martedì 24 luglio 2018

GLOBALIZZAZIONE


SEMBRAVA INEVITABILE

Il cammino del progresso

Sembrava inevitabile che il mondo dovesse diventare globale. Sembrava inevitabile che la finanza portasse i suoi quattrini, spesso sporchi, ovunque fruttassero di più. Sembrava inevitabile che le imprese trasferissero di produzione verso luoghi in cui lo sfruttamento dell'uomo sull'omo fosse ancora più accentuato, per produrre ancora più profitto. Sembrava inevitabile che le persone si spostassero per trovare salvezza dalla fame e dalla disperazione a cui li aveva condannati il luogo in cui erano nate. Tutte le certezze del XIX e XX secolo, dallo stato nazione alla rivendicazione dei diritti sociali, sembrano spazzate via dal turbinio della cosiddetta globalizzazione. Il mondo doveva cambiare, essere diverso da quello dei nostri padri, grazie agli accordi sul libero scambio (WTO) che negli anni '90 del secolo scorso avevano concluso i governi dei più importanti stati. La fine dell'idea comunista aveva lasciato lo spazio al dio del mercato, alla mano invisibile dell'economia che, per effetto dell sue ferree regole, metteva a posto ogni cosa. Perfino la Cina, l'ultimo grande paese socialista, sottostava alle regole del mercato e si accingeva ad entrare nella comunità mondiale degli affari. La storia è finita, sentenziava l'economista anglo giapponese Francis Fukuyama. Intendeva dire che sarebbero finiti gli scontri dialettici fra le grandi ideologie e fra le grandi visione diverse del mondo, tutta la terra doveva progredire in base alla forza stessa del sistema economico. certo non diceva che sarebbero sparite le guerre, ma le considerava quasi un'accidente, rispetto a un inevitabile cammino di progresso.

La risposta

La nuova era dei commerci internazionali doveva portare ricchezza e prosperità per tutti. Niente di tutto ciò è successo. La globalizzazione è giunta, ma non ha portato concordia, solo frizioni. Quelli che dovevano apparire movimenti di disturbo, gli antiglobalisti e i sovranisti, sono diventati protagonisti indiscussi della politica mondiale. Trump in america, Putin in Russia, Salvini, nel suo piccolo orticello, in Italia sono i campioni dell'antiglobalizzazione. Basta con le imprese che delocalizzano. Basta con le migrazioni incontrollate. Bisogna dare risposte alle persone che hanno perso il proprio posto di lavoro, perché l'azienda per cui lavoravano produce in terre lontane.bisogna dare risposte a coloro che vedono la propria casa e la propria famiglia minacciate da persone che vengono da lontano e sconosciute. Ma le risposte e le reazioni alla nuova epoca sono state rilevanti anche in altre zone del mondo. Il mondo islamico, una minoranza pur significativa, ha reagito a questo stato di cose con il terrorismo. Una reazione oscurantista a un mondo che ti impone di cambiare e mettere in discussione usi e costumi. Una risposta complessa. Alle volte totalmente inaccettabile, quale è la risposta terrorista. Altre volte condivisibile, la risposta degli operai che chiedono che la fabbrica non chiuda.

Che fare?

Come rispondere alla domanda di certezza che sottintende la rivolta alla globalizzazione? Questa è una domanda complessa, che non può essere risolta in due parole. La strada è lunga. Il progetto di un mondo in cui si metta al centro l'uomo e la donna e non il denaro o la sete di comando e di potere appare, obbiettivamente, un disegno utopico. La risposta alla globalizzazione non deve essere la chiusura all'altro. Non deve essere il burqa, simbolo di una cultura maschilista e segregazionista, che caratterizza la parte del mondo arabo più oltranzista. L'estremismo uccide non solo le vite, ma anche l'anima delle persone. L'estremismo toglie energia vitale al mondo, quell'energia che è la donna che viene reclusa nel mondo islamico più gretto. L'estremismo fa perdere l'umanità, chiude i confini, rende insensibili di fronte alla sofferenza altrui. Allora provare a ripartire dall'umanità, dal valore assoluto della vita e del singolo, può essere l'unico modo di cambiare le cose. Se una politica uccide, non va bene, va cambiata. Se una cultura reclude la donna in uno stato di sottomissione, vuol dire che non è degna. Bisogna testimoniare che l'unica strada percorribile è la difesa della vita. Sia la globalizzazione sia le attuali ideologie a lei antagonista producono morte e dolore. Non vanno bene. Pensare a qualcosa di nuovo, non a una terza via, a qualcosa che implichi compromesso, ma a un progetto di umanità totalmente altro che rinneghi sia le logiche del profitto sia le logiche oscurantiste è necessario. La strada verso la libertà e l'emancipazione umana è lunga. Dobbiamo provare a percorrerla, non abbiamo alternative.

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