mercoledì 10 febbraio 2021

RICORDARE FIUME E DANTE

 



ALLA STATUA DI DANTE

Come ogni italiano sa il 10 febbraio 1947 gli abitanti di cultura italiana di Fiume abbandonarono la loro città natale, data alla nascete Repubblica di Jugoslavia. Tale drammatico esodo fu scaturito dagli accordi cosiddetti di Parigi che definirono i confini fra Italia e Jugoslavia. Fiume come parte della penisola istriana era data alla Jugoslavia. I cittadini italiani ovviamente lasciarono le loro case con dolore. Si organizzarono traghetti che condussero gli esuli nei porti italiani di Ancona e Venezia. Il dolore era grande, anche perché le voci, purtroppo confermate dallo studio storiografico successivo, di migliaia di innocenti fucilati e  gettati nelle foibe (fenomeni geologici carsici tipici della penisola istriana, che consistono in voragini, pozzi, naturali) erano terribili e diffuse.

Ma a questo contesto disperato, si affianca una nota di speranza. Gli Italiani si incontrarono, quel drammatico 10 febbraio 1947, in Piazza Dante di Fiume e si genuflessero in maniera unisona davanti alla statua del sommo poeta italiano. In questo anno in cui si ricorda il settecentesimo anniversario della morte dell’autore della Commedia e del Convivio, pensare a quei nostri compatrioti che si riconoscevano italiani perché accomunati dalla letteratura dantesca, ci fa vibrare fortemente il cuore.

Dante è la incarnazione dell’Italianità. Ormai chiunque, se italiano, visto che da decenni la scuola dell’obbligo è fino ai quattordici anni, oggi addirittura ai diciotto, sa non solo dell’esistenza di Dante, non solo delle sue opere, ma anche di concetti come “allegoria” o visione dei “due soli”. Sono termini che ormai fanno parte del linguaggio comune. Anche di quello di un ignorante come me. Ogni genitore lo trasmette con rispetto e dedizione ai propri piccoli. È un scrigno di ricchezza culturale che appartiene ad ogni italiano. Allora alla luce di questo dato inconfutabile, appare chiaro il perché quei fiumani, che dovettero abbandonare la propria amata cittadina, trovarono nel ricordo e nella devozione a Dante  la loro stessa ragione di essere. Dante è l’Italia. Dante è l’amore verso il comune destino nazionale.

Ora probabilmente, nel 2021, la maggioranza di quei cittadini di Fiume che nel 1947 lasciarono la loro città incalzati dall’arrembante avvicinarsi delle milizie di Tito, il capo dell’allora nascente Repubblica di Jugoslavia, sono volati in cielo. Ci sono, anche se pochi, i sopravvissuti ci sono, tanti, i loro discendenti. È a loro che va il nostro pensiero. Noi siamo fratelli, tutti, non solo perché viviamo in suolo patrio, ma anche, e soprattutto, perché abbiamo una comune cultura che ci rende fratelli. Noi siamo italiani perché leggiamo il Decameron di Boccaccio, le rime di Petrarca, le tante opere di Dante. Noi crediamo che il nostro paese potrà avere un destino ridente, perché ha avuto un passato fatto di padri. Fiume forse non tornerà mai all’Italia, ma chi lo sa. Quello che è certo è che abbiamo un destino di libertà e di unione che ci accomuna. Spetta a tutti noi riconoscerlo, per continuare l’opera di edificazione nazionale. Il territorio è un elemento fondante dello stato, di qualsiasi stato. Lo dicono tutti i testi di diritto pubblico. Ma quello che conta veramente è l’anima, l’anima che riposa nel ricordo comune dei letterati del nostro passato che stimolano la spinta a scrivere degli autori di oggi. Fiume, persa all’Italia, è una ferita. I lutti, le morte innocenti nelle Foibe, sono una squarcio dell’anima dell’intera collettività. Quei martiri della guerra, quelle vittime uccise dalla violenza del secondo conflitto mondiale al pari di altre decine di milioni di innocenti, vanno ricordati. Mai più deve succedere. Ma allo stesso tempo il gesto di inchinarsi davanti alla bellezza della letteratura, come hanno fatto gli esuli fiumani il 10/02/1947, ci deve spingere a credere che la bellezza, l’arte, ci salverà, e saremo salvati non solo noi italiani, ma tutta l’umanità. Intanto questo giorno triste, questo 10 febbraio, dobbiamo e vogliamo ricordare chi non c’è più, chi è stato ucciso dalla furia titina e chi è stato costretto a lasciare le sue case per vivere. Un ricordo sentito.

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