ARTICOLO 75
“È indetto «referendum»
popolare per deliberare la abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un
atto avente valore di legge, quando lo richiedano cinquecentomila elettori o
cinque Consigli regionali.
Non è ammesso il «referendum»
per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia o di indulto, di
autorizzazione a ratifiche a trattati internazionali.
Hanno diritto a
partecipare al «referendum» tutti i cittadini chiamati ad
eleggere la Camera dei deputati.
La proposta soggetta
a «referendum» è approvata se ha partecipato alla
votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza
dei voti validamente espressi.
La legge determina le
modalità di attuazione del «referendum».”
Il termine giuridico “referendum” si riallaccia alla
espressione latina “Convocatio ad
referendum” che vuol dire
convocazione per riferire. È una chiamata rivolta a tutti i cittadini per
esprimere la propria volontà, per partecipare attivamente alla formazione del
corpo giuridico dello stato. Infatti il «referendum» è la principale forma di
democrazia diretta prevista dalla Costituzione. Dà il potere al corpo
elettorale di modificare quanto stabilito dagli organi rappresentativi. Ha il
potere di cancellare norme o parti di esse, assumendo esso stesso valore di
atto normativo. È uno degli strumenti di partecipazione attiva della
cittadinanza alla vita dello Stato. Il potere di abrogare leggi dà la
possibilità di discutere e di confrontarsi collettivamente su materie
giuridiche di rilevanza fondamentale. La sentenza della Corte Costituzionale
numero 468 dell’anno 1990 definisce il referendum quale manifestazione di
volontà definitiva ed irripetibile del corpo elettorale. In passato i cittadini
sono stati chiamati ad esprimersi su istituti giuridici fondamentali, quali le
leggi che regolamentavano l’uso terapeutico di pratiche abortive oppure il
divorzio. Norme che hanno lacerato la società civile. Norme che venivano a
toccare tematiche etiche e valoriali che suscitavano ampi dibattiti all’interno
della nazione. I «referendum» hanno contribuito allo svolgimento di
un confronto dialettico sereno fra le parti in materie delicatissime. Il tema
del divorzio e dell’aborto è considerato un tabù da chi proviene da una
formazione culturale cattolica. Invece per la cultura laica il poter scegliere
di porre termine a un matrimonio oppure di decidere se portare avanti una
gravidanza è un atto di libertà. Il referendum ha avuto la capacità di costringere
le parti latrici di due tesi, antitetiche e inconciliabili, a discutere e a
trovare un modo per confrontarsi. Al di là della valutazione sul tema
specifico, i referendum sono stati un reale strumento di democrazia e di
libertà. Sono stati lo strumento per esplicitare i sentimenti e le ragioni di
tutta la cittadinanza. Davanti a tematiche così delicate gli italiani si sono
dimostrati popolo maturo capace di sfruttare appieno gli strumenti di
partecipazione diretta che gli offre lo stato.
Perché la proposta referendaria sia considerata approvata è
richiesta la partecipazione alla votazione della maggioranza degli aventi
diritto. Inoltre devono dichiararsi favorevoli all’abrogazione la maggioranza
dei voti validamente espressi. La Costituzione impone che una legge, ordinaria,
dello stato determini le modalità d’attuazione del «referendum».
La norma che attualmente svolge questo compito è la legge 352 del 1970: “norme
sui referendum previsti dalla
Costituzione e sull’iniziativa legislativa del popolo”. La normativa ha
istituito presso la Corte di cassazione l’ufficio centrale per il referendum.
Questi è competente ad accertare che la richiesta di referendum, fatta da
cinquantamila elettori o da cinque consigli regionali, sia conforme alla legge.
La Corte Costituzionale ha un ruolo rilevantissimo. Secondo la legge
Costituzionale numero 1 del 1953 e dell’articolo 33 della legge 352/1970 è
chiamata a decidere con sentenza, quindi quale tribunale insindacabile, della
legittimità del quesito referendario. Deve deliberare se la proposta di
abrogazione di legge sia prevista e consentita dalla Costituzione. Deve appurare
se la materia di legge in questione rientri fra quelle che lo stesso articolo
75, nel comma due, ritiene non abrogabili con referendum. Queste materie sono
le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia ed indulto, di autorizzazione a
ratificare i trattati internazionali. A questo proposito suscita spunti di
riflessione che alcuni partiti molto votati, quale Lega e Movimento Cinque
Stelle, propongano referendum sui trattati dell’Unione Europea, chiaramente non
oggetto referendario per il loro carattere internazionale. Come interpretare la
scelta dell’elettorato di votare partiti che si propongono di infrangere le
regole costituzionali? Come interpretare il fatto che oltre la maggioranza
degli italiani, sommando i voti di Lega M5S e Forza Italia, abbiano di fatto
votato contro i valori costituzionali? È ora di cambiare? Di modificare in
chiave sovranista, cioè nazionalista, le nostre fondamenta giuridiche? L’Italia
è Luca Traini, il giovane attivista della lega che ha sparato contro delle
persone di colore in nome della sovranità nazionale? Certo è che il suo
segretario, Matteo Salvini, si dichiara legittimato ad assumere la carica di
Presidente del Consiglio. Per ora la saggezza dei nostri padri costituenti
impone che sia rispettato il principio “pacta sunt servanda”, cioè gli accordi
fra nazioni vanno rispettati anche dalla sovranità popolare, dagli elettori, in
nome dell’articolo 11 della Costituzione che vede nelle organizzazioni
internazionali strumenti per promuovere la pace. Staremo a vedere se Lega, M5s
e Forza Italia rovesceranno questi principi, forti del consenso popolare.
Bisogna sottolineare che i limiti all’utilizzo del
referendum sono stati pensati per salvaguardare gli interessi superiori della
nazione e del popolo. Una norma non deve essere abolita, se così facendo si
attua un sommovimento tellurico che mina le basi giuridiche della Repubblica.
Il referendum, almeno secondo la giurisprudenza consolidata della Corte Costituzionale in
materia, non deve creare vuoti normativi. L’abrogazione di una legge deve
comportare che l’istituto novellato deva continuare ad esistere e a funzionare,
anche senza la specifica norma cancellata. Il testo referendario deve essere
omogeneo, puntuale, concreto ed intellegibile. Non deve contenere una tale
pluralità di domande eterogenee, carenti di una matrice razionalmente unitaria,
da non poter venir ricondotto alla logica dell’articolo 75 della Costituzione
(così si è espressa la Corte Costituzionale con sentenza numero 27 del 1991).
Bisogna chela domanda o le domande (in
caso di referendum abrogativi su più norme) poste all’elettorato siano chiare,
che sia chiaro il fine e l’effetto prodotto dall’eventuale prevalere del “si”.
Questo è importante soprattutto nei casi di abrogazione parziale di norma di
legge. Quando non si vuole abrogare un articolo o un comma, ma solo parti di
esse, il pericolo di manipolare e non di cancellare una legge è forte. Alcuni
referendum sono stati utilizzati non solo per abrogare una legge ma per
introdurne una nuova. È l’esempio del referendum abrogativo della legge
elettorale del senato, voluto dal comitato presieduto da Mario Segni negli anni
’90 del secolo scorso. Ora la materia è estremamente delicata. La giurisprudenza
della corte non ha affatto dichiarato inammissibili tali quesiti. Anzi il
referendum voluto da Mario Segni si è svolto e ha prodotto un cambiamento
epocale, trasformando il nostro sistema elettorale da proporzionale a
maggioritario. La Corte allora ritenne che fosse ammissibile una legge che
riducesse e abolisse formule giuridiche, quali quorum elettorali e maggioranze
speciali, che rendevano il nostro sistema rigidamente proporzionale. Il motivo
fu che il quesito voluto da Segni produceva un sistema elettorale chiaro e
facilmente comprensibile dagli elettori. Altra questione sarebbe stata se
invece avesse prodotto esiti non facilmente intellegibili, probabilmente la
Corte l’avrebbe respinto. Insomma l’articolo 75 della Costituzione istituisce
uno strumento fondamentale di partecipazione diretta dei cittadini. Uno
strumento che rende attiva la cittadinanza, la rende protagonista. La volontà
popolare si esercita anche attraverso questo prezioso strumento che ha avuto
una gestazione travagliata. Istituito con la nascita della Costituzione nel 1947,
il referendum è stato utilizzato per la prima volta negli anni ’70 del secolo
scorso, quando furono varate le norme attuative dell’istituto. Un ritardo
gravissimo che ha lacerato la società italiana di allora. Oggi bisognerebbe che
il referendum sia utilizzato con saggezza e autorevolezza da parte dell’elettorato
per incidere con fermezza sulla realtà politica italiana.
A conclusione del processo referendario il Presidente della
Repubblica dichiara attraverso decreto l’abrogazione
della norma oggetto del quesito. Lo fa al termine della tornata elettorale. Promulga
un suo decreto in cui dichiara l’avvenuta
abrogazione della legge. che ha effetto dal giorno successivo la pubblicazione.
Lo fa dopo che la Corte di cassazione ha dichiarato la vittoria del “si”. Compie
l’atto di inchinarsi delle Istituzioni alla superiore volontà popolare, è lo
stato, la Repubblica, che si sottomette alla superiore volontà popolare,
enunciata e tutelata dall’articolo 1 della Costituzione. Il referendum è un
prezioso simbolo e strumento concreto di democrazia, non lo scordiamo mai.
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