domenica 28 marzo 2021

UN ANNO DALLA SCOMPARSA DI PINO TULIPANI

 


CIAO PINO

Un anno fa, esattamente il 28 marzo 2020, spirava il dottor Giuseppe Tulipani, il primo garante delle persone diversamente abili della Regione Puglia. È stato un infarto a portarlo via dai suoi cari e da tutte le persone che lo avevano come punto di riferimento civile, morale ed etico. Per tutti quelli che lo stimavano e gli volevano bene era “solo” Pino.

La sua vita era sempre stata indirizzata al soccorso di chi non “stava al passo”, cioè di chi era, ed è, messo ai margini della società perché non è in grado di mettersi sulla stessa lunghezza d’onda dei ritmi frenetici della impetuosa, e spesso cinica, società consumistica, che purtroppo non consuma solo i beni, ma anche le persone.

Il ventisette marzo 2018 era stato nominato dal Consiglio Regionale della Puglia “garante dei diritti delle persone diversamente abili”, due anni dopo, mentre svolgeva con abnegazione la sua missione, partiva dal mondo. In questi due anni Giuseppe Tulipani ha utilizzato tutte le sue infinite qualità umane per farsi latore delle istanze delle persone più deboli. Ha svolto con assoluta ostinazione la sua missione di aiutare e di essere vicino alle persone diversamente abili che chiedevano dignità e rispetto dei propri diritti. Pino si è battuto per dare una visibilità giuridica e un riconoscimento morale ed economico ai familiari delle persone che hanno gravi problemi motori e psichici. Si è battuto perché il loro amore, prima di tutto, ma anche il loro lavoro verso i loro cari in difficoltà fosse riconosciuto e assurto al approvazione pubblica che merita, al fine di garantire la loro dignità.

 La sua umanità era fondata sulla sua esperienza di uomo di volontariato. Fin da giovane aveva operato nelle realtà sociali che si occupavano delle persone in difficoltà. Figlio spirituale di Don Tonino Bello, il vescovo santo di Molfetta, Pino è sempre stato al servizio degli altri. Tale convinzione morale ed etica sul senso della vita, lo ha spinto a operare quale componente della protezione civile, partecipando a iniziative di soccorso ed aiuto encomiabili.

Aveva fondato un’associazione a Giovinazzo. L’aveva chiamata “Angeli della vita”, perché era rimasto colpito dalla parole di don Tonino Bello: l’uomo è un angelo speciale, ha un’ala sola, per volare deve essere abbracciato col proprio prossimo al fine di avere due ali. È su questo spirito di fratellanza/sorellanza che ancora oggi l’associazione “Angeli della Vita” opera sul territorio, portando avanti gli insegnamenti e il lavoro quotidiano di Pino Tulipani. Tale associazione è composta da famiglie che hanno almeno un componente disabile. Lo spirito sociale è fondato sul mutuo soccorso che è scambio reciproco di amore. Pino diceva sempre che non esistono diversità, esiste l’affetto che ognuno nutre per il proprio prossimo che fa superare ogni tipo di barriera.. anche quella architettonica.. dandosi la mano ogni scala diventa una rampa..

A questo proposito è bene ricordare una delle sue ultime battaglie per rendere i tanti chilometri di spiaggia pugliese adatte alle persone che hanno gravi e mono gravi problemi deambulatori, oppure adatte per i non vedenti. Nella primavera dell’anno scorso stava costruendo un equipe di lavoro che coinvolgeva autorità comunali, provinciali e regionali della Puglia per rendere la stragrande maggioranza delle spiagge atte ad accogliere in sicurezza e senza barriere chi ha difficoltà nel cammino. Poi il coronavirus, ma soprattutto la sua dipartita, ha un po’ rallentato il corso del progetto. Ma noi vogliamo che riprenda. Il lavoro, l’opera, l’abnegazione di Giuseppe Tulipani deve essere fatta propria dalle istituzioni e da tutti noi. Seguendo il suo insegnamento si può costruire una comunità in cui tutti e tutte, a prescindere dalle proprie peculiarità psicofisiche, siano protagonisti. Ricordare oggi Pino Tulipani a un anno dalla sua morte non è solo un giusto tributo a chi ha speso tutta la sua esistenza per gli altri, ma è anche un modo per poter pensare a costruire una società inclusiva in cui tutti, almeno un po’, siano più felici.

domenica 21 marzo 2021

'ANNO DI DANTE

 


L’ANNO DI DANTE

Nel 1321 morì Dante Alighieri. Quest’anno ricorrono i 700 anni dalla sua dipartita. Sono tantissimi gli eventi che si stanno preparando e si prepareranno per ricordarlo. Purtroppo avverranno, si presume, tutti via Rete, L’emergenza Corona Virus no permetterà simposi, incontri, convegni e rappresentazioni e letture delle sue opere in teatri o piazze. A meno che non avvenga un miracolo, che ovviamente tutti noi ci auguriamo, e il terribile morbo non venga rapidamente debellato, come un nemico temibile a lungo combattuto.

Ma ora siamo a ricordare Dante. La sua opera è l’Italia. Il suo poetare è la causa stessa del nostro essere nazione. Il Vate è colui che ha saputo raccontare le gesta eroiche dei nostri avi, offrendoci una prospettiva di futuro radioso e gioioso. Per questa ragione è necessario festeggiarlo. Per questa ragione è bene che ogni italiano ricordi i 700 anni dalla sua morte. È lui che ha creato la lingua che parliamo e scriviamo ogni giorno. È lui che ha elaborato un trattato, scritto nella lingua dei dotti il latino, sulle regole e sulla genesi del nostro italiano:  de vulgari eloquentia. Senza il suo poetare non sapremmo della vibrante storia d’amore fra Paolo e Francesca. Non riusciremmo a cogliere il valore assoluto del bisogno di ricerca, se non avessimo letto della strepitosa avventura umana di Ulisse, raccontata nell’Inferno dantesco. I tanti personaggi che affollano la Commedia, la Divina Commedia, sono moniti per noi sul valore assoluto della vita, dell’amicizia, del valore della fedeltà e della fede. Ricordare Dante vuol dire veramente porsi domande sul senso vero e profondo della stessa esistenza umana. Cogliere l’amore fra il Poeta e Beatrice, la donna della sua vita che diventa per lui causa di redenzione, ci riporta a riconoscere il valore assoluto dei legami affettivi.

L’anno di Dante è l’anno nostro. Questo anno, assieme al precedente, così triste, perché segnato dal terribile Corona Virus. Questo anno che ci ha visto chiusi in casa, che ci ha fatto rinunciare a viaggi e a distrazioni di vario tipo. È un momento di meditazione sul senso ultimo e vero del vivere. In questo Dante Alighieri, la sua poetica, ci può dare una ragione dell’essenza umana, ci può offrire una spiegazione a questi mesi di tristezza. Riscoprire il senso di umanità che c’è nel nostro animo. Ripercorrere nel nostro cuore il viaggio ultramondano di redenzione di dante, per farlo nostro per riuscire a cambiare in meglio la nostra vita e al fine “riveder le stelle” come dice l’ultimo verso dell’Inferno.

giovedì 18 marzo 2021

CAMBIARE SEGRETARIO



LETTA NUOVO SEGRETARIO DEL PD

L’assemblea nazionale del Partito Democratico ha scelto di designare quale nuovo segretario del movimento Enrico Letta. Ciò avviene a seguito delle dimissioni di Nicola Zingaretti, presidente della Regione Lazio, a tale carica.

IL conferimento della carica all’ex Presidente del Consiglio è avvenuto in via Del Nazareno, sede del partito, il 14/03/2021, da parte dell’Assemblea Nazionale del Partito.

Ora è difficile scorgere quello che il nuovo segretario del PD elaborerà in discontinuità o in continuità con la gestione precedente. Letta ha dichiarato che è intenzione del Partito che conduce continuare a dare la fiducia non solo politica, ma anche personale, all’attuale Presidente del Consiglio in carica, Mario Draghi.

Il Partito Democratico si vuole riconoscere nella identità di movimento progressista volto alla tutela dei diritti di tutti. Difesa dei diritti delle donne, dei bimbi (nota la polemica dialetti fra il neo segretario Pd che vorrebbe la tutela dei minori nati in Italia da non cittadini italiani e Salvini, segretario della Lega, che non considera questa tutela dei piccoli prioritaria per il paese), di tutte le persone in difficoltà a causa del morbo e della crisi economica incipiente.

Difficile dire cosa sarà del partito Democratico. La successione alla segreteria non sembra affatto dimostrazione di forza del movimento, anzi appare un visibile arretramento. I sondaggi non sono favorevoli al Partito Democratico, alcuni addirittura lo designano come quarta forza, dietro a ben tre partiti: la Lega (che come abbiamo visto indica altre priorità: “non ci faremo processare” è lo slogan del partito davanti alle ingerenze della magistratura che hanno messo sotto inchiesta lo stesso Matteo Salvini, assieme ad altri esponenti leghisti.

Ora la priorità è il lavoro, la dignità per tutti, il progresso, la rivoluzione economica “green” cioè che riesca a garantire diffuso benessere senza mettere in pericolo l’ecosistema del nostro paese e dell’intero mondo.

Sono tutte indicazioni elaborate ed esplicitate dai programmi della Commissione Europea, guidata da Ursula Von der Layen, e dallo stesso Mario Draghi, Presidente del Consiglio Italiano. Ma le politiche degli esecutivi nazionali e internazionali devono essere sostentati e surrogati da una azione dei movimenti popolari, volti ad ascoltare i bisogni e le necessità delle persone, dei comuni cittadini, e riportarle alle massime cariche istituzionali al fine di rendere possibile che le azioni di queste ultime siano unisone ai sentimenti e alla volontà sciente della comunità, della popolazione. Questo deve essere il compito di un partito. Deve essere una “cinghi di trasmissione” (uso un termine da vecchio partito comunista), ma al contrario. Mentre i leader del vecchio PC pensavano che il partito dovesse portare al popolo quelli che sono i pensieri e proponimenti dei leader, creando consenso diffuso, dovrebbero i partiti al contrario portare ai livelli massimi di governo quelli che sono i progetti della popolazione, le loro istanze le loro aspirazioni. A parole è facile a dirsi. Nei fatti le cose si complicano, penso alle dialettiche conseguenze dell’azione del Movimento Cinque Stelle che si propone, ancor adesso, di farsi semplice portavoce dei bisogni popolari, ma.. i risultati sono complessi da giudicare. Ma un partito moderno quello deve proporsi, per farsi protagonista del cambiamento, rendere soggetti attivi della politica nazionale e locare i cittadini. Se Enrico Letta ci riuscirà, anche le critiche di Salvini rientreranno. Il segretario leghista, come la maggioranza degli italiani che votano destra, non potranno che convenire che rendere tutti soggetti attivi di partecipazione politica, anche i minori, è la strada per far crescere il paese.


domenica 14 marzo 2021

DOMANDE SUL SENSO DELL'ESSERE

 


IL CAMMINO DELLE ESSERE

Papa Francesco è stato in Iraq. Il suo viaggio è significativo per diversi aspetti. La scelta di andare nel paese mediorientale in questo fatidico inizio di anno 2021 è esplicitazione di molti pensieri e di tensioni morali che sono comuni ad ogni credente. In questo anno segnato dalla diffusione di un male senza precedenti, ripercorrere le scelte di fede di Abramo, che dall’attuale Iraq giunse migliaia di anni fa all’attuale Israele su indicazioni del Dio Unico, ci interrogano su quale sia il senso ultimo dell’esistenza di tutti noi. La domanda, paradossalmente primaria, è esiste un senso? Oppure siamo soltanto, noi e l’intero cosmo, il frutto di combinazioni chimiche e fisiche casuali? Beh la risposta non è certo facile. È a domanda che attanaglia il cuore di tutte le persone da quando la nostra specie ha cominciato a porsi domande su di sé. Hanno provato a rispondere tutti, dalle menti eccelse agli ultimi degli ultimi, in questa ultima categoria anche io mi annovero. Le risposte sono state le più diverse, ma anche tutte insoddisfacenti.

Forse l’unica risposta è quella che si diede proprio Abramo, cioè il credere profondamente un una entità unica creatrice e di affidarsi a lui fino al punto di dargli il suo figlio più amato, Isacco. Ecco il senso vero del papa in Iraq, ricordare, forse anche a se stesso, ma certamente a noi che il perdersi fiduciosi nelle braccia del Padre Celeste è un modo per ritrovarsi. Un modo per rinascere anche in questo mondo che è segnato dal terribile morbo, il Corona Virus.

Allora il cammino dell’essere, delle nostre coscienze, deve essere la spasmodica ricerca di un “regolo”, di un metro, per vivere la vita secondo uno spirito di fraternità con il proprio prossimo e di umile soggezione verso ciò che ci appare imperscrutabile e inconoscibile. Bisogna avere senso di umiltà e di misura, sapere che ciò che non è per noi conoscibile, non è affatto detto che sia irrilevate per la nostra vita, anzi può e deve essere ragione di questa. Come Abramo non capì le indicazioni di Dio, non colse a pieno il senso di ciò che gli indicava, ma le eseguì, cos’ noi dobbiamo guardare alla vita, alle sue difficoltà, alle sue incertezze e alle paura con spirito di religioso ascolto. Nelle difficoltà, dobbiamo crederci, è Dio che ci parla e ci indica la strada.

LA SALUTE DA TUTELARE

 


IL ROSSO SOLITUDINE

Io sono un pugliese. Domani, come altre regioni italiane, la mia sarà “zona rossa”. Cosa vuol dire, ormai, lo sappiamo tutti. Quando il famoso e temuto RT, cioè la “capacità” di chi è malato di infettare il proprio prossimo, sale a >1 e quando i malati sono un numero superiore a 250 ogni 100000 abitanti scatta la zona rossa. La Puglia rientra in questi indicatori e supera le soglie di guardia, in più ha una vera e propria emergenza ospedaliera, le terapie intensive e i reparti “Covid” sono troppo “affollati”, per usare un macabro (mi rendo conto, scusate) eufemismo.

Questi dati provocano la scelta drastica di chiudere la maggior parte delle attività quotidiane. Le scuole sono in DAD, cioè i ragazzi studieranno da domani a casa, collegati ai propri insegnati utilizzando le utenze di internet. I locali in cui si ritrovano abitualmente un numero consistente di persone a svolgere attività pubbliche, saranno chiusi. Ancora una volta, come ormai avviene da un anno a questa parte, la nostra vita quotidiana subirà una rivoluzione comportamentale dovuta a scongiurare il pericolo che il Corona Virus si diffonda.

Io parlo della Puglia, della mia regione, ma è vero che sono tante realtà italiane a subire la stessa sorte. Le cause non sono in parte da attribuire all’agire umano, il virus esiste ed è una “agente” della natura. Ma è inutile nascondersi che per vincerlo più rapidamente e, soprattutto, per piangere meno morti si poteva fare molto di più. Le vittime del morbo in tutta Italia hanno superato il numero di 100000, veramente troppi. L’unica speranza è nel vaccino che deve immunizzare, in fretta, tutti noi.

Oggi, fin quando non si raggiungerà la cosiddetta “immunità di gregge”, dobbiamo eseguire alla lettera le indicazioni delle autorità, dei medici e utilizzare il sano buon senso. Evitare tassativamente di formare assembramenti, evitare di uscire di casa e relazionarci con persone sconosciute ed anche amiche e familiari. Evitare di vivere una vita sociale attiva. Lo so questo vuol dire essere soli. Ciò è profondamente triste. Ma è l’unico modo per provare ad uscire dal tunnel della malattia.

Poi ci sarà il momento in cui potremo, usciti dall’emergenza, chiederci perché siamo arrivati a questo, ci sono stati degli errori? Da parte di chi? Trovare queste risposte potrà essere anche una chance per far crescere il nostro paese. Guardare gli errori, studiarli, individuarne le cause, ci aiuterà a costruire una sistema socio economico più efficiente e a misura di uomo e di donna. Dobbiamo crederci. Perché i momenti tragici di crisi devono, ho detto “devono” non “potrebbero”, essere momento per migliorare tutti noi e le istituzioni a cui apparteniamo. L’Italia deve diventare un paese migliore, non solo più competitivo, ma anche e soprattutto più solidale. Quando potremo tenerci nuovamente per mano, dobbiamo cominciare a marciare uniti verso il futuro.

Lo dico a tutta l’Italia, ma anche a noi pugliesi spaventati dall’idea che domani la nostra terra sarà “zona rossa”, cosa che vuol dire che chi ci sta vicino, magari anche amici e parenti, anche noi stessi, siamo colpiti dal male e lottiamo per sopravvivere. Coraggio.

 

mercoledì 10 marzo 2021

LA VACCINAZIONE DEL PRESIDENTE

 


ATTENDERE

Ieri, 09/03/2021, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, si è vaccinato per immunizzarsi contro il Corona Virus. Lo ha fatto non in quanto primo cittadino dello stato, ma come persona di una certa età. Insomma si è prenotato, ha avuto il giorno dell’appuntamento, si è presentato al centro sanitario in quel dato dì prestabilito e si è vaccinato. È andato all’ospedale Spallanzani come moltissimi altri residenti a Roma che hanno il diritto di vaccinarsi.

Il dibattito politico sul tema delle vaccinazioni a coloro che hanno ruoli determinati nella vita pubblica è, credo giustamente, molto intenso. I primi che sono stati vaccinati sono stati i medici e gli infermieri “in prima linea”, cioè che operano negli ospedali e negli ambulatori. Ora tocca alle persone con molte decadi alle spalle, fra cui il pur giovanissimo nel cuore capo dello stato. In fila ci sono le forze dell’ordine, la polizia, coloro che svolgono attività di volontariato in ambiti delicati del sistema sociale italiano. Ci sono da vaccinare i maestri, le maestre, i professori, le professoresse e tutto il personale scolastico, che hanno la responsabilità di formare le generazioni future. Poi si spera che sarà il turno di ognuno di noi, in attesa che giunga la “immunità di gregge”, cioè il momento in cui il virus troverà la strada per riprodursi e far del male sbarrata da decine di milioni di persone vaccinate.

È quello che ci auguriamo. Chi vi scrive non è stato ancora vaccinato, perché non ha i requisiti per essere in una categoria prioritaria. Ma non posso negare che non vedo l’ora di inocularmi il siero sia per poter almeno sognare di riacquistare una normale interrelazione personale con il mio prossimo, sia per far del bene al mio paese, l’Italia, che ha bisogno di vincere la malattia per poter ricominciare a crescere.

Credo, supportato da una solida letteratura in materia e dal sano buon senso, che l’unico modo per riportare l’Italia ad essere una grande nazione e degna di assidersi al consesso internazionale dei popoli è che ognuno di noi, ogni cittadino e abitante della Penisola, si comporti con senso civico e con spirito di solidarietà. Bisogna ubbidire prima di tutto non tanto alle persone, che possono sbagliare, ma alle regole di convivenza civile, scritte nelle leggi, e visto che ci siamo, anche a quelle enunciate nei ormai famosi Decreti del Presidente del Consiglio, come a quelle che sono in ogni altra norma. Dobbiamo provare a non cercare, passatemi il termine scurrile, di non “fregare” il prossimo. Dobbiamo vaccinarci alla svelta, ma mai cercando di scavalcare il prossimo, mai volendo superare l’altro con furbizia. Dobbiamo avere la capacità di interpretare le norme di convivenza civile non pensando di fare i “furbetti”, ma con lo spirito di comunanza e di compartecipazione che deve essere la caratteristica una organizzazione sociale matura. Insomma non si deve passare avanti, non si deve ignorare l’ordine della fila. Seguire le regole è quello che ci aiuterà a vincere il virus, ma anche tutte le altre battaglie economiche e sociali che ci aspettano. Rispettare le regole vuol dire credere che si può vincere insieme.

Posso dire una cosa? Rispettare le regole è un impegno che dobbiamo esperire non solo per noi stessi, per i nostri figli e per i nostri anziani. Rispettare le regole è un modo per onorare la memoria di tanti che si sono sacrificati per la libertà e la giustizia della nazione. Penso a Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tanti altri. In questo momento il pensiero va a Pier Santi Mattarella, fratello amato dell’attuale presidente, morto ammazzato anche lui per la sua indefessa battaglia contro la mafia. È per loro, per questi “eroi borghesi” come furono definiti per il loro sacrificio non animato da patos rivoluzionario ma da senso dello Stato, che dobbiamo vaccinarci rispettando le regole, esattamente come ha fatto Sergio Mattarella.

IL PRESIDENTE SI VACCINA

 


ATTENDERE

Ieri, 09/03/2021, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, si è vaccinato per immunizzarsi contro il Corona Virus. Lo ha fatto non in quanto primo cittadino dello stato, ma come persona di una certa età. Insomma si è prenotato, ha avuto il giorno dell’appuntamento, si è presentato al centro sanitario in quel dato dì prestabilito e si è vaccinato. È andato all’ospedale Spallanzani come moltissimi altri residenti a Roma che hanno il diritto di vaccinarsi.

Il dibattito politico sul tema delle vaccinazioni a coloro che hanno ruoli determinati nella vita pubblica è, credo giustamente, molto intenso. I primi che sono stati vaccinati sono stati i medici e gli infermieri “in prima linea”, cioè che operano negli ospedali e negli ambulatori. Ora tocca alle persone con molte decadi alle spalle, fra cui il pur giovanissimo nel cuore capo dello stato. In fila ci sono le forze dell’ordine, la polizia, coloro che svolgono attività di volontariato in ambiti delicati del sistema sociale italiano. Ci sono da vaccinare i maestri, le maestre, i professori, le professoresse e tutto il personale scolastico, che hanno la responsabilità di formare le generazioni future. Poi si spera che sarà il turno di ognuno di noi, in attesa che giunga la “immunità di gregge”, cioè il momento in cui il virus troverà la strada per riprodursi e far del male sbarrata da decine di milioni di persone vaccinate.

È quello che ci auguriamo. Chi vi scrive non è stato ancora vaccinato, perché non ha i requisiti per essere in una categoria prioritaria. Ma non posso negare che non vedo l’ora di inocularmi il siero sia per poter almeno sognare di riacquistare una normale interrelazione personale con il mio prossimo, sia per far del bene al mio paese, l’Italia, che ha bisogno di vincere la malattia per poter ricominciare a crescere.

Credo, supportato da una solida letteratura in materia e dal sano buon senso, che l’unico modo per riportare l’Italia ad essere una grande nazione e degna di assidersi al consesso internazionale dei popoli è che ognuno di noi, ogni cittadino e abitante della Penisola, si comporti con senso civico e con spirito di solidarietà. Bisogna ubbidire prima di tutto non tanto alle persone, che possono sbagliare, ma alle regole di convivenza civile, scritte nelle leggi, e visto che ci siamo, anche a quelle enunciate nei ormai famosi Decreti del Presidente del Consiglio, come a quelle che sono in ogni altra norma. Dobbiamo provare a non cercare, passatemi il termine scurrile, di non “fregare” il prossimo. Dobbiamo vaccinarci alla svelta, ma mai cercando di scavalcare il prossimo, mai volendo superare l’altro con furbizia. Dobbiamo avere la capacità di interpretare le norme di convivenza civile non pensando di fare i “furbetti”, ma con lo spirito di comunanza e di compartecipazione che deve essere la caratteristica una organizzazione sociale matura. Insomma non si deve passare avanti, non si deve ignorare l’ordine della fila. Seguire le regole è quello che ci aiuterà a vincere il virus, ma anche tutte le altre battaglie economiche e sociali che ci aspettano. Rispettare le regole vuol dire credere che si può vincere insieme.

Posso dire una cosa? Rispettare le regole è un impegno che dobbiamo esperire non solo per noi stessi, per i nostri figli e per i nostri anziani. Rispettare le regole è un modo per onorare la memoria di tanti che si sono sacrificati per la libertà e la giustizia della nazione. Penso a Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tanti altri. In questo momento il pensiero va a Pier Santi Mattarella, fratello amato dell’attuale presidente, morto ammazzato anche lui per la sua indefessa battaglia contro la mafia. È per loro, per questi “eroi borghesi” come furono definiti per il loro sacrificio non animato da patos rivoluzionario ma da senso dello Stato, che dobbiamo vaccinarci rispettando le regole, esattamente come ha fatto Sergio Mattarella.

lunedì 8 marzo 2021

AUGURI A TUTTE LE DONNE

 


8 MARZO

Gli storici sono combattuti sul definire quale sia il motivo per cui l’otto marzo sia la festa della donna. I dati storiografici indicano di un ampio dibattito all’inizio del XX secolo all’interno dell’internazionale socialista, l’organizzazione mondiale di tutti i movimenti di sinistra dell’epoca. Se da parte del movimento operaio fu unanime l’approvazione della mozione volta all’introduzione di una giornata dedicata alla battaglia per la rivendicazione dei diritti delle donne, molto dibattuta fu la scelta del giorno in cui ogni anno si dovesse ricordare che è sacrosanto tutelare la dignità femminile. Alla discussione parteciparono i più importanti esponenti socialisti dell’epoca: Lenin, il russo che avrebbe condotto la rivoluzione di Ottobre, Martov un suo fido collaboratore, ma soprattutto Rosa Luxemburg e Clara Zechil, due protagoniste del movimento operaio mondiale declinato al femminile. Le date erano tante ed evocative, si parlava ad esempio di designare la prima grande manifestazione femminile contro l’autoritario governo Prussiano, avvenuta nell’anno fatidico, in cui il popolo del mondo si destò come fosse un solo cuore, del 1948.

La scelta si orientò verso un giorno di fine febbraio, ma fu la decisione del movimento socialista tedesco di indire la giornata della donna l’otto marzo a cambiare definitivamente le sorti della storia. L’intero movimento operaio condivise la scelta e le “suffraggette” (le donne che si battevano per il diritto di voto femminile) americane e inglesi, pur non abbracciando la dottrina marxista, sposarono la scelta dell’otto marzo quale compromesso accettabile e lo assunsero anche loro a data di rivendicazione dei diritti della donna. Da allora la festa della donna fu un momento di lotta e mobilitazione delle masse per la difesa e la tutela dei bisogni e delle prerogative del mondo femminile. Fu moltissimi anni dopo, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, che l’allora nascente Organizzazione delle nazioni Unite (ONU) consacrò come festa istituzionalizzata, cioè riconosciuta dagli ordinamenti statuali assisi nella assemblea di New York, l’otto marzo. Dal 1946 insomma la “Festa della donna” è una giornata ufficiale dedicata al mondo femminile.

È qui il racconto si fa drammatico. Per la delibera di istituzione della festa della donna dell’ONU l’evento da ricordare è il drammatico incendio di una fabbrica di confezioni avvenuto a New York, ma non l’otto marzo bensì il 25 del 1911. Insomma l’ONU pensò che l’internazionale socialista avesse scelto l’otto marzo per commemorare le operaie americane morte in fabbrica, e non, come apparirà chiaro attraverso una più appurata ricerca storiografica, perché il partito socialista tedesco avesse indetto per 8 marzo 1907 una riuscitissima manifestazione “proletaria” a favore delle donne.

Bisogna dire, almeno a mio parere, che questa confusione ha prodotto benefici alla carica simbolica che è nella manifestazione dell’otto marzo. Con tutto il rispetto per le donne e gli uomini tedeschi che marciarono per l’uguaglianza l’otto marzo  1907, ma appare più significativo ricordare la morte delle operaie newyorchesi avvenuta in un contesto tragico e con la flagrante responsabilità dei “padroni”, cioè dei proprietari della fabbrica stessa, che secondo testimonianze estremamente attendibili e su dati storici accertati avrebbero addirittura chiuso le porte del palazzo incendiato, nella folle paura di furti e di presunte violenze, causando con il loro comportamento la morte delle donne, innocenti. Questo orrendo fatto fu accertano anche dai processi che si succedettero.

Insomma l’incendio alla fabbrica “Cotton”, così si chiamava, di New York fu un vero e proprio femminicidio.  Bisogna ricordare e stigmatizzarlo, affinché non avvenga più. Purtroppo appare superfluo, per quanto sia un dato noto, ricordare che ancor oggi in tantissime parti del mondo, anche nella nostra Italia, tante donne sono sfruttate e subiscono violenze di ogni tipo. Ricordare questo evento è un modo per esorcizzare il male che la follia declinata al maschile esercita sull’universo femminile.

Oggi è festa. È la festa delle donne. È bene fare gli auguri a tutte. Ma è necessario soprattutto non fermare il nostro afflato di indignazione verso tutto ciò che produce pregiudizio, discriminazione e, infine, violenza. Le donne hanno il diritto a lavorare. Hanno il diritto ad essere se stesse, senza subire alcun tipo di persecuzione. Bisogna essere chiari. Il diritto delle donne ad esplicitare pienamente la loro personalità contribuisce a costruire una società migliore. È sotto gli occhi di tutti quanto sia benefico per l’intera umanità che a lavorare per il bene comune siano, non solo gli uomini, ma soprattutto le donne. Il loro naturale, chiamiamolo pure, “istinto” (ma non è il termine giusto visto che le donne fanno ogni cosa sia col cuore che con il cervello, chiedo scusa quindi per averlo usato) a prendersi cura degli altri le rende estremamente adatte ad assumere cariche decisive per le sorti della comunità. Ancor oggi, visti i dati sull’occupazione femminile, non si è ancora presa coscienza di questo. Allora questo deve essere il senso dell’Otto marzo, lottare affinché tutte le donne, secondo le loro capacità e talenti, siano non solo tutelate dalla violenza, cosa imprescindibile,non solo siano cittadine che hanno il diritto di esercitare le loro prerogative,  ma anche che siano protagoniste indiscusse del futuro. Ancora Auguri.

domenica 7 marzo 2021

AI TEMPI DI TRUMP

 


BEH! C’ERA UN GIUDICE A WASHINGTON

Vi ricordate la storica frase ripresa da Berlod Brecht  in una delle sue opere e, sembra, pronunciata realmente da un mugnaio tedesco nel ‘700 per chiedere giustizia contro i soprusi di un nobile: “c’è un giudice a Berlino?”. Questa frase è diventata la bandiera di chi è convinto che chiunque dal più potente e influente politico all’ultimo cittadino, si direbbe con termine antico e discusso, proletario è sottomesso alle leggi. Anche il re, se si è in una monarchia, anche il presidente della Repubblica devono rispondere dei propri atti davanti a un giudice, se hanno commesso reati. Ora questo articolo vorrebbe evocare la vita e la dirittura morale di un grande giudice statunitense. Si chiamava Ruth Bader Ginsburg. Era un membro della Corte Suprema, la più alta assise giudiziaria degli Stati Uniti. Aveva 87 anni. È morta l’altro ieri, sabato 19 settembre 2020. È stata la prima donna ad essere membro dell’alta corte. Ma c’è di più è stata fra le prime nove donne ad laurearsi ad Harward in Legge, calasse 1933 figlia di modesti immigrati ebrei e già madre a 23 anni.

La sua nomina alla corte suprema è stata voluta dal Presidente Bill Clinton nel 1993. La giudice si era già distinta per una carriera estremamente brillante, volta alla difesa dei diritti civili. La Ginsburg si era impegnata  per la sua indefessa rivendicazione dei diritti delle donne. È sua la storica frase che segna la storia delle lotte liberali per il femminismo: non chiedo favori per il mio sesso, ma solo che i nostri fratelli smettano di calpestarci. È una convita sostenitrice del diritto come strumento reale di difesa dei diritti. Non concepisce l’idea che un avvocato o un giudice siano “Azzecagarbigli”, per dirla alla Manzoni. Insomma non ci sono, o meglio non ci devono essere mezzucci. Il diritto deve essere sinonimo di giustizia. La legge deve essere verità. Se così non è bisogna cambiarla. Questa era la convinzione della Ginsburg. Per lei la Costituzione Americana era lo il baluardo dei diritti di tutti. Considerava i principi da essa enunciati come norme fondamentali che valgono per tutti gli esseri umani, tanto più per le donne. Gli “Emendamenti”, come vengono chiamati gli articoli del preambolo della Costituzione Americana ove vengono enunciati i diritti fondamentali dell’uomo, sono stati la base del suo lavoro e della sua vita da studiosa del diritto. La legislazione americana è allo stesso tempo frutto della combinazione di principi e leggi date fin dalla nascita della Repubblica, scritti durante la convenzione di Filadelfia del 1787, e da ulteriori aggiornamenti della cultura giuridica, ad esempio valori fondamentali come l’abolizione della schiavitù, il diritto di tutti i cittadini ad avere pari diritti e doveri al di là della razza, termine tremendo, del sesso e della provenienza familiare sono stati conquistati in un lento processo normativo e intellettuale che si conclude negli anni ’60 del secolo scorso, proprio quando la Ginsburg si affaccia al mondo del diritto e dei diritti.

Ruth Bader Ginsburg è stato un faro della giurisprudenza e della dottrina non solo nel suo paese, ma nell’intero mondo. In Occidente le sue tesi sono state il motore delle rivendicazioni politiche, sociali e giuridiche di tutte le donne. Anche inconsapevolmente chi manifestava per il diritto all’autodeterminazione giuridica del cosiddetto “sesso debole”, rivendicando il diritto della donna a ricevere in eredità senza la curatela o la tutela di un uomo, di accedere ad alte cariche dello stato e ad ambire a posti di lavoro di vertice, faceva propri i concetti giuridici esposti con caparbietà dalla Ginsburg. La sua presenza alla Corte Suprema America ha segnato una stagione di diritti. Sono storici i suoi “mi oppongo” che pronunciava con decisione, fino ad apparire ostinazione, ad ogni sentenza che violasse i diritti fondamentali delle donne e dei più deboli. La sua battaglia per ribadire con forza il valore assoluto e universale della dignità umana ha dato perfino da torcere al burbero Donald Trump, che si è dovuto, in alcuni casi, arrendere a lei, alla piccola giudice, quando rivendicava il diritto alle giovani madri messicane, ma con figli nati negli USA quindi cittadini degli States, a stare vicino ai propri piccoli, in nome del diritto alla maternità.

 La morte del giudice Ginsburg è un lutto per l’intera umanità, per i fautori del principio che la legge è fatta per gli uomini, e per le donne, e non il contrario. Che i valori assoluti di giustizia, libertà ed eguaglianza devono muovere lo spirito di chi giudica in base alle norme e di chi quelle norme le fa, la politica. Ci sono valori e principi universali che l’interesse di parte non può e non deve ignorare, ecco il monito della giudice morta qualche giorno fa. Alla luce di questo appare veramente poca cosa la polemica in ambito del partito Democratico Americano contro di lei, che scelse pochi giorni prima dell’ascesa alla Casa Bianca di non dimettersi. Le sue dimissioni di allora avrebbero permesso all’allora presidente in carica, barack Obama, di nominare un membro della corte democratico, compito che ora spetta al Repubblicano Donald Trump. Perché questa polemica? Ricordiamo che i giudici della Corte Suprema sono nominati dal Presidente degli Stati Uniti con il consenso del Senato. Hanno una carica a vita, che può essere interrotta solo dalla morte o dalle dimissioni. Oggi insomma il Repubblicano Trump, con il supporto di un senato ancora a maggioranza composta da membri del suo partito, potrà sostituire la liberal Ginsburg con un magistrato conservatore. Ma alla luce del peso morale e giuridico della donna del diritto queste polemiche appaiono poca cosa.

LE DIMISSIONI DEL SEGRETARIO DEL PD

 


QUALCOSA DI SINISTRA

Nicola Zingaretti il 4 marzo 2020 si è dimesso dalla carica di Segretario del Partito Democratico. Tale ruolo lo deteneva da circa un anno. Proprio alle primarie di marzo del 2019 la base del partito l’aveva designato a guida dell’organizzazione.

Cosa succederà oggi alla sinistra non si sa. Il disorientamento è molto. A me è sovvenuto in mente il film di Nanni Moretti “Aprile”, in quella pellicola girata nel lontano 1998 il regista attore implorava Massimo Dalema, visto in televisione, di “dire qualcosa di sinistra”. Pur passando più di 20 anni, è ancora difficile capire cosa possa essere “quel qualcosa di sinistra” che la dirigenza politica “di sinistra” debba dire per cambiare lo stato delle cose. Questa confusione, questa nebbia, sta provocando gravissime conseguenza, di cui, a mio modesto parere, le dimissioni di Nicola Zingaretti sono solamente un modesto epifenomeno.

Sembrano lontani, e francamente lo sono realmente, i tempi in cui Karl Marx spiegava che la società mondiale era divisa in classi, era composta da parti di essa che sfruttavano e da parti di essa che erano sfruttati, ed era compito del proletariato, diventato soggetto politico, appunto la “sinistra”, fare in modo che questo ordine sociale fosse rovesciato e che la società fosse armoniosamente ricomposta annullando ogni forma di conflitto dialettico fra le sue componenti. Questa visione, ricordiamolo, ha prodotto orrori. La rivoluzione proletaria, avvenuta in alcuni paesi (ricordiamo la Russia del 1919), non ha prodotto un futuro di benessere generalizzato, ma solo dolori e dittature. Però rimane il fatto che essere di sinistra vuol dire ancora oggi provare a costruire una società in cui le diseguaglianze, pur rimanenti, non siano tali di creare estrema indigenza  per molti e grande ricchezza per pochi.

Allora ecco quale dovrebbe essere il compito di un segretario di un partito di sinistra, quale dovrebbe essere il Partito Democratico, rendere meno evidenti le disuguaglianze e, se è proprio impossibile superarle definitivamente, fare in modo che coloro che sono socialmente più deboli comunque abbiano non solo il diritto a una vita dignitosa per sé e per la propria famiglia, ma riescano veramente a scongiurare il pericolo di vivere in povertà ed indigenza e riescano a trasformare le proprie energie fisiche ed intellettuali in strumenti per diventare, nel proprio ambito, protagonisti del riscatto collettivo.

Insomma essere di sinistra vuol dire che tutti hanno il diritto sacrosanto a farsi partecipi del progresso dell’intera umanità. Basta con le barriere che dividono il ricco dal povero, i bisogno dell’uomo da quelli della donna, il cittadino di un luogo dalla persona proveniente da un paese lontano. Ecco cosa vuol dire essere di sinistra. Vuol dire credere che siamo tutti uguali non solo in maniera formale, è la legge che lo dice, ma anche in maniera sostanziale, ognuno di noi ha diritto a cure mediche, a studiare proficuamente, ad avere un lavoro soddisfacente a prescindere dal proprio ceto.

Ecco cosa dovrebbero essere i compiti di un leader di sinistra, del segretario del Partito Democratico. Provare a rendere possibile che l’Italia sia un paese che offre chance di crescita e di benessere per tutti.

Nicola Zingaretti ci ha provato e continua a provarci. Proprio nel giorno delle sue dimissioni da segretario del PD, in veste di Presidente della Regione Lazio, ha inaugurato nella periferia romana un centro polifunzionale di aggregazione sociale, un luogo in cui la cittadinanza può incontrarsi e svolgere le più disparate attività in sicurezza, anche nel periodo odierno di emergenza sanitaria legata al Corona Virus. Ecco l’esempio di cosa sia “qualcosa di sinistra”. Ma non basta! Non basta fare piccole, ma fondamentali, opere pubbliche volte a fronteggiare il senso di isolamento sociale. Bisogna improntare una politica nazionale che sia capace di incardinare questi singoli e diffusi atti in un progetto generale che produca benessere diffuso. E diciamo di più. Garantire il benessere di tutti non è uno spreco, ma è un modo di investire l’economia nazionale. La felicità di ognuno e di tutti deve produrre ricchezza collettiva. La felicità aumenta il PIL.

Allora proviamo a pensare che si può fare politica di sinistra. Che si può con efficienza pensare a tutelare il bene di tutti. Francamente non so se Nicola Zingaretti ritirerà le sue dimissioni. Secondo le sue dichiarazioni sembrano irrevocabili, ma non si sa mai. Quel che è certo è che il compito del segretario del Partito Democratico è rendere il partito al servizio dei bisogni della collettività, di tutti e, soprattutto, dei più deboli. Ecco cosa è un partito di sinistra, e se il PD non ci riesce.. beh non ha ragion d’essere. Ma io spero che invece la sua ragion d’essere, il suo essere a servizio di tutti, si faccia presto atto concreto,e visione e progetto politico.

mercoledì 3 marzo 2021

COMBATTERE INSIEME IL VIRUS

 


RICERCA DEL SAPERE

Ci sia domanda cosa sia il sapere e come possa migliorare la vita di tutti ed ognuno. La domanda è ricorrente nella storia dell’umanità. In questo anno segnato dal Corona Virus la domanda è ancora più pressante. I dotti sono i medici, gli scienziati, gli epidemiologi che hanno l’arduo compito di fermare a malattia. L’opinione pubblica, noi tutti, abbiamo reazioni spesso configgenti davanti a questo inevitabile tributo al sapere. La stragrande maggioranza di noi aspetta con trepidazione l’esito delle ricerche altrui, ma una piccola minoranza, pur rumorosa, tende a negare la verità della scienza.

Ora i fatti rendono evidente la velleitarietà della scelta negazionista. Il morbo esiste, purtroppo. Bisogna trovare il modo per fermarlo. Ricordiamo le manifestazioni di Lega e Fratelli d’Italia contro la politica del governo in estate, da loro considerata troppo restrittiva. Poi, purtroppo, sono arrivate le notizie sulla salute di uomini del popolo. Anche Silvio Berlusconi, anche Guido Bertolaso, risultavano ammalati. Davanti alla prospettiva che tali persone del popolo comuni potessero infettarsi, la spinta negazionista si è affievolita. Allora come l’elite, rappresentata dal PD e Cinque Stelle, pensa ai malati al Pio Albergo Trivulzio, alle sale di rianimazione piene, così il popolo pensa alla salute del Cavaliere. Da qui è nato l’avvallo alla nascita del governo Draghi. Ora noi speriamo che il disegno popolare, portato avanti da lega e forza Italia, riesca e siano garantite la salute e la prosperità di Silvio Berlusconi. Ma speriamo anche che ci sia spazio per curare anche gli altri, quelli amati dalle elite, che hanno segnato la storia tragica di Bergamo e di tante altre città italiane.

Allora è nella ricerca del sapere che dobbiamo aver fiducia. È sono in una politica che sappia convertire tutte le energie del paese verso la difesa della comune salute a cui dobbiamo far riferimento. Rinascere, ritornare a guardare il domani con speranza, dipende da noi e da chi ci governa. Bisogna che affidiamo ingenti energie economiche e non solo alla scienza e alla medicina.

DISCORSI DI MUSSOLINI


 È evidente che in uno Stato ben ordinato la cura della salute fisica del popolo deve essere al primo posto. Qual è il quadro? La razza italiana, cioè il popolo italiano nella sua espressione fisica, è in periodo di splendore, o vi sono sintomi di decadenza? (Discorso di Benito Mussolini a Montecitorio, Camera dei Deputati, pronunciato il 26 maggio 1927, testo tratto da Antonio Scurati, M. L’uomo della provvidenza, Bompiani editore, Milano / Firenze 2020, p. 277)

Posso dire una cosa?Leggendo questo intervento di Benito Mussolini, ai tempi già Presidente del Consiglio, già capo del fascismo, già "cugino" del re è difficile non apostrofare l'ideologia fascista, fin dalla sua prima esplicazione, come razzista e latrice di una visione in cui ogni differenza fisica e psichica è apostrofata come latrice di male e da combattere. E' l'epifenomeno di un elemento che deve apparire a tutti: il fascismo è ontologicamente nemico dell'umanità, è propugnatore di un mondo che si fonda sull'eliminazione di ogni elemento di diversità che è invece l'elemento caratterizzante della specie umana.
Bisogna ricordare le parole di Alebert Aistain: esiste una razza, quella umana. Ogni diversità non è un elemento separazione, è un arricchimento. Combattere la diversità vuol dire essere contro l'umanità.

martedì 2 marzo 2021

IL BIVIO


 

SCEGLIERE PER IL BENE COMUNE

Il nuovo esecutivo guidato da Mario Draghi ha un compito immane. Il suo obbiettivo è traghettare l’Italia fuori dall’emergenza. Bisogna vincere l’emergenza sanitaria, la diffusione del Corona Virus, e l’emergenza economica, la crisi produttiva che la diffusione del morbo e le politiche drastiche per combatterlo ha prodotto.

L’Italia è una nazione che da decenni arranca, ora la diffusione del virus a messo ancor più in evidenza i fattori che sono la scaturigine del ritardo del nostro paese rispetto agli altri.

Bisogna provare a fare un salto di qualità nell’elaborazione teleologica degli strumenti che possono condurre alla fuoriuscita dalla crisi. Bisogna pensare a ricostruire il paese. Ora non so se l’esecutivo Draghi sarà lo strumento vincente per far uscire dall’emergenza il paese. Ma dobbiamo provare insieme a rialzarci. Bisogna pensare al bene comune. Bisogna essere coscienti che l’obbiettivo da perseguire è garantire una vita serena e, possibilmente, senza patemi economici a tutti ed ad ognuno di noi.

Bisogna scegliere il bene comune come bussola di riferimento nel nostro agire quotidiano.