IL GHIBELLIN FUGGIASCO
Io ho sempre creduto che la definizione fatta da Ugo Foscolo su Dante Alighieri quale “Gibellin fuggiasco”, fosse una forzatura poetica. Mi spiego per me il poeta ottocentesco, Foscolo, aveva fatto un trasfer, forse direbbe la scienza psicologica. Cioè avesse trasferito sul pensiero di Dante, la propria avversione per il potere papale. Per me Dante Alighieri era un guelfo, Bianco certo, ma un guelfo, quindi sostenitore della legittimità del potere papale. Vi ricordate la teoria dei due soli, il papa e l’imperatore, secondo Dante, brillano ambedue per illuminare i cuori e la mente delle genti, quindi come “illuminano” anche “comandano”. Di conseguenza Dante, secondo il mio modesto parere, considera legittimo il potere temporale del papa, pur biasimando con forza le manifestazioni estreme di potenza e di ricchezza della reggia romana del Pontefice.
Il professor Alessandro Barbero, docente di Storia Medievale presso l’università del Piemonte Orientale sita a Vercelli, ha recentemente scritto un interessante biografia su Dante alighieri, in occasione dei 700 anni dalla morte del sommo poeta fiorentino, che scoccheranno la notte fra il 13 e il 14 settembre. Il professore oltre che stimato docente e anche bravissimo divulgatore. Spiega che Dante, appena esiliato dalla città de Giglio, siamo nel 1303, tenta di rifugiarsi ad Arezzo, città Ghibellina, quindi per lui nemica. Lì ci sono già Scarpetta degli Ordelaffi, noto e formidabile condottiero ghibellino, e un figlio, il cui nome e rimasto non noto alle cronache, di Farinata degli Uberti, quest’ultimo, ricordiamolo, protagonista assoluto dell’epica battaglia di Montaperti, che segno la storia della rivalità fra guelfi e ghibellini della generazione precedente a quella di Dante. Ora alla luce di questi incontri “proibiti” per un guelfo, sembrerebbe che Dante almeno per un frangente della sua vita, sarebbe diventato convintamente ghibellino, abiurando la sua precedente affiliazione al guelfismo. Secondo il professor Barbero questo avrebbe segnato profondamente non solo la sua vita politica di esiliato, ma anche i suoi scritti successivi. Ricordiamo che scritto successivo a qul fatidico 1303 sarebbe anche gran parte del Poema, della Divina Commedia.
Cavolo Dante non guelfo, ma ghibellino? Avrebbe ragione allora Ugo Foscolo a definirlo Ghibellin fuggiasco? Da allora Dante avrebbe sposato le tesi che furono di Federico II e di suo figlio Manfredi? A suggerirlo sarebbero anche le frasi benevoli riservate ad entrambi nella Commedia, per Manfredi ci sarebbe perfino il Purgatorio, quindi la prospettiva di salvezza. E ricordiamo che Manfredi, come il padre Federico, fu scomunicato dal papa. Dante salva un re di Sicilia che si è messo contro il papa, che ha fatto guerra contro la sua città, Firenze, che è stato accusato di brutalità verso le parti avverse.
Ora francamente non mi sento di definire Dante un ghibellino. Mi permetto di non essere d’accordo con il professor Barbero e con tutta una serie di ricerche biografiche che asseriscono tale tesi. Per me, umile e ignorante lettore dantesco, la appartenenza di Dante alla parte guelfa non può essere discussa. Per me l’affermazione di Ugo Foscolo, ghibellin fuggiasco, rimane una forzatura legata alle istanze di emancipazioni risorgimentale che vivono forti nel cuore del poeta nato a Zante. Cioè per me, come è tradizione storico letteraria, Foscolo ha definito Dante Ghibellino per polemizzare fortemente con il papato della sua epoca che avversava l’unità d’Italia. Insomma voleva “portare dalla sua parte” il poeta dei poeti, il padre della lingua italiana, che invece rimase sempre guelfo, pur sopportando le vessazioni e l’esilio voluto contro di lui dalla parte politica in cui credeva. Insomma Dante era un Bianco, si scagliava fortemente contro i Neri, l’altra formazione guelfa che aveva il potere allora a Firenze, ma rimaneva convitamente Guelfo. Potrei sbagliarmi. Ma secondo me è così. L’esaltazione di Federico II e di Manfredi? Era il frutto del profondo rispetto che il poeta aveva per il potere costituito, l’impero che doveva però rimanere affiancato nell’esercizio della possanza politica a quello pontificio. Ghibellino? No grazie!
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