lunedì 30 novembre 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE

 


ARTICOLO 85 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Il presidente della Repubblica è eletto per sette anni.

Trenta giorni prima che scada il termine il Presidente della Camera dei deputati convoca in seduta comune il Parlamento e i delegati regionali, per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica.

Se le Camere sono sciolte, o manca meno di tre mesi alla loro cessazione, la elezione ha luogo entro quindici giorni dopo la riunione delle Camere nuove. Nel frattempo sono prorogati i poteri del Presidente in carica.”

L’articolo 85 della Costituzione Italiana, al primo comma, stabilisce che la durata del mandato presidenziale è di sette anni. Il primo cittadino dello stato è eletto dal Parlamento in seduta comune. La Carta Fondamentale non dice nulla sulla possibilità che il primo cittadino dello stato venga rieletto al termine del suo mandato. A tale silenzio si è dedotto che nulla osta alla sua rielezione. L’unico precedente è la rielezione del Presidente uscente Giorgio Napolitano avvenuta il 20 aprile 2013. Ricordiamo che la riconferma dell’inquilino del Quirinale avvenne in un momento difficile della storia repubblicana. Il Partito Democratico, partito di maggioranza relativa, non aveva i numeri per formare un governo. La rielezione di Napolitano fu un gesto di Silvio Berlusconi, capo della coalizione Lega – Forza Italia,  volto a dare una mano a una sinistra zoppicante. Fu un gesto di apertura e dialogo, che aprì la strada al governo dell’onorevole Enrico Letta, frutto dell’accordo fra Forza Italia (la lega rimase all’opposizione) e i partiti della sinistra. In precedenza la dottrina era propensa a negare la possibilità della rielezione di un presidente. Già sette anni sono un periodo lungo, si diceva. È meglio non prolungare oltre un tale ufficio pubblico. Giorgio Napolitano, pur accettando con spirito di servizio la rielezione, sposò questa tesi e scelse di dimettersi il 14 giugno 2015, quando il nuovo scenario politico e parlamentare aveva posto le basi per la elezione di un nuovo presidente della repubblica, Giorgio Mattarella. Quale errore! Mattarella è sempre stato considerato da coloro che votano Lega e Forza Italia come il nemico. Da Presidente della Corte Costituzionale aveva censurato le leggi che garantivano la Fininvest e Berlusconi. Il mondo di destra si adirò contro tale provocazione, e votò “no” al referendum costituzionale voluto e concordato dal Partito Democratico e da Forza Italia. Berlusconi fu chiaro, la riforma del paese è possibile a patto che siano difesi gli interessi delle aziende di sua proprietà. La scelta di Renzi di eleggere al Quirinale un nemico della Fininvest determinò la fine delle riforme, naufragate il giorno del referendum costituzionale. Oggi lo scenario è diverso. Il Partito Democratico è minoranza nel paese. I nuovi soggetti politici sono più concilianti verso i bisogni di Silvio Berlusconi. Non è un caso che a presiedere la seconda carica dello stato, la presidenza del senato, sia l’avvocato Maria Elisabetta Alberti Casellati, da sempre impegnata a difendere gli interessi di Silvio Berlusconi, fin da quando ricopriva la carica di sottosegretario al ministero di giustizia. È stata una scelta precisa di Matteo Salvini e Luigi Di Maio, leader rispettivamente di Lega e M5S, per garantire il cavaliere Silvio Berlusconi. Insomma a un Quirinale ostile agli azionisti Fininvest, si contrappone Palazzo Madama difensore dei dividendi delle aziende del Cavaliere.

Trenta giorni prima della scadenza del mandato presidenziale, il presidente della Camera convoca il parlamento in seduta comune. Questa assemblea, composta dai componenti della Camera dei deputati,  del senato e i delegati regionali , è chiamata ad eleggere il nuovo presidente della Repubblica. A presiederla è, a norma costituzionale, il presidente di Montecitorio, il presidente della camera dei deputati. Il suo ruolo è importantissimo, è chiamato ad invitare tutti i grandi elettori, oltre ai parlamentari anche i rappresentati delle regioni, a sedersi in un unico emiciclo e a scegliere il futuro capo dello stato. La convocazione del Parlamento deve avvenire prima che scada il mandato del Presidente della Repubblica, per evitare un vuoto di potere. È d’obbligo sottolineare che il Presidente del Senato svolge la carica di presidente della repubblica vicario, in caso di morte o di assenza o di malattia del Presidente della Repubblica. Alla luce di questo dato si è preferito dare al presidente della camera l’onere di presiedere il parlamento in seduta comune che eleggerà il nuovo capo dello stato. Appare chiaro che durante le votazioni, la seconda carica dello stato potrebbe essere impegnata nell’annoso e delicatissimo compito di sostituire il Presidente della Repubblica, per questo motivo la Costituzione ha preferito dare al Presidente delle Camere il compito di presiedere l’assemblea scrutinante.

Se la legislatura corrente è al termine. Se la scadenza del mandato presidenziale coincide con la scadenza della legislatura. Si preferisce sciogliere le Camere, prorogare di qualche mese il mandato presidenziale e  far eleggere il nuovo presidente dal Parlamento rinnovato dalle elezioni. Questa è una deroga al “semestre bianco”, il periodo di sei mesi coincidenti con la fine del mandato presidenziale, in cui il primo cittadino dello stato non può sciogliere le camere. La dottrina e la prassi dello stato è concorde, il Presidente della Repubblica può sciogliere le Camere e indire nuove elezioni anche in prossimità della scadenza del suo mandato, se tale evento coincide con gli ultimi sei mesi della legislatura. Tale prassi è stata incisa nella Costituzione, dando la potestà al Presidente di sciogliere le camere, con la legge costituzionale del 4 novembre 1991, che la riformato l’articolo 88 della nostra Carta Fondamentale. Il secondo comma di tale articolo recita: (il presidente) non può esercitare tale facoltà (sciogliere le camere) negli ultimi mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura. Insomma è meglio che si rinnovi prima il parlamento, attraverso la consultazione di tutto l’elettorato italiano, e poi il Parlamento, rinfrancato dal consenso popolare, elegga il nuovo Presidente della Repubblica. Il semestre bianco, il periodo di sei mesi in cui il Presidente della Repubblica non può sciogliere le camere e indire nuove elezioni, è importantissimo. È volto ad evitare eventuali ricatti del Quirinale verso il potere legislativo. Non mi rieleggi, ti sciolgo e faccio eleggere un’assemblea a me più amica! Questo potrebbe essere il pensiero dell’inquilino del Colle. Ma se l’elezione delle nuove camere avviene per il naturale concludersi dei cinque anni di legislatura, appare chiaro che un eventuale ritardo nello scioglimento del Parlamento sarebbe ingiustificato. La riforma dell’articolo 88 quindi è stato un mettere ordine a una prassi costituzionale che già riteneva incongruo che non vi potessero essere elezioni parlamentari durante gli ultimi sei mesi di Presidenza. Un appunto. La scelta di far durare la carica del Presidente della Repubblica sette anni è anche volta a slegare la sua elezione dai destini della legislatura che lo ha eletto. Il Presidente non è espressione della maggioranza parlamentare che lo ha eletto. Non rappresenta gli interessi di parte. La sua funzione travalica i destini dei parlamentari che lo hanno votato. Il Presidente della Repubblica è chiamato a rappresentare e garantire l’intera nazione. Deve essere il sommo difensore del diritto e della Costituzione. Si deve far protettore dei cittadini. Ecco perché il suo mandato è di sette anni, proprio per sottolineare che il suo ruolo è altro rispetto agli interessi, pur legittimi, della classe politica che lo ha eletto. Il suo ufficio è volto a servire la Patria, non gli interessi di parte.

giovedì 26 novembre 2020

EL PIBE DE ORO (IL PIEDE D'ORO)

 


MA UNA FINTA E MARADONA

Ieri, 25/11/2020, è morto Diego Armando Maradona. Si disputerà per sempre se è stato lui il più grande e bravo giocatore di pallone del mondo, oppure il più anziano, e ancora vivente, Pelé. Quello che è certo che il goleador argentino rimarrà nei cuori dei tifosi del Napoli e dei  suoi connazionali. Infatti Maradona, grazie alle sue infinite doti di funambulo, ha portato la nazionale di calcio argentina a vincere ben due mondiali e ha portato il Napoli Calcio a vincere ben due scudetti e una coppa UEFA. Insomma da solo ha portato all’apice del calcio realtà che facevano del pallone uno strumento di riscatto. Forse per questo Maradona è considerato, purtroppo, il dio dei furbetti. In realtà le sue vicissitudini con la legge. La sua storia di tossicodipendenza da cocaina, la sua connivenza con l’illegalità l’hanno danneggiato come calciatore, ricordiamo la squalifica del 1994, e come uomo, probabilmente la sua prematura morte è da attribuire all’uso di sostanze allucinogene, ma questo suo contraddittorio comportamento l’ho ha fatto amare da popolazioni che con la legalità hanno poco a che fare, l’hanno fatto amare da noi che ci barcameniamo con furbizie e sotterfugi.

Maradona è stato un grande. Ha saputo superare con il suo talento la povertà e la degradazione sociale in cui ha visto la luce per la prima volta nelle favelas di Lanus, una cittadina argentina la quale ha visto i suoi natali il 30 ottobre 1960. Ha saputo, con i suoi palleggi, scalare le gerarchie del mondo del calcio della sua nazione e dell’intero mondo. Ha saputo, soprattutto, incantare miliardi di spettatori con le sue funamboliche giocate. A lui tutto è concesso, perfino fare goal con la mano, come gli successe in Argentina Inghilterra nei mondiali di calcio del Messico del 1986, competizione da lui vinta. È d’obbligo ricordare che in quella partita, vinta dalla sua Argentina per 2 a 0, i due goal di Maradona furono uno con la mano, la manos de dios (l’arbitro non si accorse che Diego Armando Maradona non aveva messo in rete la palla con un colpo di testa,ma utilizzando la sua mano destra, e convalidò un goal che non doveva valere nel punteggio), ma l’altro fu frutto dell’azione personale senza dubbio più bella che un giocatore abbia mai fatto. Maradona rubò il pallone a centro campo ad un avversari. L’Inghilterra era perfettamente schierata in difesa, non erta affatto sbilanciata. Ma Maradona era Maradona. Il pallone era attaccato ai suoi piedi. Nessuno poteva rubarglielo. Dribloò uno, due, tre, quattro inglesi, arrivò come un fulmine davanti alla porta avversaria, come se non avesse fatto centinaia di metri ma due passetti e tirò fulminando il portiere. La porta si gonfiò. Il pallone era lì fermo alle spalle dell’estremo difensore della perfida Albione. Maradona era il calcio. Era la magia che un pallone può compiere per fascinare gli spettatori. Era allo stesso tempo passione e ragione.

Maradona ha compiuto la storia del Calcio. Lo sport più amato nel mondo sarebbe stato altro se non ci fosse stato lui.  Ogni sua partita è rimasta memorabile, e solo perché giocava lui. Non importa se era nel Boca Junior, nel Barcellona, nel Napoli nell’argentina, se giocava Maradona era una partita assolutamente da vedere, perché qualche magia usciva. Ricordiamo i mondiali svolti in Italia nel 1990. L’Argentina arrivò in finale solo grazie alle sue strepitose giocate, riuscendo perfino a battere la nazionale italiana guidata da Azeglio Vicini, che era considerata, con senno di poi a torto, super favorita. Insomma Maradona era tutto. Maradona era il Calcio, la personificazione di uno sport che è allo stesso tempo popolare, praticato e amato da miliardi di persone nel pianeta, e di elite, nel senso che solo pochissimi, gli dei come Maradona, possono coglierne il senso della infinita destrezza necessaria per praticarlo ai massimi livelli. Insomma la sua morte lascia un vuoto, spegne i sogni di bellezza dei quali lo  sport può  farsi latore. Addio Diego, mancherà la tua gioia di fare calcio.

“Una finta di Maradona” è l’incipit di una poesia scritta negli anni ’80 del secolo scorso da un poeta napoletano, incantato dalle prodezze calcistiche di Diego Armando Maradona appena “comprato” dall’allora presidente del Napoli Ferlaino. È giusto ricordare che “Na finta di Maradona” è stata scritta da un grande del pensiero napoletano, Luciano De Crescenzo.

sabato 21 novembre 2020

VIOLENTARE CON LE PAROLE

 


LA MAESTRA LICENZIATA

È di questi giorni la notizia delle dimissioni, obbligate, di una maestra di Torino. Che cosa è successo? La docente aveva una normalissima relazione con un uomo. I due erano fidanzati. Come avviene frequentemente la loro relazione si è interrotta bruscamente a causa di litigi e confronti aspri dal punto di vista dialettico. Non è nulla di eccezionale. Ci sono molte storie d’amore che finiscono a causa di reciproche incomprensioni. Ma l’ex fidanzato, come purtroppo fanno ormai troppi maschi, ha trovato il modo di rivalersi sulla sua ex compagna pubblicando alcuni video in cui si registrava la vita intima dei due quando erano una coppia. Questo gesto è un reato, è definito con un termine inglese revenge porn. È punito dal codice penale non solo con l’inibizione e la cancellazione delle pubblicazioni, ma anche con una condanna che può giungere ad alcuni mesi, nei casi più gravi, anni di reclusione per il trasgressore. L’istituzione della norma penale è in forza alla legge del 19 luglio 2019 n. 612 che inserisce nel codice penale il comma ter che “punisce chi diffonde immagini o video di organi sessuali o a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e la multa da 5000 a 15000 euro”. Per questo motivo l’uomo è già stato condannato da un tribunale della repubblica. Ma la cosa che aggrava la già penosa storia è il fatto che l’asilo in cui lavorava la malcapitata ha costretto alle dimissioni la donna.

Ora è con difficoltà che chi vi scrive prova a raccontare la storia. Non vi è dubbio che di per sé l’azione dell’uomo è scabrosa. Il mettere in pubblico la propria vita privata, le proprie relazioni sentimentali, creano sconquasso nella propria vita sociale e, soprattutto, in quella della partner, che essendo donna, purtroppo, troppo spesso subisce le chiacchiere di una società che, maschilista, tende a condannare la donna a un marchio di infamia anche se in realtà la malcapitata non ha fatto nulla di male, se non essersi innamorata di una persona che si è manifestato non solo l’uomo sbagliato, ma anche maldicente. Ma il male è nel comportamento del fidanzato, nulla ha fatto la maestra per essere marchiata d’infamia. Appare quindi un violento atto sociale imporgli le dimissioni dal ruolo di maestra d’asilo, come è stato fatto.

Il male viene da chi compie una violenza, anche se in questo frangente non è fisica ma “social”, se si può passare il termine. Pubblicare, rendere comuni a una cerchia di persone, piccola o grande non importa, la vita privata vissuta con un altro essere umano è un atto gravissimo. Non solo è un reato penale. Ma è  anche fare violenza alla persona con cui si è passati momenti preziosi di gioia. Poi c’è da aggiungere che il soggetto ha registrato la liason, ovviamente, quando i due erano ancora innamorati. Allora appare disdicevole e inqualificabile un atto che si compie per offendere e umiliare pubblicamente una persona, qualunque persona, ma è infame quando lo si fa con una donna che si ama, perché ovviamente quando vennero registrati i filmati i due si volevano ancora bene. Avere il senso del valore assoluto che è l’altro, comporta avere un comportamento che preclude in maniera assoluta gesti o atti che possano svilirlo mettere in discussione la sua dignità di donna, in questo caso, ma ovviamente in generale di essere umano. Ecco perché l’azione del vile ex fidanzato è bene che sia condannata sia penalmente che dalla comunità civile. Ma è bene che la maestra sia preservata nella sua dignità e integrità di persona. I bimbi devono essere messi in grado di capire che il male è in colui che sfrutta la vita relazionale intima come strumento di ricatto e di soprusi, non certo per la vittima. È difficile, lo so. È la cultura della nostra società che mette sulla gogna la donna e appare indulgente con l’uomo. Penso anche alla “Lettera Scarlatta” il libro di Nathaniel Hawthorne che racconta come l’America puritana condanna la fedifraga e assolve il fedifrago. Ma bisogna imparare a costruire una realtà sociale veramente fondata sul valore della persona. Ognuno deve essere rispettato nella propria interezza di uomo o di donna. Nessuno deve essere giudicato per la propria vita intima, per le proprie scelte di vita, il proprio credo religioso, o la propria ideologia politica. Questi sono principi incisi nella nostra Carta Costituzionale. Imparare a seguirli è un modo per cominciare veramente a edificare un paese, l’Italia, migliore. Ecco perché l’insegnate di Torino deve essere reintegrata nel suo ruolo. Ecco perché il “revenge porn” non deve essere uno strumento per il reo volto a punire con l’oblio sociale la vittima. Non si deve far vincere chi infrange le regole e umilia la dignità della propria partner. Bisogna capire che chi sbaglia non è chi ha una vita sessuale attiva, quelli sono e devono restare fatti personali, ma chi utilizza i mezzi di comunicazione, social o “tradizionali” che siano, per umiliare e soggiogare un altro essere umano.

Non so come conciliare il senso di pudore che si nutre in ambienti così importanti per la formazione dei bimbi, quali le scuole dell’infanzia. È bene che si trovi un mezzo per proteggerli dal racconto di atti che potrebbero turbare il sereno crescere dei giovani. È bene che i bimbi e le bimbe siano protetti da racconti di atti normali per un mondo adulto, ma sconvolgenti i normali ritmi di vita dei bimbi anche se per loro sono racconti. Ma difendere i bimbi non deve voler dire licenziare una maestra che non ha fatto nulla di sbagliato, ma vuol dire cercare linguaggi congrui a comunicare alla gioventù cosa sia il bene e cosa sia il male. Fargli cogliere che la violenza è sbagliata, qualunque violenza, sia quella compiuta con i gesti, cosa gravissima, ma anche quella compiuta con le parole. Allora forse è bene che la maestra sia reintegrata nel proprio ruolo, al fine di cominciare a comprendere che il male è nella violenza, non è mai chi subisce la violenza, la vittima, che deve essere punita.

venerdì 20 novembre 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE

 


ARTICOLO 84 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Può essere eletto Presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto cinquanta anni d’età e goda dei diritti civili e politici.

L’ufficio del Presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica.

L’assegno e la dotazione del Presidente sono determinati per legge.”

L’articolo 84 della Costituzione Italiana stabilisce i criteri e i presupposti affinché si possa ambire alla carica di Presidente della Repubblica. Può essere eletto primo cittadino dello stato chiunque sia italiano. Una parte della  dottrina è ritiene che anche chi è italiano, ma non appartenente alla Repubblica, perché nato all’estero ma figlio di cittadini italiani, può in teoria concorrere a ricoprire la carica di Presidente. Secondo questa tesi, insomma, la cittadinanza italiana non sarebbe un presupposto inderogabile all’elezione alla Presidenza, così derogando l’articolo 51 della Costituzione che dice che i cittadini italiani sono richiamati a ricoprire uffici pubblici. Questa tesi contrasta, evidentemente, con la scelta dei costituenti di utilizzare il termine “cittadino” per definire chi può ambire al titolo di Presidente della Repubblica. Se avessero ragione i giuristi che dicono che può essere presidente anche un “oriundo” perché utilizzare la parola “cittadino” e non semplicemente il termine “italiano”? Chi è chiamato alla Presidenza della Repubblica deve godere dei diritti politici e civili. L’interdetto dai pubblici uffici, il condannato a pene ausiliarie che implicano il divieto di assumere cariche pubbliche, non può ambire alla Presidenza della Repubblica. Il pensiero va a Silvio Berlusconi, l’uomo simbolo della destra non potrebbe essere eletto Presidente della Repubblica, incatenato da una legge che lo interdice dai pubblici uffici. È un dolore per i milioni di italiani che votano Lega e Forza Italia. Pensare che il simbolo dell’Italia che produce non possa essere primo cittadino della Repubblica è uno smacco. Il Movimento Cinque Stelle, Lega e Forza Italia hanno eletto al senato, quale presidente, l’avvocato Elisabetta Alberti Casellati, valente giurista che si è da sempre battuta a favore di Silvio Berlusconi, fin da quando ha ricoperto la carica di viceministro della Giustizia. È un segno chiaro. Un segno di riforma concreta. Basta con le leggi che inibiscono ad alte cariche chi ha commesso reati penali. Sarebbe giunto il tempo anche di cambiare la Costituzione. Dico il vero io non concordo con questa tesi. Il presidente della Repubblica, a mio parere, dovrebbe essere scevro da condanne, al pari di qualsiasi altro uomo delle istituzioni. Costatare che gli italiani la pensano diversamente da me è un dovere di onestà intellettuale.

Il presidente della Repubblica deve aver compiuto, al momento dell’elezione, i cinquant’anni. La maturità è una delle caratteristiche che lo dovrebbe rendere saggio. La saggezza è la caratteristica fondamentale per una carica che si erge a strenua barriera a difesa dei valori costituzionali. Il presidente della Repubblica assume un delicatissimo e importantissimo compito di silente moderatore fra le parti politiche. Deve facilitare il dialogo fra le forze politiche e le parti sociali, ecco perché la maturità e l’esperienza sono doti fondamentali. L’attuale presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ad esempio, ha un’esperienza e una maturità acquisita da decenni di lavoro nell’ambito del diritto. I suoi trascorsi come membro della Corte Costituzionale lo fanno uomo affidabile e ligio servitore delle istituzioni. Altri presidenti della repubblica hanno avuto un passato di servitori dello stato. Ricordiamo Carlo Azeglio Ciampi, che prima di salire al Quirinale, era stato Presidente della Banca d’Italia e Presidente del Consiglio in anni difficilissimi per il nostro paese. Ricordiamo Sandro Pertini, che prima di essere eletto alla presidenza era stato valente Presidente della Camera e soprattutto eroico Partigiano. Insomma l’età matura favorisce la salita al soglio presidenziale di persone che già si sono distinte per il loro fervore verso la patria.

Il secondo comma dell’articolo 84 chiarisce che nessuna altra carica pubblica o privata è compatibile con quella della presidenza della repubblica. Chi è eletto Presidente deve immediatamente dimettersi da qualsiasi ruolo istituzionale precedentemente assunto. Che sia Deputato, che sia Senatore, la sua carica decade. Anzi è d’obbligo dire che la decadenza della carica precedente è automatica. Se il presidente giura davanti al Parlamento in seduta comune, automaticamente decade dalle cariche assunte anteriormente. Il titolo di avvocato, medico o di qualsiasi altro lavoro professionale è da considerarsi sospeso. Il Presidente della Repubblica non può e non deve esercitare la sua professione durante il mandato, ma la dottrina è concorde nel dire che riacquista pienamente il titolo a professarle al momento della decadenza della carica presidenziale. Lo stesso vale se è dirigente o impiegato di aziende private, deve essere immediatamente considerato in aspettativa e scevro di poteri decisionali all’interno dell’azienda al momento delle elezioni, posizione che potrebbe riacquistare alla fine dei sette anni del mandato presidenziale. A meno che, ovviamente, non contrasti con la carica di senatore a vita, titolo che spetta ad ogni ex Presidente della Repubblica.

L’ultimo comma dell’articolo 84 afferma che è il Parlamento, con legge, a stabilire l’assegno e le dotazioni del Presidente della Repubblica.  Anche il primo cittadino dello stato deve i suoi emolumenti alla libera decisione dei rappresentanti del Popolo. Questo ha implicazioni istituzionali importanti. Il Quirinale, sede della Presidenza della Repubblica, per funzionare e vivere deve sottostare alla insindacabile sovranità del Parlamento che decide quanti e quali soldi versare. Esiste l’autonomia finanziaria del Presidente della Repubblica. In nome della divisione dei poteri il presidente della repubblica può gestire autonomamente i soldi che ha in dotazione, ma chi li stanzia e chi decide il loro ammontare è il parlamento. Questo è un principio cardine di tutti gli stati parlamentari. Secondo un detto inglese vecchio ormai di millenni, non ci può essere tassazione (quindi spesa pubblica) senza la rappresentanza. Questo motto è inciso nella “Magna charta Libertatum”, concessa da re Giovanni d’Inghilterra nel 1215.  Sono i membri delle camere, direttamente eletti dai cittadini, ha decidere delle finanze pubbliche e quindi anche dei soldi da tributare al Presidente della Repubblica. La stessa cos vale per il suo stipendio , l’assegno. Attualmente il presidente Sergio Mattarella guadagna la ragguardevole cifra di 239mila euro l’anno. Sergio Mattarella ha scelto di rinunciare alle pensioni di ex deputato, ex professore universitario e di membro della Corte Costituzionale. Il presidente ha introdotto per sé e per i suoi collaboratori il divieto di cumulo delle retribuzioni con trattamenti pensionistici erogati da pubbliche amministrazioni. Insomma, facendo dei conti in tasca al presidente, si può dire che Sergio Mattarella ha rinunziato a 2 milioni e 800mila euro di guadagni annui. Una bella cifra. Insomma l’attuale presidente ha operato un significativo taglio alle sue entrate personali, rinunciando a assegni pensionistici e benefit di vario genere. Sarebbe bene indicarlo come esempio. L’autonomia finanziaria del Quirinale è necessaria per rendere l’istituzione presidenziale autonoma e scevra da influenze esterne. Non deve essere strumento d’arricchimento per lo staff presidenziale. La carica di Presidente della Repubblica è importantissima. Chi la ricopre rappresenta la Repubblica e la nazione. Bisogna che lo faccia con lo spirito di servizio e con la dedizione propria di un umile servitore dello stato. Noi cittadini dobbiamo rivolgere al Presidente il rispetto e l’onore dovuto a colui che incarna la storia e la gloria dello Stato.

STARE BENE E FAR STAR BENE GLI ALTRI



 AIUTARE PER AIUTARSI

Donare il sangue può essere un modo per fare un check-up, per controllare la propria salute.  Lo è sempre stato. Chi dona il proprio sangue ha garantito da sempre un esame completo dello spettro ematico che gli garantisce il monitoraggio del proprio stato di salute. Da quando il Corona Virus è entrato nelle nostre vite, la regione Puglia ha invitato i centri trasfusionali a compiere uno scrinning completo di coloro che donano il sangue, attraverso un indagine sierologica, al fine di accertare la reale diffusione del morbo fra i donatori di sangue. È d’obbligo precisare che è necessario e indispensabile per l’avvio delle modalità di accertamento del consenso di colui che dona il sangue. Non si può avviare il test per l’accertamento della presenza del Virus nel corpo umano senza il consapevole assenso di chi vi è sottoposto, assenso che deve essere esplicitato in forma scritta. Ora è d’uopo dire che sarebbe poco saggio non dare il proprio consenso ad un’indagine completa sulla propria salute fisica. Ma è bene non lasciare che la libertà individuale sia troppo marcatamente circoscritta. È giusto che, come recita l’articolo 32 della Costituzione Italiana, un trattamento  sanitario non possa e non deva “violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

L’iniziativa della Regione Puglia, simile a quella di altri enti regionali della Repubblica, è preziosa per conoscere e studiare le dinamiche di diffusione della malattia che da mesi sta mettendo a dura prova il sistema sanitario e sociale non solo dell’Italia, ma dell’intero mondo. Andare a donare il sangue non solo aiuta gli altri, colui o colei che ha bisogno di una trasfusione, aiuta i centri ospedalieri a preparare sistemi di cura a base ematica, ma aiuta se stessi a sapere del proprio stato di salute e aiuta l’intera collettività a combattere l’irruento manifestarsi della malattia. Allora donare il sangue è necessario. È necessario per poter garantire un’adeguata scorta di preziosa sostanza ematica per i nostri ospedali al fine di soccorrere coloro che hanno bisogno di sangue, ma è necessario anche per avere una adeguata visione della reale situazione di emergenza legata alla diffusione del tremendo virus. Chi può, cioè chi non ha malattie croniche o diverse forme di patologie che sconsigliano di effettuare la donazione, deve recarsi nelle apposite strutture ospedaliere che effettuano il prelievo del sangue. Lo deve fare in estrema sicurezza. Cioè se ha febbre o altre manifestazioni  di patologie è meglio che telefoni prontamente o al medico di guardia o al proprio medico curante, al fine che questi mettano in moto l’organizzazione sanitaria volta ad assicurare il controllo e il monitoraggio di coloro che stanno poco bene in perfetta sicurezza per il paziente, per il personale sanitario e per gli eventuali familiari ed avventori. Ma se una persona non manifesta alcun sintomo, è in perfetta salute, può, anzi deve, recarsi a donare il sangue ove potrà anche accertarsi di non essere un malato cosiddetto “asintomatico”, cioè una persona che ha contratto il morbo ma che non manifesta i sintomi ad esso legati. Curare gli altri, anche solo

 

lunedì 9 novembre 2020

CI HA LASCIATO STEFANO D'ORAZIO

 

ADDIO BATTERISTA

Lo strumento forse più rappresentativo della musica pop è la batteria. Uno strumento musicale potente, chiassoso ed energico. Come non ricordare Ringo Starr dei Beatles. Ma purtroppo il batterista che ci ha lasciato il 6 novembre 2020i è Stefano D’Orazio, uno dei componenti della storica banda musicale: i Pooh. Purtroppo era malato da tempo di leucemia, ma combatteva con determinazione la sua infermità, quello che fatto smettere di battere il suo cuore è stato il perfido Corona Virus che si è associato al male tumorale che già lo colpiva.

La moglie, Tiziana Giardoni, ha dato la triste notizia, lasciando nello sconforto tutta l’Italia. Si perché l’intera nazione, ormai da decenni, ha come colonna musicale le canzoni dei Pooh. Intere generazioni sono cresciute ascoltando i motivi del complesso che scelse di chiamarsi come un orsacchiotto protagonista di un cartone animato di Walt Disney. Assieme Dodi Battaglia, Red Canzian, Roby Fachinetti, Riccardo Fogli Stefano D’Orazio è stato protagonista di un’avventura musicale durata 50 anni. Il complesso ha già festeggiato le sue “nozze d’oro”. I suoi compagni d’avventura si sono dichiarati commossi e scioccati per la sua dipartita. La musica, non solo italiana, ha perso un punto di riferimento. Un artista è volato in cielo. Sono pochissimi i batteristi di talento italiani, capaci di imprimere verv e tensione poetica in uno strumento che vibra come un diapason. Appare lampante che la morte di D’Orazio crea un vuoto nella storia della musica italiana.

Noi non potremo che ricordare le sue canzoni. Molti componimenti degli album dei Pooh portavano la sua firma. La sua sensibilità ha permesso la composizione di musiche e versi emozionanti; ricordiamo “Uomini Soli” uno dei più memorabili successi del gruppo.

Insomma Stefano D’Orazio rimarrà come uno dei più grandi protagonisti della musica italiana. I fan suoi e dei Pooh lo ricorderanno per sempre. Ricordiamo i suoi natali. Era venuto alla luce a Roma il 12 settembre 1948. Faceva parte di quella generazione che era nata al sorgere della Repubblica, che non aveva visto le brutture della guerra e si accingeva ad affrontare il futuro con ottimismo. Sarebbe stato il protagonista di quell’anelito al bello, al buono e al giusto che caratterizza tutta la generazione che ha visto vivere la propria giovinezza negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso. Una generazione che realmente ha saputo cambiare in meglio la vita della comunità nazionale. I Pooh sono stati allo stesso tempo un gruppo capace di regalare gioia a chi li ascoltava e allo stesso tempo suscitare riflessioni sulle tematiche sociali ed esistenziali che riguardano ognuno di noi. Ricordiamo la bellissima “Pensiero”, un testo e un motivo dedicato a coloro che vivono l’esperienza della reclusione carceraria. Non scordiamo “Piccola Ketty” dedicata alla gioventù femminile che negli anni ’60 70 e sempre anela ad emanciparsi da un mondo maschilista. Insomma Stefano, come tutti i componenti dei Pooh, sono l’emblema di un’Italia matura, cosciente delle proprie capacità, che anela al cambiamento. Speriamo di riuscire a raccogliere il testimone di Stefano e a portarlo avanti per costruire un paese più bello.

domenica 8 novembre 2020

IL GOVERNO DEGLI STATI UNITI

 


IL PRESIDENTE

Ieri, 08/11/2020, è apparso chiaro l’esito delle elezioni presidenziali americane tenutesi il 03/11/2020. Il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America è joe Biden. Succede a Donald Trump, che rimarrà in carica fino alla fine dell’anno 2019. Da oggi fino al momento del’insediamento di Biden alla presidenza si apre un periodo di transizione, il presidente uscente, pur rimanendo nel pieno delle proprie funzioni costituzionali, ha anche il compito dare le consegne, permettetemi di dire di dare le chiavi di casa della nazione, al futuro capo di stato della più potente nazione del mondo.

Il problema è che Donald Trump, che era in corsa contro Joe Biden per riconfermarsi alla presidenza, non è disposto a dichiararsi sconfitto. Per lui la vittoria di Biden è frutto di un imbroglio. In queste ore non è chiaro se intenda contestare il voto davanti alla Corte Suprema, prima, e poi al Senato degli States, la massima istituzione a cui appellarsi in caso di contenzioso elettorale sul tema delle elezioni presidenziali. Se lo facesse si rischierebbe il blocco del sistema costituzionale americano. Con di fatto un tempo indefinito di incertezza su chi debba risiedere alla Casa Bianca, la sede del presidente americano sita nella capitale Washington.

Al momento, è bene ribadirlo, i dati elettorali designano Joe Biden quale Presidente degli Stati Uniti per i prossimi quattro anni, questa è la durata della carica in questione. Il democratico sta già preparando il suo staff di governo. Affiancato Kamala Harris, che dovrebbe essere il primo vicepresidente donna nella storia americana, il condizionale è bene ancora porlo visto le contestazioni di Trump. Il duo Biden Harris ha già un programma di governo, l’hanno presentato ai cittadini durante le elezioni. Il problema è ora chiarire se sarà quello che verrà messo in atto, oppure si continuerà con la strada percorsa dal gabinetto Trump, questo vorrebbe dire che l’attuale presidente ha dimostrato che vi sono stati realmente brogli e realmente è lui il vincente della consultazione. Gli esperi, ma anche i giudici americani, anche se quest’ultimi non avrebbero dovuto pronunciarsi esplicitamente per ovvi motivi di delicatezza costituzionale, appaiono molto scettici sulle reali possibilità di Trump di rovesciare attraverso i tribunali elettorali l’esito delle elezioni. Anche alcuni, anche se non tutti, stretti collaboratori del presidente uscente lo invitano a desistere in una battaglia giudiziale che a loro appare già persa in partenza e che, cosa più grave, potrebbe portare al caos politico, in un momento così difficile per gli States, come per tutto il mondo, alle prese con la terribile pandemia legata al Coronavirus.

Quello che appare chiaro è che Joe Biden, proviamo ad azzardare che sia lui a presiedere gli USA nei prossimi quattro anni, dovrà affrontare una situazione difficile. Il problema non è solo quello sanitario. L’America dal punto di vista economico durante la presidenza Trump è andata molto bene. Fino all’incedere della pandemia il pil USA cresceva considerevolmente, Trump ha attribuito questo dato alle sue scelte politiche. L’irrigidimento commerciale verso l’Unione Europea e la Cina, che ha istituito dazi e balzelli verso i prodotti non made in USA, anche se non entrati ancora in vigore, ricordiamo che dovrebbero partire l’anno prossimo, secondo Trump avrebbero permesso alla America “di tornare grande”, parafrasando il suo spot elettorale della sua prima campagna presidenziale. Ma è veramente così? Veramente l’isolazionismo USA è la soluzione alle grandi angosce dei suoi cittadini? Veramente le fabbriche USA trovano beneficio all’isolazionismo economico? In parte i dati economici confermano le tesi di Donald Trump. Le sue azioni hanno permesso la chiusura di factoring statunitense site, ad esempio, in Messico e riaperto industrie sul suolo statunitense. Ma i dati sono contraddittori. Di fronte ad un aumento dei posti di lavoro nel settore dell’energia e delle materie prime, di cui, è bene ricordarlo, gli USA sono produttori fra i più grandi del mondo, c’è di fatto un impoverimento della qualità del lavoro, la retribuzione media del singolo lavoratore è di fatto diminuita durante la presidenza Trump, indicando questo dato non solo la diminuzione del reddito medio della popolazione, ma anche una diminuzione in termini assoluti di posti di lavoro. Paradossalmente, Trump, che doveva essere il capo del popolo contro i ricchi e potenti che combattano con le potenze internazionali, ha favorito coloro che investivano alla borsa di New York, Wall Streat, che hanno raccolto in questi anni notevoli dividendi. Questo non vuole essere un dato che condanna Trump. La Borsa è un indice di ricchezza della nazione in cui opera. Se Wall Streat guadagna non è necessariamente una male per il cittadino americano. Il problema è che la strory Telling di Trump è diversa. Donald si è presentato come il paladino dei poveri contro i ricchi. Francamente a chi scrive appare ridicolo solo pensarlo, uno speculatore  (Trump è il proprietario di grandi Casinò ed edifici ) è un po’ strano che sia un “uomo di popolo”, ma così è andata, la sua presidenza si fondava su questo racconto. Ora Trump continua a raccontare di essere uomo di popolo tradito dal deep states, dalla burocrazia statuale che tifa per il burocrate Biden contro il popolare Trump. È così? I dati, elettorali e anche economici, smentiscono questo racconto. Ma la battaglia non è finita. Biden quasi certamente sarà presidente degli Stati Uniti. Ma il partito repubblicano, il partito di Trump, proverà a continuare a sostenere la tesi del complotto contro colui che per i conservatori è da considerare il presidente legittimo, Donald Trump. Make America Great era lo slogan di Donald Trump, sembra che invece Trump voglia soltanto far piombare lo stato più potente del mondo in preda al caos. Ma staremo a vedere.

giovedì 5 novembre 2020

IL CONTO DEI VOTI


 

L’ATTESA

Ancora adesso, dopo quasi 36 ore dalla chiusura delle urne, gli Stati Uniti non conoscono ancora chi sarà per i prossimi quattro anni il Comandante in Capo, il presidente della Repubblica. Il 5/11/2020, cioè oggi, dovrebbe essere il giorno fatidico. Si sapranno gli esiti elettorali del confronto del 3/11/2020. Se il vincitore sarà il democratico Joe Biden, l’attuale presidente il carica, il Repubblicano Donald Trump, ha già promesso di fare numerosi ricorsi ai tribunali territoriali dei seggi in bilico. Insomma appare chiaro che il contenzioso giuridico sarà lungo. Trump non farà la stessa cosa che fece All Gore nel 2000. Ricordiamo che Gore, pur avendo dubbi sull’esito delle consultazioni, si proclamò perdente subito, riconoscendo l’avversario George W. Bush Junior presidente. Ma Trump è convinto che oggi l’America si possa permettere un contenzioso che blocchi le istituzioni per mesi. Gli USA trampiani, ragiona il presidente ancora in carica, sono stabili e forti. Il Corona Virus è un’invenzione democratica. Trump ne è guarito facilmente, lo faranno gli altri americani presto, quando l’addormentato Biden (così Trump chiama il suo avversario) toglierà il disturbo, cioè quando sarà chiaro che gli americani hanno scelto di dare a lui il secondo mandato alla presidenza.

I dati al momento negano la fondatezza delle tesi di Donald Trump. I conteggi delle schede danno in netto vantaggio l’avversario, Joe Biden. Ma i fatidici 270 grandi elettori che danno la vittoria non sono stati ancora tutti assegnati, Biden ne ha a suo favore 264 e Trump 214. The Donald potrebbe ancora recuperare, anche se la cosa sembra statisticamente difficile. Ma gli attivisti Repubblicani ricordano la mirabolante rimonta del loro candidato su Hillary Clinton quattro anni fa. Quindi possono ancora sperare che il tocco magico del loro comandante lo riporti alla Casa Bianca. Insomma bisogna attende. Non sapremo ancora per tanto tempo chi sarà il presidente eletto. Quello che è certo è che Donald Trump rimarrà ancora in carica fino al 1 gennaio 2021. È il 31 dicembre 2020 che scade il suo primo mandato, lui è sicuro che svolgerà anche il secondo. Biden spera di no. Staremo a vedere. Intanto si registrano scontri in alcune città americane. Le incertezze creano tensioni, purtroppo, anche in una società solida e convintamente democratica.

martedì 3 novembre 2020

COMMIATO A GIGI PROIETTI

 


E CHI SEI? MADRAKE?

Ebbene si, Gigi Proietti era Mandrake! E l’ultima madrakata, la magia che fanno gli scavezzacollo, l’ha fatta ieri 02/11/2020, morendo il giorno del suo compleanno. Ha 80 anni. Ma ricapitoliamo: Mandrake è il nomignolo del personaggio che l’attore ha interpretato nel film di Steno “Febbre da cavallo” del 1976. Il soggetto cinematografico era chiamato così, perché, perso nel vizio delle scommesse sui cavalli, sempre senza una lira (allora ancora c’erano le monete sabaude) riusciva a infinocchiare i creditori con scuse e raggiri. L’unica che non riusciva a fregare era la moglie, interpretata da una giovanissima e splendida Katerine Spaak, simpatica proprio perché poco credibile nel ruolo di popolana romana, che si accorgeva delle sue sconfitte al gioco, perché Mandrake, se perdente, diventava impotente e allora sono botte, la Signora prendeva a schiaffoni il povero marito.

Madrake è un personaggio che rimarrà per sempre legato alla verve di Proietti. Ma Gigi non era solo quel personaggio. Anzi è stato uno degli attori più poliedrici e complessi della storia drammaturgica italiana, forse, dico forse, superato solo dall’amico di sempre Vittorio Gassman. Si perché di immortali attori l’Italia ne ha avuti tanti: ricordare Carmelo Bene, Gian Maria Volonté vuol dire far un torto a tanti alti grandi. Forse molti sono stati anche più completi, nel senso di più poliedrici, di Gigi Proietti. Ma l’attore scomparso ieri si è saputo distinguere perché ha coniugato mirabilmente il talento con la capacità di rendersi amico e confidente del proprio pubblico. Gigi era una persona di casa. Quando la televisione trasmetteva i suoi telefilm, memorabile e di grande successo la fiction “Maresciallo Rocca”, e i suoi spettacoli era realmente come se Proietti entrasse nella vita degli spettatori come fosse un ospite gradito ed atteso. Era il vicino di casa, il parente, che cenava con noi e ci raccontava una storia fatta di lacrime e di sorrisi, ma comunque finalizzata a farci trascorrere qualche ora di piacevole svago. Insomma Gigi Proietti era una persona che faceva della sua arte uno strumento per strappare un sorriso a chi lo guardava. Averlo perso, sapere che è volato via in cielo, crea un vuoto. Certo potremo rivedere i suoi lavori passati, ma l’idea che possa sorprenderci con le sue trovate ci dava veramente gioia di vivere. Sono esilaranti le scenette che ha fatto con Renzo Arbore, i due uomini di spettacolo vestiti da anziane signore che si prendono a borsettaie. Arbore ha fatto la stessa piece con Roberto Benigni, ha dimostrazione che far ridere è un arte delle persone grandi.

Gigi Proietti ci lascia. Muore, a causa dei suoi problemi cardiaci che negli ultimi giorni si sono aggravati, costringe dolo al ricovero in un ospedale romano. Ma non ci lasciano le sue opere artistiche. Il suo teatro, ad esempio lo spettacolo  “A me gli occhi pleace” oppure Alleluja Brava gente” rimarranno nella storia dello spettacolo italiano. Come pure rimarrà nella storia del costume italiano il suo “Adraianaaa”, e si perché era lui a dare la voce a Silveter Stallone nel film “Roky”. Ha doppiato anche Dastin Hoffman e Robert De Niro, ed altri grandi attori americani. Insomma Proietti era un attore a tutto tondo ed è riuscito, cosa pregevole, a tramandare la sua arte e a raccontare il suo talento attraverso la scuola d’arte e d’attore che ha fondato, la quale ha formato i migliori talenti da almeno trenta anni a questa parte.

Con Gigi Proieti si spegne un vero grande artista. Paragonabile ad Ettore Pratolini, attore del passato a cui Gigi si ispirava. Era bravo nell’arte di trasformarsi e di assimilare i vari ego dei personaggi con estrema velocità al pari di Leopoldo Fregoli, attore trasformista simile per intenderci ad Arturo Brachetti. Non a caso Gigi Proietti negli anni ’80 del secolo scorso interpretò un film per la TV in cui si raccontava la vita di Fregoli.

Insomma la carriera di Proietti è lunga ed è ricca di successi. Veramente elencarli sarebbe una impresa titanica, per un povero scribacchino come me. Quello che vorrei solo esplicitare è il regalo che Gigi Proietti è riuscito a fare alla mia vita, come a quella di tanti altri italiani ed italiane. Il suo tocco leggero e soave. La sua capacità di esprimere leggerezza nella recitazione aveva il dono di regalare serenità. Rivedere i suoi film, rivedere i suoi spettacoli è un piacevole che rende più leggera l’esistenza. Ma sapere che non potremo assistere ai suoi improvvisi atti d’estro, che non potremo più apprezzare le trovate picaresche che rivoluzionano il ritmo scenico, per il semplice fatto che la morte ci ha negato la sua presenza nell’oggi, ci renderà tristi. Ma il suo ricordo, le sue madrakate rimarranno per sempre. Ciao, maresciallo, ladro truffatore, onesto.. insomma attore.

domenica 1 novembre 2020

ADDIO 007

 


I’M BOND, JAMES BOND

Ieri, 31 ottobre 2020, si è spento Sean Connery.Nato ad Ediburgo, capitale della Scozia, il 25 ottobre 1930, aveva 90 anni. È stato il primo James Bond, il 007 creato dalla mente dello scrittore Jan Fleming e che dagli inizi degli anni 60 del secolo scorso ha dato il via a una fortunatissima serie di films. Molti attori hanno interpretato la spia inglese 007. Ma solo Sean Connery ha saputo incarnare lo spirito ironico, maschilista, strafottente, snob fino all’estremo, che rende 007 il personaggio più politically incorrect della storia del cinema. I caratteri negativi del personaggio sono così estremizzati da renderlo amabile. Un paradosso che solo Connery riusciva ad ottenere. Le donne gli cadevano ai piedi, le bondgirls, così si chiamano i personaggi femminili dei films. Fanciulle che sono meri strumenti nelle mani dell’astuto agente segreto. Sono oggetti sessuali e strumenti per compiere la missione affidata a Bond. Avete capito bene. I films di Bond erano veramente uno schiaffo alla dignità femminile. Ma l’ironia, che era la caratteristica principe di Connery, riusciva a mitigare questo violento atto verso il mondo femminile. Lo sguardo dell’attore faceva capire che in realtà chi era preso in giro era il maschio, che credeva veramente che le donne fossero un mero oggetto, e non la donna di per sé. Questa ambiguità che Connery riusciva a trasmettere al personaggio Bond è stata una delle ragioni per cui 007 è ancora sulla cresta dell’onda ad oltre cinquanta anni dalla sua prima uscita cinematografica. Le Bond girl, come dimenticare Usula Andres?, i cattivi, da Goldfinger al dottor How, sono rimasti nella memoria collettiva.

Ma Connery non era solo Bond. Era veramente un attore a tutto tondo. Le sue interpretazioni hanno fatto la storia del cinema mondiale. Come poter dimenticare “Marnie ” di Alfred Hitchcock in cui fa la parte di un milionario che si innamora di un’ambigua cleptomane, che gli scombussola la vita fino a giungere a un passo dal precipitare nella perdizione?  Veramente sono tantissimi i film che devono alle muti forme capacità interpretativa di Sean il successo. Si passa da film di gangster e poliziotti come “Gli intoccabili”, in cui Connery fa la parte di un vecchio poliziotto di origine scozzese, e per questo vinse il suo unico Oscar, Kevin Costener è il suo capo, Andy Garcia è un suo collega ed il cattivo è, niente di meno che, Robert De Niro, che interpreta Al Capone. Insomma un film con un cast stellare e la regia perfetta e a fil di spada di un ispirato Robert De Palma. Ma aspettate, non finisce qui. Connery ha interpretato un attempato e deluso Robin Hood, in cui si racconta di come il ladro di Sherwood, dopo l’arrivo di re Riccardo in Inghilterra, riparte con lui per le crociate, e al suo ritorno in Inghilterra narra la sua delusione verso un mondo orrendo e violento. La pace è l’unico bene, anche per uno come Robin – Connery. In questo film è da ricordare Audrey Hepburn, una splendida e ambigua, si ambigua, lady Marian, che ci regala una delle sue interpretazioni più complesse ed enigmatiche della sua carriera.

Connery ha interpretato veramente tantissimi films. È stato un ciabattino scozzese in un film di favole della Walt Disney “Dardy Gil, re dei folletti”. Uno dei suoi primissimi film, in cui giovanissimo sfoggia tutta la sua eleganza d’attore di prosa e la sua ironia di uomo di mondo. Ha fatto anche un “Indiana Jones” affiancando Erison Ford, con la sapiente regia di George Lucas. Come non ricordare i vibranti duetti fra Ford, il figlio, e Connery, il padre. I rimbrotti del vecchio padre che tratta il professore universitario,Jones, come un bambino in fasce. Scene che fanno ridere a crepapelle.

Insomma Connery è stato un attore completo. Capace di far ridere, ma anche di far piangere, gli spettatori. È stato un interprete dei dubbi e delle angosce degli uomini e delle donne dei decenni  durante i quali ha lavorato. È stato capace di farsi latore dei dubbi e delle perplessità di Hitchcock verso la psicologia froidiana, penso al  film Marnie che ha tematiche simili a quello che sarà “La donna che visse due volte”, in inglese “Vertigo”, l’esplicitazione più forte del pensiero del regista sulle teorie del dottore viennese. Connery ha avuto la capacità di fare film di cassetta, cioè fatti che un pubblico che voleva solo divertirsi, da “Higlander”, Entraptment, con un giovane e bellissima Catherine Zeta Jones e film d’autore, che esprimevano un pensiero complesso.

In ultimo è stato capace di interpretare l’ambiguo, ironico, sprezzante francescano protagonista e indagatore de “Il nome della rosa”, film di Jean Jaques Annaud, ispirato dall’omonimo e fortunatissimo romanzo dell’illustre sinologo italiano, Umberto Eco. È d’uopo sottolineare che l’ironia irriverente dello scrittore e dell’attore, congiunta alla maestria del regista francese, hanno fatto del racconto un film, che magari ha qualche incrinatura artistica, ma che comunque riesce a rendere permeabili allo spettatore i livori e le tensioni che caratterizzano il Medioevo Europeo, il vero protagonista assoluto de “Il Nome della Rosa”, periodo storico che è stato capace di vivere in sospensione ideale fra la perfezione artistica e filosofica del mondo antico, dell’età classica, e la tensione al domani che caratterizza la modernità.

Insomma Sean Connery è stato un attore completo. Un personaggio unico nella platea del mondo cinematografico. Un provocatore incorreggibile, con le sue uscite inusitate. Una persona affabile e premurosa, sempre in prima fila nelle campagne umanitarie. Forse “Un dinosauro”, cioè un uomo legato a quegli anni 50 e 60 del Ventesimo Secolo, esattamente come il suo grande alter ego e personaggio 007, che ormai si direbbe “estinto”. Ma capace di trasformarsi, di rendersi attuale, di farsi futuro, quando la vis scenica lo pretende. Che dire? Sean Connery, o meglio i suoi personaggi sono quello che io, colui che scrive, avrebbero voluto essere, anche se è difficile da confessare. Furbi, belli amati dalle donne e con la capacità di sorridere alle avversità. Che la terra gli sia lieve.