giovedì 22 marzo 2018

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 75



ARTICOLO 75

“È indetto «referendum» popolare per deliberare la abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedano cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.

Non è ammesso il «referendum» per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia o di indulto, di autorizzazione a ratifiche a trattati internazionali.

Hanno diritto a partecipare al «referendum» tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati.

La proposta soggetta a «referendum» è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.

La legge determina le modalità di attuazione del «referendum».”

Il termine giuridico “referendum” si riallaccia alla espressione latina “Convocatio ad referendum”  che vuol dire convocazione per riferire. È una chiamata rivolta a tutti i cittadini per esprimere la propria volontà, per partecipare attivamente alla formazione del corpo giuridico dello stato. Infatti il «referendum» è la principale forma di democrazia diretta prevista dalla Costituzione. Dà il potere al corpo elettorale di modificare quanto stabilito dagli organi rappresentativi. Ha il potere di cancellare norme o parti di esse, assumendo esso stesso valore di atto normativo. È uno degli strumenti di partecipazione attiva della cittadinanza alla vita dello Stato. Il potere di abrogare leggi dà la possibilità di discutere e di confrontarsi collettivamente su materie giuridiche di rilevanza fondamentale. La sentenza della Corte Costituzionale numero 468 dell’anno 1990 definisce il referendum quale manifestazione di volontà definitiva ed irripetibile del corpo elettorale. In passato i cittadini sono stati chiamati ad esprimersi su istituti giuridici fondamentali, quali le leggi che regolamentavano l’uso terapeutico di pratiche abortive oppure il divorzio. Norme che hanno lacerato la società civile. Norme che venivano a toccare tematiche etiche e valoriali che suscitavano ampi dibattiti all’interno della nazione. I «referendum» hanno contribuito allo svolgimento di un confronto dialettico sereno fra le parti in materie delicatissime. Il tema del divorzio e dell’aborto è considerato un tabù da chi proviene da una formazione culturale cattolica. Invece per la cultura laica il poter scegliere di porre termine a un matrimonio oppure di decidere se portare avanti una gravidanza è un atto di libertà. Il referendum ha avuto la capacità di costringere le parti latrici di due tesi, antitetiche e inconciliabili, a discutere e a trovare un modo per confrontarsi. Al di là della valutazione sul tema specifico, i referendum sono stati un reale strumento di democrazia e di libertà. Sono stati lo strumento per esplicitare i sentimenti e le ragioni di tutta la cittadinanza. Davanti a tematiche così delicate gli italiani si sono dimostrati popolo maturo capace di sfruttare appieno gli strumenti di partecipazione diretta che gli offre lo stato.  
Perché la proposta referendaria sia considerata approvata è richiesta la partecipazione alla votazione della maggioranza degli aventi diritto. Inoltre devono dichiararsi favorevoli all’abrogazione la maggioranza dei voti validamente espressi. La Costituzione impone che una legge, ordinaria, dello stato determini le modalità d’attuazione del «referendum». La norma che attualmente svolge questo compito è la legge 352 del 1970: “norme sui referendum previsti  dalla Costituzione e sull’iniziativa legislativa del popolo”. La normativa ha istituito presso la Corte di cassazione l’ufficio centrale per il referendum. Questi è competente ad accertare che la richiesta di referendum, fatta da cinquantamila elettori o da cinque consigli regionali, sia conforme alla legge. La Corte Costituzionale ha un ruolo rilevantissimo. Secondo la legge Costituzionale numero 1 del 1953 e dell’articolo 33 della legge 352/1970 è chiamata a decidere con sentenza, quindi quale tribunale insindacabile, della legittimità del quesito referendario. Deve deliberare se la proposta di abrogazione di legge sia prevista e consentita dalla Costituzione. Deve appurare se la materia di legge in questione rientri fra quelle che lo stesso articolo 75, nel comma due, ritiene non abrogabili con referendum. Queste materie sono le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia ed indulto, di autorizzazione a ratificare i trattati internazionali. A questo proposito suscita spunti di riflessione che alcuni partiti molto votati, quale Lega e Movimento Cinque Stelle, propongano referendum sui trattati dell’Unione Europea, chiaramente non oggetto referendario per il loro carattere internazionale. Come interpretare la scelta dell’elettorato di votare partiti che si propongono di infrangere le regole costituzionali? Come interpretare il fatto che oltre la maggioranza degli italiani, sommando i voti di Lega M5S e Forza Italia, abbiano di fatto votato contro i valori costituzionali? È ora di cambiare? Di modificare in chiave sovranista, cioè nazionalista, le nostre fondamenta giuridiche? L’Italia è Luca Traini, il giovane attivista della lega che ha sparato contro delle persone di colore in nome della sovranità nazionale? Certo è che il suo segretario, Matteo Salvini, si dichiara legittimato ad assumere la carica di Presidente del Consiglio. Per ora la saggezza dei nostri padri costituenti impone che sia rispettato il principio “pacta sunt servanda”, cioè gli accordi fra nazioni vanno rispettati anche dalla sovranità popolare, dagli elettori, in nome dell’articolo 11 della Costituzione che vede nelle organizzazioni internazionali strumenti per promuovere la pace. Staremo a vedere se Lega, M5s e Forza Italia rovesceranno questi principi, forti del consenso popolare.
Bisogna sottolineare che i limiti all’utilizzo del referendum sono stati pensati per salvaguardare gli interessi superiori della nazione e del popolo. Una norma non deve essere abolita, se così facendo si attua un sommovimento tellurico che mina le basi giuridiche della Repubblica. Il referendum, almeno secondo la giurisprudenza  consolidata della Corte Costituzionale in materia, non deve creare vuoti normativi. L’abrogazione di una legge deve comportare che l’istituto novellato deva continuare ad esistere e a funzionare, anche senza la specifica norma cancellata. Il testo referendario deve essere omogeneo, puntuale, concreto ed intellegibile. Non deve contenere una tale pluralità di domande eterogenee, carenti di una matrice razionalmente unitaria, da non poter venir ricondotto alla logica dell’articolo 75 della Costituzione (così si è espressa la Corte Costituzionale con sentenza numero 27 del 1991). Bisogna chela domanda o  le domande (in caso di referendum abrogativi su più norme) poste all’elettorato siano chiare, che sia chiaro il fine e l’effetto prodotto dall’eventuale prevalere del “si”. Questo è importante soprattutto nei casi di abrogazione parziale di norma di legge. Quando non si vuole abrogare un articolo o un comma, ma solo parti di esse, il pericolo di manipolare e non di cancellare una legge è forte. Alcuni referendum sono stati utilizzati non solo per abrogare una legge ma per introdurne una nuova. È l’esempio del referendum abrogativo della legge elettorale del senato, voluto dal comitato presieduto da Mario Segni negli anni ’90 del secolo scorso. Ora la materia è estremamente delicata. La giurisprudenza della corte non ha affatto dichiarato inammissibili tali quesiti. Anzi il referendum voluto da Mario Segni si è svolto e ha prodotto un cambiamento epocale, trasformando il nostro sistema elettorale da proporzionale a maggioritario. La Corte allora ritenne che fosse ammissibile una legge che riducesse e abolisse formule giuridiche, quali quorum elettorali e maggioranze speciali, che rendevano il nostro sistema rigidamente proporzionale. Il motivo fu che il quesito voluto da Segni produceva un sistema elettorale chiaro e facilmente comprensibile dagli elettori. Altra questione sarebbe stata se invece avesse prodotto esiti non facilmente intellegibili, probabilmente la Corte l’avrebbe respinto. Insomma l’articolo 75 della Costituzione istituisce uno strumento fondamentale di partecipazione diretta dei cittadini. Uno strumento che rende attiva la cittadinanza, la rende protagonista. La volontà popolare si esercita anche attraverso questo prezioso strumento che ha avuto una gestazione travagliata. Istituito con la nascita della Costituzione nel 1947, il referendum è stato utilizzato per la prima volta negli anni ’70 del secolo scorso, quando furono varate le norme attuative dell’istituto. Un ritardo gravissimo che ha lacerato la società italiana di allora. Oggi bisognerebbe che il referendum sia utilizzato con saggezza e autorevolezza da parte dell’elettorato per incidere con fermezza sulla realtà politica italiana. 
A conclusione del processo referendario il Presidente della Repubblica  dichiara attraverso decreto l’abrogazione della norma oggetto del quesito. Lo fa  al termine della tornata elettorale. Promulga un suo decreto in cui dichiara  l’avvenuta abrogazione della legge. che ha effetto dal giorno successivo la pubblicazione. Lo fa dopo che la Corte di cassazione ha dichiarato la vittoria del “si”. Compie l’atto di inchinarsi delle Istituzioni alla superiore volontà popolare, è lo stato, la Repubblica, che si sottomette alla superiore volontà popolare, enunciata e tutelata dall’articolo 1 della Costituzione. Il referendum è un prezioso simbolo e strumento concreto di democrazia, non lo scordiamo mai.

mercoledì 21 marzo 2018

DON CIOTTI A FOGGIA



LIBERA FOGGIA

Oggi, 21/03/2018, a Foggia, capoluogo della Capitanata, si terrà la manifestazione nazionale di “Libera”. L’associazione fondata da Don Luigi Ciotti, per combattere ogni forma di mafia e per favorire integrazione e legalità, sbarca in Puglia. O meglio in Puglia c’è stata da sempre, ma sceglie di manifestare e gridare con forza il proprio sdegno contro ogni forma di sopruso e sopraffazione in una realtà in cui lo sfruttamento e l’oppressione del più debole è forte. Oggi, primo giorno di primavera, verranno ricordate le migliaia di morti a causa della ferina mano mafiosa. Nella cittadina pugliese, come in altre città, verranno scanditi uno per uno, i nomi di coloro che hanno perso la vita ad opera della criminalità organizzata. Saranno ricordati i magistrati, morti in attentati e mentre stavano compiendo il loro dovere. Saranno ricordati i membri delle forze dell’ordine deceduti. Saranno ricordati i testimoni, cittadini che hanno scelto di non tacere e sono stati uccisi. Saranno ricordati coloro che sono morti solamente perché “si trovavano nel posto sbagliato”, perché si trovavano nella traiettoria di fuoco di killer assetati di sangue. È un momento per meditare. È un momento per pensare. È un momento per piangere i tanti morti di lavoro. I tanti braccianti che soprattutto in Puglia, ma anche in altre regioni d’Italia, vengono sfruttati dalla criminalità, fino a morire. È d’uopo ricordare la bracciante tarantina morta l’anno scorso nelle campagne del Nord Barese a seguito delle lunghe ore sotto il sole cocente a raccogliere ortofrutta. Si chiamava Paola Clemente. Ma le vittime del caporalato sono tante purtroppo. Sono tanti i martiri di aguzzini che riducono in schiavitù persone che anelano solo a una vita dignitosa. Persone che vogliono solo lavorare e crescere i loro figli, si ritrovano in un gorgo malavitoso che li costringe a lavorare ore e ore, senza che questo sforzo immane produca un salario dignitoso. Pensiamo ai tanti migranti che fuggono dalle loro terre per salvaguardarsi da fame e violenza, che invece trovano nel nostro territorio ancora e solo oppressione e sfruttamento. È contro questo orrore che oggi don Chiotti grida il suo sdegno. È giunto il momento di dire no alla morte. È giunta l’ora di dire no alla violenza, penso alle morti di lupara nel Gargano. È giunto il momento di dire no al lavoro super sfruttato. Per questo motivo la Puglia, l’Italia intera, deve unirsi alla manifestazione di Libera per fermare la mafia, per fermare la violenza, per fermare le guerre fra clan, per fermare lo sfruttamento delle persone e del territorio ai fini agricoli. L’agricoltura è una risorsa per tutti. Non deve essere lo strumento per accumulare denaro illecito per qualcuno. Per questo  siamo tutti con Libera, siamo tutti con Luigi Ciotti, siamo tutti in piazza per discutere confrontarci e partecipare ai seminari, perché la legalità, la parola libera.


ARTICOLO 74

“Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione.

Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata”.

Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
Il Presidente della Repubblica non è un mero notaio. Il suo compito non si riduce a porre una firma su una legge voluta e redatta dal Parlamento. Quando l’ultima camera che approva un disegno di legge la trasmette alla Presidenza della Repubblica chiede che il primo cittadino dello stato si faccia garante che tutto sia avvenuto con rispetto dei principi fondamentali della Repubblica. Il Presidente della Repubblica si erge a garanzia dei cittadini e dei valori fondanti del nostro stato. Per questa ragione può rifiutarsi di porre il proprio sigillo su una proposta di legge e rimandarla alle Camere per una più attenta meditazione sul testo. È un atto di tutela. È una volontà di porre un vincolo di garanzia contro un eventuale atto contrario ai principi fondanti del nostro  stato. Il presidente, firmando e promulgando una legge, la perfezione. Una norma non entra nel nostro ordinamento giuridico senza la sua firma. Ma il presidente della Repubblica non può e non deve scendere nell’agone politico. Il suo giudizio sul testo normativo approvato dalle assemblee parlamentari non deve essere sul merito. Chi decide i contenuti di una legge sono le due Camere. Il suo compito è garantire l’integrità costituzionale.  L’articolo 74 della Costituzione richiama a un dovere di responsabilità dell’inquilino del Quirinale verso la Nazione. I cittadini hanno in lui  un difensore dei principi fondamentali del nostro stato. Ma il presidente della Repubblica non ha potere di veto. Deve chinarsi sempre e comunque alla sovranità popolare che si manifesta nell’autorevolezza delle due camere nelle quali siedono i rappresentanti del popolo. Se un progetto di legge, approvato dalle due Camere, manifesta lampanti incongruenze e divergenze con La Costituzione, il Presidente della Repubblica deve rinviarlo una prima volta alle Camere, ma se entrambe le Camere lo riapprovano, il presidente deve tassativamente promulgarlo. Il testo normativo deve entrare nell’ordinamento giuridico dello stato. Il Presidente della Repubblica non ha il potere di veto. Non può e non deve intralciare le scelte dei due rami del parlamento. Il suo compito, preziosissimo, è quello di sottolineare alcuni aspetti, se li individua, che sono contrari all’ordinamento costituzionale. Sindacare sulla costituzionalità di una legge spetta a un organo appositamente istituito dalla nostra Legge Fondamentale. È la Coste costituzionale, istituita e regolamentata dal Titolo VI della Costituzione, che avrà il compito di analizzare nel merito una legge sospetta di essere incompatibile con il dettato costituzionale ed espellerela, con sentenza, dal nostro ordinamento giuridico. Il Presidente della Repubblica è una sentinella. È colui che grida “allarmi” quando vede un incendio. È colui che censura il Parlamento quando è lampante che il suo operare sia incompatibile con la Costituzione. Se il suo grido è inascoltato, se le due Camere comunque approveranno la norma che ritiene incostituzionale. Se il messaggio scritto che invia alle Camere con le motivazioni del suo rifiuto a firmare la prima volta la legge, viene inascoltato, deve firmare e promulgare la legge. Spetterà alla Corte Costituzionale, eventualmente coinvolta secondo la legge sulla questione, esprimersi. La Repubblica dà al suo Presidente poteri di persuasione e di dialogo. Il compito del Presidente è quello di indurre alla ragione le forze politiche. Se queste rifiutano i suoi ammonimenti non può far altro che accettarne le decisioni. Bisogna dire che nella storia Repubblicana sono stati molti i casi nei quali il Parlamento non è stato sordo agli ammonimenti del Presidente. Molte leggi rinviate alle camere sono state ridiscusse e modificate seguendo gli ammonimenti dell’inquilino del Colle. Molte leggi, grazie ai duri rimbrotti di presidenti quali Sandro Pertini e Carlo Azeglio Ciampi, sono state ridiscusse e modificate. Noto è lo scontro fra Carlo Azeglio Ciampi e l’allora maggioranza di governo  formata da lega e Forza Italia. La destra italiana, forte del consenso popolare, voleva porre leggi a salvaguardia di tutti coloro che avevano commesso illeciti finanziari. La Lega e Forza Italia, che allora si chiamava Popolo delle Libertà, volevano porre fine a tangentopoli, la grande inchiesta giudiziaria che aveva messo alle strette politici e imprenditori. Gli elettori avevano dato mandato a Berlusconi di aiutare chi aveva soldi all’estero detenuti illegalmente, chi aveva lavoratori in nero. Ciampi si oppose a questa politica, in nome della Costituzione che imponeva principi di rispetto delle legalità. Col senno di poi Ciampi aveva torto, Berlusconi ragione. Le ultime elezioni hanno visto votare in massa, soprattutto a Nord Italia, la Lega che si batte per i tanti che finiscono sotto inchiesta per ragioni finanziarie. Rimane il fatto che Ciampi rinviò le leggi “salva ladri”, non per fare un dispetto agli elettori di destra, ma per tutelare valori costituzionali. Salvini e Berlusconi devono mutare la Costituzione. Devono cancellare gli articoli che impongono il rispetto della Legalità, lo devono fare per adempiere al mandato degli elettori e per evitare che altri come Cesare Previti, Umberto Bossi, lo stesso Silvio Berlusconi subiscano l’onta di un’inchiesta giudiziaria o addirittura un processo. Speriamo che lo facciano presto. Speriamo che questo parlamento riesca a fare leggi che tutelino gli uomini di destra dalla magistratura, senza che un presidente della Repubblica possa porre freno alla volontà popolare che vuole difendere chi evade le tasse. Silvio Berlusconi in queste ore ha promesso di mettersi a capo della coalizione. Ha promesso che subentrerà a Salvini nelle trattative per la formazione delle Camere. Sarà un modo per rendere realizzabile quel “patto con gli Italiani” che Lega e Forza Italia hanno firmato finalizzato per difendere chi non rispetta la legge. Sergio Mattarella che farà? Anche lui non promulgherà le leggi salva tangentisti, come fece Ciampi? Staremo a vedere..

Scritto da Gianfranco Pellecchia

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 74

ARTICOLO 74

“Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione.

Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata”.

Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
Il Presidente della Repubblica non è un mero notaio. Il suo compito non si riduce a porre una firma su una legge voluta e redatta dal Parlamento. Quando l’ultima camera che approva un disegno di legge la trasmette alla Presidenza della Repubblica chiede che il primo cittadino dello stato si faccia garante che tutto sia avvenuto con rispetto dei principi fondamentali della Repubblica. Il Presidente della Repubblica si erge a garanzia dei cittadini e dei valori fondanti del nostro stato. Per questa ragione può rifiutarsi di porre il proprio sigillo su una proposta di legge e rimandarla alle Camere per una più attenta meditazione sul testo. È un atto di tutela. È una volontà di porre un vincolo di garanzia contro un eventuale atto contrario ai principi fondanti del nostro  stato. Il presidente, firmando e promulgando una legge, la perfezione. Una norma non entra nel nostro ordinamento giuridico senza la sua firma. Ma il presidente della Repubblica non può e non deve scendere nell’agone politico. Il suo giudizio sul testo normativo approvato dalle assemblee parlamentari non deve essere sul merito. Chi decide i contenuti di una legge sono le due Camere. Il suo compito è garantire l’integrità costituzionale.  L’articolo 74 della Costituzione richiama a un dovere di responsabilità dell’inquilino del Quirinale verso la Nazione. I cittadini hanno in lui  un difensore dei principi fondamentali del nostro stato. Ma il presidente della Repubblica non ha potere di veto. Deve chinarsi sempre e comunque alla sovranità popolare che si manifesta nell’autorevolezza delle due camere nelle quali siedono i rappresentanti del popolo. Se un progetto di legge, approvato dalle due Camere, manifesta lampanti incongruenze e divergenze con La Costituzione, il Presidente della Repubblica deve rinviarlo una prima volta alle Camere, ma se entrambe le Camere lo riapprovano, il presidente deve tassativamente promulgarlo. Il testo normativo deve entrare nell’ordinamento giuridico dello stato. Il Presidente della Repubblica non ha il potere di veto. Non può e non deve intralciare le scelte dei due rami del parlamento. Il suo compito, preziosissimo, è quello di sottolineare alcuni aspetti, se li individua, che sono contrari all’ordinamento costituzionale. Sindacare sulla costituzionalità di una legge spetta a un organo appositamente istituito dalla nostra Legge Fondamentale. È la Coste costituzionale, istituita e regolamentata dal Titolo VI della Costituzione, che avrà il compito di analizzare nel merito una legge sospetta di essere incompatibile con il dettato costituzionale ed espellerela, con sentenza, dal nostro ordinamento giuridico. Il Presidente della Repubblica è una sentinella. È colui che grida “allarmi” quando vede un incendio. È colui che censura il Parlamento quando è lampante che il suo operare sia incompatibile con la Costituzione. Se il suo grido è inascoltato, se le due Camere comunque approveranno la norma che ritiene incostituzionale. Se il messaggio scritto che invia alle Camere con le motivazioni del suo rifiuto a firmare la prima volta la legge, viene inascoltato, deve firmare e promulgare la legge. Spetterà alla Corte Costituzionale, eventualmente coinvolta secondo la legge sulla questione, esprimersi. La Repubblica dà al suo Presidente poteri di persuasione e di dialogo. Il compito del Presidente è quello di indurre alla ragione le forze politiche. Se queste rifiutano i suoi ammonimenti non può far altro che accettarne le decisioni. Bisogna dire che nella storia Repubblicana sono stati molti i casi nei quali il Parlamento non è stato sordo agli ammonimenti del Presidente. Molte leggi rinviate alle camere sono state ridiscusse e modificate seguendo gli ammonimenti dell’inquilino del Colle. Molte leggi, grazie ai duri rimbrotti di presidenti quali Sandro Pertini e Carlo Azeglio Ciampi, sono state ridiscusse e modificate. Noto è lo scontro fra Carlo Azeglio Ciampi e l’allora maggioranza di governo  formata da lega e Forza Italia. La destra italiana, forte del consenso popolare, voleva porre leggi a salvaguardia di tutti coloro che avevano commesso illeciti finanziari. La Lega e Forza Italia, che allora si chiamava Popolo delle Libertà, volevano porre fine a tangentopoli, la grande inchiesta giudiziaria che aveva messo alle strette politici e imprenditori. Gli elettori avevano dato mandato a Berlusconi di aiutare chi aveva soldi all’estero detenuti illegalmente, chi aveva lavoratori in nero. Ciampi si oppose a questa politica, in nome della Costituzione che imponeva principi di rispetto delle legalità. Col senno di poi Ciampi aveva torto, Berlusconi ragione. Le ultime elezioni hanno visto votare in massa, soprattutto a Nord Italia, la Lega che si batte per i tanti che finiscono sotto inchiesta per ragioni finanziarie. Rimane il fatto che Ciampi rinviò le leggi “salva ladri”, non per fare un dispetto agli elettori di destra, ma per tutelare valori costituzionali. Salvini e Berlusconi devono mutare la Costituzione. Devono cancellare gli articoli che impongono il rispetto della Legalità, lo devono fare per adempiere al mandato degli elettori e per evitare che altri come Cesare Previti, Umberto Bossi, lo stesso Silvio Berlusconi subiscano l’onta di un’inchiesta giudiziaria o addirittura un processo. Speriamo che lo facciano presto. Speriamo che questo parlamento riesca a fare leggi che tutelino gli uomini di destra dalla magistratura, senza che un presidente della Repubblica possa porre freno alla volontà popolare che vuole difendere chi evade le tasse. Silvio Berlusconi in queste ore ha promesso di mettersi a capo della coalizione. Ha promesso che subentrerà a Salvini nelle trattative per la formazione delle Camere. Sarà un modo per rendere realizzabile quel “patto con gli Italiani” che Lega e Forza Italia hanno firmato finalizzato per difendere chi non rispetta la legge. Sergio Mattarella che farà? Anche lui non promulgherà le leggi salva tangentisti, come fece Ciampi? Staremo a vedere..

Scritto da Gianfranco Pellecchia

martedì 20 marzo 2018

VIAGGI NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 73



ARTICOLO 73

“Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall’approvazione.

Se le Camere, ciascuna a maggioranza assoluta dei propri componenti, ne dichiarano l’urgenza, la legge è promulgata nel termine da esso stabilito.

Le leggi sono pubblicate subito dopo la promulgazione ed entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla loro promulgazione, salvo che le leggi stesse stabiliscano un termine diverso”.

Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
Dopo che una proposta o un disegno di legge è stato votato e approvato dalle due Camere, per diventare norma vincolante per tutti i cittadini, deve essere promulgata dal presidente della Repubblica. Il primo cittadino dello stato pone un visto, mette la sua firma, sull’atto normativo. È un modo per controllare che la legge nascente sia rispettosa nella forma e nella sostanza ai dettami costituzionali. L’articolo 73 della Costituzione dà all’inquilino del Quirinale l’arduo compito di vigilare che la norma nascente non incrini gli equilibri istituzionali e non sia contrario alla Legge Fondamentale dello Stato. Il Presidente della Repubblica è vincolato temporalmente. La promulgazione non può attendere oltre un mese dall’approvazione delle Camere del testo normativo. Ciascuna Camera a maggioranza assoluta dei propri membri può dichiarare l’urgenza della legge, di conseguenza la nuova norma è promulgata, quindi entra in vigore, nel termine perentorio stabilito dalle assemblee deliberanti. L’a formula della promulgazione è prevista dal’articolo 1 del Decreto del Presidente della Repubblica 1092 del 1985 (testo unico delle disposizioni sulla pubblicazione delle leggi, sull’emanazione dei decreti del presidente della Repubblica e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica Italiana). La promulgazione delle leggi, secondo il d.p.r. su citato, deve avvenire per decreto del presidente della repubblica. Con la promulgazione il Capo dello Stato costata e garantisce che la legge è stata approvata dalle due assemblee parlamentari. Ordina la sua pubblicazione, dopo che il Guardasigilli(ministro della giustizia) ha posto il suo visto e iscrive nel decreto di promulgazione la formula perentoria: è fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello stato. Il presidente della repubblica può rifiutarsi di promulgare una legge. Può compiere questo gesto di ripulsa se ritiene che l’atto normativo sia contrario alla Costituzione e sia un gravissimo nocumento alla stessa esistenza della Repubblica. Può rimandare la norma alle Camere, con messaggio motivato. Deve spiegare le ragioni del suo gran rifiuto. Spesse volte il Presidente si è rifiutato di firmare una legge e di promulgarla, perché ha ritenuto che violasse l’articolo 81 della Costituzione, cioè ha ritenuto che il parlamento non avesse rispettato l’obbligo di copertura finanziaria. Ma ci sono stati rinvii alle Camere che hanno riguardato altre violazioni costituzionali. Il presidente della Repubblica Francesco Cossiga rinviò, negli anni ’90 del secolo scorso, una legge sull’obiezione di coscienza. La Legge regolamentava le modalità di servizio allo stato alternative alla leva militare. Il presidente censurò la norma ritenendola incongruente ai principi sanciti dall’articolo 52 della Costituzione, che sancisce l’obbligo di ogni cittadino di compiere il servizio militare. Il rinvio avvenne in concomitanza delle ultimi fasi della legislatura. Il Parlamento si dovette riunire in maniera eccezionale per riapprovare la legge respinta dall’inquilino del colle. Questo fu necessario per evitare che la mancata firma del presidente fosse di fatto equivalente a un veto. Il nostro capo dello stato non può e non deve impedire che una legge sia approvata, non può imporre un veto come è d’uopo fare il presidente degli Stati Uniti. Il rinvio alle camere è una richiesta di un più approfondito dibattito da parte delle Camere, non è una censura. In caso di riapprovazione delle Camere della proposta di legge in seconda lettura il Presidente della Repubblica deve tassativamente promulgare la legge, a meno che questa non leda in maniera lampante le basi fondamentali del nostro stato, insomma non basta che sia incostituzionale ma deve essere eversiva, producente di effetti distruttivi per la Repubblica,in tal caso si può rifiutare anche la seconda volta di promulgarla ma questo è un caso da ritenersi solo di scuola. Le leggi sono pubblicate subito dopo la promulgazione ed entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione. È il terzo comma dell’articolo 73 ad imporlo. La pubblicazione della legge è curata dal ministro della giustizia, come afferma il Decreto del Presidente della Repubblica 1092 dell’anno 1985. La Pubblicazione avviene per mezzo della Gazzetta Ufficiale. La Norma viene inserita anche nella Raccolta Ufficiale degli Atti Normativi della Repubblica, un enorme archivio cartaceo che conserva tutti gli atti normativi dello stato. La legge viene numerata e indicata in base all’anno in cui è stata promulgata dal presidente della repubblica. Questo è un modo per chiarificare il tempo in cui è entrata a far parte dell’ordinamento giuridico italiano. Le leggi inserite con numero superiore saranno dichiarate posteriori alla legge stessa, quelle inserite con numero inferiore invece sono considerate antecedenti. Questa scelta è importante. Infatti una legge può modificare una norma di pari grado anteriore. Se due norme sono in contrasto, ha prevalenza quella entrata a far parte dell’ordinamento giuridico più tardi. Appare lampante quindi che stabilire il giorno della pubblicazione di una norma è importantissimo. Altra cosa è l’entrata in vigore. È norma generale che una legge sia vincolante erga omnes, per tutti, il quindicesimo giorno dopo la sua pubblicazione. È l’articolo 73 ultimo comma della Costituzione a stabilirlo. È una norma generale che disciplina l’entrata in vigore della legge. Però il Parlamento può stabilire deroghe a questo principio. Può anticipare l’entrata in vigore di una norma, fino ad azzerare i tempi di effettività normativa. Questo avviene ad esempio per gli aumenti delle accise. La legge per evitare pericolose speculazioni, fa entrare immediatamente in vigore gli aumenti di benzina, sigarette o di altri prodotti sottoposti a tassazione immediatamente, al momento della promulgazione del decreto. Vi sono casi in cui la legge allunga i tempi di entrata in vigore di un testo di legge, ben al di là dei quindici giorni. Questo avviene soprattutto se la legge necessita di una serie di adeguamenti amministrativi per essere applicata. Ad esempio le norme che hanno bisogno di un regolamento attuativo, che hanno bisogno di testi di attuazione spesso hanno necessità di tempi lunghi per essere pienamente operanti ed entrare in vigore. Esempio è la norma sul cosiddetto “testamento biologico”, approvata nella scorsa legislatura. La legge dà la possibilità di scegliere quali cure seguire, in caso di malattia cronica e irreversibile. Dà la possibilità al singolo cittadino di scegliere, quando si sta bene, se in caso di malattia che conduce irrimediabilmente alla morte, i medici devono continuare a mantenere il soggetto in stato vegetativo, “attaccato a un respiratore”, od accompagnarlo al sonno senza ulteriori sofferenze. Bene questa legge necessita di regolamenti attuativi che istituiscano banche dati, che riescano anche a tutelare la privacy, e un sistema di sportelli pubblici che facilitino le scelte dei cittadini. Una legge con un iter applicativo così complesso necessita di tempi più lunghi. Insomma una legge per entrare in vigore necessita di strumenti tecnico amministrativi che necessitano un ulteriore tempo di “vacanza”, come si dice in gergo il lasso di tempo fra la promulgazione della legge e la sua effettiva entrata in vigore. Insomma è compito del Parlamento stabilire i tempi e i modi di applicazione delle leggi che lui stesso ha votato. È bene che il testo normativo, come afferma la costituzione, contenga le modalità e le linee generali volte alla sua attuazione

Testo di Gianfranco Pellecchia

domenica 18 marzo 2018

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 72



ARTICOLO 72

“Ogni disegno di legge, presentato ad una Camera è, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una commissione e poi dalla Camera stessa, che lo approva articolo per articolo e con votazione finale.

Il regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per i disegni di legge dei quali è dichiarata l’urgenza.

Può altresì stabilire in quali casi e forme l’esame e l’approvazione dei disegni di legge sono deferiti a commissioni, anche permanenti, composte in modo sa rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari. Anche in tali casi, fino al momento della sua approvazione definitiva, il disegno di legge è rimesso alla Camera, se il Governo o un decimo dei componenti della Camera o un quinto della commissione richiedono che sia discusso o votato dalla Camera stessa oppure che sia sottoposto alla sua approvazione finale con sole dichiarazioni di voto. Il regolamento determina le forme di pubblicità dei lavori delle Commissioni.

La procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale e per quelli di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare i trattati internazionali, si approvazione di bilanci e consuntivi.”

Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
L’articolo 72 della Costituzione indica quali siano le misure volte all’approvazione di una proposta di legge. La dottrina indica con termine “disegno di legge” una proposta legislativa del governo. Appare chiaro che il termine “disegno di legge” inserito nel contesto lessicale dell’articolo 72 della Costituzione debba invece valere per ogni tipo di proposta di legge. Questa premessa è necessaria, perché deve essere lampante che l’iter legislativo indicato da questo articolo costituzionale vale per l’approvazione di qualsiasi norma ordinaria. Le leggi che modificano materie costituzionali,  che cambiano la stessa costituzione o che vanno a novellare norme equiparate a quelle costituzionali, seguono un diverso iter istitutivo regolamentato dagli articolo  138 e 139 della stessa carta fondamentale. Il tema lo tratteremo in futuro. Oggi parliamo del procedimento di formazione di leggi ordinarie. Il progetto di legge viene preliminarmente esaminato e discusso de una commissione legislativa. La commissione competente per materia esamina il testo in sede referente. Poi la trasmetterà alla assemblea, che dibatterà e approverà il testo. Urge sottolineare che il compito della commissione non è meramente istruttorio,cioè di preparazione al dibattito assembleare, ma può anche proporre modifiche al testo originario e redigere un testo di sintesi che accomuni proposte di leggi simili e di argomento comune. Un’opera di compendio importantissimo che può essere un prezioso aiuto per snellire il lavoro parlamentare. Esaurita l’analisi preliminare la Commissione trasmette all’Assemblea il progetto di legge. Il progetto di legge viene discusso, nelle sue linee generali, al fine di accertare, attraverso il voto, se l’Assemblea sia o meno favorevole allo stesso. La discussione preliminare si chiude con l’approvazione dell’ordine del giorno che mette in programma l’iter legislativo. In caso di bocciatura dell’ Ordine del Giorno, si ritiene che la Camera abbia espresso il suo volere di censurare l’iniziativa di legge. In caso di approvazione, invece, si passa alla discussione e alla votazione articolo per articolo del testo. Approvati tutti gli articoli, si sottopone il progetto nel suo complesso alla votazione finale, per la quale è richiesto lo scrutinio palese, tranne che la materia trattata non sia fra quelle per cui la costituzione e i regolamenti parlamentari prevedono un voto segreto. La votazione finale del progetto di legge non è pleonastica. Non necessariamente l’approvazione dell’iniziale ordine del giorno e l’approvazione dei singoli articoli comportano l’assenso dell’intero corpo della proposta di legge. I singoli articoli e gli emendamenti possono essere stati approvati da maggioranze spurie diverse e contingenti. Potrebbe essersi formato un testo normativo teleologicamente diverso dalle finalità che si erano proposti i proponenti il disegno di legge. È bene che un voto finale sancisca che la Camera approvi nella sua interezza il testo. Questo procedimento appena citato è detto ordinario. Deve essere applicato per alcune norme. Deve essere applicato per disegni di legge in materia di rilevanza costituzionale. Per i disegni di legge elettorale, per quelli di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare i trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi.

Il procedimento abbreviato è previsto dall’articolo 72, comma 2. Questi dispone che i regolamenti camerali possono stabilire procedimenti abbreviati per i progetti di legge dei quali è dichiarata l’urgenza. In realtà non si tratta di un procedimento differenziato da quello detto ordinario. Vi è solo una riduzione dei tempi di approvazione. Lo può chiedere il governo, se il disegno di legge è di particolare urgenza.

Altra cosa è il procedimento decentrato. Non ci sono riduzioni dei tempi del dibattito, in questo caso. Le commissioni legislative non si limitano (come nel procedimento ordinario) ad esaminare il progetto di legge. Lo approvano in maniera definitiva, senza passare dall’assemblea generale. Per questo si definisce decentrato, non si svolge davanti al plenum della camera bensì in sede decentrata, in commissione. La legge, votata solo in commissione, è considerata approvata dall’intera assise del ramo del parlamento di cui la commissione fa parte. L’assegnazione del testo normativo alla commissione in veste deliberante è affidata ai presidenti delle Camere. Unica differenza è che il presidente del Senato comunica solamente all’assemblea la sua decisione, mentre la scelta del Presidente della Camera deve essere approvata con voto dall’assemblea. Insomma sono la terza e la seconda carica dello stato a decidere se una legge sarà approvata con rito ordinario o decentrato. Come abbiamo detto il procedimento decentrato prevede che tutto il testo di legge sia approvato dalla sola commissione competente, una volta compiuti gli atti di votazione il testo passa o all’altra camera, se deve essere ancora approvato da essa, o alla firma del presidente della Repubblica che ne integra l’efficacia e la rende legge dello stato, attraverso la sua firma, e vincolante per tutti i cittadini. C’è invece un procedimento misto. Consiste nella votazione in commissione degli articoli di legge, ma la votazione finale dell’intero atto normativo è appannaggio dell’assemblea. La scelta fra i due procedimenti è a discrezione dell’assemblea che può scegliere quale sia l’iter più opportuno per garantire allo stesso tempo la celerità dell’approvazione e la pubblicità dell’atto. Ci possono essere norme che per la rilevanza pubblica rendano necessario un voto dell’intera assemblea, pur non essendo fra le leggi che obbligatoriamente debbano essere approvate per norma ordinaria. A chiedere il dibattimento in aula, contro l’eventuale volontà dei presidenti delle assemblee, possono essere 1/10 dei parlamentari o 1/5 dei membri della Commissione. Davanti a tali richieste i presidenti dei due rami del parlamento devono riportare in aula discussione sul disegno di legge. Per diventare norma giuridica il testo deve essere dibattuto con procedimento ordinario. Questa scelta è voluta per garantire le minoranze. In commissione una legge controversa può essere votata anche senza che si manifestino nella loro compiutezza le linee d’ombra che la riguardano. In un convegno ristretto di persone, quale una commissione, gli scontri dialettici e le divergenze vengono assopite. Da una parte è un bene. Molte leggi che sarebbero state approvate con difficoltà dall’intera Camera in commissione vengono approvate celermente, superando le differenze politiche. In casi di dubbi e di incertezze, però, è bene che l’assemblea intera deliberi, al fine di dare contezza delle differenze politiche e delle censure alla legge delle varie forze. Insomma il ritorno in aula di una proposta di legge è un modo per garantire trasparenza e correttezza. Insomma il comma terzo dell’articolo è fonte di celerità, ma allo stesso è una garanzia volto ad evitare che una legge possa essere approvata non in maniera trasparente. È compito di ogni singolo membro della commissione vegliare affinché non avvenga mai che una legge sia approvata in commissione per celare loschi o pochi chiari fini di natura politica o per tutelare gli interessi privati di qualcuno. È bene che una legge sia posta al vaglio pubblico, affinché non sia utilizzata per fini contrari al buon senso e al bene pubblico. Non è un caso che norme di grande importanza, quali i disegni di legge in materia costituzionale, non possano essere approvati in sede decentrata. Queste norme devono godere della massima pubblicità, che solo il dibattimento in aula può garantire. Le leggi di approvazione dei trattati internazionali, mai e poi mai, possono essere approvati in Commissione. Lo stesso vale per le leggi di delega al governo, norme che autorizzano l’esecutivo a produrre atti equiparati alle leggi, come nel caso delle leggi delega che autorizzano l’esecutivo ad emanare decreti legislativi (atti del governo equiparati alle leggi approvate in parlamento), non possono essere approvati né con procedimento decentrato né tantomeno misto. Insomma la Costituzione garantisce che alcune norme, per essere approvate, devono necessariamente seguire il procedimento ordinario. È un modo per garantire i cittadini, per garantire il sano rapporto istituzionale fra organi dello stato e per garantire il corretto funzionamento della Repubblica.

Scritto da Gianfranco Pellecchia

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 71




ARTICOLO 71

“L’iniziativa delle leggi appartiene al governo, a ciascun membro delle Camere ed agli organi ed enti ai quali sia conferita da legge costituzionale.
Il popolo esercita l’iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli.”

Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
La prima fase del processo di formazione delle leggi è la proposta. Chi può proporre al parlamento l’approvazione di una norma sono soggetti indicati tassativamente dalla Costituzione. Ogni fase del processo normativo è regolamentato dalla Carta Fondamentale, questa regola ovviamente vale anche per la sua prima fase, la proposta di legge. L’organo che per primo ha il diritto e l’onere di proporre l’introduzione di novelle al nostro ordinamento legislativo è il governo. La sua funzione di organo esecutivo dello stato gli permette di avere un quadro ben definito delle esigenze della Repubblica. Alla luce di questo non appare peregrino che sia il soggetto che meglio di tutti, almeno così pensava il costituente, possa proporre ai due rami del parlamento iniziative legislative efficaci e stringenti. Inoltre, è bene ricordarlo, ogni iniziativa che prevede maggiori spese per lo stato, oppure ogni atto che riguarda il bilancio pubblico, deve essere approvata con una legge. L’esecutivo quindi per far funzionare la Pubblica Amministrazione, che presiede e controlla, deve presentare al parlamento delle proposte di leggi, in particolare la finanziaria (oggi si chiama eufemisticamente legge di stabilità), che è una norma che prevede l’introduzione di nuove entrate e di tagli alle spese, e la legge di bilancio, che fotografa lo stato della finanza pubblica, e il Documento di Programmazione Economica, che consiste in un piano di azione per l’anno seguente, che non potrebbero entrare in vigore senza l’approvazione delle due camere. Per questo onere delicatissimo per le finanze dello stato, il governo ha un rapporto privilegiato e una corsia preferenziale, come si suol dire, che impone al Parlamento di approvare celermente le sue proposte di legge. Per sottolineare la peculiarità dell’iniziativa legislativa dell’esecutivo le sue proposte di leggi sono definiti “disegni di legge”. L’iniziativa dell’esecutivo non è meramente una proposta , ma un disegno, quindi un progetto di legge, perché è frutto di un lavoro compiuto grazie alla collaborazione di più organi costituzionali. Il disegno di legge è frutto della iniziativa di un ministro, che viene discussa e approvata dal Consiglio dei Ministri e controfirmata dal Presidente della Repubblica. Insomma il disegno di legge, per le sue modalità di esecuzione e per l’autorità dell’organo che lo produce, è posto quale principale forma di proposta di legge. Chi può presentare non un disegno, ma una proposta di legge è ogni membro del parlamento. Ogni senatore e deputato può presentare il suo  scritto contenete un proposta di legge alla propria camera, o meglio alla presidenza, che lo darà in prima lettura alla commissione competente la sua proposta. Questo è un importantissimo compito di ogni membro del parlamento, chiamato a novellare, con la propria iniziativa, l’ordinamento statale. Sono tantissime le proposte di leggi d’iniziativa parlamentare. Sono quelle che più solertemente sono presenti nei dibattiti parlamentari. È la dimostrazione della vitalità del nostro organo legislativo. Bisogna notare che questo, purtroppo, produce una ipertrofia legislativa. Nel nostro ordinamento si fanno troppe leggi. Questo produce un accavallarsi di testi normativi che entrano in contraddizione fra loro. Sarebbe bene che lo Stato riordini il proprio corpus legislativo, scelga di ridurre le leggi e di privilegiare l’attività regolamentare. Nell’arco dell’intera storia, non solo della Repubblica, ma dello stato unitario italiano sono state molte, troppe, le cosiddette leggi provvedimento. Norme che in realtà servivano a risolvere un particolare e determinato caso o problema. Queste leggi non hanno la generalità e l’astrattezza quale attributo fondamentale, come dovrebbe essere. Non sono state approvate per tutti i cittadini, ma per affrontare un determinata questione. Questo costume di presentare proposte di legge per risolvere un determinato caso, ha portato l’amplificazione di malcostume e corruzione. Bisogna evitare che una legge serva a costruire una strada in un determinato quartiere, come è capitato in passato. Bisogna evitare che i parlamentari usino il loro diritto ad esercitare la proposta di legge per tutelare interessi particolari. Bisognerebbe che ogni proposta di legge servi a tutelare l’interesse generale e non particolare. Purtroppo la seconda repubblica è stata caratterizzata dalla presenza di una classe politica che intendeva l’attività politica come tutela degli interessi aziendali.
Il popolo ha il potere di esercitare l’iniziativa di legge. È una delle forme di democrazia diretta consentite dalla Costituzione. Cinquantamila elettori possono presentare alle camere un progetto redatto in articoli. È una forma di petizione, che deve essere obbligatoriamente ascoltata dal parlamento. La proposta di legge popolare è presentata all’ufficio di presidenza di una delle Camere, la quale deve appurare la correttezza delle modalità di presentazione e la autenticità delle firme apposte dagli elettori, poi la deve girare alla commissione competente in materia che la deve discutere. La proposta di legge popolare può essere emendata ed accorpata ad altre leggi simili esattamente come qualsiasi altra proposta e disegno di legge. Sarebbe opportuno che una proposta di legge popolare abbia una corsia preferenziale, che gli garantisca almeno che sia oggetto di dibattimento in aula. Spesse volte invece queste proposte, frutto del lavoro e del senso civico di migliaia di persone, finiscano nel dimenticatoio, ignorate dalla politica. Questo è il lampante esempio di come la nostra classe dirigente sia autoreferenziale. Pensi solo a se stessa e sia sorda alle esigenze dei comuni cittadini. Non è un caso che il Movimento Cinque Stelle, un partito che fa della partecipazione diretta del popolo alla vita pubblica il proprio credo, abbia avuto tanto successo. Nell’ultima tornata elettorale l’Italia sembra spaccata in due. Da una parte ci sono coloro che credono in una partecipazione attiva della cittadinanza e che vorrebbero superare le forme di rappresentanza e le mediazioni politiche, coloro che votano Cinque Stelle. Dall’altra ci sono coloro che rinnegano apertamente l’ordinamento democratico, coloro che votano Lega e Forza Italia e gli altri partiti di destra, che vorrebbero abbattere i principi costituzionali e proporre uno stato in cui la corruzione e l’illegalità sia tollerata. È una battaglia difficile da leggere, in cui l’unica cosa certa è che i partiti che vedono nella democrazia rappresentativa il fulcro della nostra Repubblica sono stati sconfitti. Speriamo che prevalga il disegno di democrazia partecipata del m5s e non il modello autoreferenziale proposto dalla destra. Non vorremmo che l’Italia fosse governata da un movimento politico che è contro le istituzioni e i principi democratici. Questo lo diciamo consapevoli che la maggioranza relativa della zona più produttiva del paese, il Nord Italia, inneggia alla lega e alla sua visione estremista della realtà quotidiana. Bisogna convincere queste persone che la democrazia è un valore, che non si può inneggiare alla razza, come ha fatto l’attuale presidente della regione Lombardia, esponente di spicco di Lega e Forza Italia. Bisogna che la gente che vota per la Lega e Forza Italia capiscano il valore della democrazia. Capiscano che è sbagliato inneggiare a Mussolini, il propugnatore delle leggi razziali, è sbagliato avere come modello una società che esclude e non include. Il modello partecipativo, la proposta popolare di legge, potrebbe essere uno strumento per far comprendere che lo stato comunità è un valore. Più si fa partecipare le persone alla vita pubblica meglio è per tutti. Il modello sono gli stati del Nord Europa che fanno della democrazia partecipativa il loro modello istituzionale. Anche la Svizzera prevede forme di partecipazione della collettività alla vita istituzionale attraverso referendum propositivi. La partecipazione è un modello vincente per tutti.
Il Consiglio nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) può proporre in parlamento proposte di legge. Ne ha facoltà in forza dell’articolo 90 terzo comma della Costituzione. Il Cnel è un’istituzione collegiale che ha un compito consultivo. Ha l’onere di supportare il governo e il parlamento nelle decisioni in materia sociale. È composto da rappresentanti della società civile designati con decreto presidenziale su proposta del Consiglio dei Ministri. È un’istituzione voluta per creare raccordo fra la politica e la società civile. A dire il vero l’attività del CNEL non si è fatta molto apprezzare in questi decenni. La Riforma costituzionale voluta dall’ex ministro Maria Elena Boschi lo voleva abolire. L’esito referendario  ha bocciato la legge costituzionale in oggetto, il Cnel è rimasto. Anche questo doveva essere un istituto di partecipazione diretta del popolo all’attività dello stato. Ma la scarsa efficienza dell’istituto l’ha posto al centro di polemiche causate dai suoi costi, che alcuni ritengono sproporzionati ai benefici collettivi prodotti.
A seguito della riforma dell’articolo V, la parte della costituzione dedicata all’autonomia regionale e locale, ha potere di proporre testi legislativi anche il consiglio regionale. L’organo assembleare e legislativo della regione ha la facoltà di partecipare attivamente alla attività normativa del parlamento nazionale proponendo leggi.  Questo è un modo per creare sinergie fra gli organi locali e quelli nazionali. È un modo per ampliare la compartecipazione delle istituzioni regionali alla vita nazionale. Il disegno di creare una democrazia fondata sulla sussidiarietà. Una democrazia in cui è di norma affidare le decisioni all’istituzione più vicina alla comunità locale. Questo è il fondamento dello spirito della proposta di legge regionale. La regine si dovrebbe fare megafono dei bisogni delle persone. Dovrebbe sussidiare, aiutare, il bisogno di democrazia diretta e partecipata che parte dal basso. Il principio è: se una cosa la può fare il popolo, la gente comune è bene che lo faccia, solo se ciò non è possibile lo stato si deve sostituire a loro. Ecco perché la regione, ma anche i comuni anche se solo nella materia delle circoscrizioni territoriali, devono proporre leggi, in quanto megafono dei bisogni popolari.
A conclusione possiamo dire che la proposta di legge, la prima fase del procedimento normativo, è importantissimo. L’articolo 71, che la istituisce e contempla, contiene principi propri della democrazia diretta, volontà popolare espressa con l’iniziativa di legge, elementi di democrazia rappresentativa, è il parlamento il centro e il motore che fa approvare le leggi, e di democrazia compartecipata, molte leggi sono il frutto della collaborazione fra organi dello stato, sia locali che nazionali. È bene ricordare l’effetto positivo che produce la compartecipazione popolare. Se noi cittadini impariamo ad essere consapevoli del funzionamento dello Stato, cominciamo a partecipare alla formazione delle norme, riusciremo a costruire una società più bella, meno sorda ai bisogni del singolo e della gente comune.
Scritto da Pelleggia Gianfranco