martedì 31 marzo 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE



I PATTI LATERANENSI E LA COSTITUZIONE: ARTICOLO 7 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Lo stato e la chiesa cattolica sono ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.

I loro rapporti dono regolati dai patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”

Dante Alighieri paragonava il papato, il potere spirituale, e l’impero, ai suoi tempi il potere temporale, quali due soli che riscaldavano la vita e rendevano floride le terre di tutti gli uomini. Il sommo poeta utilizzava questa allegoria per teorizzare una benefica e pacifica convivenza fra il potere di Dio e quello degli umani. Camillo Benso Conte di Cavour,  padre della patria e presidente del consiglio di re Vittorio Emanuele primo re d’Italia, motteggiò, in una celebre frase: libera chiesa in libero stato. Alla luce del pensiero di questi due grandi della storia italica, con la dovuta umiltà e con la consapevolezza di non poter considerarci degni di narrare nella loro interezza le complesse vicende che caratterizzano i rapporti fra Vaticano e Stato Italiano, noi di “racconto a mano libera” continuiamo il percorso di lettura della costituzione, riportando, quest’oggi, l’articolo 7. Questo articolo è stato lungamente dibattuto nell’assemblea costituente. Il nostro paese, allora come oggi, è forgiato culturalmente dalla religione cristiana ed è grandemente influenzato dalla dottrina cattolica. Il problema principale era conciliare il dato di fatto che la stragrande maggioranza degli italiani era cattolica con l’esigenza di tutelare chi non lo era. In più era necessario che fossero definiti in maniera chiara gli ambiti propri della Chiesa e gli ambiti della nascente Repubblica, libera chiesa in Libero stato, le parole di Cavour riecheggiavano nell’assemblea costituente. Prima di tutto era a cuore dei costituenti chiarire che la Repubblica, lo stato, riconosce l’indipendenza della chiesa dal potere della politica. D’altro canto è d’obbligo che la chiesa sappia non influenzare la politica. La costituzione esplicita che i due poteri hanno un “proprio ordine”, cioè agiscono in ambiti diversi, quello delle anime l’una e quello delle faccende temporali, l’altra. E sono indipendenti, cioè lo stato  e la chiesa non devono influenzarsi nelle loro scelte. Ambedue hanno sovranità nel loro ambito. Questo vuol dire che sono in una condizione di parità. Né lo stato è sottoposto alla chiesa. Né la chiesa è prostrata davanti al potere temporale. Sono, quali stati fratelli e uguali, indipendenti fra loro. Quello che infiammava maggiormente i cuori dei costituente, che discutevano animatamente su come dovesse essere sancito in costituzione il rapporto fra il papa e la repubblica, era il rispetto dei cosiddetti Patti lateranensi. I Patti erano stati firmati da Benito Mussolini, nelle vesti di Presidente del consiglio italiano, e da papa Pio XI nel 1929. Gli accordi intendevano superare le cosiddette “guarentige”, i privilegi che casa Savoia aveva concesso  in via unilaterale, senza consenso del papa, al pontefice all’indomani della debellatio, la fine storica, dello stato pontificio a seguito della presa italiana di Roma. Privilegi che servivano al papa a mantenere i propri possedimenti e quelli della chiesa e allo stesso tempo di avere sostentamento economico. Le guarantige non furono mai accettate giuridicamente dal papa, ma solo esercitate di fatto. Con i patti Lateranensi l’Italia e lo Stato della Città del Vaticano, istituzione statuale che di fatto ha le sue fondamenta giuridiche e nasce proprio a seguito della firma in Laterano degli accordi, trovano una comune e concordata gestione dei loro rapporti istituzionali. Fu ampio e serrato il dibattito in assemblea costituente. I partiti laici, socialisti e liberali, intendevano non riconoscere i patti lateranensi come parte dell’ordinamento giuridico della nascente Repubblica. Trovavano indegno che una simile negoziazione, fatta e voluta dal dittatore Mussolini, entrasse nella nuova democrazia. La proposta era di considerare la Chiesa come una formazione sociale, di enorme rilevanza sociale e culturale, ma pur sempre sottordinata allo stato. Alla fine prevalse la tesi del leader della Democrazia Cristiana, Alcide De Gasperi, e del leader del Partito Comunista, Palmiro Togliatti, che ascoltando gli ammonimenti di un giovanissimo giurista oltre che membro dell’assemblea costituente, Aldo Moro, imposero l’inserimento dei Patti Lateranensi in costituzione, atto che fu votato in assemblea a larga maggioranza. A caldeggiare e a scrivere questo articolo fu il giovane Aldo Moro, spalleggiato dall’anziano Don Luigi Sturzo, padre nobile del popolarismo italiano. L’Italia aveva trovato il modo di salvaguardare la propria laicità e allo stesso tempo di garantire alla chiesa di continuare ad operare nel nostro paese. E’ giusto ricordare, però, che coloro che erano contrari alla legittimazione costituzionale dei patti non erano fanatici laicisti, non erano famelici mangiapreti. Avevano ragione nel dire che Mussolini aveva offerto diritti e privilegi alla chiesa che erano in contrasto evidente con i valori di eguaglianza di libertà e pluralismo della Costituzione che si andava scrivendo. La chiesa aveva privilegi di natura economica che di fatto danneggiavano, per la loro prominenza, le altre religioni. Vi era il reato penale di dileggio alla religione nazionale, quella cristiana, che nettamente contrastava con il principio di parità. Perché bestemmiare, scusate il termine, Gesù era un reato e invece bestemmiare Geova no? Perché a scuola si insegnava religione cattolica e non le altre fedi? Sono domande che hanno trovato solo una risposta parziale nel 1984 quando il presidente del consiglio di allora, Bettino Craxi, e il segretario di stato vaticano, Agostino Casaroli, hanno modificato i Patti Lateranensi liberando l’Italia da un fardello che imponeva delle lesioni della libertà ai cittadini che non intendevano praticare la fede cattolica. Anche quella riforma però non ha superato interamente le contraddizioni e le aporie che il concordato ha in sé. La strada per un sano e fruttuoso rapporto fra stato e chiesa non è ancora interamente percorsa. Molto c’è da fare. Urge però sottolineare che, alla luce degli eventi che si sono susseguiti nella storia della nostra nazione, è da ritenere un atto di lungimiranza quello del Pci e della Dc di voler scrivere l’articolo 7 della Costituzione così com’è. Un atto e un’intuizione che proviene da due parti politiche così diverse e allora lontane fra loro, ma che, fatto proprio dall’intera assemblea, ha portato benefici e serenità a una nazione come l’Italia che allora era composta per la quasi totalità da cattolici.

Testo di Giovanni Falagario

PARLANDO DI COSTITUZIONE


ARTICOLO 6 DELLA COSTITUZIONE ITALIA
La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.
Prosegue l'iniziativa di "Racconto a mano Libera" che pubblica gli articoli della costituzione italiana in occasione del settantesimo anniversario dell'entrata in vigore della nostra legge fondamentale. Oggi parliamo di un articolo che, seppur nella sua brevità, è uno dei più significativi. Per la prima volta nel nostro paese si proclama solennemente che le minoranze hanno diritti che lo stato tutela. Nel 1947, quando si scrive la costituzione, sono passati pochi anni dalle politiche di "italianizzazione" forzata perseguite dal fascismo. In regioni come l'alto Adige il fascismo aveva misconosciuto la presenza della comunità germanofona, pur presente da molti secoli. Lo stesso aveva fatto, nelle terre balcaniche occupate dall'Italia e durante la guerra, con le comunità di lingua croata. Insomma il fascismo aveva perseguitato chiunque non parlasse l'italiano quale lingua madre. A questa violenza contro le minoranze i costituenti hanno risposto con l'articolo 6, che invece rende la Repubblica, lo stato, garante della cultura e della lingua delle minoranze. È un atto di democrazia e di libertà. Ogni cittadino italiano deve esprimersi secondo gli usi e i costumi dei propri avi, se lo vuole. La diversità è ricchezza. Lo stesso spirito che ha spinto i costituenti a scrivere norme in difesa dei malati poveri e diseredati ha spinto a scrivere in favore delle minoranze linguistiche. Chi fa parte di una minoranza, per qualsiasi motivo, deve essere tutelato. Urge notare che il costituente parla di minoranze linguistiche. Non considera affatto la questione etnica. Non ci sono tedeschi o francesi, ci sono francofoni e germanofoni. I costituenti avevano ben in mente le leggi razziali del regime fascista, perciò considerarono orrendo e da cancellare il termine "razza" così usato dal nazifascismo. Fa specie e dispiace che a settanta anni dalla promulgazione della carta in Italia non ci sia una legge che dichiari che si è italiani, cittadini, non per sangue, non per ascendenza parentale, ma per nascita e per cultura. Non è un caso, forse,che la non adozione di questa norma fa felice soprattutto la destra che ricorda con nostalgia il fascismo e le leggi razziali che Mussolini ha voluto.ma pensiamo in positivo. Malgrado queste persone abbiamo ancora la nostra costituzione che ci insegna i valori della tolleranza e del rispetto della diversità. Durante i primi anni della Repubblica l'attuazione dell'articolo 6 portò alla creazione delle regioni a statuto speciale. In Val d'Aosta, in Trentino Alto Adige e in Friuli Venezia Giulia si adottarono ordinamenti locali volti alla tutela delle minoranze linguistiche. Nei primi anni del XXI secolo furono fatte delle leggi a tutela delle minoranze linguistiche che vivono in altre regioni. Il percorso in difesa delle minoranze è stato lungo, difficoltoso, contraddittorio e purtroppo ancora incompleto. Altre realtà si affacciano nel nostro paese, altre minoranze vivono nella penisola, giungendo da terre lontane. È il tempo che tutte queste realtà siano tutelate. Dobbiamo avere lo stesso spirito solidale che fu dei nostri padri costituenti.
Testo di Giovanni Falagario


sabato 28 marzo 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE



ARTICOLO 4 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA 

“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo dritto.

Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiare e spirituale della società”.

Prosegue la pubblicazione degli articoli della Costituzione Italiana su “Racconto a mano libera” per celebrare i settant’anni della promulgazione della nostra carta fondamentale. L’articolo quattro è l’esplicitazione di un concetto già formulato nell’articolo 1. Si spiega cosa vuol dire che “la Repubblica.. è fondata sul lavoro”. La Repubblica riconosce non istituisce il diritto al lavoro. Come per altri diritti fondamentali il padre costituente esplicita che il “diritto al lavoro” è un diritto che esiste ancor prima dell’ordinamento statale, esiste come diritto proprio di ogni persona che nella laboriosità esplicita il proprio essere. La Repubblica ha il dovere di promuoverlo. Ha il dovere di mettere in atto le politiche istituzionali necessarie per portare la piena occupazione nel nostro paese. Deve fare in modo che la disoccupazione, almeno quella involontaria, sia un lontano ricordo di epoche buie. Diciamo subito che questo obbiettivo, è agli occhi di tutti, non è stato realizzato e pare lungi dal realizzarsi. La disoccupazione nel nostro paese, soprattutto quella giovanile, è a livelli allarmanti. Noi siamo la nazione in cui i ragazzi, in età fra i venti e quarant’anni, stentano ancora a trovare lavoro e se lo trovano è precario e sottopagato. La repubblica è ben lungi da rendere “effettivo” il diritto al lavoro per tutti. Il lavoro è nel nostro paese, di fatto, un privilegio non un diritto. E’ questo dato di fatto ci rende molto cupi e tristi. L’Italia è il paese che vede sempre con meno speranza il domani. Si fanno meno figli. Si sceglie sempre meno spesso di sposarsi e di “mettere famiglia”, come si suol dire. Il senso di precarietà rende il nostro paese sempre meno aperto al domani, sempre meno ottimista. L’intuizione dei padri costituenti di mettere il lavoro al centro dei valori fondanti del nostro ordinamento, si dimostra giusta proprio analizzando gli effetti deleteri che la precarietà e l’assenza del posto sicuro sta producendo nella nostra società. E’ la mancanza di lavoro che determina lo scollamento sociale. Senza lavoro siamo diventati una società frantumata, senza sogni e obbiettivi comuni da realizzare. Ognuno vive isolato in se stesso, concentrato a difendere il propri privilegi, piccoli o grandi che siano, senza pensare al bene comune e ai diritti che a differenza dei privilegi non sono di pochi e per pochi ma di tutti e per tutti. Allora la scelta dei padri costituenti di rendere l’Italia un paese che mette al centro i lavoratori era vincente. Un paese in cui il lavoro, intellettuale o manuale, sia il fulcro del vivere sociale è un paese sano. Come ogni diritto anche il lavoro ha l’altra faccia della medaglia, cioè il dovere. Se ogni cittadino ha il diritto di lavorare, ha anche il dovere di farlo. Tutti dobbiamo concorrere alla crescita non solo economica, ma anche morale e culturale della nazione attraverso lo svolgimento di un’attività lavorativa. Questo è ben esplicitato nel secondo comma dell’articolo quattro della Costituzione. Ognuno deve dare tutto il proprio impegno per rendere la nostra società migliore, per questo si dice che !ogni cittadino ha il dovere di svolgere.. un’attività  o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della nazione”. Concetti nobili che invitano ogni persona a farsi cosciente che la propria opera è e deve essere preziosa al fine di rendere fulgidi i destini della nazione. Il lavoratore deve finalizzare il suo impegno non solo, come è pur giusto, per far vivere meglio se stesso e la propria famiglia, non deve lavorare solo per avere soldi, ma deve lavorare per realizzare un progetto collettivo comune a tutto il popolo che si incarna nella stessa nazione italiana. Allora appare non solo disdicevole ma anche moralmente inaccettabile il lavoro legato all’illegalità. Il lavoro nero, l’evasione fiscale, la frode sono tutti aspetti della vita economica che non solo sono illegali ma scardinano i valori fondanti del nostro stato. La corruzione dilagante, il dover pagare per avere appalti pubblici, è lo svilire del valore morale che il concetto di lavoro ha in sé. Il dichiarare il falso al fisco, il non pagare i contributi, il dichiarasi disoccupato e invece lavorare, non sonno solo atti di slealtà verso lo stato, ma sono atti di vero e proprio attacco alla collettività che deve fondare il proprio vivere comune sulla lealtà reciproca. Infine vorrei chiudere con un’altra nota dolente del nostro paese. Nel lavoro si esplicita l’emarginazione sociale. E’ sotto gli occhi di tutti che chi è povero, disabile o in stato di difficoltà invece di avere da parte dello stato strumenti atti a superare la propria difficoltà, come imporrebbe l’articolo 3 della Costituzione, è invece spinto ancora più in basso, è messo sempre più ai margini. La nostra società invece che includere, come vorrebbe la formazione culturale cristiana del nostro paese, esclude. In Italia i disabili che lavorano sono pochi, eppur tanti avrebbero i mezzi psichici e fisici per svolgere un’attività che concorra al progresso materiale, eppure non riescono a trovare lavoro. Da un lato ci sono i canali di inserimento dei disabili nell’impiego che non funzionano. Le “categorie protette”, come vengono dette le persone che sono iscritte al collocamento pubblico essendo invalide, non sono affatto tutelate. Dall’altra c’è una cultura distorta, che vede il disabile come un usurpatore di lavoro e di reddito. La stessa logica che alimenta l’odio xenofobo verso gli immigrati, anche loro visti come “ruba lavoro”. La Carta Costituzionale ci insegna che il diritto dell’altro non deve voler dire un “rubare” qualcosa a te. Se un disabile ha un lavoro, non lo ruba a te, ma esercita il diritto alla realizzazione personale insieme con te. I disabili, i disoccupati cronici, tutti gli emarginati sociali sono visti come un pericolo dagli “altri”. Come coloro che vorrebbero prenderti il posto. Proviamo invece a cambiare completamente punto di vista. Le parole di papa Francesco, che invitano all’inclusione, secondo me non valgono solo per il cattolico. Il pontefice indica una strada per costruire una società migliore nell’accoglienza, nell’abbraccio dell’altro, concetti che non sono lungi dai dettami costituzionali. Allora proviamo a costruire veramente una nazione includente, proviamo a rendere il lavoro strumento per crescere insieme come collettività, niente esclusione niente rancore. A questo punto vorrei provare ad invitare tutti a portare nei luoghi in cui lavorano quei valori di solidarietà di comunanza di fratellanza che rendono possibile debellare l’emarginazione e il rancore. Sono oggi valori di pochi, ma che potrebbero diventare valori di tutti contribuendo così a rendere l’Italia intera una nazione migliore.
Testo di Giovanni Falagario


CIAO PINO


Un vuoto incolmabile.

Oggi, 28 marzo 2020, si è spento il Cavaliere Giuseppe Tulipani. Il garante della regione Puglia per le persone diversamente abili ha avuto un ictus. Nulla sono valsi i soccorsi. Il lascito di Pino, così voleva essere chiamato da tutti, è immenso. Il suo impegno per gli uomini, le donne,i bimbi e le bimbe in difficoltà sono esempio di spirito di servizio e amore per il prossimo.Io ho avuto la fortuna di conoscerlo. La sua amicizia mi ha cambiato in meglio la vita. Dico questo perché è certo sono tanti, tantissimi, quelli che possono testimoniare la stessa cosa. Pino aveva il dono, il carisma, di portare non solo requie nei cuori scossi dagli accidenti della vita, ma anche dì donare gioia. Forte di un senso etico fondato sui valori cristiani, sapeva trasformare ogni ostacolo della vita in strumento di emancipazione per chiunque gli chiedesse una mano.Era sempre lì, instancabile, ad aiutare chi avesse bisogno. Questo suo impegno è nato ben prima di ricoprire il ruolo istituzionale di garante. Pino è sempre stato con i più deboli, non è un caso, ma anzi una scelta consapevole, che abbia fondato l'associazione"Angeli della vita", una realtà composta da famiglie con almeno un componente disabile, che non solo si aiutano ma vivono la vita in amicizia. Il messaggio che ci lascia Pino è proprio in quello che ha fatto per il benessere degli altri. Impossibile dimenticarlo, impossibile non sentire il suo contributo prezioso per rendere la vita quotidiana di tutti più bella. Come poter esprimere il senso di vicinanza alla sua amata famiglia, senza rischiare di esprimere pensieri insufficienti a disegnare l'umanità di Pino. l'unica cosa che posso dirvi che io che l'ho conosciuto, mi sento per questo una persona fortunata. Io ho avuto il privilegio di conoscere un uomo buono e di estremo valore.Mi mancherà come mancherà all'intera collettività che ha perso un uomo prezioso. Son certo che comunque la sua opera rimarrà per sempre patrimonio prezioso della comunità. Ma Pino, padre instancabile, mancherà soprattutto a sua moglie e ai suoi figli, a cui porgo un saluto.

LA PREGHIERA DEL PAPA




MAESTRO NON TI IMPORTA CHE SIAMO PERDUTI?
Ieri, 27/03/2020, papa Francesco ha pregato Dio, in una Piazza San Pietro vuota, di fermare la malattia che sta affliggendo il mondo e l'Italia. Una supplica disperata e, allo stesso tempo, piena di speranza. Il Sommo Pontefice ha citato espressamente il Vangelo di Marco, Capitolo IV. In quel passo si ricorda come gli apostoli, navigando su una barca, impauriti per una improvvisa tempesta sul mare di Galilea, chiedano soccorso a Gesù, che si era assopito. "Maestro non ti importa che periamo?" è questa la domanda che fecero davanti al manifestarsi imperioso della procella. Gesù si risveglia e dice al mare: Taci, calmati. E il vento cessò e si fece bonaccia. Poi si rivolse a coloro che lo circondavano: Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?. Il papa ha preso spunto da questo passo evangelico per proferire la sua omelia di fede nell'opera salvifica di Cristo. Davanti al disorientamento, ai timori giustificati, che il grande morbo produce bisogna avere fede nella pronta opera salvifica della Provvidenza. Dio è con noi, non ci ha mai abbandonato, anche in questi momenti estremamente tristi. Il vescovo di Roma l'ha proclamato con forza. Dio può sembrare sopito, può sembrare silente davanti al dolore degli uomini e delle donne, ma in realtà è con noi. Ci sprona, ci fa coraggio, ma anche si mostra magnanimo salvandoci dal pericolo immanente. E' questo che dobbiamo credere. E' questo che ci offre la possibilità di guardare la luce, nei momenti di buio. La consapevolezza che non siamo mai soli. La consapevolezza che c'è sempre il Buon Pastore che ci riporta nell'ovile al sicuro, quando siamo persi nella selva. Il messaggio di ieri, 27/03/2020, dell'uomo venuto dal Nuovo Continente è stato forte. Noi vinceremo il Corona Virus, cacceremo il patogeno grazie all'opera e all'impegno dei medici e degli scienziati, ma anche attraverso la fede di ognuno. Bisogna affrontare le difficoltà e le vicissitudini della vita con piglio e decisione. Anche questo morbo è parte del fluire della storia. Anche questo tragico evento è una prova che l'intera umanità deve vincere e superare. Il papa ha tenuto a sottolineare che questa dura battaglia la vinceremo se riusciremo a superare i nostri egoismi. La tempesta, il Corona Virus, smaschera le nostre vulnerabilità, infrange le nostre certezze; ha detto il papa. L'unica via di salvezza è sentirci tutti fratelli, figli di un unico Padre, Dio. Insomma Francesco invita ancora una volta l'intera umanità a sentirsi comunità, unica famiglia fondata sui principi dell'amore e del servizio verso il prossimo. L'esempio sono i medici, gli infermieri e tutti coloro che in queste ore fatali si impegnano per gli altri. Loro sanno che Gesù ha gridato al male : Taci. Ma allo stesso tempo sono consapevoli che l'opera dell'Emmanuele si concretizza grazie all'impegno di ciascuno di noi, nessuno escluso. L'invito del papa è di avere Speranza e Fede fondate sul concreto realizzarsi delle opere. Noi siamo lo strumento del miracolo divino. Ognuno deve fare ciò che le circostanze gli chiedono di fare. I medici e gli infermieri stanno in prima linea negli ospedali. Noi, non esperti in medicina, dobbiamo stare a casa e, se credenti, pregare, se laici, avere fiducia nel cammino dell'umanità. Vinceremo il male, lo vinceremo avendo vicino Gesù. Saremo come Pietro, che vinta la tempesta fermato il pericolo, dice a Gesù: "gettiamo in te ogni preoccupazione, perché tu hai cura di noi". Noi dobbiamo essere come i discepoli di Emmaus , che davanti alla notte incipiente, chiediamo al Maestro: resta con noi.

PARLANDO DI COSTITUZIONE


ARTICOLO 81 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA
“Lo Stato assicura l’equilibrio fra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico.
Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali.
Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte.
Le Camere ogni anno approvano con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentato dal Governo.
L’esercizio provvisori del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi.
Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l’equilibrio fra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito complesso delle Pubbliche Amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei principi definiti con legge costituzionale”.
Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
L’articolo 81 della Costituzione è stato modificato in maniera rilevante dalla legge costituzionale del 8 maggio 2012. Questa ha introdotto il cosiddetto “pareggio di bilancio”. L’articolo 81 tratta delle modalità in cui il parlamento autorizza entrate e spese pubbliche attraverso la legge di bilancio. A seguito della riforma la Costituzione impone che non vi possa essere un divario fra entrate e uscite annuali. In base all’articolo 81 della Costituzione novellato è vietato l’indebitamento per partite finanziarie. Insomma se vi sono spese, al netto degli interessi sul debito, debbono avere adeguata copertura. L’indebitamento è permesso alle regioni e agli enti locali solo per investimenti pluriennali soggetti ad ammortamento, cioè con garanzia che il debito venga estinto in un preciso arco di tempo. Insomma l’Italia intende avere un virtuoso rapporto con il proprio bilancio. Vuole che le spese siano adeguatamente coperte da entrate. È una scelta fatta dal ministro delle finanze del IV Governo Berlusconi, Giulio Tremonti. L’esponente politico volle riformare le leggi italiane adattandole alle normative europee di bilancio. Una scelta coraggiosa che non fu premiata dalle forze politiche che di lì a poco fecero cadere l’esecutivo. Giulio Tremonti ebbe l’appoggio morale e politico solo di Matteo Salvini, allora neosegretario della Lega, che lo volle candidare nelle fila del suo partito in segno di profonda stima verso una persona che aveva dimostrato la volontà di conformarsi ai dettami dell’Unione Europea. È importante notare che l’articolo 81 della Costituzione non impone una rigidità assoluta. Consente un incremento delle spese, ci pare, in caso di avverse fasi del ciclo economico. Almeno alla luce del primo comma, non appare azzardata tale interpretazione. La definizione generica di “avversità economiche” potrebbe indurre il parlamento e il governo a utilizzare la spesa pubblica come volano per la crescita, attuando le teorie keneisiane. Certo l’enorme debito pubblico che grava sulle nostre finanze inviterebbe alla prudenza. In questi anni, invece di diminuire, il nostro disavanzo pubblico si è accresciuto. Ciò è avvenuto malgrado le promesse dei governi a guida Partito Democratico di ridurre fortemente il debito. Insomma alla luce degli avvenimenti succedutisi dall’inizio del XXI secolo, i governi di destra e di sinistra hanno deluso sia le attese di crescita economica sia le prospettive di riduzione del debito. Un fallimento a cui hanno contribuito anche gli ingenti sprechi e gli scandali finanziari. Ricordiamo il crac di Bancaetruria, che ha coinvolto direttamente esponenti del PD, e il crac degli istituti di credito veneti e lombardi che hanno coinvolto direttamente la Lega. È ora di cambiare. È ora di pensare al bene dei cittadini, andando al di là degli interessi contingenti dei singoli partiti. È bene che non si sprechi denaro pubblico. È bene che il Parlamento ponderi con accuratezza i disegni di legge di Bilancio proposti dal governo, prima di approvarli. È il caso che non si utilizzino più le manovre finanziarie, le leggi dello stato che introducono nuove spese, per accontentare interessi di parte più o meno legittimi. È il tempo che l’Italia abbia una politica che pensi solo all’interesse generale. È difficile dire se la riforma che impone il pareggio di bilancio abbia effetti realmente benefici. Da una parte è necessario ridurre il debito pubblico che costringe il nostro paese a sottrarre risorse ingenti ad investimenti e a infrastrutture pubbliche per pagare interessi accumulati in decenni. Allo stesso tempo è opportuno pensare di dare la possibilità a Comuni, province e Regioni di compiere opere di ristrutturazione e mantenimento del territorio necessarie, ma che vengono bloccate dai vincoli imposti ai bilanci locali. La Legge di Bilancio è una fonte normativa fondamentale. Come fosse un’impresa lo stato deve dar conto del proprio stato finanziario. Deve guardarsi allo specchio, vedere quali sono le sue entrate e le sue uscite. Ogni settore della Pubblica Amministrazione deve rendicontare il suo operato finanziario. Fra i capitoli del bilancio ci sono le spese per la sanità, per le forze armate, per il funzionamento dei servizi pubblici. Sono settori dello stato che sono importantissimi per l’intera cittadinanza. È bene che il governo, come dice l’articolo 81, debba rendere conto alle Camere e al paese del proprio operato. La crisi economica che attanaglia l’Italia sembra un cappio al collo che soffoca il futuro di milioni di persone, è compito dello stato provare a dare risposte adeguate alle domande di coloro che non vedono nel domani prospettive migliori. La finanza Pubblica deve occuparsi di queste persone. Deve occuparsi di tutti i cittadini, garantendogli servizi adeguati, proteggendo il loro diritto alla salute, alla famiglia, alla sicurezza, in sostanza a vivere una vita dignitosa. I bilanci economici sono meri numeri, sterili diagrammi e partite doppie, che servono a celare inganni e ruberie, se non hanno in sé quella tensione politica al bene comune e al bene generale. I soldi dello stato devono servire a dare un posto a chi non l’ha, favorendo investimenti che incrementino il pil (Prodotto Interno Lordo). I soldi dello stato devono garantire la salute e il benessere generale, adempiendo ai dettami dell’articolo 32. I soldi dello stato devono garantire l’istruzione e la formazione dei piccoli come dice l’articolo 32. I soldi dello stato devono garantire la formazione professionale dei lavoratori, come dice l’articolo 35. Spulciando la Costituzione si può evincere che sono tantissimi gli ambiti in cui la spesa pubblica va fatta e porta beneficio. È invece sotto gli occhi di tutto quanto la Pubblica Amministrazione spreca in soldi ed energie. È tempo di cambiare. È tempo di far rinascere il paese con una finanza pubblica trasparente ed onesta.

venerdì 27 marzo 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE



LA COSTITUZIONE ITALIANA: ARTICOLO 3. UGUAGLIANZA
"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione dei lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese"
Ho riportato, copiandolo alla lettera dal testo costituzionale, l'articolo tre della Costituzione Italiana. Uno degli articoli più importanti del nostro ordinamento giuridico. E' diviso in due commi. Il primo è dedicato all'uguaglianza formale di tutti i cittadini davanti alla legge. Il secondo sancisce l'uguaglianza sostanziale di ogni persona. Cosa vuol dire uguaglianza formale? Vuol dire che davanti alla legge tutti gli uomini e le donne sono uguali. Non ci possono essere status speciali. La nobiltà, come ceto sociale, è abolita. Anzi non ci sono proprio più i ceti. Nessuno può avere o non avere diritti in base alla nascita. Nessuno è principe o barone. In secondo luogo si afferma che nessuno può sottrarsi alle proprie responsabilità giuridiche, che siano di natura penale o civile. Se si commette un reato bisogna risponderne davanti alle autorità giudiziarie. Un altro elemento è la abolizione di ogni tipo di discriminazione. Gli uomini e le donne sono uguali di fronte allo stato italiano. Il genere femminile ha il diritto di accedere ai lavori che in passato furono prerogativa solo maschile, deroghe a questo principio possono esservi solo se legate ad evidenti necessità e bisogni dello Stato. Esempio è il servizio militare che fino a qualche tempo fa era solo compito maschile. Oggi la donna può servire lo stato come militare. Ma fino a qualche anno fa era sentimento comune ritenere che ciò era impossibile. I tempi cambiano e con essi i costumi e il modo di pensare, dobbiamo dircelo. La costituzione dichiara che non vi debbano essere discriminazioni di genere. Sappiamo invece come le statistiche parlano di una disoccupazione femminile ben più alta di quella maschile. E' un caso in cui l'uguaglianza formale è vanificata dall'assenza dell'uguaglianza sostanziale. Ora veniamo alla uguaglianza sostanziale, cosa vuol dire? Vuol dire che è compito della repubblica porre le condizioni, ad esempio,volte ad eliminare il divario fra disoccupazione maschile e femminile. Vuol dire rendere concreto l'obbiettivo di dare dignità alle persone che non possono averle perché sono svantaggiate rispetto agli altri. Vuol dire dare la possibilità a tutti di formarsi e di studiare, anche se provenienti da un ceto basso. Vuol dire che oltre a dare libertà di proferire le proprie idee, di essere liberi di credere nella propria religione, si ha anche la libertà di proferire in pubblico il proprio credo, e che lo stato ci dà gli strumenti per farlo. L'uguaglianza vuol dire anche aiutare i disabili, i malati, le persone che vivono in uno stato di disagio economico a poter avere una vita dignitosa e a realizzarsi come persone. Qui è il tema più delicato. Non tutti sono d'accordo su questo principio solidaristico, anzi sono molti che non accettano il principio che l'aiuto al disabile sia un diritto di quest'ultimo, lo vedono come un'opera caritatevole che deve essere libera e fatta da privati, non imposta da una struttura statuale. Il dibattito si fa complesso. E' giusto negare il diritto al lavoro a chi è in difficoltà? A una lettura stringente del testo costituzionale dovremmo rispondere: no non è possibile. Di fatto in Italia, proprio per la dicotomia cronica fra Forma e Sostanza che caratterizza il nostro paese, chi è "diverso" non ha diritti. Chi è omosessuale, chi è legato a tradizioni e culture diverse da quelle dei più, chi è affetto da patologie invalidanti croniche non ha il diritto a quella dignità che la costituzione vorrebbe fosse garantita a tutti. In questi periodi di crisi i primi ad essere espulsi dal mondo del lavoro sono i più deboli. A poco serve appellarsi alle parole di papa Francesco che durante il giubileo invitava a includere e non ad escludere i meno fortunati. Insomma l'articolo 3 appare oggi disapplicato. Non c'è uguaglianza. I politici godono privilegi. I più deboli vengono messi all'angolo, invece di essere aiutati. Le donne subiscono discriminazioni che spesse volte sfociano addirittura in violenza. Perfino le minoranze linguistiche non vengono tutelate, anche se in questo campo molti progressi grazie alla repubblica sono stati fatti. Cosa fare? Scegliere che questo articolo rimanga solo un groviglio di belle parole che non hanno alcuna attinenza con la realtà? Scegliere addirittura di abrogarlo, se non tutto, almeno il secondo comma, quello delle libertà sostanziali? Scegliere di ignorare gli inviti di papa Francesco volti ad aiutare chi è il nostro prossimo? E' la scelta che nei fatti oggi si fa. Ma ci potrebbe essere un'altra scelta. Quella di rendere vivo e concreto l'articolo 3. Considerare i diritti di tutti non un ostacolo alla realizzazione personale, ma un modo di concepire la società e l'economia in maniera differente. Un'economia non volta a schiacciare ed escludere, ma ad accogliere ed includere.Una economia non del profitto fine a se stesso, ma di una visione del lavoro che serve a far vivere meglio tutti, anche se questo vuol dire ridurre i profitti delle imprese. L'articolo 3, l'uguaglianza, può portare non solo un sollievo a chi vive il dramma dell'emarginazione, che si realizza attraverso la disoccupazione e la povertà, ma anche a una visione più giusta e bella della società. Proviamo a perseguire questa strada, proviamo ad applicare nella sua interezza l'articolo 3 della Costituzione Italiana. A 70 anni dalla entrata in vigore della Carta Costituzionale sarebbe un bel regalo per l'Italia e per ognuno di noi.
Testo di Giovanni Falagario


mercoledì 25 marzo 2020

I 720 ANNI DELLA DIVINA COMMEDIA



L'INIZIO DEL VIAGGIO
Dante Alighieri sceglie il 25 marzo 1300 come giorno di inizio del suo viaggio nell'oltretomba. E' quel giorno in cui ambienta l'inizio del viaggio raccontato nella sua "Divina Commedia". E' in quella data che il sommo poeta italiano incontra il suo maestro, Virgilio, nella selva oscura. Il bosco del suo peccato che anela redenzione. E' quel giorno che inizierà il suo viaggio nei tre regni dell'aldilà, infermo, purgatorio e paradiso. Da quella data decisiva per le sorti della letteratura italiana sono passati esattamente 720 anni. Tutti gli studenti di ogni ordine e grado sono chiamati a rendere vivo quel ricordo attraverso il loro impegno di studio. Oggi, come da giorni, sono chiuse le scuole. La causa è, lo sappiamo, il Corona Virus. Ma attraverso la rete di internet le insegnati e gli insegnati stanno ricordando la grandezza del sommo vate ai propri alunni e alunne.La Commedia è il fondamento insostituibile di tutto l'architrave culturale del nostro paese.Senza le sue bellissime rime, senza l'endecasillabo sciolto nulla sarebbe di noi. Il metro poetico di dante, la cadenza musicale su cui si fonda la commedia, è il ritmo che ha segnato la nascita del nostro linguaggio. Prima della Commedia l'italiano non era, dopo la commedia la nostra lingua è sorta. Certo ci sono stati grandi e sommi autori che prima e dopo Dante hanno scritto e poetato in Italiano. Nomi che sono anch'essi di sommi maestri. Petrarca, Boccaccio, Cecco Angiolieri sono solo alcuni di questi. Ma Dante ha segnato il solco su cui è sorta la nostra comunità nazionale. Il suo viaggio nell'Oltre Tomba è la realizzazione stessa di ciò che è il pensiero dell'Italia. Ecco perché leggere Dante è l'unico reale strumento per conoscere noi stessi. Nell'Inferno ci sono tanti infingardi descritti con ribrezzo dal poeta, come non riconoscere in loro non solo i tanti delinquenti che popolano oggi la nostra penisola, ma anche noi stessi quando ci lasciamo andare all'egoismo, alla cattiveria e finanche all'accidia, cioè la voglia di non schierarsi di fronte alle grandi sfide della vita. Gli accidiosi, condannati alle pene infernali, sono i più disprezzati dal viandante fiorentino. Essi hanno scelto di voltarsi dall'altra parte di fronte alle grandi questioni della società e della vita. Allora non prendiamo esempio da loro. Prendiamo come guida Dante stesso che non ha mai rinunciato a se stesso e alle proprie convinzioni. Si è sempre schierato. Non ha mai avuto paura delle conseguenze delle proprie scelte. E' rimasto coerente alla sua idea di giustizia ed etica sociale. Si è scagliato contro malfattori e traditori. Ha amato i grandi che hanno servito il bene comune e ha disprezzato coloro che utilizzavano il loro potere, piccolo o grande, per fare del male. Dante ha cominciato la sua "Commedia" nel buio e l'ha terminata nella luce dell'incontro con Dio. Colui che ha definito: l'Amor che tutto move. Prendiamo esempio da lui. Dobbiamo avere il coraggio di guardare il male, per poter alla fine non solo vedere il bene, ma essere noi stessi fattori di bontà. Insomma festeggiamo la Commedia che è Divina non solo perché parla di Dio e dei mondi ultraterreni, ma anche perché offre a tutti noi un modello di vita da seguire per essere migliori.

PARLANDO DI COSTITUZIONE



ARTICOLO 2
"La repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale"
"Racconto a mano Libera" continua a pubblicare alcuni articoli della Costituzione Italiana a settantanni dalla sua promulgazione. L'articolo 2 è uno dei più importanti. Sancisce che la Repubblica, lo stato, garantisce ad ogni essere umano che saranno rispettati i suoi diritti fondamentali. Nessun uomo, nessuna donna, potrà essere lesa nelle sue prerogative più importanti. Tutti i diritti umani saranno rispettati. La repubblica non decide quali siano i diritti da rispettare. Essi sono incisi con il sangue dei morti innocenti della seconda guerra mondiale, vittime dell'orrore dell'oppressione che calpesta la dignità umana. Se la barbarie nazista ha creato i lager. Il diritto alla dignità della vita scaturisce dal grido di dolore delle vittime. Il diritto a una vita dignitosa e all'inserimento sociale delle persone in difficoltà, disabili o emarginati socialmente, nasce dall'orrore nazista che recludeva e uccideva chi era affetto da disabilità psico fisiche. Il diritto alla parola nasce dalla terribile censura fascista e nazista che imprigionava gli oppositori politici. Insomma per dirla citando Piero Calmandrei, noto costituzionalista e padre costituente, la Costituzione e i suoi diritti sono nati nei monti ove i partigiani lottavano e morivano nelle loro disperata guerra contro la barbarie nazista. Ecco perché la Repubblica "riconosce i diritti inviolabili" e non li decide. Non è il legislatore costituente a scegliere quali siano i diritti fondamentali. E' la storia, il dolore delle persone, la sofferenza della guerra a renderli evidenti. Chi è chiamato a tradurre questi diritti in norme si deve solo inchinare davanti ai martiri della storia che hanno reso carne ed ossa questi valori con il loro sacrificio. Insomma i diritti inviolabili sono l'esplicitazione di un processo culturale e di emancipazione sociale che ha le sue fondamenta nell'orrore della prima parte del XX secolo. I diritti umani sono diventati il baluardo contro l'orrore delle dittature. Ma oggi che la seconda guerra mondiale è lontana nel tempo quei diritti di libertà, di dignità quel diritto alla vita sono ancora validi? Stiamo assistendo a fenomeni di ribellione a quei valori. Spesso si sente dire: quei valori sono tuoi (di chi continua strenuamente a crederci), non sono i nostri. Quando un disabile rivendica il diritto alla dignità. Quando un migrante rivendica il diritto a vivere nel nostro paese, fuggendo dalle brutture del suo. La reazione della gente è fredda, sceglie di rifiutare quei principi fondamentali. Non c'è più la consapevolezza che il vivere sociale richiede "l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica ed economica". Si arriva al punto di negare i diritti. Il diritto al lavoro viene negato per i più deboli. Il diritto alla parola viene negato a chi non ha le capacità dialettiche adeguate. L'ascolto dell'altro invece dovrebbe essere una virtù repubblicana, mi si consenta l'ardire. Insomma l'operato dei morti partigiani in montagna, per citare ancora calamandrei, è estraneo a molti di noi. Di conseguenza è estraneo quell'afflato di amore verso l'uomo, con la "u" minuscola, verso ogni uomo e donna che ha portato i nostri padri costituenti a scrivere l'articolo 2 della costituzione italiana. I nostri valori repubblicani stanno affogando assieme ai fratelli che muoiono nel Mediterraneo. Assieme alle persone perseguitate in Libia con il tacito avvalo del nostro governo. Assieme alle tante persone in difficoltà che nel nostro paese non trovano aiuto. Assieme ai disoccupati che non trovano lavoro. Assieme ai malati che non riescono a curarsi in maniera dignitosa. Assieme ai carcerati che non possono scontare dignitosamente la loro pena. Allora scegliamo: riscopriamo i valori, l'afflato etico, il senso di amore verso l'altro che hanno ispirato i nostri padri che hanno scritto l'articolo 2 della Costituzione Italiana. Questo è l'unico modo per costruire un paese migliore.
testo di Giovanni Falagario

PARLANDO DI COSTITUZIONE



ARTICOLO 95   DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri.

I ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri e individualmente degli atti dei loro dicasteri.

La legge provvede all’ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e l’organizzazione dei ministeri”.

L’articolo 95 della Costituzione, nel suo primo comma, dà un ruolo fondamentale al Presidente del Consiglio nella conduzione della politica generale del governo. È lui che la dirige. È lui che mette i paletti che i membri dell’esecutivo, i singoli ministri e sottosegretari, devono seguire per compiere il loro lavoro. È d’obbligo notare che la politica generale del governo non è determinata dal solo Presidente del Consiglio. Questa è voluta dal Parlamento, che dà la fiducia all’esecutivo e dalle forze politiche che lo sostengono e che hanno dato l’assenso al programma governativo, esprimendo il loro pensiero sulle finalità governative attraverso le “mozioni di fiducia”, che sono le dichiarazioni di voto espresse al momento della nascita dell’esecutivo. Il Presidente del consiglio ha l’alto compito di assicurare che gli obbiettivi che si erano prefissati al momento della nascita dell’esecutivo, vengano perseguiti. Il Presidente del Consiglio è colui che fa in modo che le finalità del governo vengano raggiunti. Per questo motivo risponde al Parlamento e all’intera nazione dei risultati conseguiti e dei fallimenti dell’intero organo esecutivo. Il ruolo del Presidente del Consiglio non è solo politico. Il suo compito è quello di dirigere tutta la Pubblica Amministrazione, questa è un mastodontico sistema organizzativo su cui si regge l’intero funzionamento dello stato. Milioni di dipendenti, funzionari e collaboratori dello stato hanno come punto di riferimento e capo il Presidente del Consiglio. Compito del capo del governo è garantire che questa enorme macchina burocratica funzioni. Ovviamente non può e non deve farlo da solo. I singoli ministri sono responsabili del ramo della pubblica amministrazione loro assegnato. Devono dirigere con assennatezza e senso dello stato il loro dicastero. I ministri sono responsabili collegialmente degli atti del consiglio dei ministri, che hanno votato. Sono responsabili individualmente degli atti compiuti dai loro dicasteri. È un principio importante. I componenti possono e devono rispondere dei propri atti alla nazione e al parlamento. Possono essere oggetto di mozione di sfiducia sia collettiva, dell’intero governo, sia personale. Un singolo ministro può essere chiamato a rispondere del proprio agire davanti al parlamento. La mozione di sfiducia del singolo ministro è un istituto molto discusso. Alcuni giuristi hanno interpretato il secondo comma dell’articolo 95 non come la possibilità del parlamento di far decadere il singolo ministro, ma come una responsabilità giuridica e amministrativa del singolo titolare di un dicastero. Secondo questi l’istituto della “sfiducia” deve valere solo per tutto il governo. La quotidianità costituzionale, in cui sono stati registrati nella storia repubblicana diversi casi di sfiducia individuale, e diverse sentenze della Corte Costituzionale hanno chiarito che la mozione di sfiducia individuale è contemplata dal nostro ordinamento. È giusto che il parlamento possa controllare e, se lo ritiene opportuno, censurare il lavoro di un singolo ministro, imponendogli le dimissioni. I regolamenti parlamentari prevedono e normano le modalità con cui si può chiedere la sfiducia non solo dell’intero governo, ma anche del singolo ministro. Quindi è da reputare superata la disputa su tale tema nell’ottica di considerare possibile la decadenza di un singolo membro del governo su richiesta di un ramo del parlamento. Ricordiamo che sia in caso di sfiducia all’intero governo sia in caso di sfiducia a un singolo ministro basta che questa sia votata da un solo ramo del parlamento per diventare effettiva. Insomma la squadra dell’esecutivo è composta da un capitano, il presidente del consiglio, e da un numero significativo di collaboratori. I componenti del governo non sono solo i ministri. La legge, a cui l’ultimo comma dell’articolo 95 affida l’ordinamento della Presidenza del Consiglio e il numero dei ministeri, determina la composizione del governo. Questa non è solo fatta di ministri, comprende la presenza di viceministri segretari e sottosegretari che hanno il compito di coadiuvare e di supportare i singoli ministri e di gestire la Presidenza del Consiglio, ufficio proprio del premier. La legge che disegna il funzionamento e i ruoli all’interno dell’esecutivo è la legge del 23 agosto 1988, successivamente novellata da altre norme dello stato che hanno mutato solo in piccola parte l’assetto normativo della stessa. Questa norma prevede la possibilità che siano nominati vice presidenti del consiglio. Che vi siano “ministri senza portafoglio” cioè ministri a cui vengono delegate specifiche funzione, pur non essendo titolari di uno specifico ministero. Insomma hanno il compito di gestire particolari attività amministrative e di raggiungere determinati scopi, ma non sono a capo di uno specifico ufficio ministeriale. I sottosegretari di stato sono coloro che aiutano i singoli ministri nel loro compito, si distinguono dai semplici impiegati del ministero perché la loro carica è politica ed è legata alla vita del governo in carica, fra questi si può individuare un viceministro, nominato dal consiglio dei ministri, la differenza, importantissima, fra lui e i sottosegretari è che può partecipare a pieno titolo al consiglio dei ministri, così contribuendo alla costruzione e alla realizzazione dell’indirizzo politico dell’esecutivo. Vi possono essere dei commissari straordinari del governo, personalità nominate con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio, che hanno il compito di realizzare specifici obbiettivi in relazione a programmi e obbiettivi. Pensiamo al Commissario Straordinario per la ricostruzione designato dal governo per gestire la delicata vicenda del post terremoto nelle regioni del Centro Italia. Questi partecipano al consiglio dei ministri quando si tiene l’assemblea sulla materia e sull’emergenza per cui è stato nominato. Tutte le figure istituzionali che fanno parte del governo devono essere istituite e regolamentate per legge. Non potrebbe essere altrimenti. La norma è lo strumento principale per dar vita e sostanza ad ogni organizzazione statuale. Il governo deve sottostare alla legge. È un principio fondamentale che serve a espellere ogni forma di arbitrarietà e di privilegio che potrebbe albergare in un istituto, quello governativo, che potrebbe esercitare il proprio potere per favorire l’uno o l’altro. La legge invece dovrebbe garantire che l’arbitrarietà amministrativa, la libertà di compiere azioni di carattere politico, propria dell’esecutivo non ecceda in atti di favore o di ingiustizia che non tutelano il principio di uguaglianza di ogni cittadino davanti allo stato.

martedì 24 marzo 2020

GIANNI MURA


OLTRE LO SPORT
Il 21 marzo 2020 si è spento a Senigallia Gianni Mura. Era nato a Milano il 9 ottobre 1945. La famiglia era originaria della Sardegna, il padre carabiniere era in servizio in Lombardia. Gianni rimase milanese fino alla fine. Gianni Mura era un cronista sportivo. Un raccontatore di epiche imprese. Aveva scritto delle gesta di sportive in tutte le principali testate giornalistiche italiane. Ha iniziato a narrare di olimpiadi e di mondiali alla Gazzetta dello Sport. Si è spento rimanendo fino all'ultimo cronista del quotidiano "La Repubblica". Che dire di questo evocatore di magie? Lo sport da lui raccontato diveniva epica. E' difficile non rimanere fascinati dalle sue cronache sportive. La sua abilità di narratore l'aveva anche utilizzata per raccontare storie attraverso i suoi romanzi. La narrazione bella ha la capacità di andare oltre il racconto del singolo evento. Mura sapeva raccontare la nostra società, gli usi e i costumi degli italiani, attraverso il resoconto di un derby fra Inter e Milan, oppure sapeva raccontare il mondo che cambiava nel rutilante susseguirsi degli eventi legati alla globalizzazione, attraverso la cronaca di un mondiale di calcio o di una olimpiade. Un talento prezioso oggi che alcuni giocatori della partita Juventus Inter sono risultati positivi al test sul Corona Virus. La lampante dimostrazione che sport e vita vissuta sono esattamente la stessa cosa. Si può far politica, nel senso alto del termine, anche raccontando di giovinotti che prendono a calci una povera palla. Questo ha dimostrato Gianni Mura. Si può parlare dei mali e delle sofferenze del paese con la soavità del racconto del cronista sportivo. Si può fare ironia degli errori e delle bizzarrie, ad esempio, di Maradona riuscendo così a raccontare in maniera traslata dei mali profondi della società italiana e mondiale. Si può parlare di Cristiano Ronaldo, di Gattuso, di Baresi mettendo a nudo le vere questioni che scuotono il tessuto sociale della nostra nazione. Quando la cronaca sportiva supera se stessa diventa preziosa testimonianza storica di un tempo. Sia chiaro se lo sport è rappresentazione della vita di tutti, lo si deve principalmente ai protagonisti. Se il ciclismo, ad esempio, è diventato modello dell'Italia che supera le difficoltà della guerra, lo si deve a campioni come Fausto Coppi o Gino Bartali. Ma se al contempo non ci fossero grandi scrittori, come Gianni Mura, a raccontare le gesta dei fuoriclasse, non avremmo la percezione di come lo sport sia l'epifania di tutto il bene e il male che un paese è ed ha. Allora non possiamo che ringraziare Mura. Non possiamo che rileggere, orgogliosi, le sue cronache e i suoi libri. Il tempo che viviamo ha bisogno di grandi testimoni come lui, capaci di raccontare i fatti e i sentimenti che muovono sia i grandi atleti che i comuni uomini, come noi siamo. Dormi bene Gianni.

lunedì 23 marzo 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE



ARTICOLO UNO DELLA COSTITUZIONE ITALIANA
"L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione"
Per i settant’anni della Carta Costituzionale "Racconto a mano libera" pubblica alcuni articoli della legge fondamentale del nostro stato. Oggi riportiamo il primo articolo, l'incipit della carta in cui sono riportati i valori fondanti del nostro stato. In esso sono racchiusi gli aspetti fondamentali dell'ordinamento statale. In primo luogo si scrive che l'Italia è Repubblica. Non è scontato. Il 2 giugno 1946 c'era stato un referendum in cui si chiedeva a tutti gli italiani, per la prima volta anche alle italiane, che avevano compiuto 21 anni di scegliere fra "monarchia" e "repubblica".
10 719 284 di cittadini avevano indicato monarchia. 12 717 923 Repubblica. Se l'Italia è Repubblica lo si deve alla volontà popolare. E' una Repubblica il nostro paese perché l'ha voluto la maggioranza degli elettori. IL nostro stato è Res Publica, cosa di tutti. La repubblica è democratica. Cioè in Italia chi detiene le leve del comando dovrebbe essere quel soggetto collettivo che gli antichi greci chiamavano demos. Il popolo è colui che ha la sovranità, come si esplicita nelle parole che seguono. Lo stato esiste e vive perché è la volontà popolare a sostenerlo. Se questa venisse a mancare, la nostra repubblica si disintegrerebbe. Il popolo ha il diritto di scegliere e di farsi attore del proprio destino. I fini della nazione non possono essere differenti da quelle che sono le ambizioni popolari. Non ci può essere una persona o un gruppo di persone che determinano i destini della patria. E' il popolo che si fa fattore delle scelte della nazione. La nostra repubblica è fondata sul lavoro. Cosa vuol dire? Prima di tutto che è impensabile che il nostro stato esista senza che tutti collaborino con i propri sforzi a farlo vivere. Ogni cittadino/a deve contribuire alla crescita morale, civile e anche economica della nazione attraverso l'impegno personale. Il lavoro è lo strumento per la realizzazione personale del singolo, ma è anche il mezzo per far crescere la comunità. Il lavoro oggi è diventato una vera e propria emergenza nazionale. I giovani sono disoccupati. I posti di lavoro sono diventati sempre meno numerosi e sicuri. Il lavoro, non solo quello dell'impiego, ma anche quello del libero professionista è diventato difficoltoso, difficile da trovare e da compiere. Le nuove tecnologie invece di creare attività nuove, contribuiscono a cancellare quelle già esistenti. Insomma il lavoro oggi per molti è un miraggio. Lavorare non solo non è visto come un'incombenza, un dovere, ma è addirittura vissuto come un privilegio, uno status per pochi, da conservare gelosamente. Cambiare questo stato di cose è possibile. Urge una politica che metta al centro il lavoro e i lavoratori. Urge una politica che dia strumenti a tutti per poter contribuire con la propria opera al progresso della nazione e allo stesso tempo trovare le risorse per vivere la propria esistenza dignitosamente. Se le innovazioni, se le strade dell'economia puntano all'esclusione, è dovere della comunità statale cambiare questo stato di cose. E' compito del governo dare un lavoro a tutti coloro che possano svolgerlo. Veniamo all'ultimo capoverso dell'articolo 1. Che vuol dire "La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione"? Il potere popolare non è assoluto. Anche la volontà generale deve sottostare ai principi fondanti del vivere assieme enunciati dalla costituzione. Il popolo non può violare i diritti del singolo, neanche assumendo l'imperio dato dalla forza che suscita la volontà generale. Non si può fare violenza, non si può ledere la libertà di parola e di pensiero anche se per assurdo fosse tutta la popolazione a chiederlo. Non ci possono essere leggi che consentono la violazione dei principi sacrosanti incisi nella costituzione, anche se queste norme fossero avvallate dal consenso generale. Il limite evita la cosiddetta dittatura della maggioranza. Il volere generale può essere disatteso se contrasta con i valori che sono baluardo a difesa del nostro vivere civile. Ma i limiti che pone la costituzione non sono solo legati ai valori, sono anche formali. Non si può manifestare la sovranità se non seguendo le regole poste dalla Costituzione. La sovranità del popolo si manifesta attraverso le regole costituzionali. Il popolo manifesta la propria sovranità quando ogni cittadino va a votare. Cioè quando si trasforma un potere collettivo in diritto soggettivo. Il popolo manifesta la sua sovranità quando sceglie di abrogare una norma, attraverso un referendum. Il popolo manifesta la sua volontà quando manifesta pacificamente nelle piazze e non usa la violenza. Insomma la forma diviene sostanza. La forma sono i paletti che nessuno può superare, al fine di garantire una corretta e pacifica partecipazione. In uno stato complesso e plurale come il nostro sono tantissime le regole a cui bisogna sottostare per partecipare alla vita collettiva. Ci sono regole che regolamentano la vita dei partiti, cioè quelle associazioni di cittadini che si sono costituite al fine di realizzare un'idea collettiva di buon governo. Ci sono regole che regolamentano i sindacati, cioè le organizzazioni dei lavoratori. Queste regole, prime fra tutte quelle incise nella costituzione, devono essere rispettate per far sì che lo stato funzioni. Regole che magari si possono cambiare, anche quelle costituzionali seguendo l'iter imposto dell'articolo 138 della Costituzione stessa, ma finché rimangono in vigore devono essere rispettate. Insomma l'articolo 1 indica succintamente ma pregnantemente quali sono i cardini dello stato.1) l'ordinamento repubblicano. 2) la democrazia come fondamento del nostro stato, la res pubblica è appunto cosa di tutti non di pochi. 3) il lavoro come diritto e dovere di ogni cittadino e residente nella penisola 4) La sovranità, il potere, è prerogativa della collettività, gli ordinamenti legislativi, giudiziari e governativi non hanno il potere, ma esercitano una funzione utile alla nazione e ai cittadini. 5) le leggi e le norme devono essere rispettate da tutti sempre e comunque.
testo di Giovanni Falagario

domenica 22 marzo 2020

FERMARE IL CORONA VIRUS



IL TEMPO
I dati sulla diffusione del Corona Virus sono preoccupanti. L'Italia è il paese più colpito dal morbo dopo la Cina. In più in questo momento è la nazione in cui avvengono il numero maggiore di nuovi contagi. Insomma è il paese più colpito da questa emergenza sanitaria planetaria. Al giorno di ieri, 21 marzo 2020, erano 42681 le donne e gli uomini infettati nella nostra patria dal Corona Virus. La regione più colpita è la Lombardia con 17370 casi acclarati. Segue in questa tragica classifica l'Emilia Romagna con 5661. Al terzo posto, scendendo dal secondo in poco tempo grazie a una vincente politica di profilassi, il Veneto. Il Lazio, malgrado essere stata la prima regione in cui si sono registrati ricoveri per Corona Virus, è dietro in questa triste classifica, anche se il presidente Nicola Zingaretti risulta contagiato dal morbo. Registra "solo", scusatemi l'avverbio non certo appropriato, 1086 casi. Le altre regioni sono anche esse in difficoltà, per fare un esempio la Liguria, terra splendida, pur avendo una popolazione minore del Lazio ha un numero superiore di contagiali, cento in più, 1159, che per il fazzoletto di terra prospiciente il Mar Tirreno sono un numero esorbitante in percentuale alla popolazione. Allora è tempo di fare qualcosa. E' tempo di intervenire. E' tempo di spezzare la catena che costringe l'Italia ad essere schiava del Corona Virus. E' ora di reagire. Il virus si sta diffondendo. Sta arrivando in Abruzzo, con 494 casi. In Puglia, con 642. In tutto il paese. E' tempo di creare un virtuoso incontro di energie volte a fermare il male. Non si può assistere ancora inerti davanti ai medici e ai pazienti, ad esempio, dell'ospedale di Bergamo che pur lavorando indefessamente, non vedono la luce. Non si può non essere solidali con il presidente della regione Lombardia, Attilio Fontana, che piange i suoi più stretti collaboratori, colpiti dal morbo. Non si può non esprimere solidarietà al presidente della regione lazio, ammalato anche lui di Corona Virus. Allora è tempo che l'esecutivo nazionale intervenga. E' tempo che il coordinamento stato regioni vada oltre le normali convenzioni istituzionali. E' tempo che si operi nell'emergenza, ponendo le basi per una forte e coordinata politica contro l'infezione. Il tempo è poco, il tempo è già scaduto, come tristemente indicano i dati della Lombardia, del Veneto e dell'Emilia Romagna.Bisogna che Angelo Borrelli, responsabile della Protezione Civile, prenda in mano la situazione. Bisogna accorciare i tempi di intervento. In Lombardia è virus ha prevalso, perché è prevalsa l'inerzia. Ora bisogna creare nuovi reparti di terapia intensiva, nuove strutture di cura e profilassi nelle regioni più colpite e fare in modo che in quelle meno colpite si attenui la linea di crescita del numero dei malati. Senza far polemiche abbiamo tre esempi diversi. Uno è la Lombardia in cui il Virus è cresciuto esponenzialmente. Un'altro: il Veneto in cui la crescita del morbo è stata dapprima esponenziale e poi si è fermata. Il terzo è quello della regione Lazio in cui il morbo è stato bene o male contenuto, pur essendo la regione con la capitale la più popolosa del paese e la prima ad aver registrato casi di Corona Virus. Allora siamo uniti, come diceva un cantante, Gianni Morandi. Insieme applicando una politica di contenimento rigorosa, valida per l'intero territorio, se ne può uscire. E' arrivato il momento per Antonio Conte di prendere le redini della situazione, e indicare con forza la direzione che l'intero paese deve intraprendere per superare questo pericolo incombente. Se non ci riuscirà, sarà non solo un suo fallimento politico e della sua maggioranza, ma un danno incommensurabile per tutti i cittadini italiani, Ce la faremo. E' il motto di tutti in queste drammatiche ore. Ce la dobbiamo fare!

sabato 21 marzo 2020

PENSO POSITIVO



PENSARE POSITIVO
In questi tempi di corona virus mi ritorna in mente una canzone di Jovanotti: Penso Positivo. Il nostro paese sta vivendo una momento straordinariamente difficile. Per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale l'intera cittadinanza italiana sta correndo un pericolo reale e, tragicamente, tangibile. Tutti potremmo essere colpiti dal male, esattamente come i nostri nonni o i nostri padri potevano rimanere vittime di bombardamenti e rastrellamenti in quel tragico arco di tempo che va dal 11 giugno 1940, primo bombardamento dell' aereo nautica francese e inglese sulle grandi città industriali del Nord Italia, al 25 aprile 1945 giorno della Liberazione. Da allora ad oggi la nostra Repubblica ha affrontato altre gravi prove: terrorismo, eventi catastrofici naturali, gravi crisi economiche.Ma è la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale che è messa a repentaglio la vita dell'intera collettività. Come affrontare questa prova inedita per il nostro stato democratico? Il morbo si diffonde con lo svolgere e l'espletare di rapporti interpersonali che fino a ieri erano considerati il fondamento indiscutibile del nostro essere sociale. Dialogare faccia a faccia con un interlocutore, può portare la malattia. Scambiarsi una busta della spesa, può essere lo strumento per trasferire quegli umori corporali in cui si annida il virus. Allora tutto diventa pericoloso. Le nostre certezze vengono scalfite. La Lombardia, la regione più ricca d'Europa, è seriamente colpita. La Regione orgoglio del nostro paese, la più florida e la più culturalmente avanzata del Vecchi Continente, colpita al cuore. E' di qualche settimana fa l'intervista del presidente della regione, Attilio Fontana, che racconta come il virus, malgrado i provvedimenti che lui stesso aveva preso, non aveva mancato di colpire dei suoi collaboratori. Poi c'è la più grave dichiarazione del Presidente della regione Lazio, Nicola Zingaretti, che racconta che lui stesso è stato colpito dal male, dal Corona Virus. Allora l'Italia sembra ferita, morta. Tante regioni, tante comunità, sono in ginocchio. Paesi e città del bolognese, del veneto, e di altre realtà contano le proprie vittime della malattia in migliaia ormai. Tutte le regioni del paese hanno malati e morti. In questo contesto estremamente drammatico bisogna pensare positivo. Bisogna essere convinti che il Corona Virus si può vincere. Bisogna essere convinti che l'opera strenua del personale medico e paramedico riuscirà ad avere sopravvento sul male. Bisogna pensare che lo spirito collettivo di abnegazione e di volontà di vincere e superare i momenti difficili riuscirà ancora una volta a rinfrancare il nostro popolo, esattamente come i nostri nonni si riaffrancarono dai tremendi lutti della Seconda Guerra Mondiale. Io non so se la politica, il governo di Giuseppe Conte, sia all'altezza di questo compito difficile. Non so se l'esecutivo nazionale sia il migliore possibile. In questo momento la cosa necessaria è che tutti facciano la loro parte. Tutti devono pensare al bene collettivo. Tutti devono pensare a sconfiggere il Virus. Penso all'opera generosa di Silvio Berlusconi, che ha voluto donare al suo presidente regionale, Attilio Fontana, i soldi per affrontare la crisi sanitaria. Penso alla generosità di altri imprenditori che hanno voluto dare milioni alla Protezione Civile. Ogni sforzo, ogni contributo, è prezioso. Quello grande di Berlusconi e di altri industriali, ma anche quello piccolo di ognuno di noi, che può esplicarsi semplicemente stando a casa. Pensare positivo, come diceva Jovanotti, è anche solo questo: fare il proprio dovere, ubbidire alle regole dello stato e sociali, in questo momento di difficoltà estrema per tutti.