martedì 13 ottobre 2020

PREMIO NOBEL PER L'ECONOMIA

 


IL NOBEL ALL’ASTA

A vincere il premio Nobel per l’economia 2020 sono stati due professori americani, Robert Wilson e Paul Milgrom. Sono due docenti dell’università di Stanford in California. Wilson è stato prima maestro e poi collaboratore dell’altro, Milgron. Infatti Wilson è stato il relatore della tesi di laurea di Milgron. Poi hanno continuato negli studi affiancati, concentrandosi sullo studio delle aste, sia nei millenni trascorsi, sia nell’attualità. Hanno studiato i metodi di compravendita delle prime società, egizie e sumere ad esempio. Hanno costato che lo strumento principe per le interrelazioni commerciali è il confronto fra offerta e domanda, che se ha come protagonisti una pluralità di soggetti dalla parte dell’offerta o dalla parte della richiesta o da entrambe crea di fatto una asta. Volete del grano? Bene chi mi offre fra voi di più, perché io vi dia il mio? Volete vendermi del vino? Bene! Chi di voi è disposto a darmelo chiedendo in cambio di meno? Sono queste le domande, nate con il nascere della comunità umana, che hanno interessato gli studi dei due premi nobel.

Detto in questa maniera lo studio sembra banale. La colpa è di chi scrive questo pezzo che non conoscendo bene le regole fondamentali dello studio dell’economia, non riesce a mettere appiano a risalto l’importanza delle intuizioni dei due scienziati. Lo studio delle regole, sia statuali sia contrattuali,  delle aste ha in realtà una fondamentale valenza euristica per riuscire a comprendere quali siano i fondamenti che regolano le regole della contrattazione mercantile. Se è un asta lo strumento per comprare e vendere, si comprende che è fondamentale il ruolo del banditore, cioè di colui che indice e regolamenta l’asta stessa. L’economia non è più lasciata alla piena e assoluta libertà dell’individuo. Non esiste neanche teoricamente questo status per i due professori. Se si vuole vendere e comprare si deve fare i conti, necessariamente, con un’entità regolatrice che non è solamente il lasciarsi andare alle logiche del mercato, il cosiddetto lasciar fare economico, ma è regolato da un’entità soggettiva, cioè voluta dagli uomini e formata da uomini, che detta le regole del gioco. È il superamento del concetto di fondo su cui si basa la dottrina economica “neoliberista”, la libertà di mercato non esiste, è una finzione di una parte per poter raggiungere o incrementare il potere. Questa è la tesi che sottende lo studio di Wilson e Milgrom.

Detto questo sarebbe un distorcere il loro pensiero affermare che rigettino la libertà di mercato. Anzi i loro studi vogliono essere un superare le distorsioni che producono uno stato di soggezione di una parte e di dominio di un’altra nelle regole dell’economia. Esplicitare il ruolo di arbitro di un soggetto, che sia lo stato o un organo di borsa (pensiamo a Wall Steart), vuol dire cercare di capire quali siano gli strumenti giuridici e sociali per evitare che questo stato di supremazia non si trasformi in strumento per agevolare i propri e altrui bisogni di profitto a discapito di altri. Esempio classico sono le concessioni dell’etere per le trasmissioni televisive e per garantire il funzionamento dell’economia. In questo caso lo Stato è allo stesso tempo arbitro, fa le leggi di concessione attraverso il parlamento e giudica il corretto utilizzo di queste attraverso la magistratura, ma allo stesso tempo è soggetto nella transazione. Ad esempio la Repubblica Italiana offre in concessione a TIM, OMNITEl o quant’altro l’utilizzo dell’etere per permettere agli utenti di parlare col telefonino, in cambio di un congruo canone valutato in Euro. Lo stesso vale per le varie concessioni dell’etere alle TV analogiche. Allora si capisce che lo studio del baratto diviene strumento importante per conoscere e governare le dinamiche di fondo che sono a base di queste importantissime transazioni. Lo stato deve essere comunque un garante imparziale, anche se nei fatti è parte fondamentale nelle trattazioni. In Italia, ad esempio, abbiamo un lampante esempio di come le regole del “baratto” abbiano di fatto condizionato la vita politica. La destra è da vent’anni che lotta caparbiamente e con notevole successo, visto anche i dati elettorali, per difendere gli interessi di alcune aziende. Insomma la tesi di fondo della destra è che lo stato deve essere garante degli interessi particolari di alcuni, per garantirne il successo commerciale. Una tesi che forse farebbe storcere il naso ai due premi nobel, sostenitori della neutralità del soggetto “battitore d’asta”, ma che di fatto è difficile a compiersi in un’economia in cui lo stato la fa da padrone, e in cui i politici diventano padroni dello stato. Insomma i due premi nobel vorrebbero che l’asta abbia l’effetto virtuoso di calmierare i prezzi, di rendere la compravendita fruttuosa per le parti, ma anche per l’intera società. Vendere a giusto prezzo un bene vuol dire non solo risparmiare, ma utilizzare risorse per altre opere anch’esse meritorie. Lo hanno provato Milgrom e Wilson mettendo il loro sapere al servizio della comunità, così rendendo possibile l’efficace e fruttuoso svolgimento di aste, ad esempio in California hanno gestito la concessione in appalto di strade ed aeroporti.  Ma si sa troppo spesso la ricerca di regole vincenti per l’intera collettività non è sempre perseguita. Per guadagnare subito e bene il singolo pensa a farsi amico o a conquistare chi sovrintende le regole. Ma godiamoci questo Nobel all’economia che non pensa a far soldi, ma pensa a come i soldi possano portare benefici a tutti. Godiamoci questo Nobel che non crede che il denaro sia tutto, ma anzi crede che il bene del singolo e della collettività deve prevalere, infatti nelle aste quello che conta è il bene non è tanto il suo valore monetario. Nelle aste, si sa, un oggetto vale per quello che il cuore del compratore lo reputa.

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