giovedì 24 settembre 2020

IL NUMERO DEI PARLAMENTARI

 


ORA SONO DI MENO

Chi vi scrive ha votato “si” al referendum costituzionale che chiedeva a noi cittadini se volessimo che la proposta di riforma costituzionale approvata in seconda lettura definitivamente dal Senato della Repubblica  l’11 luglio 2019 e dalla camera dei Deputati il 19 ottobre 2019 e pubblicato in gazzetta ufficiale il 12 ottobre 2019 diventasse pienamente parte della nostra Carta Costituzionale e di conseguenza modificasse gli articoli 56 e 57 della nostra carta fondamentale. Come sapete il referendum ha avuto luogo Domenica 20 e lunedì 21 settembre del 2020. Ha vinto il “si”. Si ridurranno i componenti del senato dagli attuali 315 a 200. Saranno meno anche i deputati passeranno dagli attuali 630 a 400. È stata una vittoria schiacciante. Chi, come me, ha votato “si” è stato il 70% di coloro che hanno scelto di votare per il quesito referendario. Una vittoria netta e indiscutibile. I rappresentanti del popolo che siederanno in futuro a Montecitorio e a Palazzo Madama saranno meno degli attuali.

Ma cosa succederà adesso? Come fare in modo che le due camere, da sempre popolate da un numero di senatori e deputati di oltre 1000 persone, continuino a funzionare con 600 membri? Spetta a coloro che sono stati “sforbiciati” fare in modo che la riforma funzioni. Spetta alla legislatura in corso, di cui fanno gli attuali senatori e deputati, compiere le riforme necessarie per garantire la rappresentanza del corpo elettorale e il corretto funzionamento delle future assemblee legislative in quelle future. Il loro fallimento vorrebbe dire il caos.

Il dibattito si concentra sulla legge elettorale che sarebbe necessaria per garantire allo stesso tempo governabilità e adeguata rappresentanza. Come è possibile garantire che le nuove Camere siano in grado di comporre una solida maggioranza capace di votare la fiducia all’Esecutivo venturo e allo stesso tempo garantire che ogni luogo del paese sia adeguatamente rappresentato. Trovare una risposta a questa domanda può apparire semplice, ma non lo è. Lo dimostra il passato. La Cote Costituzionale ha bocciato in passato la riforma elettorale approvata dalle Camere e presentata dall’allora ministro Roberto Calderoli, esponente importante del partito Lega nel 2014. La tesi della massima corte di giustizia italiana che tale legge elettorale non garantiva il legame fra eletto ed elettore, essendo di fatto i componenti delle camere designati direttamente dai partiti. In più dava un irrazionale premio di maggioranza alla coalizione che arrivava prima. Qualunque fosse la sua percentuale, anche solo il 20%, gli dava un “premio di maggioranza” tale da garantire il 55% dei deputati e senatori, un fatto assolutamente considerato incostituzionale dalla corte, perché non garantiva affatto l’espressione della volontà popolare, arrivando al paradosso che un governo potesse essere in carica con l’appoggio di partiti osteggiati dalla stragrande maggioranza degli elettori. La legge si ispirava ad alcune tornate elettorale degli anni ’30 del secolo scorso, in cui gli elettori erano chiamati a dare il loro assenso alle decisioni del leader del partito di governo, che aveva scelto chi dovesse occupare la camera dei rappresentanti. La Corte Costituzione dichiarò che questo modello di legge elettorale era incompatibile con la Costituzione Repubblicana.

Ora il parlamento si trova ancora una volta a dover fare i conti con la legge elettorale. La norma, ancora in vigore,  che sostituisce la Legge Calderoli denominata legge Rosati, dal primo firmatario della sua proposta, approvata ed entrata in vigore nell’ordinamento italiano il 3 novembre 2017, pur non avendo le forti criticità di natura incostituzionale della Calderoli, come traspare dal dire su di lei della Corte Costituzionale, ha molte lacune. Prima delle quali: anch’essa non permette all’elettore di votare una persona, ma una lista. La Corte Costituzionale, però, ha dichiarato che essendo tale lista “più corta”, cioè i nomi dei candidati sono meno rispetto a quelli della legge Calderoli, non intacca in modo grave e duraturo il diritto degli elettori di scegliere i propri candidati. Provo a spiegare: con la legge Calderoli ogni partito presentava nei vari collegi un listone di candidati che il votante poteva solo approvare o no, votando un altro partito. Insomma era chiamato a scegliere solo la lista, e non le persone. Con la legge Rosati, il numero dei candidati minori presenti nei collegi permetteva una rapporto più veritiero con la volontà espressa dal corpo elettorale. Rimane però il fatto che l’attuale legge non è compatibile con la forte riduzione del numero dei parlamentare. Abbisogna di una nuova norma che garantisca che realmente tutti ed ognuno abbia modo di sentirsi rappresentato dai nostri deputati e senatori. Quale legge può andare bene? Un sistema proporzionale, con possibilità di scegliere i singoli candidati, ma con una soglia di sbarramento? È la proposta che sembra auspicata dalla maggioranza che appoggia il governo Conte. Un sistema uninominale – maggioritario con collegi piccoli? È la proposta delle opposizioni Lega e Fratelli d’Italia, che fra l’altro le elezioni locali di domenica confermano che siano maggioranza nel paese. Difficile trovare un bandolo della matassa. Io penso che alla luce degli eventi non solo recenti, ma degli ultimi due decenni, la legge elettorale mista, maggioritario e proporzionale, proposta dall’attuale presidente della Repubblica, quando era sentore, Sergio Mattarella, sia quella che ha dato risultati migliori. Tornare ad essa non sarebbe un peccato.

Insomma pensare al cambiamento, pensare a un sistema parlamentare che vive con un minor numero di componenti, è indispensabile. Non c’è altra strada percorribile che riformare in maniera efficace ed immediata la legge elettorale ed anche i regolamenti delle due assise legislative. I regolamenti sono degli atti ordinativi di autonomia delle Camere che regolamentano il funzionamento delle due assemblee. Rendere questi atti a funzionare anche in presenza di un numero minore di componenti è indispensabile per far vivere ed operare le Commissioni in cui si discutono compiutamente le proposte di legge e, spesso, vengono scritti rilevanti emendamenti ad esse e addirittura, per alcune materie, le norme che diverranno legge dello stato vengono approvate direttamente nelle commissioni, senza passare dalla assemblea parlamentare in forza del terzo comma dell’articolo 72 della Costituzione Italiana. Cambiare le regole parlamentari vuol dire garantire il dibattito nell’aula in modo tale che siano rispettate le istanze di tutti, anche dei partiti minori. Insomma c’è tanto da fare. La riduzione dei parlamentari è un primo passo, indispensabile e fondamentale, ma solo il primo passo per avviare un reale rinnovamento delle assemblee legislative nazionali. Bisogna che i rappresentanti del popolo abbiano a disposizione gli strumenti reali ed efficaci per dialogare con i loro rappresentati. È urgente mettere in moto un articolato progetto di rinnovamento delle istituzioni repubblicane che permetta la partecipazione popolare. Bisogna pensare a potenziare i sistemi di partecipazione popolare: i referendum, le petizioni e le iniziative e proposte di legge popolare. Cambiare è necessario. Le proposte del Movimento Cinque Stelle volte a incrementare la democrazia diretta possono essere  la base per avviare un progetto di riforma condivisa, che non rigetti la Costituzione Vigente, ma che al contrario la renda viva e sentita come strumento di vera democrazia. Suvvia coraggio. Pensiamo al paese. Ora sono di meno (i parlamentari), ma devono compiere un atto di profondo rinnovamento che deve rendere più libero, più giusto, più felice il nostro paese, con l’aiuto di noi cittadini.

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