martedì 5 maggio 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE



ARTICOLO 22 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome”

L’articolo 22 della Costituzione Italiana sancisce che nessuna motivazione politica può privare l’uomo e la donna del proprio nome, della propria capacità di essere soggetti che possono compiere atti giuridici, della cittadinanza. Si sancisce il diritto ad avere e a mantenere la propria identità. Il nome è ciò che ci rende unici ed eccezionali. La dignità della persona si preserva soprattutto riconoscendo il suo diritto ad avere una personalità. Ogni persona, anche coloro che hanno problemi psichici, è un soggetto che ha una propria individualità. Ognuno la esprime diversamente. Lo stato deve fare in modo che nessuno possa essere ridotto allo stato subumano. I precedenti tragici della prima metà del XX secolo ci debbono servire da monito. I regimi nazisti, fascisti e comunisti si sono adoperati per negare la dignità di uomini ad oppositori, facenti parte di comunità religiose o culturali minoritarie, e a disabili. I campi di concentramento nazisti e i gulag staliniani sono stati la negazione del diritto alla dignità che ogni uomo ha. Stalin internava nei gulag oppositori politici, ma anche appartenenti a etnie considerate, follemente, pericolose per il regime comunista, tali erano considerati, ad esempio, gli ebrei che risiedevano in Ucraina. Hitler ha negato il diritto alla vita a milioni di Ebrei, zingari, oppositori del regime e disabili. Ha mandato tutte queste persone nei campi di sterminio, gli ha dato la morte manifestando il suo cinismo e la sua mancanza di umanità. Insomma ha reso possibile l’annullamento della persona umana. I soggetti invisi al regime erano carne, il termine pare appropriato, da mandare al macello. Non è un caso che Primo Levi, vittima e testimone a un tempo della follia concentrazionista del nazismo, si chiesa “se questo è un uomo?”, è il titolo di uno dei suoi libri che parlano di Auschwitz. Insomma l’articolo 22 sancisce a chiare lettere la sacralità della persona umana, è un corollario dell’articolo 2 che riconosce i diritti della persona, il diritto al nome è uno dei modi per tutelare l’integrità fisica e morale di tutti. Nessuno potrà mai finire nei campi se gli sarà riconosciuto il diritto al nome, il diritto ad essere unico e allo stesso tempo uguale agli altri. Un altro diritto è quello di mantenere la propria cittadinanza. Si sa i regimi politici hanno sempre visto come strumento di potere la possibilità di negare la cittadinanza a chi fosse visto come elemento di pericolo per il proprio potere. La costituzione nega tassativamente che possa essere applicato questo sopruso nel nostro regime repubblicano. Ci sono casi in cui un cittadino potrebbe perdere la cittadinanza, ma sono esplicitamente citati in costituzione e normati da una legge dello stato. Nel caso un cittadino italiano abbia lavorato per enti statali stranieri e abbia prestato servizio militare per una potenza straniera, potrebbe perdere la cittadinanza se l’autorità preposta lo ritenga necessario. Ma questi sono casi limite. La norma è che la cittadinanza è un bene prezioso che non si può perdere. Sul tema della cittadinanza si è aperto un dibattito ampio. Una proposta di legge, ormai senza speranza di essere approvata, estendeva ai bambini nati in Italia, ma figli di non cittadini italiani residenti, però, nel nostro paese, il diritto di cittadinanza. Il dibattito si è fatto intenso. E’ giusto lasciare il diritto di cittadinanza ai soli figli di cittadini italiani o sarebbe meglio dare anche a chi è nato, studia  e vive in Italia, pur essendo figlio di stranieri, la cittadinanza. La destra e il Movimento Cinque Stelle preferiscono che sia il “sangue”, cioè l’ascendenza, a determinare la cittadinanza. La sinistra vorrebbe che fosse la cultura a determinare la cittadinanza, che chi parla italiano vive in Italia studia nel nostro paese fosse italiano. E’ un dibattito ampio. Il candidato alla presidenza della Regione Lombardia della destra ha dichiarato che sua intenzione “è difendere la razza italiana”, questo è un moto che lo accomuna a tutti coloro che voteranno Lega e Forza Italia. L’elemento etnico è fondamentale per la destra di oggi esattamente come lo era per la destra mussoliniana che nel 1938 promulgò, con la complicità di casa Savoia, le leggi razziali. Noi che scriviamo crediamo che la razza sia solo quella umana, che non vi siano differenze etniche tale da fare discriminazioni. Rimane il fatto che milioni di miei concittadini, votando le forze politiche legate a Salvini, Berlusconi e Meloni, non la pensano così. Pensano che il cittadino italiano che ha diritto a una vita dignitosa sia solo bianco e di molte generazioni italiano. Esattamente come la pensavano Hitler e Mussolini, che sotto al loro regime imponevano che bisognasse dimostrare di avere sangue italiano o tedesco al 100%, certificando che i propri genitori e nonni non erano ebrei, oggi la destra pensa che solo chi è di sangue italiano abbia diritto alla cittadinanza. Questa convinzione deve essere vinta. Bisogna sottrarre consenso a una destra di tal fatta. Bisogna farlo con paziente opera di persuasione. Bisogna farlo facendo intendere che la solidarietà umana è un cardine fondante del vivere insieme. Bisogna farlo ricordando che il diritto a non essere privati del nome, della cittadinanza e della capacità giuridica è una conquista ottenuta grazie al sacrificio dei milioni di ebrei, dei milioni di zingari dei milioni di perseguitati morti per mano di un regime totalitario che negava la dignità umana a coloro che erano considerati di “razza” inferiore. Bandire il termine “razza” dal nostro vocabolario, non votare partiti che usano questo termine è un dovere morale che abbiamo in nome del rispetto e la pietà che dobbiamo ai milioni di morti dell’Olocausto.
Testo di Giovanni Falagario

INSIEME CONTRO IL VIRUS



FASE DUE

Ieri, 04/05/2020, è iniziata la cosiddetta “Fase 2”. Cosa sia lo sappiamo tutti. L’Italia è stata colpita dal terribile microrganismo denominato “Corona virus”. Da Marzo i dati delle infezioni sono paurose. Le statistiche di domenica scorsa, 03/05/2020, indicano che gli italiani infettati sono stati in tutto 100179 e i morti 28884. Sono dati significativi, per usare un eufemismo, dell’incidenza del terribile male sulla vita di tutti noi e del nostro paese. Però in questi ultimi giorni si è registrato un significativo calo dell’aumento degli infettati. Se fino a qualche settimana fa ogni giorno si registrava un aumento esponenziale dei malati, oggi la percentuale dei nuovi infetti cala sensibilmente fino a rappresentare un dato molto piccolo, fino a registrare un decremento significativo in alcuni frangeti. In questi ultimi giorni i guariti sono stati un numero sensibilmente maggiore rispetto ai nuovi infetti e alle persone che, purtroppo, sono decedute. Alla luce di questi dati bisogna leggere la scelta di regioni e Governo Nazionale di “Riaprire parzialmente l’Italia”, cioè di rendere possibile la riapertura della maggior parte dei siti industriali, piccoli o grandi, e agricoli del paese. Noi tutti possiamo, insomma, riprendere le nostre attività bruscamente interrotte a causa del Decreto del Presidente del Consiglio del 1 marzo 2020. Con lo stesso tipo d’atto normativo, un regolamento della presidenza del consiglio, il 30 aprile Giuseppe Conte ha dato a tutti noi la possibilità di ricominciare alcune attività  economiche. Le fabbriche di automotive riaprono, come altre aziende strategiche per l’economia nazionale. La Fiat, la Ferrari, i grandi cantieri e tante altre imprese più o meno grandi, ma tutte importanti per il sistema nazionale, ritornano al lavoro. Si affiancano ad altre industrie che non hanno mai chiuso in questi giorni tristi, perché operavano in settori essenziali dell’economia e della vita sociale. Si parla ovviamente del settore medicale, e degli ospedali, ma anche di trasporti e di produzione, confezionamento e vendita di generi alimentari. Cosa succederà ora? Una domanda lecita. Difficile trovare una risposta che non sia nei numeri e nelle statistiche legate al contagio. Ci auguriamo fortemente che il peggio sia passato. Che le misure prese in passato siano la giusta premessa per garantire oggi un, seppur lento, ritorno alla normalità. Le scelte compiute dalle varie istituzioni pubbliche per fronteggiare il male sono state diverse. Si va dalla politica della Regione Lombardia con l’istituzione di centrali operative e di emergenza volte ad identificare e circoscrivere il male. Alla politica della Regione Veneto che ha preferito identificare repentinamente a casa i “positivi” al male così da identificare coloro che potrebbero aver avuto contatti con essi. Ogni regione ha emesso provvedimenti contro il Corona Virus che si sono affiancati a quelli dell’esecutivo nazionale. I risultati di questa pluralità di fonti anti infezione, le polemiche ancor oggi divampano, fra accuse e controaccuse. Si pensi alle politiche attuate dalla regione Calabria e da quella di Sardegna spesso in contrasto con l’azione della Capitale, fino al punto che il ministro degli affari regionali, Francesco Boccia, sembra intenzionato a chiedere un parere alla Corte Costituzionale per dirimere quello che ai suoi occhi appare un conflitto di attribuzione fra poteri dello stato. E’ presto per capire se, ad esempio, la scelta del presidente della Regione Calabria, Jole Santelli, di aprire tutte le attività di ristorazione, soprattutto bar, porti nuovi casi di infezione. L’esponente della destra ha detto ieri, 05/05/2020, che ritiene più pericoloso per la salute pubblica dei suoi concittadini l’atto del governo nazionale di concedere ai calabresi che si erano spostati in altre regioni o nazioni di tornare a casa, che il suo provvedimento di riapertura. Difficile dare un giudizio. Certo ci saranno tante mamme e tanti papà calabresi felici di riabbracciare i propri figli che erano a studiare a Bologna, Milano o Torino. Ma forse ha ragione l’esponente calabrese della coalizione di destra: sono un pericolo. Insomma la fase due inizia. Inizia con forti contraddizioni e conflitti fra le istituzioni. Inizia con un senso di giustificato timore da parte di noi cittadini. Ma inizia, soprattutto, con una speranza di normalità. È il sogno non tanto che tutto ritorni come prima, francamente ci auguriamo che le cose nel nostro paese siano migliori anche rispetto  a come erano prima della pandemia, ma un ritorno alla normale interrelazione sociale. Un ritorno a comunicare fra noi. Un ritorno alle attività produttive che rendono il nostro paese un simbolo di ben fare. Un ritorno a quel “made in Italy” che è stato e continua ad essere non solo orgoglio nazionale, ma fonte di benessere per la stragrande maggioranza dei cittadini italiani. Insomma coraggio. Oggi è un altro giorno. È il secondo meriggio della fase due. Speriamo di poter cominciare insieme un cammino che riporti benessere e serenità ad ognuno di noi. La crisi sanitaria ed economica dovuta al Corona Virus deve essere superata. Ciò sarà possibile grazie al buon senso, alla voglia di rispettare le regole e alla voglia di “alzarsi le maniche” di ognuno di noi. Le polemiche politiche, pur importanti, si devono superare per il bene comune.

domenica 3 maggio 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE



ARTICOLO 21 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo.

La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dall'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili. 

In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle prime ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo di ogni effetto.

La legge può stabilire con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. 

Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume . La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.
Per ricordare i 70 della Costituzione Italiana non poteva mancare il ricordo dell'articolo 21. L'articolo della libertà di pensiero e di parola. Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola con lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Questo è il primo comma dell'articolo. Niente censure, niente silenzi imposti. Ogni persona ha diritto di dire la propria idea, anche se in contrasto con il pensiero dei più. Ovviamente lo stato e la sua forza autoritaria non devono impedire il proferire del pensiero, a meno che questo non sia latore di un reato penale, quale ad esempio la calunnia. In questo caso occorre dire il nostro ordinamento democratico non prevede la censura, ma il perseguimento penale dell'eventuale calunniatore. Insomma la censura è preclusa nel nostro paese. Tanto è vero che i giornali possono essere sequestrati, ma mai si può impedirne la loro stampa. Insomma in Italia, almeno secondo la legge, ognuno può e deve dire la sua, in qualsiasi luogo. Difficile dire che questo articolo sia realmente applicato. L'Italia è agli ultimi posti nelle classifiche dei paesi occidentali per quanto riguarda la libertà di stampa. C'è di fatto un controllo sostanziale delle notizie. Il potere economico e politico esercita un vero e proprio controllo della stampa. Non è un caso che per vent'anni un editore abbia egemonizzato la vita politica. Questo dimostra come la stampa difficilmente sia libera, e che sia anzi asservita agli interessi economici e alla fame di potere di pochi. Ma la libertà di parola si esercita anche nel quotidiano. Si esercita grazie alla disponibilità all'ascolto dell'altro. Per esercitare la libertà di parola dovremmo imparare ad ascoltare. Quante volte un dialogo diventa un monologo. Quante volte riempiamo di insulti il nostro interlocutore senza renderci disponibili all'ascolto? Troppe! L'articolo 21 si esercita anche nel quotidiano, rispettando il proprio collega, rispettando il commesso del negozio che prova a spiegarci le motivazioni di un'attesa prolungata, rispettando colui che ci sembra dica cose poco interessanti e di conseguenza liquidiamo il suo interloquire con una sonora pernacchia, nella migliore delle ipotesi, o con improperi degni di tori ben più gravi che una semplice paralipomena poco gradita. Allora garantire la libertà di parola propria e altri è un esercizio di vita. Far proferire agli altri parola vuol dire prima di tutto imparare ad ascoltare. Vuol dire riuscire ad intuire che ogni parola detta da un altro è importantissima. Impariamo ad ascoltare gli altri. Impariamo a rispettare il loro pensiero. Impariamo ad esercitare la nostra libertà di parola, rispettando il verbo degli altri. Questo contribuirà a fare della nostra Italia un posto migliore. L'articolo 21, la libertà. non è solo il riconoscimento di un diritto, è anche un'indicazione su come vivere la vita assieme agli altri.

E' giusto ricordare che l'articolo 21 è anche uno prezioso strumento per il potere legislativo, l'autorità giudiziaria e di polizia per districarsi nel delicatissimo compito di bilanciare il diritto di parola con altri diritti della persona umana. Il costituente indica chiaramente come le autorità dello stato debbano comportarsi in caso di utilizzo della libertà di proferire parola per commettere reati penali, soprattutto contro la persona ma non solo. Il comma 3 del presente articolo dice che non esiste la censura preventiva nel nostro ordinamento,si può sequestrare un documento redatto con qualsiasi strumento di comunicazione soltanto forti di un atto dell'autorità giudiziaria che lo autorizza in base a tassative indicazioni prodotte dalla legge. In casi d'urgenza, precisa il IV comma, il sequestro può essere effettuato da ufficiali di polizia giudiziaria, ma il loro gesto deve essere immediatamente comunicato al magistrato competente che entro ventiquattrore lo deve legittimare con atto proprio, altrimenti il sequestro è come se non fosse stato fatto ed è dovere dello stato rimettere alla pubblica lettura il cartaceo illegittimamente tolto dal commercio. 
Il V comma dell'articolo 21 della Costituzione Italiana indica che i finanziamenti e i finanziatori dei giornali, o comunque dei mezzi di informazione, devono essere noti. Questo comma è di estrema e stringente attualità oggi, in cui le notizie si acquisiscono con strumenti di divulgazione rapidi e senza possibilità di un pronto controllo, quale è ad esempio la "rete", cioè internet. Molto spesso si diffondono notizie la cui fonte è sconosciuta. Sono ignote anche le finalità per cui una rete di informazioni si sia presa la briga di diffondere una informazione. Come fare a risolvere questo delicatissimo problema? La legge trova nell'azione della Polizia Postale lo strumento per vegliare sui prodotti mediatici. E' lei che ha il dovere di comunicare ai magistrati delle devianze e ove necessario provvedere al sequestro, lo spengimento del sito incriminato, e comunicarlo al giudice, che avallerà la decisione o ordinerà la riapertura del canale web. Ho fatto l'esempio della rete. Sono comunque variegati gli ambiti in cui opera lo stato per controllare che non sia utilizzato contro i canoni della legge il diritto di parola. Penso alla commissione bicamerale per la vigilanza della RAI, organo parlamentare che ha il controllo di vegliare sulla TV di stato. Il controllo sulle molte TV e radio private da parte delle autorità amministrative, ad esempio i dipartimenti del ministero delle Telecomunicazioni. Deve essere chiaro che questa opera delle autorità dello stato non deve mai mettere in dubbio il principio di libertà e di pluralità del pensiero espresso con qualsiasi mezzo di comunicazione. Nessuno è censurato o censurabile. Il compito statale è quello di comunicare alla autorità giudiziaria eventuali atti illeciti, alla fine dei conti sarà questo, solo questo, organo dello stato a rilevare eventuali reati, in forza della sua autorità super partes.

L'ultimo comma vieta la pubblicazione a stampa e spettacoli contrari al buon costume. Il concetto di "Buon costume" è mutato nel corso degli anni. Decenni fa per un giudice particolarmente probo poteva essere scandaloso mostrare anche solo che una donna mostrasse in pubblico le proprie gambe nude o le proprie braccia. C'è purtroppo poco da ridere. In alcuni paesi Africani o asiatici ancora oggi se una donna mostra in pubblico parti del proprio corpo, viene condannata anche alla pena di morte. E' doveroso condannare chi lede in questo modo il più elementare diritto ad essere libero della donna. Chi applica la cosiddetta Sharia, la legge islamica, non rispetta norme ma lede i diritti delle persone, della parte femminile dell'umanità, bisogna ricordarlo. Dopo questo inciso è giusto ricordare che oggi il concetto di "buon costume" nel nostro paese è fortunatamente molto diverso da quelli prima esposti. La donna può sentirsi libera in Italia di vestire come vuole, ovviamente non superando quei limiti di decenza che vietano di mostrare nelle pubbliche piazze le putenda. La cosa importante, decisiva per far capire lo spirito democratico ed egualitario del nostro stato, è che le stesse norme che l'Italia impone alla donna in materia di pubblico pudore, valgono per l'uomo. Questo concetto è valido e diffuso in ogni stato che, come il nostro, si definisce occidentale. Ecco la ragione per cui oggi sono autorizzati alla stampa i cosiddetti giornali Osé, ma con la possibilità di essere censurati, cioè sottratti alla pubblica lettura preventivamente, cosa invece non prevista per altre riviste e giornali, se le immagini e i contenuti che riportano sono talmente "forti" (passatemi questa parola) da non poter rimanere indifferenti al pubblico ludibrio. Speriamo che nessun giornale arrivi a questo. Occorre ricordare che film importantissimi nella filmografia mondiale e italiana furono posti sotto censura per scabrosità. Negli anni 70 del secolo scorso per mesi non poté uscire nelle sale "L'ultimo tanto a Parigi" di Bernardo Bertolucci. Che dire? La censura nella filmografia appare ancor oggi necessaria. E' bene che alcuni film siano proposti, ad esempio, solo a un pubblico adulto. Detto questo è bene che si utilizzi, come dicevano i latini, grano salis, cioè si sappia intuire quando certi contenuti e certe scene che il pubblico pensiero considera scabrose, siano in realtà strumento di espressione creativa di un artista. Comunque ottemperare a questo impegno di ponderata saggezza è compito difficilissimo, si è sbagliato in passato, è facile pensare che si continuerà a sbagliare in futuro.
testo scritto da Giovanni Falagario


MEDITARE CON CORONA VIRUS



COMPLESSITA’

Lo ammetto io, Giovanni Falagario, con la complessità ho preferito non confrontarmi. Ho sempre cercato risposte facili e semplici ai problemi della vita. Ma queste soluzioni si sono troppo spesso rivelate fallaci. Quante volte davanti ad interrogativi sostanziali le risposte affrettate e sbrigative che mi sono dato si sono rivelate errate. Oggi siamo tutti chiamati a confrontarsi con un nemico invisibile, un virus. Siamo tutti chiamati a restare a casa, a evitare contatti, e quindi confronti, con i propri simili. Questo stato di cose porta tante controindicazioni negative, certo, ma allo stesso tempo mi offre una chance. Mi dà la possibilità di confrontarmi con un soggetto che troppo spesso ho rifuggito ed ho liquidato con frasi di circostanza: me stesso. Chi sono? Cosa è la mia essenza? Quali sono i valori fondanti che sono il motore del mio argomentare?  A che fine utilizzo la mia vis dialettica? Sono domande che oggi mi rendo conto sono fondamentali. Ma fin quando non c’era lockdown non ho mai voluto soffermarmi su temi che in realtà sono la sostanza non tanto della mia esistenza, ma del mio stesso essere.

Si può esistere, cioè si può avere una vita sociale, relazionale e affettiva, anche senza pensare e pensarsi, ma non si può Essere senza ragionare su se stessi. Ecco cosa vorrei che mi servisse questo periodo sospeso causato dal morbo, vorrei che questo momento tremendo per l’intera umanità io lo utilizzassi per riscoprire le essenze primarie che mi rendono un essere umano. Un viaggio nel mondo interno per riscoprirsi, spero, migliori di quanto si è creduto di essere fino ad oggi. Un viaggio che mi riporti a rintracciare i valori, i sentimenti, le passioni che sono fondamento della mia esistenza. Un viaggio nei ricordi e nelle sensazioni che mi faccia rimembrare le persone importanti nella mia vita, coloro che hanno contribuito a formarmi come essere umano.  Ognuno di noi deve la propria stessa natura all’aver percorso una parte della grande strada, che è la vita, con alcune persone che diventano uniche e preziose in modo assoluto. Io azzardo nel dire che anche voi, come me, considerino indispensabili per snocciolare il senso della propria esistenza i propri genitori, mamma e papà. Poi c’è l’importanza assoluta che acquista il grande amore, cioè il proprio uomo o la propria donna. Il rapporto amoroso è così viscerale, ma non solo legato ai istinti corporei pur preziosi e benigni, ma anche a una leason intellettuale che rende l’altro parte integrante della propria essenza, fino al rendere il proprio partner l’Uomo o la Donna assoluta, che non lascia spazio ad altri, che non ha bisogno del proprio nome per rimembrare quanto sia importante per te. Come non menzionare i propri figli parte fondamentale di ogni percorso di vita, fino al punto che i nostri pargoli non sono più solo compagni del percorso della vita, ma sono il fine della vita stessa. Poi ci sono gli ispiratori, chiamo così delle persona speciali. Sono coloro che ci hanno guidato nella crescita intellettuale e spirituale. Sono spesso amici, ma sono anche nostri maestri. Ci hanno aiutato in momenti difficili. Ci sono stati vicini nelle cose belle e nelle cose brutte. Sono stati la spalla su cui abbiamo poggiato il capo quando la vita sembrava una impresa troppo ardua da compiere. È l’amico che gioca con noi a pallone, che ti ha messo la mano sulla spalla quando ha visto il tuo viso triste nei campi da gioco. È il capo squadra di un gruppo di cui fai parte, che ti ha invitato a porti al centro della comitiva solo perché ti ha visto oppresso da pensieri dolorosi. È il collega che ti invita a prendere un caffè, con un sorriso,  quando hai avuto pochi minuti prima una tremenda discussione con lui.

 Insomma il Corona Virus mi porta a pensare al valore dell’incontro. Alla importanza dei rapporti interrelazionali. Fa pensare alla amica che ti sorride,all’amico che ti prende la mano. Insomma la vita è complessa. Ci sono tante cose che messe assieme rendono la nostra esistenza un bazar, alcune volte anche disordinato, in cui si affastellano tantissimi sentimenti. Ma si può pensare in positivo a ciò. Si può pensare, si deve pensare, che questa complessità è il frutto prezioso prodotto dall’incontro con persone che hanno cambiato in meglio la mia vita. Questo momento di solitudine, può essere lo strumento per riscoprire quanto sia prezioso il dono che l’altro ci fa di se stesso. Un bimbo che ci sorride, una bimba che fa le mossine bizzose verso di noi, una donna che ci fa un cenno della mano o un uomo che si offre un caffè (ho fatto qualche esempio, ma possono farsi altri milioni di riferimenti alla vita quotidiana) sono parte integrante del nostro mondo interno, ogni atto, anche piccolo, di generosa comunione fraterna nei nostri riguardi è uno strumento per farci cresce come esseri umano, per migliorare e fortificare il nostro Essere. Oggi che il nostro Essere è solo, bisogna ricordarlo per valorizzare l’apporto benefico dell’altro alla nostra vita.

venerdì 1 maggio 2020

I MAGGIO SICILIANO



PORTELLA DELLA GINESTRA

Dopo gli anni bui del fascismo e della guerra, i contadini e gli operai di Sicilia decisero il primo maggio del 1947 di festeggiare la festa dei lavoratori. Si riunirono in un altipiano bellissimo alle porte di Palermo, chiamato Portella della Ginestra. In quel frangente migliaia di cittadini erano su quel promontorio per festeggiare una splendida giornata primaverile e per sentire le voci di speranza di parlamentari e sindacalisti. La Sicilia doveva cambiare. Niente doveva rimanere come prima. Si doveva smentire quell’orribile detto “tutto deve cambiare, affinché tutto rimanga uguale”, che Giuseppe Tomasi di Lampedusa avrebbe denunciato esplicitamente qualche anno più tardi nel suo romanzo capolavoro “Il Gattopardo”. Insomma c’era la speranza che la Repubblica appena nata potesse portare libertà e giustizia sociale. Si chiedeva terra per chi non l’aveva, sottraendola ai latifondisti. Una promessa fatta dal governo nazionale che si preparava ad approvare la legge di riforma agraria che avrebbe, o meglio avrebbe dovuto garantire terra e libertà a tutti.  Si chiedeva un lavoro per chi era disoccupato. Si chiedeva la garanzia di istruzione per tutti i piccoli e gli adulti, purtroppo ancora tanti, analfabeti. Insomma la Sicilia e tutta l’Italia doveva rinascere. Si doveva rialzare la testa. Il male della dittatura era vinto, si doveva pensare a garantire una vita dignitosa per tutti. Ma mentre la gente discuteva ed ascoltava i comizi, la banda di Salvatore Giuliano scese dalle alture prossime all’altopiano e imbracciando ogni tipo di armi, anche mitragliatori, sparò sulla folla inerme. Fu una strage. Morirono donne, bimbi, innocenti. Un numero consistente, molte decine di esseri umani, spirarono sotto i colpi mafiosi. Ufficialmente non si chiarì mai chi furono i mandanti. Si pensò alla forza preponderante della malavita siciliana come l’unica fattrice di quell’insano gesto. Ma fu Gaspare Pisciotta, il mafioso che negli anni ’50 uccise il vile “compare” autore della strage Salvatore Giuliano in una vicenda mai chiarita, a rivelare che i veri mandanti erano deputati e senatori siciliani del Partito Monarchico e della Democrazia Cristiana. Non sappiamo se la sua testimonianza è attendibile. Certo che fortifica l’idea che vi fosse un patto fra la mafia e l’intelligenza conservatrice dell’isola. Dopo più di settanta anni da quella triste giornata quello che importa è la condivisione dell’afflato di libertà di quegli uomini e quelle donne che erano a Portella della Ginestra quel Primo Maggio del 1947. I morti sono da commemorare con profondo rispetto, i sopravvissuti sono da ringraziare perché hanno speso la loro vita per ricordare quel triste momento e per trasformarlo in vivido e forte strumento di rivendicazione ed emancipazione sociale. Per costruire un Italia più giusta e più bella bisogna ripartire anche da loro. Sono i martiri di Portella che ci devono essere di sprone per costruire un sistema di rapporti interrelazionali più giusto e più forte fra noi.

PARLANDO DI COSTITUZIONE



ARTICOLO 20 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività”

L’articolo 20 della costituzione appare come un corollario dell’artico diciannove. Come conseguenza del diritto a professare qualsiasi tipo di credo c’è il dovere da parte delle autorità pubbliche  di non discriminare alcuna associazione nata per accogliere coloro che professano una determinata fede. Non vi possono essere norme  volte a discriminare l’attività di enti ecclesiali, di associazioni e di istituzioni. La legislazione potrebbe attuare norme per dissuadere la popolazione ad organizzarsi per finalità religiose. Vi possono essere norme che istituiscono tassazioni speciali per gli enti religiosi. L’articolo 20 impone che lo stato non attui mai questa strada. Discriminare una qualsiasi attività religiosa è reso impossibile nel nostro paese grazie all’articolo venti della costituzione.  Insomma le istituzioni a carattere religiose possono avere norme di favore, cioè volte a facilitare la loro istituzione, ma non possono esservi norme che pongano ostacoli e difficoltà alla loro nascita. Questo principio è fondamentale per agevolare l’aggregazione di persone nella loro professione di fede. Il credente può liberamente manifestare il suo afflato religioso senza associarsi ad alcuno, senza aderire ad alcuna comunità ecclesiale. Se decide invece di far parte di una comunità religiosa lo stato deve agevolare l’attività istituzionale della comunità. La repubblica deve facilitare l’organizzarsi dei fedeli. L’autorità deve garantire che siano rispettati gli statuti. Non deve in alcun modo ostacolare l’attività religiosa. Questo è un principio basilare che la Costituzione esplicita nell’articolo 20. Insomma non vi possono essere aggravi di natura fiscale allo svolgimento dell’attività religiosa, che spesso impone forme di autofinanziamento da parte dei fedeli e anche di un finanziamento pubblico. Questo principio, occorre dirlo, ha prodotto effetti aberranti. In Italia ci sono esercizi commerciali che sono tassati poco e in maniera incostante, perché facenti capo ad un ente ecclesiastico. Sono vere e proprie attività commerciali che fanno concorrenza sleale ad altri esercenti. Siamo al paradosso che l’articolo 20, nato per non discriminare le associazioni religiose, diventato la giustificazione della nascita di privilegi fiscali e giuridici che la teleologia del commercio non dovrebbe giustificare. Ci sono attività economiche che non pagano le tasse sui beni immobili posseduti solo perché risultano facenti parte di enti ecclesiastici. E’ bene che la legge razionalizzi la tassazione. Non è certo finalità dell’articolo 20 agevolare alcune attività commerciali a discapito di altre. Non è volontà del costituente che alcuni negozi possano non pagare le tasse, perché formalmente sono attività religiose, ,ma  sostanzialmente sono imprese commerciali. E’ d’uopo una razionalizzazione della materia e un censimento accurato di tutte le proprietà e i beni catalogati come ecclesiastici al fine di tassare tutti i beni immobiliari e mobiliari che sono estranei all’attività religiosa e sono solo strumenti di attività economiche. Ovviamente non c’è alcun biasimo verso coloro che, pur facenti parte della comunità clericale, svolgono attività commerciali. La necessità è quella di riconoscere che tali attività sono equiparate ad ogni altra attività volta ad ottenere lucro e dal bisogno di tassarle adeguatamente. Lo stesso vale per le proprietà immobiliari, devono essere soggette alla tassazione, come qualsiasi altra casa e appartamento. Questo per garantire il principio di eguaglianza imposto dal dettato costituzionale.

LA FESTA DEI LAVORATORI



PRIMO MAGGIO

Oggi è il primo giorno del mese di Maggio. Oggi è la festa dei lavoratori. Per tradizione ormai consolidata in molte nazioni del mondo oggi si riposa per rendere omaggio a chi tutti gli altri giorni dell’anno suda e si impegna per garantire la prosperità propria e della collettività. Insomma oggi è il giorno dedicato a tutti coloro, sono la stragrande maggioranza degli esseri umani, che si adoperano quotidianamente per garantire il cibo a sé e alla propria famiglia. E’ la festa delle cosiddette massaie, cioè di coloro, sono in maggioranza donne,  che in casa cucinano e tengono in ordine le cose e le esistenze dei propri familiari. È la festa di chi lavora nelle fabbriche e nelle campagne, negli uffici e negli ospedali. È la festa di chi studia, gli alunni, e di chi fa studiare, i docenti. Insomma è la festa di tutti. È la festa dei malati, dei disabili e dei loro familiari, che si cimentano nella difficile impresa di vivere in momenti e situazioni che appaiono eccezionali e complesse. Un ricordo commosso e vivo d’affetto per gli operatori sanitari che proprio in queste ore stanno lavorando contro la tremenda sfida portata alla vita dal Corona Virus. Siamo con Voi! Vi ringraziamo per il vostro sforzo, per la vostra dedizione umana, e per la vostra competenza professionale che ci salva la vita.

Ma perché proprio oggi è la festa dei lavoratori? Perché si ricorda un avvenimento. Un importante sciopero collettivo che coinvolse gli interi Stati Uniti fra il primo e il sette maggio del 1886, ormai più di un secolo fa. I lavoratori chiedevano diritti e salari dignitosi. L’America prospera, che si avviava ad essere la prima potenza industriale del mondo, non offriva garanzie a coloro che con il loro sudore generavano la ricchezza della nazione. In quei giorni vi erano fabbriche chiuse ed assemblee collettive in tutti gli USA. Chicago la città delle industrie e delle imprese era in fibrillazione. Tutto era fermo, in quella metropoli che era il cuore palpitante della produzione industriale del paese. Gli operai invece di lavorare erano nelle strade e nei giardini a discutere fra loro dei propri destini e delle prospettive di benessere nazionale. Le regole del gioco economico dovevano cambiare. Questa era la loro richiesta. Non si doveva più produrre solo per garantire profitti ai grandi capitali, ma si doveva lavorare per produrre benessere agli operai e ai contadini e garantire alle loro famiglie una vita degna. Bisognava permettere ai bimbi di andare a scuola a studiare. Bisognava garantire la possibilità che vi fosse la cosiddetta “ascensore sociale”. Cioè dare la possibilità, a chi era nato in una famiglia povera, di studiare e di mettere a frutto le proprie capacità intellettuali e manuali per poter svolgere attività intellettuali. Insomma il sogno di un operaio era quello di vedere il proprio figlio la propria figlia diventare medico, avvocato o professore. Si chiedeva anche che ognuno lavorasse secondo le proprie possibilità, anche spendendo fino all’ultimo le proprie energie, ma allo stesso tempo che ognuno potesse avere beni secondo i propri bisogni. Una rivoluzione copernicana che imponeva che vi fosse il principio secondo cui anche chi non poteva lavorare avesse diritto non solo a mangiare, ma anche ad una abitazione e alle cure mediche. Questo moto di liberazione si concluse tragicamente il 5 maggio. La polizia di Chicago si mosse quale tremenda testuggine guerresca contro la comunità di persone manifestanti. Vi fu uno scontro violento. Molti operai morirono e furono gravemente feriti, anche nelle forze di polizia si registrarono lutti. Il paradosso fu che poche settimane dopo furono processati e condannati a pene durissime quegli stessi lavoratori feriti e morti per mano del potere statale. Si registrarono anche condanne a morte per “i più facinorosi”. Sentiti questi drammatici avvenimenti da testimoni oculari, l’Internazionale dei Lavoratori riunita a Parigi dichiarò il Primo Maggio di ogni anno come giorno di Lotta e rivendicazione sociale in ogni parte del modo. Da quel giorno il Primo Maggio è il momento per discutere e pensare collettivamente al valore che il lavoro ha nella vita sociale, collettiva e di ognuno di noi. Non si deve morire di lavoro. Si deve lavorare per vivere. Questa è la convinzione che deve scaturire ripensando ai tragici eventi del passato. Cambiare in meglio la società è possibile. Lo dimostra proprio quel I maggio del 1886. Il sangue sparso nelle strade ha suscitato una coscienza collettiva che spinge per garantire dignità e benessere a tutti. Il lavoro non è sfruttamento. Il lavoro non è svilibile nelle logiche di denaro. Il lavoro è principalmente l’impegno dei medici e delle infermieri e infermieri che lottano contro ogni male. Il lavoro è l’insegnate che prende per mano i propri alunni per farli diventare cittadini responsabili. Il lavoro è l’impegno dell’operaio, dell’impiegato, del dirigente per garantire il bene di tutti, non solo portare a casa lo stipendio. Il lavoro è il banchiere che garantisce i soldi di tutti i correntisti, soprattutto i più deboli e poveri, che magari utilizzano il proprio conto solo per accreditare il magro stipendio. A questi uomini, e anche ai volontari e alle volontarie che si adoperano gratuitamente per la tutela della salute e del benessere di tutti, che chi scrive vuol dare il suo augurio di buon Primo Maggio. Senza di voi ci sarebbe solo stordimento e insicurezza.


testo di Giovanni Falagario