, si sono sposati in chiesa, hanno battezzato me e mio fratello, ambedue abbiamo fatto un percorso di catechesi che ci ha portato ad avere i tre sacramenti che solitamente si hanno da bimbi e ragazzi: la confessione, la comunione e la cresima.

Ora ho fatto questa premessa, perché mi accingo ad accennare a una questione che è molto più grande di me. La questione dei diritti personali. La questione è se è giusto o meno che vi sia una legge che persegua coloro che si esprimono un azioni e con idee contro gli omosessuali e i transessuali. La proposta di legge è stata presentata dal  deputato Alessandro Zan e fatta propria dal governo, prima da quello Conte poi da quello Draghi diventando così un disegno di legge. Il testo è stato approvato dalla Camera, e ora è in discussione al Senato.

La Legge, se approvata, introduce tre nuove fattispecie di reato, l’istigazione a commettere atti di discriminazione a causa delle abitudini sessuali della vittima, la violenza o atti di violenza causati da discriminazioni a carattere sessuale e il perseguimento penale della formazione di gruppi, movimenti o associazioni volte all’istigazione e all’incitamento di comportamenti atti alla discriminazione e alla violenza per motivi di carattere sessuale.

La legge prevede pene che vanno da un’ammenda di 4000 euro alla reclusione per 6 mesi.

Ora i denigratori della legge parlano del fatto che essa potrebbe ledere i principi esposti nell’articolo 21 della Carta Costituzionale dell’Italia, che garantisce la libertà di pensiero e la sua espressione. Insomma, difficile non dargli torto, la difesa dei diritti degli omosessuali ad non essere oggetto di discriminazione, potrebbe ledere il diritto di chiunque ad esprimere una sua opinione e anche un suo profondo convincimento sulla moralità di alcuni comportamenti sessuali. Pensiamo subito alla chiesa che censura profondamente la omosessualità, fino al punto da considerala un peccato.

Per semplicità espositiva dico che è la questione, vecchia quanto il diritto, del dover distinguere fra cosa sia una libera e legittima opinione verso l’altro e la calunnia. Ogni giorno il giornalismo affronta questo tema. Parlare di alcuni comportamenti o atteggiamenti dei politici è una calunnia oppure il legittimo esercizio della libertà di stampa? Comprenderete che non è un dibattito sul sesso degli angeli, pensando al decreto Zan il paragone è pertinente, ma una reale ricerca di equilibrio fra due diritti parimenti tutelati dalla Costituzione, la libertà d’opinione e il diritto a non essere discriminato, diritto sancito con forza dai nostri padri costituenti nell’articolo 3 della carta fondamentale. Allora appare comprensibile la preoccupazione della Chiesa Cattolica, e di Papa Francesco in persona, che vede in alcune sanzioni previste dal disegno di legge Zan una vera censura non solo alle opinioni, ma anche ai valori fondanti della Ecclesia universale sul tema della famiglia e dei rapporti amorosi. Ma allo stesso tempo non può apparire urgente la tutela delle persone che sono discriminate nel sociale solo perché omosessuali o lesbiche o transessuali.

Un equilibrio, azzardo, lo devono trovare i giudici chiamati ad applicare la legge quando sarà approvata, ma bisogna che questi siano aiutati da diretti esplicite del parlamento. Insomma i giudici non devono essere lasciati a se stessi nell’applicazione della legge. Sempre se tale legge sarà alla fine approvata anche dal senato e poi emanata dal Presidente della Repubblica. Ma devono avere indicazioni forti e precise, e ovviamente queste devono essere coerenti e conformi ai dettami della Costituzione.

Insomma dobbiamo credere che ci potrà essere una legge che rispetti prima di tutto l’architettura normativa della nostra Repubblica. Che in seconda analisi, seconda in ordine di enunciazione da parte mia ma è la più importante, che rispetti in maniera assoluta e totale senza compromessi i diritti fondamentali dell’uomo enunciati e tutelati dalla prima parte del testo costituzionale italiano. E poi rispetti le plurali sensibilità che caratterizzano la società civile, culturale e religiosa italiana. Il cattolicesimo, ho raccontato in incipit la mia formazione, è il cardine dell’essere persona della maggioranza di noi. I suoi valori, anche la sua idea di male e bene, non possono essere ignorati dallo stato, anche se la Repubblica deve essere plurale e laica, cioè non può agire come se non ci fossero nel nostro paese codici etici diversi da quello cattolico.

Insomma libertà è per tutti. Libertà di vivere la propria vita, anche dal punto di vista sessuale, senza correre il rischio di subire discriminazioni e linciaggi, questo è il sesso che anima la legge Zan. E allo stesso tempo libertà di avere un codice di valori che considera male l’omosessualità e che considera peccato praticarla, senza però che ciò voglia dire discriminare chi invece trova in certi comportamenti, che vanno oltre al mero atto sessuale e che caratterizzano la vita di molti cambiandola e, spesso, compiendola in meglio. Insomma bisogna credere che chi considera peccato l’omosessualità, che sia cristiano o musulmano o di altro credo, non perseguiti il “peccatore” (l’omosessuale) ma magari stigmatizzi  il peccato (l’omosessualità) senza discriminare le persone. Coraggio una legge giusta, fondata sul pluralismo e sulla democrazia è possibile, La legge Zan può far crescere in meglio la società della nostra Italia.

domenica 20 giugno 2021

MORTE DI UN SINDACALISTA

 


DOLORE SOLO DOLORE

Difficile trovare la giusta espressione per raccontare la perdita di una vita. Troppo spesso si rischia di perdere il senso della misura oppure si utilizza troppo la pacatezza fino a non rendere il giusto tributo al dolore dei famigliari.

La morte di Adil Belakhdim, sindacalista sicobas, è avvenuta mentre si stava svolgendo una manifestazione di lavoratori davanti ai cancelli della ditta LIDL, nota catena di distribuzione, a Biandrate in provincia di Novara. La ditta che fornisce il servizio di logistica al sistema di distribuzioni di merci LIDL aveva deciso di ridurre il personale, che nel frangente non sarebbe sotto tutela del “divieto di licenziamento” che comunque scadrà a breve, il 30 giugno. Afil era davanti ai cancelli, assieme ai suoi colleghi. Chiedeva solo di poter continuare a lavorare. È stato investito da un camionista, che oggettivamente anche lui voleva semplicemente lavorare. Mi spiego. Era un camionista che aveva il proprio camion pieno di merci e voleva semplicemente effettuare la consegna per cui era pagato. Un errore probabilmente, una svista, ha reso la tragedia inevitabile, venerdì 18/06/2021, decide l’autista di entrare nei cancelli del supermercato, non si accorge che davanti a lui c’è Adil che armato solo di una bandiera prova a fermare il mastodonte delle strade. L’autista travolge il sindacalista. Questi spira. Lascia una moglie, Lucia Marzocca, e due figli ancora piccoli.

Difficile esprimere sentimenti così dilanianti, che sono quelli che provocano un tale fatto di cronaca. Possiamo individuare solo vittime. Solo pianto e dolore sono nei fatti raccontati. Il dolore del camionista che è schiacciato dal peso della colpa di aver ucciso un uomo. Il dolore della giovane donna, sposa e madre, che non potrà più rivedere Adil. Il dolore dei due figli, di appena 4 e 6 anni, che dovranno crescere senza la presenza sicura del proprio padre.

Ora tutto appare difficile. Tutto appare troppo grande per ognuno di noi. Il virus, la pandemia, ha prodotto anche degli effetti devastanti dal punto di vista socio economico. È inconfutabile. La morte di Adil è solo un tragico epifenomeno di una situazione che sta portando non solo incertezza nel futuro, ma già oggi un reale impoverimento di milioni di famiglie italiane. Basta vedere che la stessa sorte di Adil è comune ai suoi compagni di lavoro, che con lui manifestavano, è comune a persone impiegate nel settore terziario che la pandemia ha colpito duramente. Anzi è un tragico gioco di destino che sia proprio la logistica  ad aver fruttato maggiori profitti, e sia proprio il settore logistico che minaccia licenziamenti. Adil chiedeva solo questo, che un po’ dei profitti che le società avevano guadagnato fossero utilizzate per garantire sicurezza e lavoro agli impiegati del settore. Ed è stato investito.

Ora cambiare è possibile. È possibile, perché gran parte, ad esempio, dei profitti che gli azionisti delle grandi imprese stanno incassando lo devono ad un supporto forte dello stato italiano e degli stati del mondo. Sono soldi che gli stati nazionali hanno dato alle imprese per continuare ad esistere. Ora è giusto che gli stati chiedano il conto. Eri in difficoltà azienda, ti abbiamo aiutato! Ora è giusto che come noi abbiamo garantito che tu non perda profitti, tu garantisca il lavoro di chi vive in Italia. Ora a fine giugno finirà il blocco dei licenziamenti, voluto dal governo per fronteggiare l’emergenza. Vedendo cosa sta succedendo fin da oggi, appare senza dubbio una scelta sbagliata. Un dare la possibilità alle grandi imprese di pensare agli azionisti e non ai lavoratori. Sembra che la storia si ripeta sempre, c’è crisi, chi ha la peggio sono i più deboli: le donne, i disabili, i lavoratori senza una specializzazione. Insomma Adil è morto. Ma disteso sul selciato assieme a lui, c’è la dignità e il diritto di ogni lavoratore e lavoratrice.

domenica 13 giugno 2021

SANT'ANTONIO

 


SANT’ANTONIO

Oggi, 13 giugno, la chiesa cattolica ricorda la nascita al cielo, cioè la morte terrena, di sant’Antonio da Padova. Senza dubbio uno dei chierici più importanti e che hanno lasciato un segno indelebile nella storia del Medioevo e non solo.

Antonio nacque il 15 agosto 1195, Al secolo, cioè come laico, si chiamò Fernando Martin de Bulhoes. Era un rampollo di una nobile e potente famiglia portoghese. Era di alto lignaggio. Vide la sua prima luce a Lisbona, fin dall’ora capitale e cuore pulsante dello stato iberico.

Era destinato ad avere un futuro quale grande condottiero e leader politico del suo paese, visto l’importanza della sua famiglia. Ma la sua gioventù coincise con i fulgidi anni della predicazione di Francesco d’Assisi, che umile fra gli umili, povero fra i poveri, comunicava alla intera comunità cristiana il suo messaggio di pace e di speranza. Fu la eroica e sfortuna opera di missione di tre francescani, mandati per convertire le genti del Marocco, e purtroppo uccisi dall’emiro locale,  a convincere Fernando a vestire il saio francescano a cominciare la sua nuova vita di predicazione con il nome monastico di Antonio.

Antonio incontrò personalmente Francesco il 1221, si recò come centinaia di altri seguaci del poverello di Assisi alla Porziuncola, la prima chiesa costruita da Francesco, per un concistoro volto a definire le finalità e, soprattutto, l’essenza ontologica dell’ordine francescano: volto interamente alla contemplazione di Dio e l’assistenza dei bisognosi, abbracciando, per citare le parole di Francesco, sorella Povertà.

Da quel fatidico 1221 la vita di Antonio cambia ancora più radicalmente. Non tornerà mai più in Portogallo. La sua prima missione, il suo primo incarico quale francescano, fu quello di riportare alla fede vera i catari e i patarini. Questi erano due movimenti religiosi che predicavano, come i francescani la povertà e la preghiera, ma a differenza dell’ordine fondato dal Poverello d’Assisi scelsero di uscire dalla comunità della Chiesa universale e di disconoscere il potere del papa. Ma è bene e indispensabile ricordarlo, Antonio non fece mai parte delle Crociate contro gli eretici. Le crociate erano imprese militari che avevano come obbiettivo, purtroppo riuscito, di uccidere gli eretici, come avvenne in Francia e in Italia Settentrionale. Antonio invece intendeva convertili alla Verità con la razionalità e l’esempio della fede. Purtroppo ci riuscì in parte. Nel senso che la sua predicazione dovette cedere il passo alla violenza delle armi. Mentre Antonio andò a Padova dove fondò una comunità francescana che è ancora oggi faro luminoso del mondo, gli eserciti famelici sterminarono gli eretici senza pietà.

Antonio pose le basi per un sistema di predicazione che pacificamente propagandasse il messaggio della Chiesa Cattolica. Invece la violenza politica degli eserciti scelse lo scontro che determinò la morte di uomini e, cosa orrenda, donne e bambini.

Ma quello che rimarrà per sempre è l’opera di predicazione e di supporto umano che Antonio profuse a Padova. Stabilitosi ormai definitivamente nella splendida città Veneta, Antonio lasciò un segno indelebile. La magnifica basilica che basilica che oggi porta il suo nome e conserva le sue spoglie mortali non sarebbe. Padova, forse, avrebbe conquistato minor prestigio se lui non fosse stato. Certo l’Università di Padova era già, ed ancor oggi rappresenta nel mondo un avamposto di ricerca in tutti i campi dello scibile umano. Ma forse avrebbe avuto meno prestigi, avrebbe richiamato a sé un minor numero di dotti e di studenti se non fosse stata la schola (detto in latino) della città del santo che rimarrà per sempre icona e simbolo di tutta la devozione in Veneto. I pellegrini di tutti il mondo vengono oggi a Padova non solo per fede, cosa importantissima, ma anche per profonda fame di cultura.

Antonio morì nella sua Padova. Circondato dai suoi confratelli e da tante fedeli a lui devote a Camposampiero, un paesino del Padovano. Le cronache dicono che faceva fatica a respirare. I medici di oggi hanno di conseguenza pensato che possa essere spirato a causa di una forma di asma. Poco importa il motivo per cui sia morto. Quello che ha rilevanza è che la sua vita e la sua morte ha significato lo sbocciare di un afflato nuovo in tutta la società dell’epoca, una spinta di rinnovamento etico che ancora oggi spinge a sperare nel futuro fiduciosi nel suffragio si Sant’Antonio.

Un’ultima cosa. È d’obbligo ricordare che uno dei più importanti pellegrini che giunsero a Padova fu Dante Alighieri. Il vate, di cui quest’anni si celebrano i 700 anni dalla morte, fu ospite degli Scaligeri ,i signori della città, proprio mentre il santo portoghese operava nella città euganea. La devozione verso il santo di dante traspare perfino nella Divina Commedia. Insomma Antonio fu il faro in un’epoca buia. Fu il centro di un movimento teologico e culturale che pose le basi per il Rinascimento. Ricordarlo, ricordare le sue opere, non è solo un atto di fede, ma è un riconoscimento del suo profilo etico, morale e intellettuale che ha permesso la nascita e lo sviluppo di quel movimento intellettuale che noi oggi chiamiamo umanesimo. Auguri a tutti coloro che hanno lo stesso nome del santo, che secondo la tradizione cattolica era tanto buono che il bambin Gesù scendeva sulla terra per potergli stare accanto.

sabato 12 giugno 2021

GHIBELLIN FUGGIASCO

 


IL GHIBELLIN FUGGIASCO

Io ho sempre creduto che la definizione fatta da Ugo Foscolo su Dante Alighieri quale “Gibellin fuggiasco”, fosse una forzatura poetica. Mi spiego per me il poeta ottocentesco, Foscolo, aveva fatto un trasfer, forse direbbe la scienza psicologica. Cioè avesse trasferito sul pensiero di Dante, la propria avversione per il potere papale. Per me Dante Alighieri era un guelfo, Bianco certo, ma un guelfo, quindi sostenitore della legittimità del potere papale. Vi ricordate la teoria dei due soli, il papa e l’imperatore, secondo Dante, brillano ambedue per illuminare i cuori e la mente delle genti, quindi come “illuminano” anche “comandano”. Di conseguenza Dante, secondo il mio modesto parere, considera legittimo il potere temporale del papa, pur biasimando con forza le manifestazioni estreme di potenza e di ricchezza della reggia romana del Pontefice.

Il professor Alessandro Barbero, docente di Storia Medievale presso l’università del Piemonte Orientale sita a Vercelli, ha recentemente scritto un interessante biografia su Dante alighieri, in occasione dei 700 anni dalla morte del sommo poeta fiorentino, che scoccheranno la notte fra il 13 e il 14 settembre. Il professore oltre che stimato docente e anche bravissimo divulgatore. Spiega che Dante, appena esiliato dalla città de Giglio, siamo nel 1303, tenta di rifugiarsi ad Arezzo, città Ghibellina, quindi per lui nemica. Lì ci sono già Scarpetta degli Ordelaffi, noto e formidabile condottiero  ghibellino, e un figlio, il cui nome e rimasto non noto alle cronache, di Farinata  degli Uberti, quest’ultimo, ricordiamolo, protagonista assoluto dell’epica battaglia di Montaperti, che segno la storia della rivalità fra guelfi e ghibellini della generazione precedente a quella di Dante. Ora alla luce di questi incontri “proibiti” per un guelfo, sembrerebbe che Dante almeno per un frangente della sua vita, sarebbe diventato convintamente ghibellino, abiurando la sua precedente affiliazione al guelfismo. Secondo il professor Barbero questo avrebbe segnato profondamente non solo la sua vita politica di esiliato, ma anche i suoi scritti successivi. Ricordiamo che scritto successivo a qul fatidico 1303 sarebbe anche gran parte del Poema, della Divina Commedia.

Cavolo Dante non guelfo, ma ghibellino? Avrebbe ragione allora Ugo Foscolo a definirlo Ghibellin fuggiasco? Da allora Dante avrebbe sposato le tesi che furono di Federico II e di suo figlio Manfredi? A suggerirlo sarebbero anche le frasi benevoli riservate ad entrambi nella Commedia, per Manfredi ci sarebbe perfino il Purgatorio, quindi la prospettiva di salvezza. E ricordiamo che Manfredi, come il padre Federico, fu scomunicato dal papa. Dante salva un re di Sicilia che si è messo contro il papa, che ha fatto guerra contro la sua città, Firenze, che è stato accusato di brutalità verso le parti avverse.

Ora francamente non mi sento di definire Dante un ghibellino. Mi permetto di non essere d’accordo con il professor Barbero e con tutta una serie di ricerche biografiche che asseriscono tale tesi. Per me, umile e ignorante lettore dantesco, la appartenenza di Dante alla parte guelfa non può essere discussa. Per me l’affermazione di Ugo Foscolo, ghibellin fuggiasco, rimane una forzatura legata alle istanze di emancipazioni risorgimentale che vivono forti nel cuore del poeta nato a Zante. Cioè per me, come è tradizione storico letteraria, Foscolo ha definito Dante Ghibellino per polemizzare fortemente con il papato della sua epoca che avversava l’unità d’Italia. Insomma voleva “portare dalla sua parte” il poeta dei poeti, il padre della lingua italiana, che invece rimase sempre guelfo, pur sopportando le vessazioni e l’esilio voluto contro di lui dalla parte politica in cui credeva. Insomma Dante era un Bianco, si scagliava fortemente contro i Neri, l’altra formazione guelfa che aveva il potere allora a Firenze, ma rimaneva convitamente Guelfo. Potrei sbagliarmi. Ma secondo me è così. L’esaltazione di Federico II e di Manfredi? Era il frutto del profondo rispetto che il poeta aveva per il potere costituito, l’impero che doveva però rimanere affiancato nell’esercizio della possanza politica a quello pontificio. Ghibellino? No grazie!

CALCIO E SPERANZA

 


LA MAGIA DEL CALCIO

Ieri si è giocata la prima partita del campionato europeo di calcio. Ha giocato la nostra nazionale contro quella della Turchia. La nostra squadra ha vinto, dando tre reti a quella avversaria. È stato un momento di festa e di felicità per tutti noi.

Il torneo europeo era stato rimandato. Doveva svolgersi nel 2020 ma si gioca in queste giornate, tutto a causa del coronavirus che l’anno scorso aveva di fatto congelato ogni attività pubblica. Festeggiare la vittoria della squadra di calcio guidata da Roberto Mancini è stato un vero momento di liberazione dall’angoscia .

Io vi parlo della mia esperienza personale. Sono disabile. Vivo in un periodo difficile per tutti, figuriamoci per quelli come me. Ma guardare la partita della nazionale è stato un momento di catarsi, un momento di per dimenticare tutto e sentirsi come gli altri, armato di una passione collettiva che ci fa sentire un collettivo unico, un cuore solo che vibra.

Certo la partita di calcio è solo una partita di calcio. Ma proprio perché l’esito finale non cambia la vita concreta di ciascuno, può cambiare l’animo di tutti almeno per qualche istante. Poi ci sarà la normalità. Ci sarà chi ti chiede il conto, i soldi per continuare a vivere. Come se il diritto a vivere per un disabile costasse non solo il pagare le spese mediche, le spese per vivere, le bollette, ma anche il di più che impone la cultura polare. Il disabile deve dare, deve pagare. Deve dare a colui che incontra per strada.

Ma oggi si perdono le differenze di status e le condizioni di salute e mentali. Anche noi disabili possiamo essere felici di evento collettivo comune: la vittoria dell’Italia. Per un attimo, forse illusorio, si perdono le differenze, si abbattono le barriere, culturali e in qualche caso anche architettoniche, visto che gli stadi dovrebbero essere a misura anche dei diversamente abili che sono “virus free”. La magia del calcio non rende tutti uguali, le differenze restano, ma, non cosa di poco conto, rende tutti felici.

La squadra di Mancini ieri, 11/06/2021, ha vinto, ha battuto la Turchia. Ma quello che conta è che tutti noi riusciamo a vincere per sempre l’angoscia che ci attanaglia a causa del virus ma non solo. Camminare insieme nel futuro è il modo per risolvere i problemi. Vivere collettivamente una gioia per una vittoria di calcio deve essere lo sprone per pensare che si costruisce un futuro migliore per ciascuno pensando a un domani per tutti. Un domani e un oggi in cui nessuno deve rimanere indietro.

Una partita è solo una partita. Ma questo momento di gioia collettiva deve farci ricordare le parole di Papa Francesco “Siamo sulla stessa barca, tutti noi, abbiamo il Signore che ha cura di noi”. Buon calcio, buona rinascita.

FORZA ITALIA

 


LA MAGIA DEL CALCIO

Ieri si è giocata la prima partita del campionato europeo di calcio. Ha giocato la nostra nazionale contro quella della Turchia. La nostra squadra ha vinto, dando tre reti a quella avversaria. È stato un momento di festa e di felicità per tutti noi.

Il torneo europeo era stato rimandato. Doveva svolgersi nel 2020 ma si gioca in queste giornate, tutto a causa del coronavirus che l’anno scorso aveva di fatto congelato ogni attività pubblica. Festeggiare la vittoria della squadra di calcio guidata da Roberto Mancini è stato un vero momento di liberazione dall’angoscia .

Io vi parlo della mia esperienza personale. Sono disabile. Vivo in un periodo difficile per tutti, figuriamoci per quelli come me. Ma guardare la partita della nazionale è stato un momento di catarsi, un momento di per dimenticare tutto e sentirsi come gli altri, armato di una passione collettiva che ci fa sentire un collettivo unico, un cuore solo che vibra.

Certo la partita di calcio è solo una partita di calcio. Ma proprio perché l’esito finale non cambia la vita concreta di ciascuno, può cambiare l’animo di tutti almeno per qualche istante. Poi ci sarà la normalità. Ci sarà chi ti chiede il conto, i soldi per continuare a vivere. Come se il diritto a vivere per un disabile costasse non solo il pagare le spese mediche, le spese per vivere, le bollette, ma anche il di più che impone la cultura polare. Il disabile deve dare, deve pagare. Deve dare a colui che incontra per strada.

Ma oggi si perdono le differenze di status e le condizioni di salute e mentali. Anche noi disabili possiamo essere felici di evento collettivo comune: la vittoria dell’Italia. Per un attimo, forse illusorio, si perdono le differenze, si abbattono le barriere, culturali e in qualche caso anche architettoniche, visto che gli stadi dovrebbero essere a misura anche dei diversamente abili che sono “virus free”. La magia del calcio non rende tutti uguali, le differenze restano, ma, non cosa di poco conto, rende tutti felici.

La squadra di Mancini ieri, 11/06/2021, ha vinto, ha battuto la Turchia. Ma quello che conta è che tutti noi riusciamo a vincere per sempre l’angoscia che ci attanaglia a causa del virus ma non solo. Camminare insieme nel futuro è il modo per risolvere i problemi. Vivere collettivamente una gioia per una vittoria di calcio deve essere lo sprone per pensare che si costruisce un futuro migliore per ciascuno pensando a un domani per tutti. Un domani e un oggi in cui nessuno deve rimanere indietro.

Una partita è solo una partita. Ma questo momento di gioia collettiva deve farci ricordare le parole di Papa Francesco “Siamo sulla stessa barca, tutti noi, abbiamo il Signore che ha cura di noi”. Buon calcio, buona rinascita.

martedì 1 giugno 2021

2 GIUGNO: REPUBBLICA

 


REPUBBLICA

Il 2 giugno 1946 tutti i cittadini italiani furono chiamati a votare. Per la prima volta nella storia dello stato italiano furono chiamati ad esprimersi sia le donne che gli uomini, a prescindere dal ceto, dallo loro condizione economica  e dalla loro professione. Furono chiamati a scegliere se l’Italia dovesse continuare ad essere un sistema statuale monarchico oppure diventare repubblica.

Fu un momento collettivo di estrema importanza. Ne offre testimonianza, tra gli altri, lo splendido libro della compianta giornalista Rossana Rossanda: La ragazza del secolo scorso. L’autrice, che purtroppo ci ha lasciati il 20 settembre 2020, racconta le sue emozioni di fronte a una competizione elettorale in cui lei, donna giovanissima, era chiamata ad essere protagonista. Una esperienza comune alle tante ragazze e donne di allora.

Insomma il 2 giugno 1946 fu una data determinante per i destini italiani. Si doveva scegliere l’ordinamento dello stato e si dovevano individuare coloro che dovevano scrivere le regole fondamentali dello stato. Infatti il due giugno si compì il referendum che imponeva la scelta fra “Repubblica” e “Monarchia” e in più si elessero i membri dell’assemblea costituente che doveva scrivere le leggi fondamentali dello stato alla luce del pronunciamento popolare.

Il referendum non si può leggere come atto a sé stante. Appare difficilmente interpretabile l’esito di quel pronunciamento, se non si ricorda cosa è stata l’Italia, quale guerra terribile ha affrontato. È chiarificatrice la frase di Piero Calamandrei, importantissimo giurista e membro dell’assemblea costituente, cioè uno dei votati dal popolo in quel 2 giugno 1946. Disse: se volete andare a vedere dove è nata la Costituzione, andate, o giovani (parlava a studenti universitari), sulle montagne ove caddero i partigiani. Insomma la nostra Repubblica e la Costituzione su cui si fonda ha le sue radici sul dolore dell’Italia vittima della dittatura, sul pianto dei condannati a morte dal regime nazi fascista, perché ebrei o diversi, sull’anelito di libertà che fu la scintilla che accese il fuoco della Resistenza.

La Repubblica è dolore, è stata portata dal sangue, dal patimento. Ma quel nugolo di sofferenza ha portato un qualcosa che è fondamentalmente gioia e speranza. Chi ha vissuto la guerra, il terribile secondo conflitto mondiale, ha visto nella Repubblica la speranza di una nuova ripartenza. Con senno di poi dobbiamo dire che quei 12717923 cittadini che hanno scelto “Repubblica” ci hanno visto bene. Il nostro stato è diventato un faro del mondo in questi complessi anni fra la seconda metà del XX secolo e l’inizio del XXI. Quella giornata di consultazione elettorale non fu soltanto un importante atto di partecipazione collettiva alla vita pubblica, cosa che già di per sé sarebbe stata sufficiente per rimanere nella storia collettiva del paese in eterno. Ma fu anche un primo, importantissimo, passo verso un cammino di emancipazione collettiva che è ancora in corso oggi. Noi, ora adesso, siamo chiamati a continuare l’opera dei nostri padri, nonni e bisnonni. Siamo chiamati ha costruire e ad edificare una Repubblica Democratica Fondata sul lavoro, come dice l’incipit del 1 articolo della nostra Costituzione. Bisogna farlo con l’impegno etico che è connaturato alla nostra cultura. Dobbiamo costruire uno stato giusto e in cui tutti sono liberi e felici. Lo dobbiamo a coloro che sono morti per la libertà. Lo dobbiamo a chi si è speso nel lavoro per costruire un futuro più giusto. Lo dobbiamo a noi stessi, perché abbiamo il diritto e il dovere di costruire una società e uno stato fondato sui valori di eguaglianza, libertà e democrazia tracciati dai padri costituenti del nostro stato Repubblicano.

Buona festa della Repubblica a tutti. Io posso dire una cosa? Sono francamente felice che a causa della pandemia non si faccia domani la parata militare. Non ho nulla contro le nostre forze militari, anzi ringrazio i miei concittadini che in divisa si impegnano per tutelare la mia sicurezza e quella di tutti. So che il personale militare, assieme a quello medico, si è operato indefessamente in questi mesi di pandemia per tutelare tutti noi. Di questo lo ringrazio. Ma è questa la Repubblica che amo, quella composta da membri dello stato, in divisa o in borghese poco importa, che si dannano per garantire salute benessere dignità a tutti e non per fare la guerra. L’esercito è bello se salva le persone, non se va in guerra.