LA RICERCA DI SAPERE
In questi giorni si sta discutendo animatamente su come uscire dalla crisi sociale, economica e sanitaria provocata dalla pandemia. Ovviamente la risposta più immediata è: aumentare i soldi alla sanità. Il morbo si può sconfiggere con un sistema sanitario efficiente e capillare. C’è bisogno di più medici, di più infermieri di più personale addetto alla cura delle persone in difficoltà. C’è poco da discute su questa affermazione.
Ma non basta fare, bisogna conoscere. Cioè una società per essere più inclusiva, più produttiva, più efficiente deve avere una popolazione con una base culturale solida. Perché? La risposta, a mio parere, è che prendersi cura degli altri non può essere un atto meccanico. Bisogna saper condividere passioni, emozioni e dolori. Bisogna saper costruire una prospettiva di futuro felice per tutti. Ecco perché la scuola è importante. Non solo per conoscere le nozioni di letteratura, di matematica, di scienze e di lingua straniera, ma anche per costruire un processo di inclusione che permetta di porre le fondamenta di una comunità nazionale che vibra di comuni sentimenti, che palpita per comuni passioni. Passioni e sentimenti positivi. Mi spiego. Non ha alcun senso costruire una comunità sociale fondata sull’odio e risentimento. Certo avviene! Ma quando insultiamo, quando ci poniamo in assoluto inascolto dell’altro viene a mancare la base di convivenza sociale.
Ecco perché la scuola, e in generale anche l’istruzione di più alto livello (penso all’università), deve portare quel modello inclusivo, plurale, quel senso di rispetto verso l’altro che nel nostro vivere quotidiano manca. Ecco a cosa dovrebbero servire i fondi UE diretti alla scuola. Per porre le basi di una istruzione, ovviamente, sicura anche dal punto di vista sanitario (non si va a scuola per contrarre il corona virus o altre malattie), ma anche per porre le basi di una società fondata sul sapere, sulla competenza e sulla possibilità di dialogare. Troppo spesso nella quotidianità è fatta di prese di posizione assolute, bisogna provare a fare una rivoluzione copernicana, capire che la dialettica dialogica è il fondamento della vita relazionale. Ci possiamo provare. Possiamo provare a cambiare il punto di vista teleologico che fonda la nostra quotidianità.
Bisogna che la scuola si attrezzi, già lo fa adeguatamente, ma non deve accontentarsi e puntare di più sui bimbi, su tutti i bimbi, per costruire un modello di insegnamento in cui nessuno sia escluso. Penso a modelli di inclusione nelle aule scolastiche, di bambini con disabilità. L’Italia è già modello mondiale di questo approccio all’insegnamento a bambini diversamente abili. Ma bisogna fare ancora di più. Perché crescere insieme, non solo fa bene alle persone speciali, il mio non vuole essere un eufemismo ma una forte convinzione, ma anche ai loro compagni che la scienza e la dialettica euristica, con tonalità forse non adeguate, chiama “normodotati”. Costruire una classe in cui tutti abbiano un ruolo nel cammino di conoscenza comune è una vittoria fondamentale per tutti. Lo stesso ragionamento vale per bimbi figli di genitori non di madre lingua italiana, le difficoltà di dialogo possono essere superate, ponendo il fondamento di un modello di istruzione nuovo e più efficace. La diversità pone le basi per una conoscenza non pedante e fondata sulla memorizzazione dei dati, ma basata sull’analisi della complessità dei fatti e delle tesi lette e studiate.
Insomma puntare sulla ricerca e sulla attività pedagogica può essere salutare come il prendersi cura dei degenti. La scuola è uno strumento fondamentale per difendersi. Per trovare uno scudo davanti alle dicerie, ai luoghi comuni, che oggi vendono denominati fake news, e così avere un’idea per comprendere pienamente la realtà che ci circonda. La scuola fa bene anche a noi adulti. I fantasmi che annebbiano la nostra mente possono essere dipanati ponendo orecchio alla ricerca euristica dei nostri figli, dei nostri piccoli. Cambiare la società è possibile mettendo al centro della vita socio culturale la scuola. Bisogna ripartire, bisogna riprendere a conoscere.
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