venerdì 1 maggio 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE



ARTICOLO 20 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività”

L’articolo 20 della costituzione appare come un corollario dell’artico diciannove. Come conseguenza del diritto a professare qualsiasi tipo di credo c’è il dovere da parte delle autorità pubbliche  di non discriminare alcuna associazione nata per accogliere coloro che professano una determinata fede. Non vi possono essere norme  volte a discriminare l’attività di enti ecclesiali, di associazioni e di istituzioni. La legislazione potrebbe attuare norme per dissuadere la popolazione ad organizzarsi per finalità religiose. Vi possono essere norme che istituiscono tassazioni speciali per gli enti religiosi. L’articolo 20 impone che lo stato non attui mai questa strada. Discriminare una qualsiasi attività religiosa è reso impossibile nel nostro paese grazie all’articolo venti della costituzione.  Insomma le istituzioni a carattere religiose possono avere norme di favore, cioè volte a facilitare la loro istituzione, ma non possono esservi norme che pongano ostacoli e difficoltà alla loro nascita. Questo principio è fondamentale per agevolare l’aggregazione di persone nella loro professione di fede. Il credente può liberamente manifestare il suo afflato religioso senza associarsi ad alcuno, senza aderire ad alcuna comunità ecclesiale. Se decide invece di far parte di una comunità religiosa lo stato deve agevolare l’attività istituzionale della comunità. La repubblica deve facilitare l’organizzarsi dei fedeli. L’autorità deve garantire che siano rispettati gli statuti. Non deve in alcun modo ostacolare l’attività religiosa. Questo è un principio basilare che la Costituzione esplicita nell’articolo 20. Insomma non vi possono essere aggravi di natura fiscale allo svolgimento dell’attività religiosa, che spesso impone forme di autofinanziamento da parte dei fedeli e anche di un finanziamento pubblico. Questo principio, occorre dirlo, ha prodotto effetti aberranti. In Italia ci sono esercizi commerciali che sono tassati poco e in maniera incostante, perché facenti capo ad un ente ecclesiastico. Sono vere e proprie attività commerciali che fanno concorrenza sleale ad altri esercenti. Siamo al paradosso che l’articolo 20, nato per non discriminare le associazioni religiose, diventato la giustificazione della nascita di privilegi fiscali e giuridici che la teleologia del commercio non dovrebbe giustificare. Ci sono attività economiche che non pagano le tasse sui beni immobili posseduti solo perché risultano facenti parte di enti ecclesiastici. E’ bene che la legge razionalizzi la tassazione. Non è certo finalità dell’articolo 20 agevolare alcune attività commerciali a discapito di altre. Non è volontà del costituente che alcuni negozi possano non pagare le tasse, perché formalmente sono attività religiose, ,ma  sostanzialmente sono imprese commerciali. E’ d’uopo una razionalizzazione della materia e un censimento accurato di tutte le proprietà e i beni catalogati come ecclesiastici al fine di tassare tutti i beni immobiliari e mobiliari che sono estranei all’attività religiosa e sono solo strumenti di attività economiche. Ovviamente non c’è alcun biasimo verso coloro che, pur facenti parte della comunità clericale, svolgono attività commerciali. La necessità è quella di riconoscere che tali attività sono equiparate ad ogni altra attività volta ad ottenere lucro e dal bisogno di tassarle adeguatamente. Lo stesso vale per le proprietà immobiliari, devono essere soggette alla tassazione, come qualsiasi altra casa e appartamento. Questo per garantire il principio di eguaglianza imposto dal dettato costituzionale.

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