IL PRIMO MARTIRE
Il 26 dicembre la comunità dei cristiani festeggia l’ascesa al cielo, la morte, di Santo Stefano. Ma chi era? Perché la sua dipartita è rimasta indelebilmente legata al Natale, il giorno della nascita terrena di Gesù il Nazareno? Le risposte sono legate alla tradizione antica della religione cristiana. Stefano era vicino agli apostoli, i dodici che seguivano Gesù. Dopo la dipartita del Redentore, questi scelsero sette diaconi che dovevano prendersi cura della comunità dei credenti. Insomma delle persone che dovevano gestire la vita comunitaria dei primi cristiani. Fra questi c’era Stefano. Anzi questi, pur giovanissimo, era il punto di riferimento della comunità, sconvolta e confusa dalla prematura dipartita del Messia, morto in croce. Per questo motivo le istituzioni ufficiali, sia statuali che religiose, vedevano in Stefano un pericoloso antagonista della loro autorità. Il cristianesimo nascente era visto come una parte del ebraismo estremamente attiva che si poneva come dura giudice delle autorità sacerdotali, troppo prone a lasciarsi irretire dalle lusinghe del potere.
Il giorno della sua morte Stefano era impegnato a svolgere le sue abituali funzioni di diacono, cioè di guida della comunità. Fu additato dalle autorità sacerdotali ebraiche quali apostata, cioè traditore della stessa religione ebraica. Il santo difese fermamente le sue idee. Per lui, come per l’intera comunità cristiana del tempo e anche di oggi, aderire al messaggio di Gesù non era affatto un atto di ripudio della legge mosaica, anzi il Vangelo, la lieta novella, era il compimento delle promesse che Dio aveva fatto ad Abramo, ad Isacco e a tutta la sua discendenza, come si evince dalla Bibbia. Stefano sceglie di non ripudiare Gesù. Sceglie di essere coerente al messaggio ultimo e definitivo che Dio aveva dato all’uomo attraverso il suo Figlio Unigenito. Sceglie di non ripudiare la dottrina e la fede cristiana. Per questo fu lapidato dalla folla, esattamente come Gesù fu condannato dalla gente chiamata a scegliere fra lui e Barabba. Le pietre colpirono il corpo e il volto di Stefano. Il primo martire si accasciò a terra, fu lapidato secondo la legge mosaica. La legge per cui Stefano aveva lottato tutta la vita con coerenza. Morì per le congiure e i sotterfugi di una classe sacerdotale infida e pronta a riconoscere ogni nuova elaborazione dottrinale, come era il messaggio di Gesù, come una minaccia.
Stefano era ebreo ed era cristiano. Il messaggio di Gesù era il compimento delle scritture. Il Cristianesimo era la prosecuzione del atto di salvezza di Dio verso gli uomini. Ma la comunità politica di allora non seppe cogliere la novità di salvezza. Preferì ripudiare, fino al punto di uccidere, coloro che seguivano i dettami del nazareno. Anche oggi, purtroppo, avviene spesso che si preferisce la violenza all’ascolto, chi porta un messaggio diverso da quello che si considera il proprio, viene brutalmente ucciso. Lo fanno i terroristi che dichiarano di ispirarsi all’Islam. Lo ha fatto Hitler, che non ha esitato ad uccidere milioni di persone, pronunciando la falsità blasfema: Dio è con noi. L’hanno fatto i crociati, nel Medioevo, lo hanno fatto tutti coloro che in nome di una convinzione hanno ucciso il proprio prossimo. Stefano è il simbolo e l’icona di coloro che sono perseguitati dalla violenza altrui. Stefano fu ucciso perché non volle mai rinunciare alla sua convinta fede verso un uomo, che considerava Dio, cioè Gesù. Tanti sono gli uomini che nei millenni sono stati martiri pacifici, cioè hanno sacrificato la loro vita per rimanere coerenti alle loro convinzioni. Bisogna prendere esempio da Stefano e da quelli come lui. Bisogna essere coerenti, fino alla morte e al sacrificio della vita, alle proprie idee, ma mai, dico mai, rendere violenza alla violenza. Mai rispondere con l’omicidio all’omicidio. Stefano non voleva essere vendicato. Voleva essere ricordato come uomo di fede. Stefano è diventato luce, per la sua morte, in un mondo buio, in cui l’odio verso l’altro sembrava prevalere sull’amore. Ha dato l’esempio. Pacificamente bisogna mostrare la propria fede in Gesù, anche se questo conduce alla morte. Questo suo essere docile agnello condotto all’altare, esattamente come il Maestro Gesù, rende Stefano un fulgido esempio per tutta l’umanità. Per questo lo si ricorda il giorno dopo il Natale. Come la nascita del bambinello di Betlemme, ha aperto cieli nuovi e terre nuove, il sacrificio di Stefano ha mostrato la via verso la pace, che è il sacrificarsi fino alla morte, pur di non rispondere alla violenza con la violenza. Allora riconosciamo Stefano, quale uomo di pace e coerenza, come l’esempio da seguire per tutti. Nella speranza che finirà il tempo in cui essere latori di pace vuol dire morire, come ci Gesù ha promesso che sarà quando disse: Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio (dal Vangelo di Matteo).
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