giovedì 29 ottobre 2020

IL DOMANI OSCURO


 

IL DOMANI OSCURO

I dati del contagio fanno paura. Dopo mesi il Corona Virus, morbo che sta segnando questo anno, è ancora a mietere vittime. Regioni simbolo del nostro paese, il Veneto, la Liguria, il Piemonte e la Lombardia sono in ginocchio. Le regioni più industrializzate sono allo stremo. Lo stesso vale per la regione Lazio, culla della civiltà romana e la Campania. Ma l’elenco delle zone del nostro Bel Paese colpite dalla pandemia è lungo,  tutta l’Italia è segnata dall’infezione, oramai da tempo. Sono lontani anni luce i mesi di Febbraio e Marzo quando l’infezione sembrava circoscritta in alcuni territori. Questi tempi, certo, facevano paura, ma visti con gli occhi nostri che hanno scrutato gli eventi successivi, appaiono poca cosa di fronte agli ospedali saturi di malati gravi, ad Attilio Fontana, presidente della Regione Lombardia, che a Giugno rimaneva isolato nel suo studio perché in quarantena. A Guido Bertolaso, chiamato da Matteo Salvini e Silvio Berlusconi in Lombardia per fronteggiare l’emergenza e poi ammalatosi anche egli. Ora ci troviamo di fronte a un’emergenza simile a quella d’inizio estate. Il terrore di rivedere l’esercito scortare i morti per dargli una sepoltura, come successe nelle terre lombarde, a Bergamo, è forte. Il terrore di rivedere l’emergenza a Vò, in Veneto

I dati sono allarmanti. A fronte di un alto numero di “tamponi”, come viene chiamato il sistema più efficace per individuare i malati di Corona Virus si riscontrano un numero altissimo di malati. La Campania è anch’essa terribilmente colpita, con un alto numero di contagi. A poco sono servite le misure preventive del Presidente campano, Vincenzo De Luca, che appaiono atti velleitari al pari del suo omologo lombardo Attilio Fontana. L’emergenza ha messo in luce le profonde debolezze di un sistema sanitario nazionale che è fondato sul regionalismo, ed è giusto sottolineare la contraddizione che non è solo lessicale ma anche metodologica. Come si può affidare la salute collettiva di tutta la popolazione nazionale alla gestione della politica locale? Non sarebbe meglio rimodulare l’azione di profilassi pubblica su modelli che si fondano sul pensiero volto a preservare il bene comune, cioè gli standard sanitari che devono essere uguali per tutti a prescindere dal censo e dal luogo in cui si è nati. Il pensiero va a Nicola Zingaretti, presidente della regione Lazio, anch’esso positivo, poi guarito, al Corona Virus qualche mese fa. Anche la regione della Capitale sta soffrendo per l’emergenza. Gli ospedali sono saturi. C’è un affollamento nei centri di diagnostica. C’è un pericolo reale di propagazione del morbo. Anche il Lazio è in emergenza e non riesce ad uscirne. Insomma ogni parte del paese è in pericolo, vale per la Sicilia e per la Sardegna. Ricordiamo che Flavio Briatore si è ammalato in Costa Azzurra.

Allora che fare? La reazione del governo nazionale, guidato da Giuseppe Conte, c’è stata, ma i dubbi sull’efficacia ci sono. Le riaperture delle attività commerciali di svago di Agosto e Settembre sono state forse la causa della perpetuazione del Virus anche in questo triste autunno. Era necessaria un’azione più severa, anche se questo sarebbe andato a discapito di una già difficile congiuntura economica che vede l’Italia, come il resto del mondo, precipitare in una crisi senza precedenti. Ma i dati sono implacabili. Il male non si è ridotto, anzi i contagi aumentano. Le responsabilità devono essere divise fra politica e amministrazione, ma è la politica la prima responsabile davanti alle scelte che garantiscono o non garantiscono il benessere della collettività. Davanti all’aumento dei contagiati e giusto che sia messo sotto una vigile lampada di controllo pubblico l’operato dell’Esecutivo. È bene che il governo, che sta utilizzando strumenti di comando eccezionali che esulano il normale agire pubblico, debba rispondere alla pubblica opinione. È il primo imputato davanti alle difficoltà del vivere quotidiano. È lui che deve garantire aiuto a coloro che gestiscono attività che purtroppo sono colpite dall’emergenza del contagio, penso ai bar i cinema i teatri le palestre e tanto altro. Insomma è ora che la coalizione Partito Democratico, Italia Viva, Liberi e Uguali e Movimento Cinque Stelle (quest’ultimo il più importante e con maggiori consensi parlamentari) reagiscano in modo da mettere al sicuro il paese. È bene che chiedano il supporto anche dei partiti che attualmente sono all’opposizione: la Lega (attualmente secondo i sondaggi il partito italiano con più consenti), Forza Italia e Fratelli d’Italia. Bisogna mettere al sicuro la salute di tutti. È questa l’unica e vera priorità che deve avere la politica oggi. Ce lo ricorda il nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che in questi mesi è indefessamente alla ricerca di ponti di dialogo fra i partiti, al fine di creare una solida unità nazionale pronta ad affrontare la malattia. Bisogna riuscire. Bisogna che cittadini, politica, istituzioni e, soprattutto, i medici e il personale sanitario facciano un fronte comune per portare serenità al paese e debellare il perfido Corona Virus, guarendo coloro che sono degenti e garantendo la salute a tutti. È l’unico modo per vedere la luce e non sprofondare in un domani oscuro.

martedì 27 ottobre 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE

 


ARTICOLO 83 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Il presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri.

All’elezione partecipano tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Valle d’Aosta ha un solo delegato.

L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell’assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta.”

L’articolo 83 della Costituzione è il primo dei nove articoli che compongono il titolo secondo della seconda parte della nostra Carta Fondamentale. Tale Titolo è interamente dedicato a delineare la figura e le funzioni del Presidente della Repubblica. Il Primo Cittadino dello stato ha un ruolo importantissimo. È il garante dell’unità nazionale ed è il sommo custode dei valori repubblicani. Il suo ruolo non è politico, non entra nell’agone dello scontro tra i partiti. La sua funzione travalica i tradizionali poteri dello stato. Il presidente della Repubblica non è inquadrabile all’interno del potere giudiziario, politico e legislativo. È chiamato a vegliare sull’attività di tutta la repubblica, in modo che venga garantito il rispetto delle regole democratiche fondamentali e la volontà del popolo. L’articolo 83 indica le modalità d’elezione dell’inquilino del Quirinale. La prima cosa da notare è che il Primo Cittadino dello stato non è eletto direttamente dal Popolo. È il Parlamento ad eleggerlo. Sono i rappresentanti dei cittadini, in seduta comune, a designare tale carica. A questi si sommano tre delegati per ogni Regione, solo la Valle d’Aosta, poiché ha un numero esiguo di abitanti, ha un solo delegato. Occorre notare che i delegati regionali vengono nominati dai Consigli Regionali. Ogni Regione sceglie i propri rappresentanti chiamati ad eleggere la prima carica dello stato. Le modalità di voto devono garantire che siano rappresentate anche le minoranze all’interno del Consiglio. Bisogna sottolineare che all’elezione del Presidente della Repubblica è chiamato il Parlamento in seduta comune. Non sono le due Camere gli organi costituzionali chiamati a questo compito, è un organo con proprie caratteristiche e con propria autonomia che è il “parlamento in seduta comune”. Un organo diverso anche da quello chiamato ad eleggere i membri della Corte Costituzionale e i membri del Consiglio Superiore. In questi casi il Parlamento è costituito dai membri del Senato e della Camera, mentre nell’elezione del Presidente della Repubblica vi è l’apporto prezioso dei rappresentanti delle Regioni. Insomma il Presidente della Repubblica eletto non è la mera espressione delle forze politiche nazionali, è anche il frutto delle scelte delle assemblee regionali. Il  Presidente della Repubblica è slegato da ogni rapporto con la maggioranza che l’ha eletto. Non deve dare conto alla maggioranza che l’ha eletto, ma deve rispondere all’intera nazione dei suoi atti. Il suo alto mandato non è politico nel senso stretto, è volto a compiere gli alti oneri che la Costituzione gli impone di rispettare. Anche per questo l’articolo 83 prescrive maggioranze elevate per eleggerlo. Il Parlamento in seduta comune deve raggiungere un consenso molto ampio sul candidato. Nei primi due scrutini è necessario il convergere dei due terzi dell’assemblea su un candidato per determinarne l’elezione. Negli scrutini successivi il quorum si abbassa. Comunque è necessario il consenso della maggioranza assoluta dei componenti dell’assemblea per determinare l’elezione del Presidente della Repubblica. Un quorum alto se si pensa che è stato pensato quando le i rappresentanti delle Camere erano eletti con un sistema proporzionale che favoriva la frammentazione politica. Bisogna ricordare che il parlamento in seduta comune è, per prassi e tradizione, presieduto dal Presidente della camera dei Deputati, che svolge la funzione di garante dell’assemblea parlamentare. Gli uffici di presidenza sono gli stessi della Camera, come lo sono i funzionari e gli assistenti. Insomma il Parlamento in seduta Comune mutua i regolamenti e la prassi della camera dei Deputati. In teoria potrebbe darsi un regolamento proprio, come tutti gli organi costituzionali assembleari. Ma le funzioni, meramente elettive, e i tempi, limitati all’espletamento delle funzioni elettorali, hanno scoraggiato tale scelta. Si è preferito mutuare il regolamento della Camera dei deputati.

giovedì 22 ottobre 2020

LA MEMORIA

 


IL TEMPO DELLA MEMORIA

Il Medioevo è un momento particolare della storia dell’occidente, e soprattutto dell’Europa. È come se quello che si chiamerà il Vecchio Continente si fosse ripiegato in se stesso per poter, poi, compiere il balzo decisivo. Il balzo, oso dire, che avrebbe portato negli anni 60 del XX secolo fino a raggiungere addirittura la Luna. Insomma il Medioevo è il momento in cui la cultura ha guardato indietro, ha letto i grandi del mondo classico,  per poter porre le fondamenta di quel movimento intellettuale e artistico che si autodefinirà nel ‘400, con estremo orgoglio, Rinascimento. Ma cosa è successo nei secoli, che una certa dottrina chiama bui, ma che oscuri non sono affatto? Si è rimodulato il rapporto fra l’umanità e la natura. La ferinità dell’ambiente ha costruito le basi per far nascere la certezza che l’uomo può difendersi dagli eventi naturali solo se è in comunità. Sant’Agostino disegnerà la città come il luogo per antonomasia in cui l’umanità vive in sicurezza e progredisce alacremente. Metterò in contrapposizione la città degli uomini, il luogo della vita sociale quotidiana, con la città di Dio, cioè con la perfezione che si adempie con il mantenimento delle promesse che Dio ha fatto agli uomini. Ma urge sottolinearlo per Agostino, come per tutti gli uomini che verranno dopo di lui, è la Città il luogo in cui l’umanità si compie sia nella sua tensione al quotidiano sia in quella verso l’epifania della sua similitudine a Dio.

Insomma il Medioevo è il tempo della rilettura del passato. È la scoperta della centralità della natura umana rispetto agli imperiosi attacchi naturali. È il tempo della ricerca spasmodica della sicurezza in un mondo ove omo omini lupus. Cioè è il tempo della ricerca di una pace interiore e relazionale, in una realtà in cui gli attacchi esterni, i barbari, intesi come violenti invasori, sono l’elemento predominante e che fa paura. Il Medioevo è quindi il tempo dei Castelli, delle Fortificazioni, dei fortini contro il male che circonda e uccide. È il tempo della fine dei tempi. La sensazione che la Fine del Mondo fosse prossima era forte. Ecco perché bisognava raccogliere il patrimonio culturale dell’intera umanità è accingersi a donarlo a Dio, quale sacrificio dell’intera stirpe umana offerto al divino. Ecco perché i monasteri erano diventati ricettacolo di tutta la tradizione antica. Le biblioteche erano diventate il luogo della conservazione della memoria degli atti e delle opere umane da mostrare a Dio quale ottimo olocausto.

Questo stato di terrore, la paura di morire per mano di altrui mani crudeli o a causa del disegno apocalittico divino, ha fondato la base della cultura, che il Rinascimento, paradossalmente, chiamerà Medievale. Mente i dotti dei secoli tristi non vedevano alcun futuro in terra, ma solo quello celeste con il nuovo avvento di Cristo. Coloro che verranno dopo, guarderanno anche con disprezzo, un’epoca da loro considerata solo come una transizione fra i tempi dell’architettura e della letteratura classica e quella che sarà la cultura moderna, dal Rinascimento ai giorni nostri. Ma il Medioevo non è solo un sbiadito passaggio di consegne fra Virgilio e Dante, fa la letteratura di ieri e quella moderna. Il Medioevo è anche rimodulazione del linguaggio. È sana contaminazione fra culture diverse. È scontro violento, certo, ma è anche incontro. Incontro fra il mondo latino e quello germano. Incontro fra la cultura mediorientale, incarnata dagli arabi diventati musulmani, e quella Mediterranea. È violenza, certo. Ma purtroppo quale epoca non è segnata da morte? Dobbiamo ricordare gli orrori del XX secolo. Ma è anche costruttivo raffronto. Allora è il momento di ricordare il tempo in cui la memoria era predominante. Il Medioevo è stato prezioso proprio perché ha saputo conservare la memoria del passato, ponendo le basi per il futuro. È stato, ho già detto, il momento in cui l’atleta chiamato umanità si è rannicchiato per poter giungere con un balzo al cielo. Come ci ricorda dante Alighieri bisogna attraversare l’oscurità dei meandri dell’inferno per poter al fin rivedere le stelle.

IL CAMMINO ACCIDENTATO E DOLOROSO DELLE DEMOCRAZIE

 


AMERICA

Quello che è successo a Minneapolis il 30 maggio 2020 segnerà profondamente la vita sociale degli USA. La morte di George Floyd, un afroamericano, ha messo nuovamente in discussione la pace sociale del paese. Ricordiamo che Floyd è morto soffocato ad opera di un poliziotto bianco. Il cui nome è Darek Chauvin che ha soffocato la vittima ponendogli un ginocchio sul collo. Questo gravissimo episodio ha provocato in questi giorni la protesta vibrata e, purtroppo, in alcuni momenti significativi violenta dalla comunità di colore statunitense. Perfino la Casa Bianca è stata letteralmente ostaggio dei manifestanti. Donald Trump, il presidente, e rimasto intrappolato nella sua residenza, non potendo uscire da lì se non attraverso l’uso di elicotteri o uscite non conosciute al pubblico. Il presidente intrappolato ha accusato apertamente il sindaco di Washington, rea, si tratta di una donna, di aver costretto alla cattività il primo cittadino degli States. Trump ha richiamato il senso di insicurezza, sentimento che non è solo suo ma di gran parte della popolazione. Non ha mancato di denunciare le colpe di Barack Obama, l’ex presidente, per questo senso di insicurezza che caratterizza la società in questo tempo. Ma quello che vorrei sottolineare è il sommovimento che caratterizza ormai molte città americane. Le proteste non sono a Minneapolis, sono anche in tutte le grandi città americane. Abbiamo ricordato le manifestazioni di Washington che hanno circondato la Casa Bianca, ma è bene ricordare il manifestare di Los Angeles, di New York e di molte altre metropoli. Noi abbiamo ricordato in altri scritti gli scontri violenti che ci sono stati, i quali hanno provocato morti e feriti fra cittadini e forze dell’ordine, fino al punto da provocare un morto e molti feriti. Questo è deprecabile. Bisogna tendere a costituire una società che dialoga e si confronta ripudiando ogni forma di violenza. Ma quello che urge sottolineare è che il ribellarsi della popolazione, di colore ma non solo, alla violenza contro Floyd e gli altri come lui, è un modo per poter costruire una comunanza di persone che si fonda sulla convivenza pacifica, e ripudia radicalmente ogni forma di strumento cruento per affermarsi come persona e per mettere ordine nella comunità. Vivere pacificamente è l’unico mezzo per vivere meglio. Se perfino l’uomo più potente del mondo, Donald Trump, è rimasto prigioniero degli scontri e della violenza non riuscendo a gestire la propria vita, vuol dire che la società non riesce a creare quelle basi di sicurezza che è il presupposto per vivere una vita bella. In America, e purtroppo non solo lì, non si può uscire di casa senza rischiare di essere vittima di violenza “istituzionalizzata” (la polizia che uccide un cittadino) oppure dalla criminalità comune e no. Questo stato di cose è necessario che cambi. Bisogna che l’altro non sia più visto come un pericolo per la propria stessa vita. Questo non è certo un obbiettivo facilmente raggiungibile. Ma è l’unico modo per costruire una società migliore. Bisogna fondare il nostro agire sociale e politico sul sentimento della comunanza, sulla convinzione che se la vita del mio prossimo migliora anche la mia vita. Il benessere di chi mi sta vicino produce il mio benessere. Allora sperare che la pace torni, sperare che le violenze razziali e fasciste, penso a organizzazioni quali il clux xlu clan, che sfruttano le dicotomie fra comunità bianca e nera per fomentare il male. Bisogna rispondere a questa cultura dell’odio con una coltura (intendo coltivazione, fare cresce come un albero), della pace.

PARLANDO DI COSTITUZIONE

 


ARTICOLO 83 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Il presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri.

All’elezione partecipano tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Valle d’Aosta ha un solo delegato.

L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell’assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta.”

L’articolo 83 della Costituzione è il primo dei nove articoli che compongono il titolo secondo della seconda parte della nostra Carta Fondamentale. Tale Titolo è interamente dedicato a delineare la figura e le funzioni del Presidente della Repubblica. Il Primo Cittadino dello stato ha un ruolo importantissimo. È il garante dell’unità nazionale ed è il sommo custode dei valori repubblicani. Il suo ruolo non è politico, non entra nell’agone dello scontro tra i partiti. La sua funzione travalica i tradizionali poteri dello stato. Il presidente della Repubblica non è inquadrabile all’interno del potere giudiziario, politico e legislativo. È chiamato a vegliare sull’attività di tutta la repubblica, in modo che venga garantito il rispetto delle regole democratiche fondamentali e la volontà del popolo. L’articolo 83 indica le modalità d’elezione dell’inquilino del Quirinale. La prima cosa da notare è che il Primo Cittadino dello stato non è eletto direttamente dal Popolo. È il Parlamento ad eleggerlo. Sono i rappresentanti dei cittadini, in seduta comune, a designare tale carica. A questi si sommano tre delegati per ogni Regione, solo la Valle d’Aosta, poiché ha un numero esiguo di abitanti, ha un solo delegato. Occorre notare che i delegati regionali vengono nominati dai Consigli Regionali. Ogni Regione sceglie i propri rappresentanti chiamati ad eleggere la prima carica dello stato. Le modalità di voto devono garantire che siano rappresentate anche le minoranze all’interno del Consiglio. Bisogna sottolineare che all’elezione del Presidente della Repubblica è chiamato il Parlamento in seduta comune. Non sono le due Camere gli organi costituzionali chiamati a questo compito, è un organo con proprie caratteristiche e con propria autonomia che è il “parlamento in seduta comune”. Un organo diverso anche da quello chiamato ad eleggere i membri della Corte Costituzionale e i membri del Consiglio Superiore. In questi casi il Parlamento è costituito dai membri del Senato e della Camera, mentre nell’elezione del Presidente della Repubblica vi è l’apporto prezioso dei rappresentanti delle Regioni. Insomma il Presidente della Repubblica eletto non è la mera espressione delle forze politiche nazionali, è anche il frutto delle scelte delle assemblee regionali. Il  Presidente della Repubblica è slegato da ogni rapporto con la maggioranza che l’ha eletto. Non deve dare conto alla maggioranza che l’ha eletto, ma deve rispondere all’intera nazione dei suoi atti. Il suo alto mandato non è politico nel senso stretto, è volto a compiere gli alti oneri che la Costituzione gli impone di rispettare. Anche per questo l’articolo 83 prescrive maggioranze elevate per eleggerlo. Il Parlamento in seduta comune deve raggiungere un consenso molto ampio sul candidato. Nei primi due scrutini è necessario il convergere dei due terzi dell’assemblea su un candidato per determinarne l’elezione. Negli scrutini successivi il quorum si abbassa. Comunque è necessario il consenso della maggioranza assoluta dei componenti dell’assemblea per determinare l’elezione del Presidente della Repubblica. Un quorum alto se si pensa che è stato pensato quando le i rappresentanti delle Camere erano eletti con un sistema proporzionale che favoriva la frammentazione politica. Bisogna ricordare che il parlamento in seduta comune è, per prassi e tradizione, presieduto dal Presidente della camera dei Deputati, che svolge la funzione di garante dell’assemblea parlamentare. Gli uffici di presidenza sono gli stessi della Camera, come lo sono i funzionari e gli assistenti. Insomma il Parlamento in seduta Comune mutua i regolamenti e la prassi della camera dei Deputati. In teoria potrebbe darsi un regolamento proprio, come tutti gli organi costituzionali assembleari. Ma le funzioni, meramente elettive, e i tempi, limitati all’espletamento delle funzioni elettorali, hanno scoraggiato tale scelta. Si è preferito mutuare il regolamento della Camera dei deputati.

PREVENZIONE E SALUTE COLLETTIVA

 GLI EVENTI

Oggi sembra che si sia tornato indietro di qualche mese. Il virus sta colpendo con veemenza esattamente come a primavera scorsa. Le terapie intensive, purtroppo, si stanno riempiendo di degenti. Gli ospedali sono in estrema allerta. Fortunatamente l'Italia si può avvalere di personale paramedico e medico ottimamente preparato e dedito alla cura del prossimo. Ma questo purtroppo non è sufficiente. Regioni importanti, come la più importante la Lombardia, stanno soffrendo l'irruenza del procedere del morbo. La campania è allo stremo. Il Nord e il Sud del paese è segnato dall'emergenza. Come fare? Come Reagire? Trovare una risposta a queste domande è la chiave per prendersi cura di chi è più debole ed rischia che il Corona Virus segni in maniera definitiva la sua esistenza. I malati cronici, gli anziani sono le persone che rischiano la vita. Ma, è bene ricordarlo, il Corona Virus non fa sconti a nessuno. Anche i più giovani sono colpiti, spesso guariscono senza troppe conseguenze postume, ma non bisogna mai scordare che il pericolo di gravi conseguenze è anche per loro. In più chi contrae il morbo, anche se non manifesta patologie (cosa che avviene), è comunque latore del malanno ad altri, ai propri cari agli anziani. Allora è il momento di essere consapevoli che gli eventi di oggi sono latori di un reale e presente pericolo alla salute di tutti e di ognuno. Bisogna avere comportamenti corretti. Bisogna portare la mascherina, per proteggere la salute di chi incrociamo e la nostra. Bisogna mantenere una distanza di sicurezza dall'avventore che incontriamo sia all'aperto e al chiuso. Dobbiamo tenere una distanza di un metro e mezzo da chi incrociamo in mezzo alla strada. Dobbiamo essere, possibilmente, ancor più accorti nei luoghi chiusi ove il virus permane nell'area per più tempo, perché non è disperso dal vento. Per questo è bene utilizzare tutti i dispositivi di protezione personale disponibili. E' bene arieggiare le stanze ove si incrociano le vite di molte persone. E' bene bonificare, cioè pulire affondo l'ambiente con detergenti e disinfettanti. Insomma bisogna dominare gli eventi. Bisogna fare in modo che il virus sia debellato grazie al nostro sforzo quotidiano animato dal buon senso e spirito sociale. La salute del nostro vicino è la salute nostra. Fare in modo che l'altro stia bene, sia sicuro, vuol dire garantire la nostra sicurezza. Non lo dimentichiamo mai. Gli eventi si dominano quando siamo comunità. Una comunità sa che per rimanere forte e viva deve porsi regole rigorose, democraticamente discusse e poi rigidamente rispettate. La distanza, il lavarsi spesso le mani, portare la mascherina e usare gel disinfettanti sono norme che bisogna rispettare.
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domenica 18 ottobre 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE

 


ARTICOLO 82 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse.

A tale scopo nomina fra i propri componenti una commissione formata in modo da rispecchiare la proporzione dei vari gruppi. La Commissione d’inchiesta procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria”.

L’articolo 82 della Costituzione prevede che ciascuna Camera possa disporre inchieste su materie di pubblico interesse. Ciò non esclude, come avviene sovente, che le camere possano disporre, con legge o atto bicamerale non legislativo, di impegnare nell’inchiesta l’intero Parlamento, istituendo una commissione detta bicamerale. Tale commissione è composta, in pari numero, da deputati e senatori. Sia che nasca una commissione monocamerale, sia che si istituisca una bicamerale, è d’obbligo che siano rispettati i rapporti di forza fra le organizzazioni politiche esistenti all’interno del parlamento. Ogni partito deve essere adeguatamente rappresentato all’interno delle commissioni d’inchiesta. L’inchiesta è uno strumento di controllo. È volta ad accertare le responsabilità di funzionari e uomini politici, in relazione ad una situazione di pubblico interesse. Basti ricordare le inchieste sul disastro del Vajont, sul caso Sindona, sulla loggi massonica P2. Possono essere istituite commissioni d’inchiesta volte a controllare il funzionamento di un apparato dello Stato. Tempo addietro è stata istituita una commissione sulla gestione delle risorse della principale azienda industriale dello Stato, I.R.I. Vi possono essere commissioni denominate legislative. Il loro scopo è quello di compiere inchieste su specifiche realtà sociali, al fine di trovare soluzioni normative atte a superare eventuali disparità socio culturali in determinate parti del paese. Pensiamo alle Commissioni per il Mezzogiorno. Le commissioni d’inchiesta vengono istituite con voto a maggioranza semplice. Questo ha prodotto non poche polemiche. Quando fu istituita la commissione Mitrochin, nel 2002, si voleva provare le responsabilità politiche di Romano Prodi in una vicenda di spie che coinvolgeva la vecchia Unione Sovietica. Fu una commissione voluta dalla maggioranza parlamentare composta da Forza Italia (all’ora si chiamava Popolo delle Libertà) e Lega. Un modo per vendicarsi del “nemico” di Berlusconi, quel Romano Prodi che gli aveva conteso la leadership del paese. Una storiaccia fatta di ex miliziani coinvolti nella guerra Jugoslava disposti a dire qualunque cosa pur di avere compensi. Sono stati diversi i cosiddetti “reclutatori”, come Le Havre, gente disposta a dire che Romano Prodi era stato pagato dalla URSS pur di avere non chiari benefici da parte della destra italiana. Questa Commissione d’Inchiesta si risolse in una farsa. È da ricordare l’imbarazzata relazione finale di Paolo Guzzanti, presidente della Commissione, che doveva essere il censore del “traditore” Prodi e invece fu costretto ad ammettere di aver chiamato persone a testimoniare senza aver accertato la loro credibilità dibattimentale. Lo scontro si trasferì sui giornali. Da  una parte “Il Giornale”, quotidiano di propaganda di Berlusconi, e dall’altra “Repubblica”, che al contrario critica da sempre le destre. L’uno difendeva la scelta di attaccare Prodi, l’altro intendeva stigmatizzare la Lega e il Popolo delle Libertà disposti a credere a notizie false pur di mettere in difficoltà l’avversario politico. Questo forse è stato il momento più basso della storia delle Commissioni d’Inchiesta. Che in passato hanno invece avuto il compito di combattere la mafia e la criminalità. Le Commissioni hanno gli stessi poteri e limitazioni dell’autorità giudiziaria. Possono interrogare testimoni, ordinare perizie, richiedere documenti. Il loro compito è di appurare verità storiche e giudiziarie. Il fine è di chiarire davanti alla nazione eventi oscuri che hanno turbato il quieto vivere della Repubblica. Ricordiamo le commissioni sul “Rapimento Moro”. Aldo Moro, statista e giurista di prestigio, fu rapito e ucciso dalle Brigate Rosse, un gruppo terrorista di matrice marxista leninista. I punti oscuri del tremendo atto di barbarie furono oggetto di elaborazione politica e di indagine di un’apposita commissione parlamentare. Leonardo Sciascia, intellettuale e scrittore siciliano di fama mondiale, ne fece parte, in quanto eletto in parlamento,scrisse da quell’esperienza un libro memorabile: “Il caso Moro”. Sono passati Quaranta anni da quel gesto barbaro, ancor oggi non si è fatta luce interamente sulla vicenda. Una cosa è certa le commissioni parlamentari sono state fonte di nuovi elementi che hanno reso possibile ulteriori indagini da parte della Magistratura Ordinaria. Un dato su cui si può ripartire per dimostrare che l’azione parlamentare d’inchiesta può avere importanza e può contribuire realmente a scoprire verità nascoste. Sarebbe bene che lo spirito della politica, in questo ambito, fosse quello di voler far luce su verità storiche e non quello di utilizzare gli strumenti d’indagine per meri interessi di parte. Il nostro paese ha vissuto tragedie epocali. Ricordiamo la strage di Ustica, quando cadde nei mari siciliani un aereo di linea uccidendo tutti i suoi passeggeri. Quell’incidente forse non fu un incidente. Quel veivolo fu abbattuto. Da chi? Nessuno lo sa ancora! È bene che la politica faccia luce su tali tragedie, è bene che le autorità statali dicano alla nazione intera ciò che sanno e al momento nascondono per non chiari interessi politici. Questo è il compito delle inchieste parlamentari. Fare luce sui problemi dell’Italia, aprendo una discussione franca e costruttiva fra tutte le forze politiche.

PAOLO E FRANCESCA

 


AMOR CHE A NULLO AMATO

Il canto V dell’inferno, scritto da Dante Alighieri, racconta al lettore della struggente e dannata storia di amore fra Paolo e Francesca. Francesca era figlia di Guido da Polenta, signore di Ravenna a cavallo fra i secoli XIII e XIV. Paolo è il fratello di Giacomo Malatesta, il reggitore di Rimini in quegli stessi anni. Francesca era stata promessa sposa dal padre Guido a Giacomo. Il matrimonio doveva suggellare l’alleanza fra le due potentissime signorie italiane. Ma il destino e il cuore aveva voluto che Paolo e Francesca si innamorassero perdutamente. Il matrimonio fra Paolo e Guido comunque si celebro. Come comunque visse, perdutamente consumata, la storia d’amore fra Paolo e Francesca. Il marito della giovine, scoperta la leason adulterina, uccise brutalmente e ferinamente i due.

Dante, accompagnato dalla sua guida Virgilio, incontra le due anime frementi, quelle di paolo e Francesca, ne secondo cerchio dell’Inferno, quello ove sono puntiti i lussuriosi. I dannati che hanno perso la luce di Dio perché inebriati dalla voluttà della carne, sono puniti sbattuti da un vento feroce e distruttivo. Come da vivi non sono riusciti a sfuggire alla forza naturale della sessualità e della sensualità, non riuscendo a contenersi, dopo la morte sono ancora oggetto della violenza della natura, in questo frangente non quella propria, ma quella naturale. Un vento tremendo li sbatte gli uni contro l’altro, incontrollabile come non fu controllata la loro passionalità nella loro stagione mortale. Fra i condannati a questo tormento c’è Didone, la fondatrice di Cartagine che amò insanamente Enea fino al punto di morire suicida e di porre le basi di inimicizia fra Cartagine, la sua città, e Roma, di cui Enea fu il progenitore. C’è anche la perfida Semiramide, che aveva fondato il suo potere sul regno assiro babilonese non solo sull’inganno ma anche sulla seduzione e la perdizione sessuale. Ma Il cuore del Canto V, il fulcro del racconto sui lussuriosi scritto da Dante, è la perduta vita di Paolo e di Francesca. Francesca parla al poeta. Gli racconta la loro triste storia. Dice come prima cosa al pellegrino di Firenze: O animal (essere vivente) grazioso e benigno.. se fosse (a noi due, Paolo e Francesca) il re dell’universo, noi pregheremmo per la tua pace. Nobili parole che appaiono contraddittorie con lo stato di condanna eterna di Francesca. Insomma paolo e Francesca sono esseri nobili, che hanno perso la propria salvezza perché non hanno saputo trasformare il loro sentimento in simulacro dell’amore divino, ma si sono lasciati trasportare dai sensi.

Siamo a uno dei temi cruciali non solo della dialettica dantesca, ma anche della Teologia Cristiana. Il dato che un sommo bene, l’amore, possa condurre due anime belle, Paolo e Francesca, verso la vertigine vergognosa della condanna eterna. È un dato incontestabile che strugge il cuore del Poeta. Anche lui ama, ama Beatrice, come può pensare che un tale sentimento che riesce ad innalzare l’uomo e la donna alle sublimi soavità della poesia, possa essere strumento di dannazione eterna? “Amor che a nullo amato, amor perdona”, spiega Francesca al poeta è la causa per cui lei e Paolo si sono lasciati cadere nella perdizione della sensualità. Ma veramente non c’è scampo? L’amore conduce necessariamente al peccato? Dante non lo crede affatto. Ha come punto di riferimento la sua Beatrice, che non l'ha condotto alla perdizione, ma al contrario lo sta portando, attraverso il cammino dell’oltretomba, alla contemplazione di Dio. Allora Dante piange e sviene, commuovendosi per la struggente storia d’amore di Paolo e Francesca. Piange per la loro struggente fine, assassinati dal fratello e marito Guido, a cui spetta la Caina cerchia, ove sono puniti gli assassini dei propri consanguinei, uno dei luoghi più orrendi e in cui vi sono le anime più nere dell’oltretomba disegnato e pensato da Dante. L’Alighieri non contemplava il delitto d’onore fra le cause di attenuazione di pena, cosa che purtroppo invece era nel Codice Penale Italiano fino a pochissimi decenni fa.

Ma il tema del canto V dell’inferno non è l’omicidio ferale. Il tema è l’amor cortese. Sono gli scritti su Lancillotto e Ginevra, che Paolo e Francesca leggevano assieme avidamente. È la passione che diventa letteratura. È il racconto di come un sentimento fra uomo e donna, possa diventare poesia e bellezza e incantare i cuori di chi legge e di chi scrive. È il racconto di come la letteratura possa essere galeotta, ricordiamo che Galeotto era colui che fece conoscere all’amore Lancillotto e Ginevra. Galeotto fu quel libro e chi lo scrisse, dice Francesca a Dante dichiarando così che la letteratura cortese aveva fatto perdura temente innamorare lei e il suo Paolo. È il dato oggettivo, che Dante costata, la letteratura e la poetica può portare sia alla somma beatitudine sia alla somma perdizione. Come poter ovviare ai pericoli che il leggere comporta? Come cercare la soavità della salvezza e non la bellezza della perdizione? Come evitare che la letteratura sia “Galeotta”. La risposta è nella Divina Commedia stessa. Dante ha colto il meglio della letteratura eterna, incarnata da Virgilio. La sua Beatrice ha scelto per lui una guida sicura, che non lo condurrà alla perdizione, ma alla salvezza. Insomma la letteratura, qualsiasi testo, non va censurato ma saputo leggere nell’ottica di salvezza che Dio ha offerto all’intera umanità. Per fare un esempio biblico la donna elevata ad esempio non deve essere Eva, ma Maria, madre di Gesù. Nella letteratura il modello positivo non è Didone, amante non ricambiata di Enea, ma è Lavinia, la sua sposa dalla quale ebbe la progenie che posero le basi per costruire i gloriosi destini di Roma. Lo stesso vale per gli uomini, non deve essere esaltata la lascivia di Alessandro o di Ciro o di Antonio, ma la probità di Augusto. Anche se Dante ha comunque un profondo senso di compassione per coloro che si sono lasciati perdere dalla soavità dei sensi, ma soprattutto dall’amore. Non è un caso che Francesca e Paolo, pur dannati per sempre, sono fra le figure più commoventi e belle della Divina Commedia.

Noi dopo secoli abbiamo difficoltà a condannare in maniera assoluta Paolo e Francesca, come invece fa Dante Alighieri. Abbiano sotto gli occhi, nel quotidiano, immagini di persone che si perdono e si ritrovano. Si innamorano e si disinnamorano. È difficile per noi concepire che questo loro battere il cuore, sia strumento di perdizione eterna. Ma è così, ed è ancor oggi, per la religione e la sensibilità cristiana. Farci i conti vuol dire confrontarsi con quello che è per noi l’epifania dei valori portanti del nostro essere. Innamorarsi di un altro o di un’altra che non sia il proprio marito o moglie è peccato, lo rimarrà per sempre per la cultura e la teologia cristiana, anche se non è più elemento di condanna statuale, come, posso aggiungere purtroppo (?), ma si lo aggiungo con convinzione, lo è in alcuni paesi di religione musulmana, ma anche cristiana.  Lo stato deve essere laico. Cioè deve distinguere fra reato, atto tremendo che offende l’altro e la società, e il peccato, atto che può e deve essere censurato solo dalla propria coscienza indirizzata da principi etici, legittimi e giusti, ma estranei all’ordinamento statuale. Allora coraggio. L’adulterio è peccato, forse conduce all’inferno o, forse, il Dio buono lo perdona, non lo sapremo mai. Ma non può e non deve essere strumento per condurre alla condanna statuale e sociale. Questo è una promessa che dobbiamo farci, noi cittadini del XXI secolo che rifiutiamo di giudicare il nostro prossimo in base alle “corna” (scusate il termine) che fa o riceve dal proprio coniuge. Ne risponderà prima di tutto alla propria coscienza, alla propria/o partner e, se ha fede, a Dio.

martedì 13 ottobre 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE

 


ARTICOLO 81 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Lo Stato assicura l’equilibrio fra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico.

Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali.

Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte.

Le Camere ogni anno approvano con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentato dal Governo.

L’esercizio provvisori del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi.

Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l’equilibrio fra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito complesso delle Pubbliche Amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei principi definiti con legge costituzionale”.

L’articolo 81 della Costituzione è stato modificato in maniera rilevante dalla legge costituzionale del 8 maggio 2012. Questa ha introdotto il cosiddetto “pareggio di bilancio”. L’articolo 81 tratta delle modalità in cui il parlamento autorizza entrate e spese pubbliche attraverso la legge di bilancio. A seguito della riforma la Costituzione impone che non vi possa essere un divario fra entrate e uscite annuali. In base all’articolo 81 della Costituzione novellato è vietato l’indebitamento per partite finanziarie. Insomma se vi sono spese, al netto degli interessi sul debito, debbono avere adeguata copertura. L’indebitamento è permesso alle regioni e agli enti locali solo per investimenti pluriennali soggetti ad ammortamento, cioè con garanzia che il debito venga estinto in un preciso arco di tempo. Insomma l’Italia intende avere un virtuoso rapporto con il proprio bilancio. Vuole che le spese siano adeguatamente coperte da entrate. È una scelta fatta dal ministro delle finanze del IV Governo Berlusconi, Giulio Tremonti. L’esponente politico volle riformare le leggi italiane adattandole alle normative europee di bilancio. Una scelta coraggiosa che non fu premiata dalle forze politiche che di lì a poco fecero cadere l’esecutivo. Giulio Tremonti ebbe l’appoggio morale e politico solo di Matteo Salvini, allora neosegretario della Lega, che lo volle candidare nelle fila del suo partito in segno di profonda stima verso una persona che aveva dimostrato la volontà di conformarsi ai dettami dell’Unione Europea. È importante notare che l’articolo 81 della Costituzione non impone una rigidità assoluta. Consente un incremento delle spese, ci pare, in caso di avverse fasi del ciclo economico. Almeno alla luce del primo comma, non appare azzardata tale interpretazione. La definizione generica di “avversità economiche” potrebbe indurre il parlamento e il governo a utilizzare la spesa pubblica come volano per la crescita, attuando le teorie keneisiane. Certo l’enorme debito pubblico che grava sulle nostre finanze inviterebbe alla prudenza. In questi anni, invece di diminuire, il nostro disavanzo pubblico si è accresciuto. Ciò è avvenuto malgrado le promesse dei governi a guida Partito Democratico di ridurre fortemente il debito. Insomma alla luce degli avvenimenti succedutisi dall’inizio del XXI secolo, i governi di destra e di sinistra hanno deluso sia le attese di crescita economica sia le prospettive di riduzione del debito. Un fallimento a cui hanno contribuito anche gli ingenti sprechi e gli scandali finanziari. Ricordiamo il crac di Bancaetruria, che ha coinvolto direttamente esponenti del PD, e il crac degli istituti di credito veneti e lombardi che hanno coinvolto direttamente la Lega. È ora di cambiare. È ora di pensare al bene dei cittadini, andando al di là degli interessi contingenti dei singoli partiti. È bene che non si sprechi denaro pubblico. È bene che il Parlamento ponderi con accuratezza i disegni di legge di Bilancio proposti dal governo, prima di approvarli. È il caso che non si utilizzino più le manovre finanziarie, le leggi dello stato che introducono nuove spese, per accontentare interessi di parte più o meno legittimi. È il tempo che l’Italia abbia una politica che pensi solo all’interesse generale. È difficile dire se la riforma che impone il pareggio di bilancio abbia effetti realmente benefici. Da una parte è necessario ridurre il debito pubblico che costringe il nostro paese a sottrarre risorse ingenti ad investimenti e a infrastrutture pubbliche per pagare interessi accumulati in decenni. Allo stesso tempo è opportuno pensare di dare la possibilità a Comuni, province e Regioni di compiere opere di ristrutturazione e mantenimento del territorio necessarie, ma che vengono bloccate dai vincoli imposti ai bilanci locali. La Legge di Bilancio è una fonte normativa fondamentale. Come fosse un’impresa lo stato deve dar conto del proprio stato finanziario. Deve guardarsi allo specchio, vedere quali sono le sue entrate e le sue uscite. Ogni settore della Pubblica Amministrazione deve rendicontare il suo operato finanziario. Fra i capitoli del bilancio ci sono le spese per la sanità, per le forze armate, per il funzionamento dei servizi pubblici. Sono settori dello stato che sono importantissimi per l’intera cittadinanza. È bene che il governo, come dice l’articolo 81, debba rendere conto alle Camere e al paese del proprio operato. La crisi economica che attanaglia l’Italia sembra un cappio al collo che soffoca il futuro di milioni di persone, è compito dello stato provare a dare risposte adeguate alle domande di coloro che non vedono nel domani prospettive migliori. La finanza Pubblica deve occuparsi di queste persone. Deve occuparsi di tutti i cittadini, garantendogli servizi adeguati, proteggendo il loro diritto alla salute, alla famiglia, alla sicurezza, in sostanza a vivere una vita dignitosa. I bilanci economici sono meri numeri, sterili diagrammi e partite doppie, che servono a celare inganni e ruberie, se non hanno in sé quella tensione politica al bene comune e al bene generale. I soldi dello stato devono servire a dare un posto a chi non l’ha, favorendo investimenti che incrementino il pil (Prodotto Interno Lordo). I soldi dello stato devono garantire la salute e il benessere generale, adempiendo ai dettami dell’articolo 32. I soldi dello stato devono garantire l’istruzione e la formazione dei piccoli come dice l’articolo 32. I soldi dello stato devono garantire la formazione professionale dei lavoratori, come dice l’articolo 35. Spulciando la Costituzione si può evincere che sono tantissimi gli ambiti in cui la spesa pubblica va fatta e porta beneficio. È invece sotto gli occhi di tutto quanto la Pubblica Amministrazione spreca in soldi ed energie. È tempo di cambiare. È tempo di far rinascere il paese con una finanza pubblica trasparente ed onesta. 

PREMIO NOBEL PER L'ECONOMIA

 


IL NOBEL ALL’ASTA

A vincere il premio Nobel per l’economia 2020 sono stati due professori americani, Robert Wilson e Paul Milgrom. Sono due docenti dell’università di Stanford in California. Wilson è stato prima maestro e poi collaboratore dell’altro, Milgron. Infatti Wilson è stato il relatore della tesi di laurea di Milgron. Poi hanno continuato negli studi affiancati, concentrandosi sullo studio delle aste, sia nei millenni trascorsi, sia nell’attualità. Hanno studiato i metodi di compravendita delle prime società, egizie e sumere ad esempio. Hanno costato che lo strumento principe per le interrelazioni commerciali è il confronto fra offerta e domanda, che se ha come protagonisti una pluralità di soggetti dalla parte dell’offerta o dalla parte della richiesta o da entrambe crea di fatto una asta. Volete del grano? Bene chi mi offre fra voi di più, perché io vi dia il mio? Volete vendermi del vino? Bene! Chi di voi è disposto a darmelo chiedendo in cambio di meno? Sono queste le domande, nate con il nascere della comunità umana, che hanno interessato gli studi dei due premi nobel.

Detto in questa maniera lo studio sembra banale. La colpa è di chi scrive questo pezzo che non conoscendo bene le regole fondamentali dello studio dell’economia, non riesce a mettere appiano a risalto l’importanza delle intuizioni dei due scienziati. Lo studio delle regole, sia statuali sia contrattuali,  delle aste ha in realtà una fondamentale valenza euristica per riuscire a comprendere quali siano i fondamenti che regolano le regole della contrattazione mercantile. Se è un asta lo strumento per comprare e vendere, si comprende che è fondamentale il ruolo del banditore, cioè di colui che indice e regolamenta l’asta stessa. L’economia non è più lasciata alla piena e assoluta libertà dell’individuo. Non esiste neanche teoricamente questo status per i due professori. Se si vuole vendere e comprare si deve fare i conti, necessariamente, con un’entità regolatrice che non è solamente il lasciarsi andare alle logiche del mercato, il cosiddetto lasciar fare economico, ma è regolato da un’entità soggettiva, cioè voluta dagli uomini e formata da uomini, che detta le regole del gioco. È il superamento del concetto di fondo su cui si basa la dottrina economica “neoliberista”, la libertà di mercato non esiste, è una finzione di una parte per poter raggiungere o incrementare il potere. Questa è la tesi che sottende lo studio di Wilson e Milgrom.

Detto questo sarebbe un distorcere il loro pensiero affermare che rigettino la libertà di mercato. Anzi i loro studi vogliono essere un superare le distorsioni che producono uno stato di soggezione di una parte e di dominio di un’altra nelle regole dell’economia. Esplicitare il ruolo di arbitro di un soggetto, che sia lo stato o un organo di borsa (pensiamo a Wall Steart), vuol dire cercare di capire quali siano gli strumenti giuridici e sociali per evitare che questo stato di supremazia non si trasformi in strumento per agevolare i propri e altrui bisogni di profitto a discapito di altri. Esempio classico sono le concessioni dell’etere per le trasmissioni televisive e per garantire il funzionamento dell’economia. In questo caso lo Stato è allo stesso tempo arbitro, fa le leggi di concessione attraverso il parlamento e giudica il corretto utilizzo di queste attraverso la magistratura, ma allo stesso tempo è soggetto nella transazione. Ad esempio la Repubblica Italiana offre in concessione a TIM, OMNITEl o quant’altro l’utilizzo dell’etere per permettere agli utenti di parlare col telefonino, in cambio di un congruo canone valutato in Euro. Lo stesso vale per le varie concessioni dell’etere alle TV analogiche. Allora si capisce che lo studio del baratto diviene strumento importante per conoscere e governare le dinamiche di fondo che sono a base di queste importantissime transazioni. Lo stato deve essere comunque un garante imparziale, anche se nei fatti è parte fondamentale nelle trattazioni. In Italia, ad esempio, abbiamo un lampante esempio di come le regole del “baratto” abbiano di fatto condizionato la vita politica. La destra è da vent’anni che lotta caparbiamente e con notevole successo, visto anche i dati elettorali, per difendere gli interessi di alcune aziende. Insomma la tesi di fondo della destra è che lo stato deve essere garante degli interessi particolari di alcuni, per garantirne il successo commerciale. Una tesi che forse farebbe storcere il naso ai due premi nobel, sostenitori della neutralità del soggetto “battitore d’asta”, ma che di fatto è difficile a compiersi in un’economia in cui lo stato la fa da padrone, e in cui i politici diventano padroni dello stato. Insomma i due premi nobel vorrebbero che l’asta abbia l’effetto virtuoso di calmierare i prezzi, di rendere la compravendita fruttuosa per le parti, ma anche per l’intera società. Vendere a giusto prezzo un bene vuol dire non solo risparmiare, ma utilizzare risorse per altre opere anch’esse meritorie. Lo hanno provato Milgrom e Wilson mettendo il loro sapere al servizio della comunità, così rendendo possibile l’efficace e fruttuoso svolgimento di aste, ad esempio in California hanno gestito la concessione in appalto di strade ed aeroporti.  Ma si sa troppo spesso la ricerca di regole vincenti per l’intera collettività non è sempre perseguita. Per guadagnare subito e bene il singolo pensa a farsi amico o a conquistare chi sovrintende le regole. Ma godiamoci questo Nobel all’economia che non pensa a far soldi, ma pensa a come i soldi possano portare benefici a tutti. Godiamoci questo Nobel che non crede che il denaro sia tutto, ma anzi crede che il bene del singolo e della collettività deve prevalere, infatti nelle aste quello che conta è il bene non è tanto il suo valore monetario. Nelle aste, si sa, un oggetto vale per quello che il cuore del compratore lo reputa.

lunedì 12 ottobre 2020

MA IL VIRUS VUOL DIRE COMPLOTTO?

 


NO MASCK

Sabato, 10/10/2020, si è tenuta manifestazione a Roma indetta da chi è convinto che le precauzioni contro la diffusione del Corona Virus siano sostanzialmente inutili. Chi, insomma, non crede che portare mascherine, tenere una distanza di sicurezza fra persone, lavarsi spesso le mani non è utile a difendersi dalla diffusione Corona Virus, anzi molti dei manifestanti sono convinti che il virus sia un’invenzione della o meglio dei poteri forti, per tenere la popolazione sotto controllo. A tale manifestazione dovevano partecipare persone note, del mondo dello spettacolo e della cultura, fra cui il noto attore Enrico Montesano, che ha deciso all’ultimo di declinare l’invito, non sappiamo se per ragioni personali o di lavoro, o perché abbia scelto di non sposare più la tesi degli organizzatori.

Quello che è successo Sabato è che diverse persone si sono viste fermare dalla polizia perché, manifestando, non portavano quelli che sono gli strumenti di protezione personale per fermare il morbo. Insomma molti partecipanti hanno infranto le normative dettate dal decreto del Presidente del Consiglio per fermare l’epidemia.

Ora quello che è successo a Roma pone molti interrogativi. È bene continuare a fare opera di profilassi? È bene temere il diffondersi dell’infezione? La risposta è necessariamente “si”. Bisogna essere certi che difendersi dal male è indispensabile. Bisogna essere sicuri che il Corona Virus è un pericolo che non guarda in faccia nessuno. Che colpisce chiunque non utilizzi adeguate misure protettive. È  successo a Silvio Berlusconi. È successo a Donald Trump. È successo al presidente del Brasile Borsolaro. È successo al presidente della regione Lazio e segretario del PD, Nicola Zingaretti. Io non so come fare a difedersi dal male. Non so se ci siano strumenti miracolosi per fermare la malattia. La cosa certa è che la prevenzione è al momento l’unico modo per fronteggiare ogni rischio. Allora è lungi da me criticare lo spirito partecipativo dei “no masck”. Tutti abbiamo diritto a professare le nostre idee, anche se non sono confutate dalla scienza e dalla medicina. Ma bisogna pensare, prima di tutto, alla salute di tutti e di ognuno. Appare veramente difficile affermare che il Corona Virus non esiste, è un’invenzione. Appare difficile sostenere che ci sia un complotto. I numeri dei malati, purtroppo i dati sui morti, provano che sono false tutte le tesi “complottiste”. Pensiamo al nostro bene, a quello personale, dei nostri parenti più cari e a quello dell’intera società. Utilizziamo le precauzioni necessarie per evitare la diffusione del morbo. Utilizziamo le elementari misure di profilassi. È in gioco non solo il nostro domani, ma anche e soprattutto il nostro oggi.

CITANDO IL PAPA



«legge santa non è fine a se stessa»: è un cammino, «è una pedagogia che ci porta a Gesù Cristo». Papa Francesco

PARLANDO DI COSTITUZIONE

 


ARTICOLO 80 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni di territorio od oneri alle finanze o modificazioni di legge”

I trattati internazionali sono una delle fonti del diritto internazionale. Assieme ai “principi generali del diritto” (internazionale) e alle “consuetudini” (interstatali) costituiscono l’ordinamento giuridico che regola i rapporti fra gli stati. Sono atti considerati esterni all’ordinamento giuridico italiano. Sono atti normativi che non sono formati secondo le procedure di formazione delle nostre leggi interne. Acquistano efficacia per la nostra Repubblica attraverso un apposito ordine di esecuzione, che normalmente è emanato da decreto del Presidente della Repubblica. Il procedimento di formazione dei trattati si avvia con le negoziazioni. Plenipotenziari, cioè inviati speciali dei governi coinvolti, discutono ed elaborano un testo di accordo. Questa trattativa non vincola giuridicamente le nazioni. Nel nostro ordinamento, in forza dell’articolo 87 della Costituzione, è la ratifica, l’approvazione dell’organo competente, il presidente della Repubblica, a rendere vincolante il trattato. Per altri stati l’organo che ratifica può essere, ovviamente, diverso, anche se in realtà in quasi tutte le nazioni è il Capo dello Stato a ratificare i trattati, esattamente come da noi. L’atto di ratifica, è d’obbligo dirlo, è solo formalmente presidenziale. Sostanzialmente è l’esecutivo che partecipa attivamente alla stesura del trattato ed elabora la ratifica, che il primo cittadino firmerà. Il Parlamento ha un ruolo fondamentale nella elaborazione di accordi internazionali. Come afferma l’articolo 80 della Costituzione è chiamato ad autorizzare il governo a ratificarli. L’esecutivo non è libero di trattare con gli stati stranieri come più gli aggrada. Sa che il proprio comportamento in sede internazionale sarà posto al vaglio delle Camere. Senato e Camera dei Deputati devono autorizzare con legge l’esecutivo a contrarre trattati che abbiano natura politica, prevedano arbitrati o regolamenti giudiziari, importino variazioni di territorio, oneri delle finanze o modificazioni di leggi. I trattati internazionali sono espressione dell’indirizzo politico della nazione. È bene, anzi è indispensabile, che l’organo supremo di rappresentanza popolare, il Parlamento, collabori attivamente alla elaborazione degli accordi. Lo fa in due fasi ben distinte nei tempi e nei modi. Prima dando l’input al governo a condurre accordi con altri stati. Indicando chiaramente le finalità e le prospettive che l’esecutivo deve raggiungere in scala internazionale. Il Governo non può e non deve esercitare una propria politica estera. Le sue relazioni internazionali devono essere frutto del lavoro sinergico con il parlamento. L’esecutivo deve agire in simbiosi con il potere legislativo. Il parlamento, o meglio la maggioranza parlamentare che sostiene il governo, deve determinare l’indirizzo politico dell’esecutivo. È opportuno precisare che la politica internazionale italiana non può essere lasciata alla assoluta discrezione del governo e della maggioranza parlamentare che lo sostiene. È bene, prima di tutto, che anche l’opposizione sia coinvolta nelle decisioni di grande rilevanza. Ma cosa ancor più importante è che la politica internazionale della nostra Repubblica non deve mai essere in contrasto con i valori e le norme incise nella nostra Carta Costituzionale. L’Italia non può e non deve compiere accordi con altri stati che siano in contrasto, ad esempio, con l’articolo 11 della nostra Carta Fondamentale. La pace, il quieto convivere delle nazioni, sono le finalità che i nostri padri costituenti hanno voluto fossero il fine teleologico di ogni accordo internazionale. Un accordo internazionale finalizzato a compiere atti di guerra, sarebbe da considerarsi incostituzionale, inammissibile, moralmente censurabile. È cosa giusta ricordare che l’Italia è una nazione di pace. Tutti i suoi gesti rivolti alle altre nazioni devono essere atti volti alla pacificazione delle genti. Le nostre missioni all’estero, compiute dall’esercito, sono volte a portare la pace.  Quindi sarebbe inammissibile un’alleanza militare con altri stati volta alla conquista e alla colonizzazione di terre e di genti.

Bisogna ricordare che l’atto di ratifica di accordi parlamentari è solitamente considerato un atto formalmente normativo, ma non materialmente. In quanto non suscita una innovazione, ma si limita ad accertare la legittimità di un accordo stipulato da un altro potere dello stato, il presidente della Repubblica. Al pari della Legge di Bilancio non avrebbe la capacità di novellare l’ordinamento giuridico dello stato, di conseguenza non avrebbe la vis della norma. In realtà la l’atto che solitamente viene normalmente votato in parlamento in questi casi è il trattato internazionale firmato dal governo con gli esponenti delle potenze straniere  anticipato da una succinta formula che ha questo tenore: piena ed intera esecuzione sia data al trattato. Questo non esclude, come abbiamo detto, che il Parlamento vegli sulle scelte di politica internazionale dell’esecutivo. In politica estera il governo non ha carta bianca, deve coinvolgere il potere legislativo, quest’ultimo ha il dovere e il potere di indirizzare la politica nazionale anche in campo internazionale.

 

domenica 11 ottobre 2020

VIA COL VENTO

 


SENZA “VIA COL VENTO”

La decisione della casa di distribuzione cinematografica americana “HBO” di non distribuire più il film “Via col vento”, perché razzista, mi fa pensare. Prima di tutto la reazione più umana, per citare il nostro italianissimo Fantozzi, è “finalmente”. Dopo aver visto centinaia di volte le avventure e disavventure di miss Rossella e del capitano Butler, adesso possiamo fare un po’ di pausa. Basta con le divise grigie che con orgoglio ed onore si offrono al destino di sconfitte per mano delle perfide (?) divise blu. Basta con il racconto dei balli dei bianchi nelle ville mentre i neri coltivano cotone. Basta con l’America dei grandi agricoltori, dei grandi commercianti e dei gradi industriali chiamati a dominare la storia dei secoli avvenire. Ma il motivo della messa a riposo del film, ricordiamolo, non è la sfinitezza di noi spettatori, ma l’accusa di razzismo che incalza sui produttori di un film ormai antico, girato negli anni Trenta del secolo scorso. Bisogna dirlo “Via col vento!” è razzista. E’ razzista perché rappresenta i neri servi e cameriere felici di avere un destino di inferiori. Li rappresenta grati di essere nutriti dalla civiltà bianca. Quanto è falsa questa immagine! Quanto è frutto di un racconto voluto per esaltare un pubblico “ariano”, scusate il termine nazista. Ma allora è giusto censurare “Via col vento”, è giusto cancellare dalla memoria film e libri razzisti esattamente come i Romani facevano per gli imperatori caduti in disgrazia? Credo che se non si tiene presente cosa è stata l’America nei decenni addietro, non riusciremo mai a cogliere la grandezza umana e intellettuale di Matin Luther King. Se non ricordiamo che il nero, per la comunità bianca, fino a qualche decennio fa era considerato poco più di una animale domestico, non potremmo mai capire l’importanza politica ed etica che ha avuto il fatto che Barak Obama sia diventato Presidente della Repubblica. Non riusciremo a capire il valore oltre che intellettuale, anche morale ed umano, dell’apporto di eminenti scrittori, musicisti, economisti e autori di colore. Insomma bisogna saper criticare il passato razzista, maschilista, omofobo e chi più ne ha più ne metta. Ma non nasconderlo, ma studiarlo. Penso ad alcuni, molti autori, che avevano idee censurabili. Luis Ferdinande Celine (autore francese che visse la dominazione della Germania sulla Francia nella seconda guerra mondiale) simpatizzava per il nazismo, le sue opere in alcuni aspetti fanno trasparire le sue idee discutibili, ma per questo motivo dovremmo privarci della bellezza del suo scrivere? Lo stesso vale per cantanti e poeti. Penso al nostro Gabriele D’Annunzio. Ma anche i films vanno preservati. I “Telefoni bianchi”, così vennero chiamate le produzioni cinematografiche  nell’epoca fascista, vanno censurati? I film storici, penso al grande film che racconta le gesta di Scipione l’Africano.  lo stesso? Credo di no. Bisogna avere la capacità di vedere e guardare opere artistiche che si fondano su un’ideologia sbagliata, sapendo sia cogliere il bello, che c’è, nel loro essere, ma anche sapendo individuare il messaggio di propaganda e negativo che celano. La stessa cosa vale per i films girati quando ancora c’era l’URRS nella attuale Russia. Insomma censurare è sempre sbagliato. E’ bene riuscire a leggere in ogni atto umano, il senso recondito delle cose. Ogni autore scrive, gira un film, recita sotto l’influsso di un’ideologia, sia propria sia imposta dal potere governativo od economico, è compito di chi guarda di chi legge di chi scruta l’arte riconoscerla. Ma aggiungo, con un po’ di benigna accondiscendenza. Perché oggi critichiamo i pregiudizi degli autori di “Via col vento”, il cui produttore è bene ricordarlo di discriminazioni subite ne conosceva essendo di origine ebraica, domani qualcun altro potrebbe criticare i nostri pregiudizi. Allora diciamolo “Via col vento” è un film razzista, ma questo non deve indurci a non vederlo e a non farlo vedere

TARANTO, 3000 ANNI DI STORIA

 


TARANTO

Oggi le cronache ricordano Taranto come la città dell’acciaieria più grande e controversa d’Europa. Il luogo ove sorge l’ex Ilva ormai in mano a una multinazionale il cui proprietario è di nazionalità indiana e che è legata alle fortune e, soprattutto, alle disavventure finanziarie e industriali del territorio. Ma Taranto è esplicitazione di tutta la fulgida storia del bacino del Mediterraneo. Un luogo geografico che ha visto nascere una civiltà che ha solcato il tempo e la storia. Secondo la tradizione Taranto è stata fondata da Taras figlio di Poseidone, il dio greco del mare, e di Satyra, una ninfa, il cui nome richiama la poesia, le satire sono scritti poetici di carattere bucolico utilizzate anche, se non principalmente, per indirizzare invettive spesso forti contro i potenti, da cui l’aggettivo che tuttora utilizziamo “satirico”. Insomma Taranto nasce sotto il segno da una parte del potere sul mare e dall’altra sulla capacità di utilizzare l’arte come strumento per osservare e cambiare la realtà. È un segno importante. È una caratteristica che la cittadina conserverà nei millenni. A prescindere dalle note mitologiche, quello che è certo: l’origine spartana del sito. Furono coloni della città del Peloponneso a porre i loro primi insediamenti nel golfo che si chiamerà “di  Taranto”. Sono loro a conformare l’aspetto geomorfologico del sito. Costruiscono templi, di cui ancora oggi si possono ammirare i resti, e costruisco un tessuto sociale in cui gli interscambi con la popolazione locale offrono benessere e ricchezza a tutti. Taranto fin dall’Ottavo secolo Avanti Cristo è il fulcro dei commerci in tutto il Mediterraneo Occidentale. Ha relazioni con la Sicilia, altra grande protagonista della colonizzazione greca di tutto il Mediterraneo. Ha rapporti, che si alternano fra pace e guerra, con Cartagine altra città del Mediterraneo occidentale fondata da un popolo orientale, i Fenici. Taranto è il luogo natale di filosofi, politici, strateghi e matematici di gran pregio. Questi sono rimasti nella memoria per la loro profondità di pensiero e la loro intelligenza. Ricordiamo il contributo fondamentale che hanno dato alla scuola pitagorica. Fatale, dobbiamo dire, per le sorti di Taranto, fu l’incontro con la potenza di Roma. Taranto cercò sempre di contrastarla. Si alleò con re dell’Epiro, Pirro, nel 281 Avanti Cristo nella speranza di prevalere sull’Oppido latino. Si alleò pochi decenni dopo addirittura con la nemica Cartagine e si mise al fianco del temibile condottiero cartaginese Annibale, ma anche in questo caso Roma prevalse, con la vittoria di Scipione l’Africano a Zama. Questo fu il tramonto del potere politico di Taranto, della sua egemonia sui territori dell’Italia Meridionale. Roma la mise in catene. Addirittura la soppianto come testa di ponte fra l’Italia e il mondo ellenico orientale, la Grecia e il Medio Oriente. Da allora il “Porto” per antonomasia della Puglia non sarà più Taranto ma la romana Brindisi. E’ la fine del simbolo stesso della grandezza della città del Golfo. Il suo porto, rifugio sicuro per tutte le navi che compivano i grandi viaggi, diventerà un approdo periferico e ininfluente, rispetto alla grandezza e la prosperità che assumerà quello di Brindisi. Ma Taranto non muore. Il suo bagaglio di ricchezza economica e culturale la continuerà a vedere come splendida luce che illumina il buio delle menti. Taranto rimarrà per sempre luogo di dialogo e di confronto fra prospettive e culture diverse. Non è un caso se dopo la caduta dell’impero romano d’occidente, con incipiente scontro fra Bizantini, cioè le flotte imperiali dell’Impero Romano d’Oriente, e i nuovi padroni della Puglia, i Normanni, arrivati intorno all’anno 1000, Taranto ritorna ad essere centro politico fondamentale, fino al punto da essere una delle capitali dei territori meridionali  occupati dai Barbari normanni che diventerà testa di ponte per la conquista di Gerusalemme durante la prima crociata nel 1063. Ma la storia di Taranto attraversa i secoli. È stata uno dei fulcri del potere politico militare in Puglia per millenni. Non solo i Normanni vollero costruirvi roccaforti del loro potere militare, anche Federico II di Svevia, l’imperatore del Sacro Romano Impero che fu anche re di Sicilia e di tutta l’Italia Meridionale, costruì il suo potere su Taranto e vi lasciò il suo segno. Gli Aragonesi nel 1300, che istaurarono una secolare dominazione spagnola dell’Italia  Meridionale, posero in Taranto la loro potentissima flotta navale, ponendo le fondamenta della tradizione navale che rende ancor oggi la città pugliese fra le più importanti al mondo per quanto riguarda il controllo militare dei mari. Taranto, infatti, è stata e continua ad essere il porto di tutte le dominazioni che ha subito. E’ stata la culla della marina militare Borbonica ed oggi è, assieme a Genova e Trieste, l’elemento cardine della Marina Militare Italiana. Qui si trovano i quartieri generali delle truppe di marinai meglio addestrati nel nostro paese. Insomma Taranto è il fulcro, da sempre, della storia del Mediterraneo. All’indomani della fine della seconda guerra mondiale la nascente Repubblica Italiana decise di far sorgere nei suoi ambiti territoriali la più grande acciaieria mai pensata in Europa, proprio perché Taranto è collegata con ogni angolo del pianeta attraverso una infrastruttura portuale all’avanguardia sia dal punto di vista della logistica civile sia da quella militare, con cui divide con Brindisi il primato. Insomma la storia di Taranto è la storia di un popolo attaccato alla sua terra, ai suoi campi, alle sue produzioni (famosissimi e apprezzatissimi in tutto il mondo sono i suoi frutti agricoli dagli ulivi alle arance), che guarda al futuro attraverso il commercio e l’attività industriale. Oggi la grande acciaieria è in crisi. L’Ilva rischia di perdere molto del suo rilievo mondiale nella produzione di acciaio. La grande fabbrica che ha caratterizzato per decenni l’assetto industriale della città è in crisi. Sono a rischio tanti posti di lavoro. Ma la tradizione, la cultura, aperta all’altro che caratterizza il popolo di Taranto sarà capace di superare ogni ostacolo e barriera. Lo crediamo fortemente.