UMANITA’
La Divina Commedia è un compendio di vita dell’Italia del 1200 e del 1300. Dante Alighieri, perso nella selva oscura, inizia il suo viaggio di salvezza, guidato prima dal poeta latino Virgilio, poi dalla amata Beatrice attraverso le tre città dell’oltretomba cristiano: Inferno, Purgatorio e Paradiso. In questo viaggio di redenzione incontra tante anime, che in realtà sono tutt’altro che eteree, sono saldamente legate alla loro storia mondana, sono l’esplicitazione di ciò che in vita hanno compiuto. Dante incontra peccatori perdute, nei cerchi dell’inferno, penitenti contriti, nei montagna del Purgatorio e trova beati, in contemplazione di Dio, nei cieli del paradiso. Tutte queste persone, così diverse e con destini incomparabilmente lontani fra loro, sono accomunati da un bisogno di rilevare al poeta il senso della loro esistenza. C’è Francesca da Rimini che racconta al poeta, nel IV canto dell’inferno, il suo disperato amore per Paolo, tanto intenso e assoluto non lasciarla nemmeno nel buio infernale del girono dei Lussuriosi. Tanto è vero che Paolo e Francesca sono destinati per l’eternità a volare, letteralmente, sbattuti dall’indomabile bufera infernale che sbatte senza sosta coloro che hanno vissuto amori non leciti. Paolo e Francesca fanno pena. Paolo e Francesca sono la esplicitazione del senso di impotenza dell’uomo. Neanche l’amore fra un uomo e una donna, quello che dovrebbe apparire il più naturale degli attui, può portare alla felicità se non è voluto da Dio. È questo il monito che Dante fa a noi, suoi lettori. Paolo e Francesca sono anime nobili. Il loro amore è bello e sincero. Ma non può che essere destinato al male, se non è benedetto dal Signore che è nei cieli. Colui che li ha uccisi, il fratello di Paolo, nonché, marito di Francesco è destinato alla cerchia Caina, in cui si puniscono i traditori e gli assassini della propria progenie. Ma il peccato suo non può cancellare la colpa dei due amanti fedifraghi.
Ecco cosa è la Commedia di Dante- è il racconto della complessità dell’animo umano. È l’esplicitazione della complessità del cuore. È il racconto dei sentimenti che inducono ogni uomo e ogni donna ad agire. Sentimenti che, se privi della guida degli insegnamenti biblici, portano comunque alla perdizione. Non c’è scampo, chi pone la lampada sotto il moggio è destinato a perdersi. Chi non segue i dettami evangelici, la lampada, è destinato a vivere nel peccato, il buio, anche se si è anime nobili, anche se si è dotti, anche se si legge la grande letteratura, come Paolo e Francesca, o come Pier delle Vigne, dotto membro della corte di Federico II di Svevia, che non ha saputo far altro che uccidersi tragicamente, quando il suo re gli ha tolto la fiducia e l’ha tacciato, secondo Dante, ingiustamente di essere traditore. Pier delle Vigne, assieme a Cavalcanti, è nel girone dei suicidi, è all’inferno. Ma entrambi, il ghibellino indomabile, Cavalcanti, e l’uomo di lettere e giurista Pier delle Vigne, non perdono, pur nell’oscurità della perdizione, la loro grandezza di uomini e cultori di scienza. Delle Vigne, anche nell’orrido abisso, rimane il giurista indomabile, il cultore di scienza che ha saputo rendere il diritto degli antichi romani, lo ius antico, strumento per ordinare e regolare uno stato nascente e ricco di prospettive come era il Regno di Sicilia, guidato dallo Stupor Mondi, Federico II, allora anche imperatore. E cosa dire dell’Ulisse dantesco. Colui che per la sete di conoscenza ha superato le colonne d’Ercole, quello che oggi è lo stretto di Gibilterra, per il Mondo antico l’ultimo confine del mondo umano, oltre il quale ci sono solo acque popolate da mostri ed aleggia lo spirito di Javhé, cioè di Dio, ma un Dio crudele e risoluto nel punire chi osa oltrepassare ciò che la volontà divina vieta di passare all’uomo. Ecco perché Ulisse e i suoi compagni trovano la morte. Ma la sete di conoscenza di Ulisse è più forte della punizione divina. Ulisse è all’inferno condannato, ma la sete di conoscenza batte ancora nel suo cuore: Nati non foste per viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscentia. Ecco cosa dice ai suoi compagni di navigazione per convincerli a superare le Colonne d’Ercole e trovare una tragica morte. Il fallimento di Ulisse non lo rende meno grande. Merita l’inferno, perché ha sfidato il divino e ha indotto i suoi compagni a seguirlo nel male, è infatti punito nel girone dei cattivi consiglieri. Ma rimane la sua grandezza di uomo di ricerca, di uomo di cultura, che non si ferma davanti alle avversità, ma continua ad essere guidato dalla sua ineluttabile sete di conoscenza. Allora questa è la Divina Commedia. È il racconto di un’umanità variegata, fatta di molti vizi e di tante virtù, che la portano alla eterna condanna o alla eterna beatitudine, a seconda se sia stata la provvidenza dvina o meno a guidare la vita. Ma noi lettori del XXI secolo non rimane che ammirare non solo la bellezza, ma anche la ricchezza linguistica e dei personaggi della Commedia dantesca. Il Poeta Fiorentino ci ha fatto un incommensurabile regalo. Ci ha dato un poeta in cui rispecchiarci nelle nostre oscure meschinità p sublimi grandezze. Tutti noi possiamo riconoscerci nei personaggi della divina commedia, possono trovare in loro le nostre grandezze e le nostre piccolezze. Ecco perché Dante Alighieri è poeta immortale, perché ha saputo rendere universali storie personali. Noi non possiamo che ammirare l’umanità che racconta e l’umanità che si manifesta nei suoi versi.
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