giovedì 22 marzo 2018

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 75



ARTICOLO 75

“È indetto «referendum» popolare per deliberare la abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedano cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.

Non è ammesso il «referendum» per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia o di indulto, di autorizzazione a ratifiche a trattati internazionali.

Hanno diritto a partecipare al «referendum» tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati.

La proposta soggetta a «referendum» è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.

La legge determina le modalità di attuazione del «referendum».”

Il termine giuridico “referendum” si riallaccia alla espressione latina “Convocatio ad referendum”  che vuol dire convocazione per riferire. È una chiamata rivolta a tutti i cittadini per esprimere la propria volontà, per partecipare attivamente alla formazione del corpo giuridico dello stato. Infatti il «referendum» è la principale forma di democrazia diretta prevista dalla Costituzione. Dà il potere al corpo elettorale di modificare quanto stabilito dagli organi rappresentativi. Ha il potere di cancellare norme o parti di esse, assumendo esso stesso valore di atto normativo. È uno degli strumenti di partecipazione attiva della cittadinanza alla vita dello Stato. Il potere di abrogare leggi dà la possibilità di discutere e di confrontarsi collettivamente su materie giuridiche di rilevanza fondamentale. La sentenza della Corte Costituzionale numero 468 dell’anno 1990 definisce il referendum quale manifestazione di volontà definitiva ed irripetibile del corpo elettorale. In passato i cittadini sono stati chiamati ad esprimersi su istituti giuridici fondamentali, quali le leggi che regolamentavano l’uso terapeutico di pratiche abortive oppure il divorzio. Norme che hanno lacerato la società civile. Norme che venivano a toccare tematiche etiche e valoriali che suscitavano ampi dibattiti all’interno della nazione. I «referendum» hanno contribuito allo svolgimento di un confronto dialettico sereno fra le parti in materie delicatissime. Il tema del divorzio e dell’aborto è considerato un tabù da chi proviene da una formazione culturale cattolica. Invece per la cultura laica il poter scegliere di porre termine a un matrimonio oppure di decidere se portare avanti una gravidanza è un atto di libertà. Il referendum ha avuto la capacità di costringere le parti latrici di due tesi, antitetiche e inconciliabili, a discutere e a trovare un modo per confrontarsi. Al di là della valutazione sul tema specifico, i referendum sono stati un reale strumento di democrazia e di libertà. Sono stati lo strumento per esplicitare i sentimenti e le ragioni di tutta la cittadinanza. Davanti a tematiche così delicate gli italiani si sono dimostrati popolo maturo capace di sfruttare appieno gli strumenti di partecipazione diretta che gli offre lo stato.  
Perché la proposta referendaria sia considerata approvata è richiesta la partecipazione alla votazione della maggioranza degli aventi diritto. Inoltre devono dichiararsi favorevoli all’abrogazione la maggioranza dei voti validamente espressi. La Costituzione impone che una legge, ordinaria, dello stato determini le modalità d’attuazione del «referendum». La norma che attualmente svolge questo compito è la legge 352 del 1970: “norme sui referendum previsti  dalla Costituzione e sull’iniziativa legislativa del popolo”. La normativa ha istituito presso la Corte di cassazione l’ufficio centrale per il referendum. Questi è competente ad accertare che la richiesta di referendum, fatta da cinquantamila elettori o da cinque consigli regionali, sia conforme alla legge. La Corte Costituzionale ha un ruolo rilevantissimo. Secondo la legge Costituzionale numero 1 del 1953 e dell’articolo 33 della legge 352/1970 è chiamata a decidere con sentenza, quindi quale tribunale insindacabile, della legittimità del quesito referendario. Deve deliberare se la proposta di abrogazione di legge sia prevista e consentita dalla Costituzione. Deve appurare se la materia di legge in questione rientri fra quelle che lo stesso articolo 75, nel comma due, ritiene non abrogabili con referendum. Queste materie sono le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia ed indulto, di autorizzazione a ratificare i trattati internazionali. A questo proposito suscita spunti di riflessione che alcuni partiti molto votati, quale Lega e Movimento Cinque Stelle, propongano referendum sui trattati dell’Unione Europea, chiaramente non oggetto referendario per il loro carattere internazionale. Come interpretare la scelta dell’elettorato di votare partiti che si propongono di infrangere le regole costituzionali? Come interpretare il fatto che oltre la maggioranza degli italiani, sommando i voti di Lega M5S e Forza Italia, abbiano di fatto votato contro i valori costituzionali? È ora di cambiare? Di modificare in chiave sovranista, cioè nazionalista, le nostre fondamenta giuridiche? L’Italia è Luca Traini, il giovane attivista della lega che ha sparato contro delle persone di colore in nome della sovranità nazionale? Certo è che il suo segretario, Matteo Salvini, si dichiara legittimato ad assumere la carica di Presidente del Consiglio. Per ora la saggezza dei nostri padri costituenti impone che sia rispettato il principio “pacta sunt servanda”, cioè gli accordi fra nazioni vanno rispettati anche dalla sovranità popolare, dagli elettori, in nome dell’articolo 11 della Costituzione che vede nelle organizzazioni internazionali strumenti per promuovere la pace. Staremo a vedere se Lega, M5s e Forza Italia rovesceranno questi principi, forti del consenso popolare.
Bisogna sottolineare che i limiti all’utilizzo del referendum sono stati pensati per salvaguardare gli interessi superiori della nazione e del popolo. Una norma non deve essere abolita, se così facendo si attua un sommovimento tellurico che mina le basi giuridiche della Repubblica. Il referendum, almeno secondo la giurisprudenza  consolidata della Corte Costituzionale in materia, non deve creare vuoti normativi. L’abrogazione di una legge deve comportare che l’istituto novellato deva continuare ad esistere e a funzionare, anche senza la specifica norma cancellata. Il testo referendario deve essere omogeneo, puntuale, concreto ed intellegibile. Non deve contenere una tale pluralità di domande eterogenee, carenti di una matrice razionalmente unitaria, da non poter venir ricondotto alla logica dell’articolo 75 della Costituzione (così si è espressa la Corte Costituzionale con sentenza numero 27 del 1991). Bisogna chela domanda o  le domande (in caso di referendum abrogativi su più norme) poste all’elettorato siano chiare, che sia chiaro il fine e l’effetto prodotto dall’eventuale prevalere del “si”. Questo è importante soprattutto nei casi di abrogazione parziale di norma di legge. Quando non si vuole abrogare un articolo o un comma, ma solo parti di esse, il pericolo di manipolare e non di cancellare una legge è forte. Alcuni referendum sono stati utilizzati non solo per abrogare una legge ma per introdurne una nuova. È l’esempio del referendum abrogativo della legge elettorale del senato, voluto dal comitato presieduto da Mario Segni negli anni ’90 del secolo scorso. Ora la materia è estremamente delicata. La giurisprudenza della corte non ha affatto dichiarato inammissibili tali quesiti. Anzi il referendum voluto da Mario Segni si è svolto e ha prodotto un cambiamento epocale, trasformando il nostro sistema elettorale da proporzionale a maggioritario. La Corte allora ritenne che fosse ammissibile una legge che riducesse e abolisse formule giuridiche, quali quorum elettorali e maggioranze speciali, che rendevano il nostro sistema rigidamente proporzionale. Il motivo fu che il quesito voluto da Segni produceva un sistema elettorale chiaro e facilmente comprensibile dagli elettori. Altra questione sarebbe stata se invece avesse prodotto esiti non facilmente intellegibili, probabilmente la Corte l’avrebbe respinto. Insomma l’articolo 75 della Costituzione istituisce uno strumento fondamentale di partecipazione diretta dei cittadini. Uno strumento che rende attiva la cittadinanza, la rende protagonista. La volontà popolare si esercita anche attraverso questo prezioso strumento che ha avuto una gestazione travagliata. Istituito con la nascita della Costituzione nel 1947, il referendum è stato utilizzato per la prima volta negli anni ’70 del secolo scorso, quando furono varate le norme attuative dell’istituto. Un ritardo gravissimo che ha lacerato la società italiana di allora. Oggi bisognerebbe che il referendum sia utilizzato con saggezza e autorevolezza da parte dell’elettorato per incidere con fermezza sulla realtà politica italiana. 
A conclusione del processo referendario il Presidente della Repubblica  dichiara attraverso decreto l’abrogazione della norma oggetto del quesito. Lo fa  al termine della tornata elettorale. Promulga un suo decreto in cui dichiara  l’avvenuta abrogazione della legge. che ha effetto dal giorno successivo la pubblicazione. Lo fa dopo che la Corte di cassazione ha dichiarato la vittoria del “si”. Compie l’atto di inchinarsi delle Istituzioni alla superiore volontà popolare, è lo stato, la Repubblica, che si sottomette alla superiore volontà popolare, enunciata e tutelata dall’articolo 1 della Costituzione. Il referendum è un prezioso simbolo e strumento concreto di democrazia, non lo scordiamo mai.

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