giovedì 31 dicembre 2020

FINE 2020, TEMPO DI BILANCI

 


L’ANNO CONCLUSO

Oggi è il 31 dicembre 2020. Da sempre questo giorno è dedicato al rimembrare. Non è casuale da parte mia l’utilizzo di questo verbo al posto di ricordare. “Rimembrare” è il termine caro a Giacomo Leopardi. Il poeta di Recanati utilizza questo vocabolo per indicare uno status della mente che è allo stesso tempo di gioia e di tristezza. È la melanconia. Cioè un misto fra compiacimento e rammarico di fronte ad avvenimenti, ad amicizie, ad incontri avvenuti nel passato recente o remoto  di una persona. Forse mai come quest’anno per il nostro paese il dolore è diventato un sentimento collettivo. Di conseguenza anche la rimembranza è diventata un sentimento ed un esperienza collettiva. I nostri nonni che hanno vissuto la seconda guerra mondiale possono ben sentire cosa questo sentimento voglia dire, e come possa devastare il cuore e la mente delle persone o, al contrario, rinfrancarlo a seconda dello stato d’animo e della prontezza psicologica di ciascuno. Rimembrare vuol dire ripercorrere la propria vita. Riguardare i momenti che l’hanno caratterizzata. Abbracciare ed accarezzare una persona cara che purtroppo non c’è più. Rimembrare vuol dire modulare le passioni, sedimentarle, tramutarle da atti istintivi a ragionamenti raffinati. Ad esempio pensare all’amore per il proprio compagno o compagna, vuol dire saper tramutare l’amore e l’affetto in stima profonda verso l’altro. Vuol dire saper apprezzare il lavoro, l’impegno la dedizione dei propri figli, dei propri genitori, dei propri parenti, non dandoli per scontati ma sapendo cogliere come questi atti degli altri abbiano saputo trasformare in meglio la nostra vita.

Questo è un anno difficile. Il 2020 sarà ricordato come l’anno della pandemia. L’anno in cui tanti, troppi, hanno perso la vita. L’anno in cui sono state messe in discussione tutte le certezze sociali che sembrava acquisite.  Andare in giro per strada, andare a far compere, incontrare gente, andare a prendere un caffè dopo l’anno che sta finendo non potranno essere considerati un gesti scontati. Tutti ciò che prima era “normalità”, oggi appare un premio da agognare. Questo è stato un dolore. Questo è stato una ferita che ha lacerato l’anima di ognuno di noi. Il pianto per la morte di un caro è diventato un lutto collettivo, perché colpiva tutte le famiglie. In questo anno appena trascorso si è fatto tangibile, ciò che in realtà è vero da sempre, il dolore è una condanna e una sofferenza di tutti. Si è tornati ai tempi delle pestilenze, in cui la morte era presente nella quotidianità di ognuno e non in quella di pochi, come invece siamo abituati.

Allora che dire di quest’anno concluso? Ce passi e che il nuovo sia completamente diverso, più felice. È questa la risposta più naturale ed ovvia alla domanda che ci poniamo oggi. Ma non dimentichiamo. Rimembriamo, Come direbbe Leopardi. Facciamo nostri i lutti e le sofferenze vissute. Guardiamo le stelle, il domani che ci auguriamo sereno, avendo presente i lutti dell’oggi, come fa “Il pastore errante dell’Asia” della poesia leopardiana. Non per perderci nel pessimismo universale, ma per cogliere il valore di essere ancora vivi, di avere ancora tante cose da condividere con chi ci sta vicino e sperare veramente in un cambiamento migliore. E diamine! Abbiamo tanto da dare in dote al futuro che verrà. Abbiamo le esperienze passate, abbiamo il ricordo dei nostri cari, i consigli di chi ci ha voluto bene, le romanzine di chi ci voleva rizzare la schiena tutte cose da custodire, da rimembrare, per affrontare il futuro che ci aspetta. Buona fine anno, buon anno che verrà.

VACCINO E' SALUTE PUBBLICA ED INDIVIDUALE

 


IL VACCINO

Ormai è arrivato. Il farmaco che fermerà la terribile pandemia si chiama vaccino. La politica di profilassi ha avuto risultati contraddittori, malgrado i lockdown, le regole di distanziamento, le chiusure di palestre e altri centri di attività sociale, il terribile Corona Virus ha continuato a mietere vittime innocenti. Oggi abbiamo un arma definitiva per debellare il male: il vaccino. Hanno cominciato a immunizzarsi il personale medico, le persone residenti in casa di cura ed anziani. Bisogna che a vaccinarsi siano tutti, o almeno si raggiunga la fatidica quota del 70% della popolazione, che secondo gli esperti statistici dovrebbe garantire la cosiddetta “immunità di gregge”, che vuol dire che sono talmente tanti i vaccinati che il virus non ha “corpi ospitanti sufficienti per diffondersi”. Insomma i non vaccinati sono protetti dai tanti vaccinati.

È dovere collettivo, di tutti noi, fare in modo che il virus si fermi. Abbiamo sotto gli occhi i tanti morti che ha portato questa malattia. Abbiamo in mente i camion dell’esercito che lungo le strade della Lombardia, la Primavera  scorsa, trasportavano persone che avevano perso la vita a causa del male. Abbiamo in mente la fatica e il sacrificio dei medici e degli infermieri che hanno rischiato anche la vita per curare i molti malati. Allora vacciniamoci. Accogliamo con entusiasmo la campagna di profilassi indetta al governo. Non ci sono altre vie d’uscita per fermare il male che ormai ha segnato l’anno che sta per finire, il tragico 2020. Allora pensiamo al bene comune. Pensiamo a tutelare la nostra salute e di coloro che ci stanno accanto. Prima di tutto continuiamo ad usare le precauzioni di profilassi. Indossiamo gli strumenti di difesa personale, benefici non di guerra, quali guanti e mascherine. Continuiamo a mantenere la dovuta distanza sociale. Continuiamo a tutelare le persone più deboli: gli anziani, coloro che hanno malattie croniche, i bimbi e le bimbe cercando di farli uscire lo stretto indispensabile e tutelandoli in qualsiasi forma possibile. Ma allo stesso tempo muoviamoci all’unisono per fare in modo che la campagna vaccinale abbia un successo tale da debellare la diffusine del terribile Corona Virus in poco tempo. Ce la possiamo fare. Bisogna affidarci alle autorità pubbliche, ai medici ,al personale paramedico e allo spirito dei volontari competenti, che stanno compiendo veri e propri prodigi. Dobbiamo essere convinti assertori dalla bontà del vaccinarsi. Dobbiamo provare a costruire una rete sociale di mutuo soccorso, che allo stesso tempo trova il sistema di aiutare chi è meno in grado di affrontare le vicissitudini della vita e garantisca comunque la salute di tutti e di ognuno. Chi è contro il vaccino. Chi considera il vaccinarsi un atto autoritario. Sbaglia. Bisogna dirlo con chiarezza. La salute pubblica è un bene comune e collettivo. Per tutelare il diritto alla salute di ognuno di noi, lo stato è bene che imponga la vaccinazione. È bene che non avvengano più lutti e dolori come, sono avvenuti quest’anno. Vaccinarsi tutti, vaccinarsi presto.

lunedì 28 dicembre 2020

LE ICONE SONO POLITICA?

 


ICONOCLASTIA

Lo sappiamo tutti, iconoclastia è l’attitudine a distruggere tutte le raffigurazioni artistiche o, in generale, tutte le immagini che appaiono in netto contrasto con le nostre più autentiche e profonde convinzioni. Iconoclasti, in alcuni periodi antichi, sono stati i cristiani. Iconoclasti, ancor oggi, sono i mussulmani, che rifiuto nano nettamente la sola possibilità di poter raffigurare la Divinità, Allah. Iconoclasti possono essere radicali. Pensiamo ai truci talebani che hanno distrutto a colpi di cannonate la magnifica e poderosa statua del Buddha in Afganistan. Iconoclasti possono essere i tolleranti funzionari dell’impero turco, pur considerando censurabile rappresentare il divino, hanno addirittura favorito l’utilizzo della miniatura per rappresentare i libri, anche sacri, ed hanno difeso la bellezza lasciata alla Turchia dalla tradizione pittorica e di affreschi propria della cultura Bizantina, cioè dell’impero greco latino che aveva preceduto la presa del potere turcomanna. Oggi nella ricca e culturalmente avanzata America c’è una nuova iconoclastia. Negli Stati Uniti una parte importante dell’opinione pubblica sta chiedendo con forza e decisione che alcuni monumenti dedicati a personaggi del passato siano abbattuti. Perché tali richieste? La risposta è che tali personaggi avrebbero di fatto sostenuto le tesi segregazioniste che hanno caratterizzato un certo tipo di cultura bianca. Si chiede di eliminare dal novero di illustri benefattori dell’università di Howard niente meno che Franklin Delano Rooswelt, uno dei più importanti presidenti della Repubblica degli States, perché sarebbe stato favorevole alla separazione coatta fra etnie diverse. Bisogna precisare, a scanso di equivoci, che non si tratta del Roosvelt del New Deal ma di un altro omonimo che ha governato all’inizio del ‘900. Ma ciò non toglie che la rilevanza politica della richiesta è importante. Rooswelt è colui che ha cambiato radicalmente la politica estera degli States. Senza di lui e delle sue idee l’America non si sarebbe mai posta come faro della democrazia e forse non sarebbe mai entrata nella Grande Guerra a favore delle democrazie del Vecchio Continente contro gli imperi. Ma la smania di distruggere i monumenti agli schiavisti non finisce così. Si vuole letteralmente cancellare dalla memoria storica, niente meno che Cristoforo Colombo, il genovese che ha scoperto il Nuovo Continente. Perché? Anche lui è stato schiavista. Anche lui ha sfruttato e ha compiuto stragi ai danni della popolazione locale ed ha favorito l’ingresso belle nuove terre di africani in catene. Si potrebbe definire un bel pezzo di.. Non a caso ha subito diversi processi per corruzione ed abuso di potere ancora in vita, quando i monarchi spagnoli intendevano vederci chiaro sul suo operato di vice re del Nuovo Mondo. Gli storiografi tendono a ridimensionare le colpe di Colombo nella gestione della amministrazione, però rimane il fatto che ha favorito l’utilizzo di persone come se fossero merci. Ma detto ciò è bene saper cogliere la grandezza dell’uomo che ha saputo vedere al di là dei confini dell’orizzonte, fino al punto di mettere in contatto uomini, donne e terre prima isolate le une alle altre. Insomma bisogna sapere discernere. Un conto è saper riconoscere gli aspetti oscuri e fortemente censurabili degli uomini e dei movimenti che hanno fatto la storia, e un conto chiederne un’assoluta “damnatio memorie”, cioè la cancellazione del loro ricordo. È bene riconoscere che qualsiasi monumento è un plastico elemento storiografico. Una statua, un componimento in onore di un uomo del passato, qualsiasi oggetto che ne richiami la memoria è un prezioso strumento per analizzare il fieri delle civiltà e delle culture. Pensiamo alle tante statue di Lenin erette durante la Guerra Fredda nei paesi dell’Est Europa e distrutte nel 1989. La loro “vita” e “morte” sono un prezioso strumento per capire il susseguirsi delle epoche storiche. Io sono di Bari. L’Università degli Studi della mia città prima della seconda  guerra si chiamava “Università Benito Mussolini”, poi si chiamò semplicemente “Università di Bari”, oggi si chiama “Università degli Studi Aldo Moro”, in onore dello statista e professore universitario, che insegnò anche a Bari, ucciso della Brigate Rosse. Cancellare un nome quindi vuol dire cancellare una parte di storia. Ma a chi fa storiografia anche questi mutamenti di nomenclatura, anche questi umori delle piazze che manifestano ritrosia e obbrobrio per nomi e simboli del passato, possono e devono essere un mezzo per capire la storia. Chi distrugge merita di essere condannato come un volgare soffocatore di arte e cultura, sia chiaro. Ma allo stesso tempo attraverso l’osservazione e lo studio di questa sua azione così censurabile, si può e si deve disegnare un’evoluzione del cammino dell’umanità che a salti, facendo anche passi indietro, senza un ordine progressivo che porta a sicuri lidi felici, sta ancora cercando di proseguire su una strada che milioni di anni fa i nostri avi hanno cominciato prendendo un sasso e utilizzandolo come strumento di sopravvivenza e che oggi prosegue andando nello spazio o utilizzando un cellulare. Buon cammino a tutti noi.

il concetto di bellezza.. in divenire

 


BELLEZZA E BELLEZZA

In questi giorni sulla rete hanno imperversato le foto di Elena Ferragni, importantissima influencer italiana, che visita il museo Degli Uffizi a Firenze. Dopo lockdown la giovane regina della rete ha voluto guardare alcuni dei quadri italiani più importanti conservati nella celeberrima pinacoteca toscana. Elena ha postato in rete una foto mentre guardava il celebre dipinto di Sandro Botticelli “la venere”. La foto che immortala l’incontro fra due bellezze, l’una artistica e del passato, l’altra di corporale e del presente, è stata ripresa con orgoglio anche dal sito web del museo. È stato il palpabile esempio di ciò che sta succedendo nella cultura mondiale. Ormai la rete ha saldamente assunto il ruolo di mediatore di messaggi di vario tipo, ma soprattutto di carattere culturale. Il termine mass media è adeguato e stringente. La rete è diventata un mezzo non solo per raggiungere le masse, noi semplici spettatori,  ma anche per rendere chiunque fattore di informazione. Elena Ferrigni è una ragazza bella. Ma quello che la caratterizza principalmente è la capacità di rendere interessante agli occhi di chi guarda qualunque suo gesto, tanto da conquistare molti “clik” e “mi piace”. La rete è diventata il centro di ogni dibattito culturale e ideale. Sono migliaia, forse anche milioni, coloro che hanno visto Elena e la Venere in fotografia. Difficile dire se ha attirato più consensi il ritratto di Botticelli o la giovane e fascinate donna. Quello che conta è che il linguaggio sta intraprendendo vie nuove. I mezzi di comunicazione si fanno mediatori di messaggi attraverso canali prima mai percorsi. Forse internet ci sta conducendo a nuovi lidi in cui il linguaggio diventa altro dal passato, non più scritto o comunicato a voce ma veicolato da uno strumento potente ma ineffabile quale la rete. I grandi del Web, i proprietari di Windows e Face book, di Apple come di Microsoft, sono già oggi potentissimi. Questo procedere imperioso e irruente del progresso verso le tecnologie denominate leggere, forse avvieranno un radicale cambiamento non solo nei mezzi di comunicazione commerciale, ma anche negli strumenti di interrelazione sociale. Perfino la politica, vedi il successo del Movimento Cinque Stelle, sta mutando pelle grazie ai messaggi irruenti e invadenti della rete. Ma intanto godiamoci le due bellezze a confronto. Ma la domanda che ci facciamo quale delle due è la più virtuale, quella bellezza ineffabile e conturbante dipinta dal Botticelli nel Quattrocento, o quella raffigurata nella rete di Elena Ferragni?

PARLANDO DI COSTITUZIONE

 


ARTICOLO 87 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Il presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale.

Può inviare messaggi alle Camere.

Indice le elezioni delle nuove Camere e ne fissa la prima riunione.

Autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo.

Promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge e i regolamenti.

Indice il «referendum» popolare nei casi previsti dalla Costituzione.

Nomina, nei casi previsti dalla legge, i funzionari dello Stato.

Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l’autorizzazione delle Camere.

Ha il comando delle Forze Armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere.

Presiede il consiglio superiore della magistratura.

Può concedere grazia e commutare pene.

Conferisce onorificenze della Repubblica.”

Le prerogative che la Costituzione dà al presidente della Repubblica sono tante, come si può evincere dalla lettura dell’articolo 87 della Costituzione. A dire il vero non è solo questo ad enunciarle anche l’articolo 88 dà un importantissimo potere al primo cittadino dello stato, quello di sciogliere le camere, lo vedremo in seguito. Ma oggi esaminiamo le funzioni date all’inquilino del colle enunciate nell’articolo 87.

Il presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta la nazione. È lui il simbolo dell’unità nazionale. Garantisce l’equilibrio istituzionale, e il funzionamento dell’apparato statuale. I suoi atti sono volti a garantire l’adeguato funzionamento di tutti gli organi e gli uffici dello stoa. Bisogna però distinguere quelli che sono gli atti formalmente e sostanzialmente presidenziali. Gli atti che sono frutto della volontà dell’inquilino del Quirinale. E quelli che sono atti formalmente presidenziali, ma sostanzialmente governativi. Questi sono gli atti che sono voluti e formati dall’esecutivo o dal Presidente del Consiglio, ma che necessitano della controfirma del presidente della Repubblica, per avere validità giuridica ed entrare nel nostro ordinamento .

Proviamo a commentare uno per uno i poteri del Presidente della repubblica.

Quello attribuitogli dal secondo comma dell’articolo 87 della Costituzione è il potere di inviare messaggi alle camere. La dottrina è concorde sul fatto che deve avere la forma scritta. Il presidente della Repubblica può pronunciare solo in un caso un discorso orale davanti all’assemblea legislativa. Quando, appena nominato dal parlamento, pronuncia il suo discorso d’insediamento / accettazione della Carica davanti al senato e alla camera in seduta comune. Il Presidente della Repubblica, per rispetto verso l’organo legislativo e in forza del principio della separazione dei poteri, non può e non deve mai varcare la soglia di Palazzo Madama e di Montecitorio. Unica eccezione è il discorso pronunciato dall’allora presidente della repubblica, Giorgio Napolitano, davanti a senatori e deputati, assisi insieme, per celebrare i centocinquanta anni dall’unità d’Italia, evento accaduto nel 2016. Sono stati molti i messaggi presidenziali rivolti alle camere in questi settanta anni di storia Repubblicana.  Spesso sono stati un duro rimprovero ad una classe politica imbelle e non in grado di affrontare i problemi del paese.

Il quarto comma dell’articolo 87 dà il potere al presidente della repubblica di autorizzare il governo a presentare disegni di legge alle camere. Ricordiamo che i disegni di legge sono le proposte di legge fatte dal governo che dovranno essere approvate dai due rami del parlamento per diventare norme dello stato. La controfirma del presidente della repubblica a questi atti sono uno strumento di controllo di legittimità e di osservanza delle regole procedurali. Ricordiamo che i disegni di legge devono essere approvati dal Consiglio dei Ministri, se ciò non avviene è bene che il Presidente della repubblica non li firmi e conseguentemente non li trasmetta alle camere per essere dibattuti ed approvati.

 Il presidente ha un compito importantissimo. Promulga le leggi. Le leggi, approvate dalle Camere, per essere valide e avere vis vincolante per tutti i cittadini devono essere controfirmate dal presidente della Repubblica, il quale, se ha forti dubbi sulla legittimità costituzionale del testo, può rispedirli alle camere per un ulteriore deliberazione. Se le Camere approvano il testo per una seconda volta, il presidente deve firmarlo e quindi promulgarlo, anche se rimanessero ancora presenti sue perplessità.

 Lo stesso ruolo di sommo controllore della legittimità degli atti il presidente lo esercita quando deve controfirmare i decreti del governo aventi forza di legge. Deve vagliare se ci sono i criteri di necessità ed urgenza che autorizzano il governo ad emanare decreti legge, in base all’articolo 77 secondo comma della Costituzione.

Il presidente indice i referendum popolari.

 Nomina i funzionari dello stato. A dire il vero questa funzione è governativa, il presidente con la sua firma è chiamato a garantire la legittimità della nomina. I manager delle imprese pubbliche, i grandi boiardi di stato, sono di nomina dell’esecutivo, ma il ruolo di controllore è come sempre importantissimo ed è bene che lo svolga il presidente della repubblica.

Il presidente della Repubblica ha un ruolo di cerimoniere nei rapporti con gli stati stranieri. A lui si accreditano gli ambasciatori delle altre nazioni. Riceve e ospita le rappresentanze diplomatiche. Il Presidente firma i trattati internazionali, dopo l’autorizzazione del Parlamento. Sono tutti atti formali, che assumono una importanza fondamentale. Si sa, nei rapporti fra le nazioni, la forma è sostanza. Spesse volte atti che sembrano sterili riti stantii, sono strumenti necessari a risolvere anche ostacoli politici all’apparenza insuperabili. L’ospitalità del Quirinale è stata fondamentale. A questo proposito ricordiamo il famoso diverbio fra il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Si tratta di decidere se appoggiare l’attacco alla Libia di Gheddafi da parte del Presidente Francese Sarkozy. Il Quirinale ha una serie di studi sul tema. Palazzo Chigi, no. Questo è frutto della diversa caratura delle due figure istituzionali italiane. Napolitano sempre sensibile alle vicende politiche internazionali, Berlusconi sempre e solo concentrato sui suoi interessi economici. L’Italia decide di appoggiare la Francia. Fu una scelta sbagliata. Berlusconi ha sempre dato la colpa a Napolitano. Era il Presidente della Repubblica a dover gestire il tutto e non lui. Ovviamente Berlusconi ha ragione nel dire che l’allora governo in carica era assolutamente impreparato ad affrontare delicati questioni internazionali. Napolitano doveva dire a Berlusconi cosa dire e cosa fare per il bene del paese, ma rimane il fatto che la politica estera è prerogativa del governo e del parlamento non certo del Presidente della Repubblica, che può fare da falicitatore, al limite, favorendo il dialogo, ma non si può sostituire a un Presidente del Consiglio anche se impreparato.

Il presidente della Repubblica ha il comando delle Forze Armate, anche questa è una carica simbolica, chi comanda l’esercito è il ministero della difesa e il governo nella sua collegialità.

Il Presidente della Repubblica presiede il Consiglio supremo di difesa. Questo organo è istituito per legge. È composto, oltre che dall’inquilino del Quirinale, anche da presidente del Consiglio, dal ministro della difesa e dai rappresentati con alto grado dell’esercito. Il compito di tale consesso è di garantire la sicurezza della nazione in tempo di pace e tanto più in tempo di guerra. Ha il compito di coordinare le varie azioni militari anche quelle dislocate all’estero, in base all’autorizzazione parlamentare. Il presidente dichiara lo stato di guerra che è stato deliberato dalle Camere.

Il Presidente della Repubblica presiede il massimo organo collegiale della Magistratura, il Consiglio superiore. Il suo ruolo è simbolico. È prassi che il Presidente della Repubblica non presieda il Consiglio della Magistratura, ma affidi questo onere al vicepresidente che è un membro laico del consiglio, cioè non designato dagli organi di rappresentanza dei giudici ma designato fra i membri del consiglio nominati dal Parlamento in seduta comune. L’unico presidente che ha voluto presiedere il Consiglio Superiore della Magistratura, rompendo la prassi costituzionale, è stato Francesco Cossiga. Questo atto suscitò grandi polemiche. A dire il vero anche altri presidenti hanno provato a far sentire la sua voce all’interno del Consiglio Superiore, ammonendo il consesso a rispettare il suo ruolo costituzionale di imparzialità e di ligio servizio della patria e delle leggi, ma non hanno mai messo in discussione il loro ruolo meramente formale di Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, a differenza di Francesco Cossiga intenzionato a essere sostanzialmente il presidente del consiglio superiore e ad esercitare tale ruolo.

Il Presidente, consigliato dal ministero di grazia e giustizia oltre che dai suoi collaboratori, può concedere la grazia a condannati e può commutargli la pena. Lo può fare a seguito di una petizione del reo, che sconta la condanna. Se ritiene che le istanze del prigioniero siano valide, se ritiene che è giusto che la sua pena cessi o sia ridotta, può compiere quest’atto di clemenza. È un atto di liberalità proprio. È un atto formalmente e sostanzialmente presidenziale. Ma è d’obbligo che ci sia la controfirma del ministro della giustizia in carica che non solo garantisca la validità dell’atto, ma che si faccia carico della responsabilità politica, giuridica e istituzionale del gesto di clemenza. È bene ricordarlo. In forza dell’articolo 89 della Costituzione nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non controfirmato dal ministro proponente o competente. In forza dell’articolo 90 il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni. Di conseguenza il ministro competente con la sua controfirma si assume anche le conseguenze politiche e istituzionali dell’atto del presidente.

Il presidente conferisce alcune onorificenze della Repubblica. Quali ad esempio il titolo di Cavaliere. Dà le medaglie al merito civili e militari. Dà diverse benemerenze per atti compiuti per il bene superiore della nazione e per atti di generosità ed altruismo. Bisogna ricordare il titolo di “cavaliere del lavoro” dato a chi si è distinto nel mondo professionale, portando lustro all’Italia. A questo Punto bisogna accompagnare una postilla. Silvio Berlusconi è l’uomo più ricco d’Italia. Il suo lavoro è stato premiato anni addietro conferendogli il titolo di cavaliere del Lavoro. In seguito a vertenze legali nei suoi confronti si è scoperto che evadeva il fisco ed occultava diverse risorse finanziarie portandole all’estero. Il suo titolo è decaduto a seguito della sua condanna definitiva per reati di evasione fiscale. Berlusconi non ha mai rinunciato a fregiarsi del titolo di Cavaliere. La sua tesi è che anche fuori della legalità il suo lavoro è stato operoso e fruttuoso. Non lo si può negare. Berlusconi si è sempre fatto il portabandiera dei tanti italiani che producono attraverso il lavoro nero, le azioni volte ad aggirare la legge e a non pagare le tasse. Non c’è dubbio che tale tesi ha forte consenso nell’elettorato. Anche alle ultime elezioni la coalizione Forza Italia e Lega è con un solido 35% la prima forza del paese. Allora cosa fare? Rimanere legati ai valori dello stato di diritto o chiudere un  occhio davanti alle furbizie come vorrebbero più di un terzo degli Italiani. La domanda è: Berlusconi è cavaliere malgrado le sue azioni che aggirano il diritto?

Quante cose fa il primo cittadino del nostro stato! Non è affatto un mero notaio, come asserivano alcuni padri costituenti che avrebbero preferito una repubblica di tipo presidenziale. Il suo ruolo è fondamentale per la saldezza dello stato repubblicano. I tanti presidenti che si sono succeduti dal 1947 ad oggi sono stati spesso di chiara e fulgida levatura morale. Alti, pochissimi ad onor del vero, si sono macchiati d’infamia. Alcuni sono stati criticati per il suo fare, diciamo, esuberante fuori dagli schemi. Ricordiamo a tale proposito due presidenti diversissimi come mentalità e formazione culturale, Sandro Pertini e Francesco Cossiga. Entrambi capaci di suscitare forti sentimenti contrastanti fra i cittadini per la loro caparbia convinzione che è bene che il presidente non taccia  davanti ai mali del paese. Come non ricordare Oscar Luigi Scalfaro, tenace difensore dei dettami costituzionali e per tale ragione oggetto di insulti di una parte politica, la destra formata da Lega e Forza Italia. Quando alcuni anni fa Scalfaro morì fu ancora oggetto di parolacce e improperi da parte dei sostenitori di Lega e Forza Italia. Malgrado gli anni della sua presidenza fossero lontani, relegati ad un passato lontano. Sia chiaro il linguaggio vernacolare è la caratteristica principale della destra. È inevitabile che senatori e deputati eletti nelle file della destra esprimano con prolacce il loro pensiero. Quello che suscita attenzione è che  a tanti anni dalla presidenza Scalfaro, ancor oggi esponenti di Forza Italia e Lega sentano il bisogno di esprimere il loro giudizio su di lui, insultandolo come se fosse un esponente del Movimento Cinque Stelle oppure della sinistra, segno che le convinzioni di Scalfaro hanno lasciato un segno

SOGNO DI LIBERAZIONE DAL VIRUS

 


IL VACCINO

Oggi, 27/12/2020 la prima domenica dopo Natale, inizia la campagna di vaccinazione contro il Covid. I primi ad iniettarsi il siero del ritorno alla vita saranno il personale medico e paramedico, anzi già in queste ore sono migliaia a farlo. Poi saranno i residenti delle strutture sanitarie attrezzate (meglio conosciute come RSA, Residenze Sanitarie Assistenziali, cioè le case di Riposo). Poi con un progetto di profilassi diffusa, saranno vaccinati un numero consistente di cittadini italiani. L’obbiettivo è arrivare presto a superare il 70% degli abitanti in Italia vaccinati. Questo per creare il cosiddetto “effetto gregge”, provo a spiegarlo: si vaccinano un numero così grande di persone, che anche i non vaccinati, che stanno vicino ai vaccinati come una pecora sta nel gregge con altre pecore, non contraggono il virus, ormai estinto da un processo di profilassi diffusa. Questo obbiettivo è voluto soprattutto per difendere gli immunodepressi, coloro che non sono in grado per malattie genetiche di crearsi una barriera protettiva dai virus esterni e di conseguenza non possono vaccinarsi. Per loro ,non essendo il loro corpo in grado di costruire barriere immunizzanti, il vaccinarsi potrebbe essere addirittura deleterio, ma certamente inutile.

Allora non possiamo che gioire del fatto che il vaccino sia stato individuato da eccellenti industrie farmaceutiche. La profilassi è l’unica arma che ci è stata data oggi per evitare il contagio. L’evitare di essere vicini a contagiati, il lavarsi bene le mani, il mantenere le distanze sociali, Da domani ci saranno tante persone che potranno considerare la lotta personale contro il contagio vinto, essendosi iniettati il farmaco, il vaccino, che estirpa definitivamente il male. Ora però è bene essere ancora cauti. La morte è ancora una minaccia concreta, lo dimostrano i migliaia di lutti che ancora segnano il nostro paese. È bene non alzare la guardia. Continuiamo a difenderci. Troppi morti hanno segnato il nostro paese, colpito dal diffondersi del virus, penso a ciò che è successo a Bergamo, con l’esercito a caricare i morti innocenti sui camion, e questo è un fatto di ieri, di pochi mesi fa. Allora coraggio il peggio, purtroppo, non è passato, ma potrebbe presto passare grazie a una campagna diffusa di vaccinazione. Intanto bisogna tenere alta la guardia, bisogna evitare di pensare che il pericolo sia cessato. Bisogna fare i conti con chi crede che il vaccino sia inutile e, addirittura, deleterio. Potrebbero causare il perpetuare della diffusione del morbo. Bisogna continuare a credere che la scienza alla fine ci salverà, ma è necessaria la nostra fattiva collaborazione per fermare il Corona Virus. Intanto vacciniamoci tutti, appena possibile.

domenica 27 dicembre 2020

LA FINE DI UN INCUBO

 


IL VACCINO

Oggi, 27/12/2020 la prima domenica dopo Natale, inizia la campagna di vaccinazione contro il Covid. I primi ad iniettarsi il siero del ritorno alla vita saranno il personale medico e paramedico, anzi già in queste ore sono migliaia a farlo. Poi saranno i residenti delle strutture sanitarie attrezzate (meglio conosciute come RSA, Residenze Sanitarie Assistenziali, cioè le case di Riposo). Poi con un progetto di profilassi diffusa, saranno vaccinati un numero consistente di cittadini italiani. L’obbiettivo è arrivare presto a superare il 70% degli abitanti in Italia vaccinati. Questo per creare il cosiddetto “effetto gregge”, provo a spiegarlo: si vaccinano un numero così grande di persone, che anche i non vaccinati, che stanno vico ai vaccinati come una pecora sta nel gregge con altre pecore, non contraggono il virus, ormai estinto da un processo di profilassi diffusa. Questo obbiettivo è voluto soprattutto per difendere gli immunodepressi, coloro che non sono in grado per malattie genetiche di crearsi una barriera protettiva dai virus esterni e di conseguenza non possono vaccinarsi, per loro ,non essendo il loro corpo in grado di costruire barriere immunizzanti, il vaccinarsi potrebbe essere addirittura deleterio, ma certamente inutile.

Allora non possiamo che gioire del fatto che il vaccino sia stato individuato da eccellenti industrie farmaceutiche. La profilassi è l’unica arma che ci è stata data oggi per evitare il contagio. L’evitare di essere vicini a contagiati, il lavarsi bene le mani, il mantenere le distanze sociali, Da domani ci saranno tante persone che potranno considerare la lotta personale contro il contagio vinto, essendosi iniettato il farmaco, il vaccino, che estirpa definitivamente il male. Ora però è bene essere ancora cauti. La morte è ancora una minaccia concreta, lo dimostrano i migliaia di lutti che ancora segnano il nostro paese. È bene non alzare la guardia. Continuiamo a difenderci. Troppi morti hanno segnato il nostro paese, segnato dal virus, penso a ciò che è successo a Bergamo, con l’esercito a caricare i morti innocenti sui camion, e questo è successo ieri, pochi mesi fa. Allora coraggio il peggio, purtroppo, non è passato, ma potrebbe presto passare grazie a una campagna diffusa di vaccinazione. Intanto bisogna tenere alta la guardia, bisogna evitare di pensare che il pericolo sia cessato. Bisogna fare i conti con chi crede che il vaccino sia inutile e,. addirittura, deleterio. Potrebbero causare il perpetuare della diffusione del morbo. Bisogna continuare a credere che la scienza alla fine ci salverà, ma è necessaria la nostra fattiva collaborazione per fermare il Corona Virus. Intanto vacciniamoci tutti, appena possibile.

FEDERICO II DI SVEVIA

 


NASCITA DI UN IMPERATORE

Il 26 dicembre 1194 nacque Federico II di Svevia. La sua nascita ha un esplicito richiamo al sacro. La sua Madre, Costanza di Altavilla figlia del re normanno di Sicilia Ruggero II, lo partorì a Jesi, una cittadina della marca anconetana. Si scelse di farlo venire al mondo in una piazza pubblica. Il motivo è allo stesso tempo allegorico, si voleva accomunare il futuro re imperatore al bambin Gesù entrambi nati all’agghiaccio, e politico, si voleva dimostrare che Federico era realmente frutto della gestazione di Costanza, per molti nemici della Corona e dell’impero in età troppo avanzata (aveva quaranta anni, una bella età per l’epoca) per dare alla luce un figlio legittimo. Infatti Federico era il figlio, l’abbiamo detto, di Costanza e dell’imperatore del sacro Romano Impero Enrico IV. In Federico si compivano i destini delle terre conosciute. Si univa l’Intera Europa cristiana a formare uno scudo e una spada contro da una parte il pericolo mussulmano e dall’altra l’impero di Bisanzio, che ancora tentava di contendere il dominio all’Occidente. Niente più divisioni fra la papale Sicilia, assieme al meridione italiano, e la ghibellina Germania.

Insomma Federico, il piccolo nato a Jesi, era chiamato a proseguire il disegno di unità umana già tracciato dal suo alto predecessore Gesù bambino. Questo disegno di unità, doveva coincidere con quello di grazia. Ora, con il senno di poi, alla luce dei difficilissimi rapporti che Federico II ebbe, una volta succeduto al trono della madre e il padre, con il papa (fu più volte scomunicato), appare chiaramente una pura chimera, un’utopia innavverata, questo suo essere paragonato al bimbo di Betlemme. Ma alla nascita sembrava possibile veramente che potesse essere il latore di pace che sarebbe stato chiamato a salvare il mondo. Occorre sottolineare che la corte Palermitana, quella propria del futuro re Federico II, utilizzo ampiamente questa iconografia di novello Cristo per fronteggiare gli attacchi e le censure che Innocenzo III, il papa, rivolse a Federico II. La lotta fra potere pontificio e potere regio si esplicitò con scomuniche e guerre, che culminarono, dopo la morte di Federico II e di Innocenzo III, con la tragica guerra fra i discendenti dell’imperatore e i francesi D’Angiò, che misero fine alla dinastia imperiale e si insediarono nella corte palermitana, ma che repentinamente abbandonarono ponendo le vestigia del proprio dominio Italiano a Napoli, quella che da allora divenne la indiscussa capitale del Sud Italia. Non a caso, bastarono solo qualche decennio, e la Sicilia fu persa dagli Angiò, conquistata dalla famiglia regale della Iberica Aragona, ricordiamo che in quel periodo storico la parte cristiana della Spagna era ben poca cosa, quasi tutta la penisola spagnola era araba, gli Aragona regnavano una piccola, piccolissima, regione iberica. Insomma la nascita di Federico II a Iesi fu l’epifania dello splendore delle terre del Meridione d’Italia. Sotto il suo potere il Sud divenne il centro palpitante di tutta l’Europa. Ma paradossalmente quel sommo splendore era l’incipit e il motivo di quello che sarà il decadimento dell’Italia a sud di Roma. La sete di ricchezza, la voglia di impossessarsi degli splendori della Palermo e della Puglia federiciana, tocco l’ugola di famelici capi di eserciti, che da lì a poco saccheggiarono e prostrarono terre che allora erano ammirate da tutte le genti per la loro bellezza artistica e naturale. La bellezza sembra la condanna non solo del Meridione, ma dell’intera penisola italiana, bisogna dirlo, sempre sotto attacco da parte di stranieri pronti a tutto per impossessarsi della sua cultura e della sua arte.

Oggi non possiamo comunque che ricordare Federico II. Non possiamo che ricordare la sua nascita. Non possiamo non essere grati della fortuna di averlo tenuto a battesimo, in quanto diciamo così italiani. È stato l’imperatore capace di riscrivere il diritto. Il suo Liber Augustalis, la raccolta di leggi antiche e nuove da lui voluta, è stato il faro della giurisprudenza non solo campana, ma mondiale,  per secoli. I suoi monumenti, i suoi castelli, i suoi manieri hanno lasciato senza fiato generazioni di cultori dell’arte architettonica. La Scuola Siciliana, la palestra poetica nata alla Corte Palermitana di Federico II, è stato l’incipit fondamentale della letteratura italiana. Lo ricorda lo stesso Dante Alighieri che nella Commedia offre un tributo a Pier delle Vigne. Morto suicida perché accusato ingiustamente di tradimento proprio da parte di Federico II, ma allo stesso tempo grande poeta e giurista, che con la sua opera ha illuminato il cammino della nascete ars letteraria italiana. Insomma Federico II è stato, a seconda dei punti di vista da cui si parte per leggere la sua vita e il suo imperio, uomo di splendore e prosperità, ma anche tiranno che ha posto le tragiche basi per la distruzione tragica del suo sistema politico statuale. Ricordiamo la tragica morte dei suoi figli, in particolare Manfredi, sacrificato per difendere il potere creato dal padre, ma barbaramente trucidato dagli Angioini.

Ma Federico è stato anche uomo di pace. L’imperatore è stato l’unico cristiano, assieme a San Francesco, ad avere il coraggio di parlare di pace con il Saladino, il capo dei Mussulmani. È stato l’unico principe cristiano che ha avuto l’ardire di firmare un trattato alla pari con la massima autorità araba. Per questo motivo, ricordiamolo, è stato scomunicato da papa Gregorio IX. Ma questo atto di pace, benché censurato dalla massima autorità religiosa cattolica, fu la base mirabile per creare un sano rapporto di confronto e dialogo fra due mondi, il cristiano e il mussulmano, destinati altrimenti solo allo scontro e all’odio reciproco. Per questa sua assoluta apertura alla cultura “altra”, cioè che apparentemente è assolutamente estranea a sé, per la sua voglia di conoscere, Federico II sapeva leggere anche l’arabo, va ricordato e ammirato. La sua nascita veramente ha cambiato il modo di pensare, di comunicare, di porsi verso l’altro nel Medioevo. Lo Stupor Mundi, lo stupore del mondo, come fu appellato dagli storici, ha veramente cambiato l’ottica da cui l’uomo occidentale guardava la storia e la natura. Per questo motivo bisogna sempre essergli grati, anche se il suo Regno è stato segnato anche da omicidi ed eccidi di nemici, ma anche di amici, traditi proprio da lui. Insomma Federico II, come tutti i grandi della storia, è stato capace di grandi azioni elevate, ma anche di infide bassezze. Questo è parte integrante della sua vita e del suo peregrinare nella storia.

LA FAMIGLIA DI NAZARETH

 


LA SACRA FAMIGLIA

La domenica successiva al Natale è dedicata alla contemplazione della famiglia formata da Giuseppe, Maria e il Gesù bambino. La chiesa Cattolica invita tutti i suoi componenti, laici od chierici che siano, a riflettere sul valore assoluto della Famiglia. È un momento di contemplazione. Si guarda con venerazione il presepe. Ma è anche un momento per riflettere su cosa sia il fondamento della comunità umana.

La Famiglia è il nucleo fondamentale su cui poggia l’intera società. Tutto ciò che sono le regole, gli insegnamenti, i valori che sono la base del vivere sociale nella famiglia si esplicano mirabilmente. I genitori sono chiamati ad educare i propri figli sulla base dei principi fondamentale che la Chiesa, e la Bibbia, insegna. La Famiglia di Nazareth, la famiglia formata da Giuseppe Maria e Gesù, sono l’esempio da seguire. Tutte le famiglie sono chiamate alla santità, esattamente come santa è la famiglia del bambinello. Il Cristianesimo si fonda sul principio che il bene e l’amore sono il cardine fondante della vita umana, e in più il Bene e L’amore si esplicitano nella famigli, quando questa si fonda su valori e sentimenti positivi.

Noi, credenti, siamo chiamati oggi a pregare e a venerare la famiglia che a Betlemme ha visto nascere il salvatore del mondo. Noi sappiamo che l’aver portato a termine quel disegno celeste è stata una scelta difficile e accidentata sia per Maria che per Giuseppe. Ma l’hanno fatta. Hanno scelto di far venire al mondo e di accudire colui che sarà il salvatore dei popoli, il consolatore delle genti. Si sono affidati al Disegno di salvezza di Dio. Un progetto che travalica le proprie esistenze, e che è latore di bene per tutto l’universo. Ogni mamma e papà, pur non chiamati a scelte così assolute, sono comunque protagonisti dei destini generali quando scelgono di stare insieme e di dare alla luce una progenie. Ecco perché tutte le famiglie compartecipano della sacralità che è propria di Maria e Giuseppe. Oggi è la festa di tutti. È un modo per ricordare che quello che è l’atto più naturale del mondo, voler bene al proprio sposo o alla propria sposa, voler bene alla propria mamma o al proprio papà, volere bene al proprio figlio o alla propria figlia, sono invece l’epifania, la manifestazione, della presenza del divino nell’umano. Dio ci ama, esattamente come noi amiamo il nostro caro. Dio ci vuole bene e ci accudisce, esattamente come un papà vuole bene al suo bambino. Ecco il senso profondo della festa di oggi. Il ricordarci che il mondo di Dio, non è lontano dal nostro mondo, il divino è fatto di amore semplice e concreto, esattamente come lo sono gli affetti familiari. È nella famiglia che è l’epifania, la manifestazione, dell’infinito sentimento di compartecipazione che il Signore dell’Universo nutre per le sue creature. Dice San Giovanni: Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito. Il figlio donato all’umano nascendo in una famiglia vuol significare che è in quella comunità, che è il nucleo di ogni realtà sociale, che si concretizza il vero e sano amore di Dio verso l’umanità e di ogni essere vivente verso il prossimo. Buona festa della Sacra Famiglia a tutti. Aggiungo con dolore: ecco perché quando si accerta l’esistenza di violenze “in ambito domestico”, uso questo termine che è diventato linguaggio comune proprio perché è lampante che la famiglia dovrebbe essere casa, cioè protezione, è come se si commettesse non solo violenza verso l’indifeso, cosa gravissima ed abominevole, ma si bestemmiasse verso Dio. Ecco perché meditare sulla famiglia ci pone, soprattutto noi adulti, di fronte al bivio che ci offre di scegliere fra il bene assoluto, che si manifesta nei piccoli e negli indifesi, o nell’abominio e nell’abisso più oscuro, che è la violenza verso chi invece si deve (non dico dovrebbe) accudire.

sabato 26 dicembre 2020

SANTO STEFANO

 


IL PRIMO MARTIRE

Il 26 dicembre la comunità dei cristiani festeggia l’ascesa al cielo, la morte, di Santo Stefano. Ma chi era? Perché la sua dipartita è rimasta indelebilmente legata al Natale, il giorno della nascita terrena di Gesù il Nazareno? Le risposte sono legate alla tradizione antica della religione cristiana. Stefano era vicino agli apostoli, i dodici che seguivano Gesù. Dopo la dipartita del Redentore, questi scelsero sette diaconi che dovevano prendersi cura della comunità dei credenti. Insomma delle persone che dovevano gestire la vita comunitaria dei primi cristiani. Fra questi c’era Stefano. Anzi questi, pur giovanissimo, era il punto di riferimento della comunità, sconvolta e confusa dalla prematura dipartita del Messia, morto in croce. Per questo motivo le istituzioni ufficiali, sia statuali che religiose, vedevano in Stefano un pericoloso antagonista della loro autorità. Il cristianesimo nascente era visto come una parte del ebraismo estremamente attiva che si poneva come dura giudice delle autorità sacerdotali, troppo prone a lasciarsi irretire dalle lusinghe del potere.

Il giorno della sua morte Stefano era impegnato a svolgere le sue abituali funzioni di diacono, cioè di guida della comunità. Fu additato dalle autorità sacerdotali ebraiche quali apostata, cioè traditore della stessa religione ebraica. Il santo difese fermamente le sue idee. Per lui, come per l’intera comunità cristiana del tempo e anche di oggi, aderire al messaggio di Gesù non era affatto un atto di ripudio della legge mosaica, anzi il Vangelo, la lieta novella, era il compimento delle promesse che Dio aveva fatto ad Abramo, ad Isacco e a tutta la sua discendenza, come si evince dalla Bibbia. Stefano sceglie di non ripudiare Gesù. Sceglie di essere coerente al messaggio ultimo e definitivo che Dio aveva dato all’uomo attraverso il suo Figlio Unigenito. Sceglie di non ripudiare la dottrina e la fede cristiana. Per questo fu lapidato dalla folla, esattamente come Gesù fu condannato dalla gente chiamata a scegliere fra lui e Barabba. Le pietre colpirono il corpo e il volto di Stefano. Il primo martire si accasciò a terra, fu lapidato secondo la legge mosaica. La legge per cui Stefano aveva lottato tutta la vita con coerenza. Morì per le congiure e i sotterfugi di una classe sacerdotale infida e pronta a riconoscere ogni nuova elaborazione dottrinale, come era il messaggio di Gesù, come una minaccia.

Stefano era ebreo ed era cristiano. Il messaggio di Gesù era il compimento delle scritture. Il Cristianesimo era la prosecuzione del atto di salvezza di Dio verso gli uomini. Ma la comunità politica di allora non seppe cogliere la novità di salvezza. Preferì ripudiare, fino al punto di uccidere, coloro che seguivano i dettami del nazareno. Anche oggi, purtroppo, avviene spesso che si preferisce la violenza all’ascolto, chi porta un messaggio diverso da quello che si considera il proprio, viene brutalmente ucciso. Lo fanno i terroristi che dichiarano di ispirarsi all’Islam. Lo ha fatto Hitler, che non ha esitato ad uccidere milioni di persone, pronunciando la falsità blasfema: Dio è con noi. L’hanno fatto i crociati, nel Medioevo, lo hanno fatto tutti coloro che in nome di una convinzione hanno ucciso il proprio prossimo. Stefano è il simbolo e l’icona di coloro che sono perseguitati dalla violenza altrui. Stefano fu ucciso perché non volle mai rinunciare alla sua convinta fede verso un uomo, che considerava Dio, cioè Gesù. Tanti sono gli uomini che nei millenni sono stati martiri pacifici, cioè hanno sacrificato la loro vita per rimanere coerenti alle loro convinzioni. Bisogna prendere esempio da Stefano e da quelli come lui. Bisogna essere coerenti, fino alla morte e al sacrificio della vita, alle proprie idee, ma mai, dico mai, rendere violenza alla violenza. Mai rispondere con l’omicidio all’omicidio. Stefano non voleva essere vendicato. Voleva essere ricordato come uomo di fede. Stefano è diventato luce, per la sua morte, in un mondo buio, in cui l’odio verso l’altro sembrava prevalere sull’amore. Ha dato l’esempio. Pacificamente bisogna mostrare la propria fede in Gesù, anche se questo conduce alla morte. Questo suo essere docile agnello condotto all’altare, esattamente come il Maestro Gesù, rende Stefano un fulgido esempio per tutta l’umanità. Per questo lo si ricorda il giorno dopo il Natale. Come la nascita del bambinello di Betlemme, ha aperto cieli nuovi e terre nuove, il sacrificio di Stefano ha mostrato la via verso la pace, che è il sacrificarsi fino alla morte, pur di non rispondere alla violenza con la violenza. Allora riconosciamo Stefano, quale uomo di pace e coerenza, come l’esempio da seguire per tutti. Nella speranza che finirà il tempo in cui essere latori di pace vuol dire morire, come ci Gesù ha promesso che sarà quando disse: Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio (dal Vangelo di Matteo).

venerdì 25 dicembre 2020

L'UMANITA' NELLA COMMEDIA DANTESTA

 


UMANITA’

La Divina Commedia è un compendio di vita dell’Italia del 1200 e del 1300. Dante Alighieri, perso nella selva oscura, inizia il suo viaggio di salvezza, guidato prima dal poeta latino Virgilio, poi dalla amata Beatrice attraverso le tre città dell’oltretomba cristiano: Inferno, Purgatorio e Paradiso. In questo viaggio di redenzione incontra tante anime, che in realtà sono tutt’altro che eteree, sono saldamente legate alla loro storia mondana, sono l’esplicitazione di ciò che in vita hanno compiuto. Dante incontra peccatori perdute, nei cerchi dell’inferno, penitenti contriti, nei montagna del Purgatorio e trova beati, in contemplazione di Dio, nei cieli del paradiso. Tutte queste persone, così diverse e con destini incomparabilmente lontani fra loro, sono accomunati da un bisogno di rilevare al poeta il senso della loro esistenza. C’è Francesca da Rimini che racconta al poeta, nel IV canto dell’inferno, il suo disperato amore per Paolo, tanto intenso e assoluto non lasciarla nemmeno nel buio infernale del girono dei Lussuriosi. Tanto è vero che Paolo e Francesca sono destinati per l’eternità a volare, letteralmente, sbattuti dall’indomabile bufera infernale che sbatte senza sosta coloro che hanno vissuto amori non leciti. Paolo e Francesca fanno pena. Paolo e Francesca sono la esplicitazione del senso di impotenza dell’uomo. Neanche l’amore fra un uomo e una donna, quello che dovrebbe apparire il più naturale degli attui, può portare alla felicità se non è voluto da Dio. È questo il monito che Dante fa a noi, suoi lettori. Paolo e Francesca sono anime nobili. Il loro amore è bello e sincero. Ma non può che essere destinato al male, se non è benedetto dal Signore che è nei cieli. Colui che li ha uccisi, il fratello di Paolo, nonché, marito di Francesco è destinato alla cerchia Caina, in cui si puniscono i traditori e gli assassini della propria progenie. Ma il peccato suo non può cancellare la colpa dei due amanti fedifraghi.

Ecco cosa è la Commedia di Dante- è il racconto della complessità dell’animo umano. È l’esplicitazione della complessità del cuore. È il racconto dei sentimenti che inducono ogni uomo e ogni donna ad agire. Sentimenti che, se privi della guida degli insegnamenti biblici, portano comunque alla perdizione. Non c’è scampo, chi pone la lampada sotto il moggio è destinato a perdersi. Chi non segue i dettami evangelici, la lampada, è destinato a  vivere nel peccato, il buio, anche se si è anime nobili, anche se si è dotti, anche se si legge la grande letteratura, come Paolo e Francesca, o come Pier delle Vigne, dotto membro della corte di Federico II di Svevia, che non ha saputo far altro che uccidersi tragicamente, quando il suo re gli ha tolto la fiducia e l’ha tacciato, secondo Dante, ingiustamente di essere traditore. Pier delle Vigne, assieme a Cavalcanti, è nel girone dei suicidi, è all’inferno. Ma entrambi, il ghibellino indomabile, Cavalcanti, e l’uomo di lettere e giurista Pier delle Vigne, non perdono, pur nell’oscurità della perdizione, la loro grandezza di uomini e cultori di scienza. Delle Vigne, anche nell’orrido abisso, rimane il giurista indomabile, il cultore di scienza che ha saputo rendere il diritto degli antichi romani, lo ius antico, strumento per ordinare e regolare uno stato nascente e ricco di prospettive come era il Regno di Sicilia, guidato dallo Stupor Mondi, Federico II, allora anche imperatore. E cosa dire dell’Ulisse dantesco. Colui che per la sete di conoscenza ha superato le colonne d’Ercole, quello che oggi è lo stretto di Gibilterra, per il Mondo antico l’ultimo confine del mondo umano, oltre il quale ci sono solo acque popolate da mostri ed aleggia lo spirito di Javhé, cioè di Dio, ma un Dio crudele e risoluto nel punire chi osa oltrepassare ciò che la volontà divina vieta di passare all’uomo. Ecco perché Ulisse e i suoi compagni trovano la morte. Ma la sete di conoscenza di Ulisse è più forte della punizione divina. Ulisse è all’inferno condannato, ma la sete di conoscenza batte ancora nel suo cuore: Nati non foste per viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscentia. Ecco cosa dice ai suoi compagni di navigazione per convincerli a superare le Colonne d’Ercole e trovare una tragica morte. Il fallimento di Ulisse non lo rende meno grande. Merita l’inferno, perché ha sfidato il divino e ha indotto i suoi compagni a seguirlo nel male, è infatti punito nel girone dei cattivi consiglieri. Ma rimane la sua grandezza di uomo di ricerca, di uomo di cultura, che non si ferma davanti alle avversità, ma continua ad essere guidato dalla sua ineluttabile sete di conoscenza. Allora questa è la Divina Commedia. È il racconto di un’umanità variegata, fatta di molti vizi e di tante virtù, che la portano alla eterna condanna o alla eterna beatitudine, a seconda se sia stata la provvidenza dvina o meno a guidare la vita. Ma noi lettori del XXI secolo non rimane che ammirare non solo la bellezza, ma anche la ricchezza linguistica e dei personaggi della Commedia dantesca. Il Poeta Fiorentino ci ha fatto un incommensurabile regalo. Ci ha dato un poeta in cui rispecchiarci nelle nostre oscure meschinità p sublimi grandezze. Tutti noi possiamo riconoscerci nei personaggi della divina commedia, possono trovare in loro le nostre grandezze e le nostre piccolezze. Ecco perché Dante Alighieri è poeta immortale, perché ha saputo rendere universali storie personali. Noi non possiamo che ammirare l’umanità che racconta e l’umanità che si manifesta nei suoi versi.

PARLANDO DI COSTITUZIONE

 


ARTICOLO 86

“Le funzioni del presidente della Repubblica, in ogni caso che egli non possa adempierle, sono esercitate dal Presidente del Senato.

In caso di impedimento permanente o di morte o di dimissioni del Presidente della Repubblica, il Presidente della Camera dei deputati indice la elezione del nuovo Presidente della Repubblica entro quindici giorni, salvo il maggiore termine previsto se le Camere sono sciolte o manca meno di tre mesi alla loro cessazione”.

L’articolo 86 della Costituzione Italiana indica quale debba essere il comportamento delle istituzioni repubblicane nel caso in cui il Presidente della Repubblica non possa, per motivi di forza maggiore, esercitare le sue funzioni. Chi ha il gravoso compito di sostituirlo momentaneamente è il Presidente del Senato. Infatti chi si siede sullo scranno più alto di Palazzo Madama è la seconda carica dello stato, dopo il Presidente della repubblica. È inevitabile dunque che sia il sostituto momentaneo del Presidente della Repubblica. Urge sottolineare che nel nostro ordinamento non esiste la figura del vicepresidente. Il presidente del senato non è un vicario del presidente della repubblica. In caso di sua assenza non lo sostituisce nel ruolo e non assume i suoi titoli istituzionali, come farebbe un vice. Svolge le funzioni del presidente, adempie alle sue mansioni, pur rimanendo titolare della propria carica, Presidente del senato, e non acquisendo quella di Presidente della Repubblica. Cosa diversa avviene ad esempio negli Stati Uniti d’America. In quello stato la carica di vicepresidente è istituzionalizzata. Questi ha un ruolo di stretto collaboratore del Presidente degli Stati Uniti, in caso di morte o di impedimento permanente del “comandante in capo” diviene a tutti gli effetti Presidente della Repubblica. Ricordiamo il caso di Lyndon Baines Johnson che, essendo vicepresidente, giurò come presidente degli Stati Uniti il giorno della morte di John Fitzgerald Kennedy avvenuta a Dallas il 22 Novembre 1963. In Italia questo non avviene. Il Presidente del Senato in nessun caso assumerà le vesti di Presidente della Repubblica. Sarà chiamato a firmare leggi e a promulgarne, ad esempio, se è assente l’inquilino del colle. Rimarrà comunque chiaro che la sua funzione e il suo ruolo è diverso da quello del Presidente della Repubblica. I casi di assenza del presidente della Repubblica possono essere dovuti anche ai suoi viaggi all’estero per motivi diplomatici. È stato sempre preferito, in questi casi, che il Presidente della Repubblica continuasse ad esercitare la propria attività anche da luoghi lontani, utilizzando quella che è la tecnologia. Insomma Il Presidente della Repubblica, in caso di sua assenza momentanea, ha preferito telefonare o anche utilizzare messi diplomatici per far sentire la sua presenza in Italia, senza che il presidente del senato dovesse sostituirlo. Comunque la dottrina è concorde, in caso di viaggi istituzionali, in caso di assenze promulgate, il presidente del senato può esercitare, ove è necessario, le funzioni di Presidente della Repubblica a Roma. Il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, ha chiesto che fosse sostituito al Quirinale dal Presidente del Senato in un paio d’occasioni legate a suoi viaggi istituzionali, siamo nell’ultima decade del XX secolo. L’unica volta che l’Italia fu costretta a prendere seriamente in considerazione la possibilità che il Presidente del Senato sostituisse per un tempo abbastanza lungo il presidente della Repubblica è stato quando Antonio Segni, primo cittadino dello Stato, fu colpito da gravissima e debilitante malattia. Il primo cittadino dello stato era incosciente, le sue speranze di vita erano minime. I presidenti delle due camere e l’allora presidente del consiglio si riunirono in una riunione drammatica per decidere cosa fare. Siamo nel 1971. Era necessario che il presidente del senato sostituisse il presidente della repubblica permanentemente. Poi il caso, il destino, la Divina Provvidenza, qualunque sia la forza che determina i destini degli uomini, decise per loro. Antonio Segni spirò. Il Presidente della Camera convocò il Parlamento in seduta comune per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. Il Presidente del Senato svolse le funzioni del Presidente della Repubblica nel limitatissimo lasso di tempo necessario per svolgere le operazioni elettorali, senza realmente assumere le vesti di primo cittadino dello stato.

In caso di inadempimento permanente o di morte o di dimissioni del Presidente della Repubblica, come abbiamo ricordato pocanzi, il Presidente della camera dei deputati deve indire nuove elezioni. Deve convocare il Parlamento in seduta comune, secondo le modalità indicate dall’articolo 83 della Costituzione e dai regolamenti della Camera dei Deputati. Deve convocare i rappresentati dei consigli regionali delegati ad eleggere il Presidente della Repubblica. In caso di impossibilità di esercizio delle funzioni, il presidente della repubblica deve essere sostituito. Presidenti che si sono dimessi sono molti. Si è dimesso Giovanni Leone, nel 1975, perché coinvolto nello scandalo legato a tangenti per la fornitura di aerei militari. Si è dimesso, Francesco Cossiga, negli anni ’90, per ragioni di politica costituzionale dell’allora maggioranza parlamentare, da lui non condivisa. Si è dimesso Giorgio Napolitano nel 2015, per valutazioni di opportunità istituzionale,  essendo l’unico Presidente della storia Repubblicana ad essere stato eletto per un secondo mandato e non ritenendo giusto che ciò fosse avvenuto. In tutti questi casi è stata necessaria l’applicazione del secondo comma dell’articolo 86. È d’obbligo ricordare che in caso di scioglimento delle Camere, si preferisce posticipare l’elezione e la nomina del Presidente della Repubblica. Questo è chiaramente ricordato dal secondo comma dell’articolo 86. In casi del genere. In casi di vacanza al Quirinale e di impossibilità di convocare il Parlamento in seduta comune, perché sono in corso i comizi elettorali, è d’uopo che sia il Presidente del Senato, ovviamente uscente, ad adempiere le funzioni di Presidente della Repubblica. È d’obbligo dire che questa situazione non si è mai verificata. Non è mai capitato che il presidente della repubblica si fosse dimesso in concomitanza con le elezioni. Bisogna ritenere che nulla ostacola il presidente del senato a svolgere ed esercitare le funzioni del Presidente della Repubblica in questo caso, anche se la sua carica di presidente del senato è prossima al termine visto l’incombere delle elezioni.

Una curiosità. L’attuale Presidente del Senato, Maria Alberti Casellati è una valente giurista e noto avvocato. È stata appena eletta alla seconda carica dello stato grazie all’accordo fra centro-destra e Movimento Cinque Stelle, le due formazioni che hanno vinto le elezioni. Dovrebbe essere colei che svolgerebbe le funzioni di presidente della repubblica in caso di malaugurata impossibilità di Sergio Mattarella. I due si sono scontrati, sia pur soltanto dialetticamente, diverse volte. Mattarella nelle vesti di membro della Corte Costituzionale ha censurato spesse volte le cosiddette “leggi ad personam”, cioè le leggi scritte e pensate per aiutare Silvio Berlusconi ad uscire dalle sue difficoltà giudiziarie. La dottoressa Casellati, nelle vesti di vice guardasigilli dei governi Berlusconi, è stata l’ideatrice e il difensore delle leggi per il cavaliere. Oggi sarebbe chiamata a sostituire Mattarella. È un modo per chiudere un epoca. Per chiudere la “guerra di Arcore”. Le elezioni di quest’anno hanno visto sconfitti coloro che vedevano nel conflitto d’interesse un problema per il paese. L’elezione della dottoressa Casellati al Senato sono un segno di cambiamento. La nuova classe politica che vede con affetto e stima Silvio Berlusconi. Sergio Mattarella è l’esplicitazione di una politica di trasparenza e integrità ormai relegata al passato.

Una nota. La riforma Costituzionale voluta dall’ex Ministro Maria Elena Boschi, votata in parlamento e bocciata dai cittadini al referendum, prevedeva che le funzioni di vicario del Presidente della Repubblica fossero esercitate non dal Presidente del Senato, ma dal Presidente della Camera dei Deputati. La riforma prevedeva che questo ultimo ruolo istituzionale fosse da considerare seconda carica dello stato e quindi assumesse le funzioni di Presidente della Repubblica in caso di vacanza. Spettava al presidente del senato indire le elezioni del nuovo presidente. La riforma, come sappiamo, non ha avuto corso. La Costituzione non è stata modificata.

 

LA RES PUBLICA NEL MEDIOEVO

 


IL SENSO DELLO STATO

Stavo riflettendo insieme a un gruppo di amici sul valore della Res Publica nella cultura medievale. Un cittadino nell’epoca di mezzo era componente di una città, di un comune, era parte dell’impero universale ed era un componente della comunità dei credenti. Insomma un abitante della comune medievale era componente contemporaneamente di diverse entità istituzionale, con leggi e regolamenti propri e spesso in contrasto fra di loro. Bisognava servire lo Stato, ma chi era il capo dello Stato? L’imperatore? Il Papa? Le autorità del comune?

Questa è una domanda che si faceva quotidianamente ogni uomo e donna che avesse una coscienza politica. Dante Alighieri ha scritto un trattatello fondamentale, il de Monarchia, proprio su questo argomento. Il sommo poeta è sempre stato consapevole della natura triplice, locale e universale, mondana e religiosa, del potere. Insomma il potere, per Dante e per i suoi contemporanei, ha bisogno di una guida universale religiosa, il papa, di una guida universale e politica, l’imperatore, e di un sistema di governo democratico locale, il Comune. Insomma il potere era multiforme. Era autoritario, quando si incarnava nel potere del Sommo Pontefice e del sommo Dux. Era democratico quando si trattava di condurre la quotidianità della vita della gente comune, attraverso il potere comunale. Dante non metteva affatto in dubbio che il senso ultimo delle istituzioni fosse unitario. Pur nella parcellizzazione del potere, il senso di appartenenza alla Universitas Cristiana rendeva ogni cittadino parte di un corpo unico, unitario come era fin dalla visione romana, ricordiamo il famosissimo e leggendario apologo di Menenio Agrippa. Insomma tutto il mondo era come un corpo che aveva bisogno per vivere di due soli, la Chiesa e l’Impero, che dovevano illuminare la via di tutti i pellegrini della terra, e doveva avere un comune sistema nervoso, le autorità comunali che reggevano la vita sociale quotidiana. Era una visione allo stesso tempo teologica, cioè fondata sulla certezza che la struttura sociale era determinata direttamente dalla volontà divina e le sue storture e brutture erano dolorosi frutti del peccato umano, e teleologica, cioè finalizzata a un fine di comune convivenza.

Questa era la visione di Dante. Il mondo era destinato da Dio all’armonia. Le guerre, i dolori, le torture, le iniquità erano il frutto umano della ribellione alla divina provvidenza. Il disegno di Dio per l’uomo era costantemente presente in ogni atto. Dio era per Dante costantemente presente nella vita di ognuno. Ricordiamo il fenomenale incipit della Divina Commedia. Dante era perso nella Selva Oscura. Era braccato da tre perfide e feroci fiere: il leone, la lonza e la lupa. Il leone era l’allegoria del potere che si fa sopruso. La Lonza era l’allegoria della cupidigia, della sete di denaro ed averi. La lupa era l’allegoria del desiderio sessuale insano. Dio non lascia indietro nessuno. Perfino un uomo “qualunque” come Dante Alighieri era così caro al Divino, da chiamare la Teologia, allegoricamente rappresentata dalla donna amata dal poeta Beatrice, a salvarlo. In realtà sono tutte donne coloro che si muovono a salvare il poeta, c’è Maria, madre di Gesù, c’è santa Lucia e in fine, appunto, Beatrice. Tutti chiamano in soccorso Virgilio, il poeta latino che allegoricamente rappresenta la ragione umana non accecata dal peccato, a ricondurre Dante sulla retta via. Simbolicamente Dante ci dice che non è solo lui ad essere salvato dalle miserrime passioni umane, che portano al caos sociale, ma lo è l’intera umanità. Attraverso la Commedia, attraverso la salvezza e la redenzione che avviene attraverso il viaggio nei tre luoghi dell’aldilà, non si salva solo il fiorentino che cantò il Dolce Stil Novo, ma l’intera società del suo tempo, e anche noi che leggiamo il sommo poema anche dopo secoli dalla sua stesura. Insomma l’equilibrio sociale si può ritrovare attraverso un viaggio di redenzione che riconosce i poteri costituiti, mai come nemici, ma come guide sicure per una vita serena. Come Dante si affida a Beatrice, così ognuno di noi deve affidarsi alla autorità costituita, il ribellarsi crea disordine e morte. Dante non sta dicendo che non bisogna combattere per ciò in cui si crede. Era stato soldato anche lui, sconfitto ma valoroso, nella fratricida guerra fra Bianchi e Neri, fra componenti della stessa parte Guelfa, che aveva segnato nel dolore la sua Firenze. Ma Dante è consapevole che la guerra non è la cura delle malefatte, e al contrario la tragica epifania di queste. Se scoppia un conflitto il male è già dentro le istituzioni, e in fin dei conti già dentro il cuore di ognuno. Dante propone ai suoi contemporanei, a se stesso, ed in ultima analisi anche a noi, una soluzione alla guerra. La risoluzione è nell’armonia. Ognuno deve essere consapevole di essere parte di un tutto. Ognuno deve avere la certezza che le proprie idee e la propria opera è preziosa se si fonda sul principio di armonia con gli altri. Si può trovare il modo per convivere se si acquista la certezza che ogni nostra azione deve essere finalizzata a uno scopo più alto, al bene comune. Questo bene comune è il senso dello stato, che non è solo il rispetto dell’autorità e delle istituzioni, è anche la certezza di essere parte di un disegno corale, di cui il Papa e l’Imperatore non sono i facitori, il fattore è solo Dio, ma sono gli elementi più importanti, che devono vivere in armonia e non in conflitto come vorrebbero i due partiti: Guelfi e Ghibellini.

BUON NATALE

 


NATALE

Oggi è il 25 Dicembre 2020. È il natale. Oggi il mondo Cristiano celebra la nascita del Redentore del Mondo. Gesù, il bimbo nato in una mangiatoia, è colui che monda l’intera umanità da ogni peccato. Gesù è il Cristo, cioè l’unto del Signore, colui che ha i segni e i crismi atti a guidare l’intera umanità in un cammino di radicale conversione e di redenzione. È il messo del divino che vince il male. È colui che deve porre fine ad ogni violenza, ad ogni guerra, ad ogni dissidio. Gesù deve aprire il tempo in cui il lupo pascolerà con l’agnello, per parafrasare le bellissime parole raccolte nel mirabile scrigno di bellezza che è il Libro del Profeta Isaia. Gesù è colui che pone fine ad ogni dissidio. Colui che riporta serenità in una società che vive sotto tensione. È la calma dopo una notte procellosa. Non è un caso che lo si ricorda nel momento della sua nascita. Come ogni Bambino è la promessa di un futuro più bello e sereno per ogni genitore che lo procrea, come ogni infante fra le braccia della propria madre è la promessa di una felicità che è adesso, ma che si propagherà per tutta la durata della sua esistenza, anche e soprattutto la nascita di Gesù, il suo essere cullato fra le braccia di sua madre Maria, è la promessa di un domani radioso per l’intera umanità.

Gesù è il puer, bambino in latino, che porterà una nuova età dell’oro. Questa visione proviene non solo dal mondo ebraico, ma anche dal mondo greco romano, cioè dal mondo pagano. L’esempio è la IV Egloga di Publio Virgilio Marone. Il Poeta che ha scritto l’Eneide non conosceva il messaggio di Gesù, anzi era al mondo prima che il divin fanciullo nascesse in una grotta di Betlemme, eppure ha saputo cogliere il messaggio di attesa, di speranza e di redenzione che non era solo nel mondo giudaico, ma era un elemento fondamentale di tutta la società allora conosciuta. Allora è questo il senso profondo che provo a dare al Natale. Questo tempo è un momento di rinascita non solo per il credente, ma per l’intera umanità. Non è un caso che si celebra il Natale proprio in prossimità del solstizio d’inverno, quando la luce vince le tenebre, quando la giornata comincia ad allungarsi e la notte, l’oscurità, ad abbreviarsi.  Il Bimbo, il Puer, che nasce è la speranza di un domani non solo più bello per tutti, ma anche l’apertura di un tempo che è condivisione, che è progetto di un mondo che si fa bello perché costruito insieme. Gesù, il bambinello, è la promessa che nessuno sarà lasciato indietro. È la promessa che anche i migranti, anche i malati, anche i disabili, insomma tutti coloro che oggi sono esclusi dal consesso civile avranno un posto della società di domani, quella segnata da Gesù. Gesù è nato povero e umile. Proprio per esplicitare che chi sta indietro può diventare il facitore di buone pratiche. Il mondo può diventare più bello se è  inclusivo. Questo il messaggio di Gesù. Come i pastori non si fecero domande sulla natura del bambinello, ma accorsero ad adorarlo, anche noi siamo chiamati ad aiutare e confortare chi è in difficoltà.

Oggi è il tempo della Pandemia, il tempo del Corona Virus. Oggettivamente un pericolo imminente e immanente potrebbe suscitare ancora di più il senso di solipsismo che caratterizza ognuno di noi. Il morbo potrebbe suscitare con preminenza gli egoismi. Penso a me, degli altri non mi importa. Ma proviamo a pensare diversamente. Proviamo a ribaltare l’ordine della storia, esattamente come fece Gesù nascendo in una stalla di Betlemme. Essere solidali, diventare ultimo fra gli ultimi, cambiare radicalmente il punto di vista umano( che vede vincente chi prevale e non chi aiuta), può veramente essere la soluzione alla emergenza infettiva. Aiutare gli altri, vuol dire aiutare se stessi. Prendere per mano un disabile, accompagnarlo nella sua vita particolare, fatta di difficoltà ma anche di gioia, può essere, ad esempio, un modo per vivere al meglio la propria vita. Aiutare un anziano solo, fargli compagnia, ricordargli che questa parte di esistenza che oggi gli tocca in sorte e che toccherà a tutti, non è un crepuscolo ma una fase di condivisione di affetti, se si vive in simbiosi con gli altri. Allora proviamoci. Sia chiaro non sto dicendo: diventiamo tutti cristiani. So che sono molti quelli che rifiutano, legittimamente, il messaggio solidale di Gesù bambino. Ma sappiamo cogliere anche l’afflato universale. L’afflato di speranza che ci ricorda che l’ultimo, il nato in una stalla, è diventato colui che ha salvato l’umanità ferita. Insomma anche chi non è cristiano, come il credente, può cogliere il valore assoluto e la preziosità di sapersi donare interamente agli altri come ha fatto il Nazareno.

Che Dire, un felice Natale a tutti, un momento di rinascita.

giovedì 24 dicembre 2020

PARLANDO DELLA COSTUZIONE

 


ARTICOLO 89 DELLA COSTITUZIONE

“Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità.

Gli atti che hanno valore legislativo e gli altri indicati dalla legge sono controfirmati anche dal Presidente del Consiglio dei ministri.”

Tutti gli atti del Presidente della Repubblica sono controfirmati dai ministri proponenti, che se ne assumono la responsabilità politica. L’articolo 89 della Costituzione sancisce la irresponsabilità politica del Presidente della Repubblica. Il Primo cittadino dello stato è arbitro imparziale della vita Repubblicana. Non può assumere un ruolo che lo faccia scendere dallo scranno del saggio arbitro. Per questo motivo tutti gli atti che compie devono avere l’avvallo del governo, o meglio, del Ministro proponente e competente per materia. Bisogna ricordare che molti atti che sono sostanzialmente governativi portano la firma del presidente. Sono i regolamenti governativi e ministeriali, i disegni di legge da presentare alle Camere, i decreti legge e i decreti legislativi, tutti gli atti che assumono la forma di Decreti del Presidente della Repubblica, quando vengono emanati, ma che sono atti decisi e prodotti dall’esecutivo o dai uno dei suoi componenti. In questi casi la firma del Presidente della Repubblica assume il valore di sigillo di regolarità costituzionale. Il Primo Cittadino dello stato non è responsabile dell’atto che il testo contiene, non l’ha voluto lui, ma ne attesta la conformità alle regole dello stato. Il Presidente della Repubblica non partecipa alla definizione dell’indirizzo politico del governo. Di conseguenza non ha alcuna responsabilità politica istituzionale. Egli non è chiamato a rispondere del proprio operato nell’ambito delle sue funzioni istituzionali, se non per alto tradimento e attentato alla Costituzione. Eventuali responsabilità giuridiche e politiche scaturenti da atti firmati dal presidente sono a carico del ministro cofirmante. Gli atti aventi forza di legge, quali decreti legge e decreti legislativi, che formalmente sono atti presidenziali, ma sostanzialmente sono atti dell’esecutivo, devono tassativamente essere controfirmati dal Presidente del Consiglio. Una curiosità. I costituzionalisti si sono chiesti chi debba controfirmare l’atto di nomina del Presidente del Consiglio? Che l’atto di nomina, compiuto dal Presidente della Repubblica in forza dell’articolo 92 secondo comma della Costituzione, debba essere controfirmato dal Presidente del Consiglio non ci sono dubbi. Ma lo deve fare il presidente uscente o quello subentrante? Da un punto di vista formale il presidente del consiglio nominato non avrebbe titolo per firmare. La sua carica istituzionale è conseguita proprio a seguito della nomina. Prima che questa è il suo predecessore a governare il paese. In teoria dovrebbe essere lui a firmare il decreto presidenziale che nomina il suo successore. Ma la prassi e la logica hanno indotto a considerare più opportuno che sia il nuovo presidente del consiglio a controfirmare la sua stessa nomina, anche contravvenendo ai canoni di formalità giuridico amministrativi. Perché? Il vecchio presidente del consiglio potrebbe essere impossibilitato a firmare, perché morto o malato. Oppure, potrebbe non essere disposto a rendere legittimo costituzionalmente un atto che lo defenestra dalla carica di capo del governo. Per evitare delicate frizioni politiche si è preferito che fosse evitato che questo atto di nomina vedesse coinvolto in qualche modo il capo del governo uscente. Ricordiamo il famoso passaggio della campanellina fra Enrico Letta, presidente del Consiglio uscente, e Matteo Renzi, Presidente del Consiglio entrante. Lo “scambio della campanellina” è un atto rituale e simbolico, il vecchio capo del governo affida la campanella che tintinna durante le riunioni del Consiglio dei Ministri al nuovo. È un rito di folclore. In quel frangente, però, apparve chiara l’irritazione e l’astio di Letta verso Renzi, che l’aveva defenestrato. Figuriamoci: se Enrico Letta fosse stato costretto a firmare il decreto di nomina di Renzi, cosa sarebbe successo? Insomma la controfirma è importantissima. Negli atti che sono sostanzialmente presidenziale, nomina del presidente del consiglio nomina dei senatori a vita etc, serve come atto di controllo da parte del governo, è un’ulteriore garanzia e di controllo sulle iniziative del primo cittadino dello stato, se invece la firma è posta su atti sostanzialmente governativi è un atto di presa di responsabilità politica, il presidente del consiglio, se è lui che firma, oppure il ministro risponderà davanti alle camere e al paese del contenuto dell’atto. È avvenuto sotto la presidenza di Francesco Cossiga, che atti sostanzialmente presidenziali, quali la nomina di senatori o il conferimento di cariche o testi scritti al Consiglio della Magistratura, trovassero forti perplessità all’interno del governo allora in carica. Allora ci fu un ampio ed aspro dibattito sulla possibilità, reale e concreta, che il ministro competente si rifiutasse di controfirmare un atto presidenziale. Si trattava di un decreto del presidente rivolto al Consiglio Superiore della Magistratura che doveva essere controfirmato dal guardasigilli, ministro competente. Lo scontro dialettico fra ministro e capo dello stato fu risolto dalla scelta del Presidente del Consiglio, di controfirmare lui l’atto del presidente. Insomma la controfirma è un istituto giuridico di estrema delicatezza. Gli atti Presidenziali assumono validità solo e unicamente se sono messe in calce le firme sia dell’inquilino del Quirinale sia di un componente dell’esecutivo in carica. 

ATTENDIAMO IL BAMBIN GESU'

 


AVVENTO

Oggi è il 24 dicembre 2020. È la vigilia di Natale. Ogni famiglia attende di festeggiare la venuta del Salvatore del Mondo. Chi è Cristiano riconosce in queste ore della notte, l’aurora che illumina l’intera storia dell’umanità. Gesù, il bambinello che è nato 2020 anni fa, è colui che ha portato luce nelle tenebre, e il 25 Dicembre di ogni anni questo si ripete. Per questo motivo chi crede in lui oggi è in attesa, esattamente come lo erano nell’antica Israele le spose in attesa degli sposi. Queste secondo la tradizione ebraica erano sveglie nella notte, con le lampade ad olio accese, pronte ad aprire la porta al promesso in matrimonio. Insomma Gesù era ed è l’atteso da una terra e da un genere umano che ha bisogno del suo redentore. Ecco perché la notte del 24 è importante quanto il Natale stesso. La Vigilia è il tempo degli uomini e delle donne. È il momento in cui ci prepariamo all’arrivo dello sposo. È il momento in cui dobbiamo rimodellare la nostra stessa esistenza per accogliere colui che è figlio di Dio. Avvento vuol dire attesa di una venuta. Ma coloro che attendono non devono e non possono rimanere inerti. Devono compiere un atto di rigenerazione interiore che li pone in sintonia con il Salvatore che viene. Allora non possiamo altro che sperare e cambiare in meglio la nostra anima. Non possiamo che far altro che meditare sul senso della nostra esistenza alla luce del messaggio di salvezza che Gesù, nato a Betlemme, ci offre.

Meditiamo su quello che siamo. Pensiamo a come ci rapportiamo alle nostre relazioni sociali, sentimentali, affettive umane. Impariamo a stravolgere i nostri codici interpretativi. Sappiamo trasformare il nostro stesso sistema di relazioni e di interrelazioni sulla base della certezza che un bambino è nato per cambiare radicalmente la vita di tutti noi in meglio. Attendiamo la nascita del fanciullo. Sappiamo che porterà terre nuove e cieli nuovi, per parafrasare una frase del Nuovo Testamento. Sappiamo che le nostre interrelazioni umane saranno radicalmente migliori se fondate sulla consapevolezza che siamo chiamati ad essere redenti dal Cristo. Un bambino può cambiare il mondo. È una certezza che nasce direttamente dal nostro cuore. Ogni nascita è la speranza che quel nuovo essere umano cambierà in meglio la vita di tutti, sicuramente renderà felici i propri genitori. Allora quello che ricordiamo oggi è che attendere colui che viene, attendere una nuova nascita, è un momento di veritiera rigenerazione comunitaria. Non sono solo i genitori, non sono solo Maria e Giuseppe, che attendono la nascita del redentore. Non è solo la Madonna che avverte le doglie del parto, ma, per citare San Paolo, è l’intera umanità che geme per la gestazione, perché quella nascita cambierà radicalmente l’intera umanità. Questa è la fede del cristiano. Questa brama di rifiorire a nuova vita, però, non è solo di chi crede in Dio, ma di tutti. Ognuno di noi, anche se ateo, attende che la vita cambi in meglio, rivoluzionata da un uomo, che è ancora bambino, con la sua semplicità e purezza d’animo.

giovedì 10 dicembre 2020

ADDIO PAOLO ROSSI, SIMBOLO DELLE NOTTI MAGICHE 1982

 


CIAO PABLITO

Io non ci credo. Non può essere che Paolo Rossi, l’eroe dei miei sogni di bambino, sia morto. È avvenuto il 9 dicembre 2020. Avevo nove anni quando Pablito ha sconvolto la mia vita con i suoi goals ai danni del Brasile, Argentina e Germania, le potenze calcistiche di allora e di sempre. Rossi è stato la favola che si fa realtà. Assieme a Dino Zoff, il portierone, ad Antonio Cabrini, a Bruno Conti, a Gaetano Scirea, purtroppo anni fa scomparso in un tragico incidente stradale, e a tanti altri Paolo Rossi ha regalato il sogno all’Italia di vincere il mondiale di Spagna. Era un’Italia triste quella del 1982, ma allo stesso tempo orgogliosa. Si possono fare i paragoni con i tempi di oggi. Allora il paese era segnato dalla paura della crisi economica causata dalla incontrollata inflazione e dal terrorismo, oggi è in apprensione per gli effetti sulla salute e sulla socialità pubblica del Corona Virus. Allora c’era Sandro Pertini alla Presidenza della Repubblica, oggi c’è Sergio Mattarella. Allora c’era la paura per un domani incerto, anche oggi si nutre lo stesso sentimento. Nel 1982 una coppa alzata da un mingherlino attaccante veneto, appunto Paolo Rossi, ha saputo ridare speranza a un paese impaurito. Oggi dobbiamo fare lo stesso, rialzare la testa e guardare il futuro. Certo non c’è una Coppa del Mondo che dobbiamo festeggiare, non ci sono ragazzini che giocano a palla da far diventare dei, come successe nel 1982, ma c’è la nostra forza di pensare al meglio davanti alle avversità.

La Morte del goleador del 1982 deve essere uno sprone per seguire il suo esempio. Si può cadere, come successe al calcio professionista italiano in quello strano anno passato fra un inverno tormentato dalle polemiche e dai reati penali legati al calcio scommesse, e rialzarsi diventando la nazione più forte nel mondo del pallone. Ecco cosa ci lascia Paolo Rossi, e non è poca cosa. La convinzione che si può diventare migliori, si può vincere, anche se si è nella polvere. Si può alzare la Coppa del Mondo, anche quando pochi mesi prima si è vista la polizia entrare negli spogliatoi in cui ti cambi per cercare la prova di qualche fio che, se non proprio tu, ma i tuoi superiori devono scontare.

Paolo Rossi ha vinto tanto. È nato in una cittadina, Vicenza, che è il simbolo in Italia e nel mondo della dedizione al lavoro. Rossi, come la quasi totalità dei suoi compaesani, hanno fatto dell’abnegazione e dell’impegno economico e civile la loro stessa ragione di vita. Ricordiamo che Paolo Rossi appena finita la sua carriera calcistica ha cominciato a lavorare. Cioè non ha pensato a godere dei benefici conquistati per i suoi meriti atletici, ma ha ricominciato una nuova vita facendo prima l’assicuratore e poi il manager di una società finanziaria. Certo poi ha lavorato anche come commentatore di Calcio in televisione e nei mass media. Ma è opportuno ricordare che il suo lavoro e impegno non ha mai avuto una soluzione di continuità. Da buon Veneto, aggiungerei da buon italiano, si è sempre rimboccato le maniche e ha sempre dato il massimo. Per questo esempio etico, per la sua assoluta fedeltà allo spirito del lavoro, che merita il ricordo di tutti noi. Certo io avrò sempre gli occhi del bambino che guardava Paolo Rossi mettere il pallone nella rete dell’Argentina, del Brasile e della Germania. Avrò sempre in mente il campione che ha saputo battere Diego Armando Maradona, detto niente, Zico, Falcao, Rumenigge. Ma Paolo Rossi non era solo questo. Paolo Rossi era un uomo. Una persona umile che amava la propria compagna, i propri figli, la propria famiglia. Era un uomo come tanti, ma allo stesso tempo un uomo che tanti volevano essere, insomma un modello di vita, un punto di riferimento di condotta morale ed etica. Mi vengono in mente dei versi  una canzone di Antonello Venditti: era l’anno dei mondiali, quelli del 1982, Paolo Rossi era un ragazzo come noi. Così lo definiva il cantante romano. E secondo me questo era il grande pregio di Pablito, fare cose grandi, diventare il re si Spagna, quando l’Italia vinse il mondiale a Madrid, ma allo stesso tempo rimanere persona umile e semplice.

Che dire? La morte di Paolo Rossi è un evento assolutamente triste. È come se i sogni di ragazzino, i sogni di un bambino, siano stati sfumati da un risveglio troppo brusco. Il Mondiale del 1982, Paolo Rossi, per me sono i ricordi di un’infanzia complessa e difficoltosa, come quella di tutti, ma allo stesso tempo felice, un’infanzia fatta di bandiere tricolori che sventolano per una palla finita nella rete giusta, cioè quella difesa dagli avversari. Insomma io non posso che dire grazie a Paolo Rossi. Grazie al suo racconto di vita che è patrimonio di tutta l’Italia.