PORTELLA DELLA GINESTRA
Dopo gli anni bui del fascismo e della guerra, i contadini e
gli operai di Sicilia decisero il primo maggio del 1947 di festeggiare la festa
dei lavoratori. Si riunirono in un altipiano bellissimo alle porte di Palermo,
chiamato Portella della Ginestra. In quel frangente migliaia di cittadini erano
su quel promontorio per festeggiare una splendida giornata primaverile e per
sentire le voci di speranza di parlamentari e sindacalisti. La Sicilia doveva
cambiare. Niente doveva rimanere come prima. Si doveva smentire quell’orribile
detto “tutto deve cambiare, affinché tutto rimanga uguale”, che Giuseppe Tomasi
di Lampedusa avrebbe denunciato esplicitamente qualche anno più tardi nel suo
romanzo capolavoro “Il Gattopardo”. Insomma c’era la speranza che la Repubblica
appena nata potesse portare libertà e giustizia sociale. Si chiedeva terra per
chi non l’aveva, sottraendola ai latifondisti. Una promessa fatta dal governo
nazionale che si preparava ad approvare la legge di riforma agraria che
avrebbe, o meglio avrebbe dovuto garantire terra e libertà a tutti. Si chiedeva un lavoro per chi era disoccupato.
Si chiedeva la garanzia di istruzione per tutti i piccoli e gli adulti,
purtroppo ancora tanti, analfabeti. Insomma la Sicilia e tutta l’Italia doveva
rinascere. Si doveva rialzare la testa. Il male della dittatura era vinto, si
doveva pensare a garantire una vita dignitosa per tutti. Ma mentre la gente
discuteva ed ascoltava i comizi, la banda di Salvatore Giuliano scese dalle
alture prossime all’altopiano e imbracciando ogni tipo di armi, anche
mitragliatori, sparò sulla folla inerme. Fu una strage. Morirono donne, bimbi,
innocenti. Un numero consistente, molte decine di esseri umani, spirarono sotto
i colpi mafiosi. Ufficialmente non si chiarì mai chi furono i mandanti. Si
pensò alla forza preponderante della malavita siciliana come l’unica fattrice
di quell’insano gesto. Ma fu Gaspare Pisciotta, il mafioso che negli anni ’50 uccise
il vile “compare” autore della strage Salvatore Giuliano in una vicenda mai
chiarita, a rivelare che i veri mandanti erano deputati e senatori siciliani
del Partito Monarchico e della Democrazia Cristiana. Non sappiamo se la sua
testimonianza è attendibile. Certo che fortifica l’idea che vi fosse un patto
fra la mafia e l’intelligenza conservatrice dell’isola. Dopo più di settanta
anni da quella triste giornata quello che importa è la condivisione dell’afflato
di libertà di quegli uomini e quelle donne che erano a Portella della Ginestra
quel Primo Maggio del 1947. I morti sono da commemorare con profondo rispetto,
i sopravvissuti sono da ringraziare perché hanno speso la loro vita per
ricordare quel triste momento e per trasformarlo in vivido e forte strumento di
rivendicazione ed emancipazione sociale. Per costruire un Italia più giusta e
più bella bisogna ripartire anche da loro. Sono i martiri di Portella che ci
devono essere di sprone per costruire un sistema di rapporti interrelazionali più
giusto e più forte fra noi.
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