domenica 18 ottobre 2020

PARLANDO DI COSTITUZIONE

 


ARTICOLO 82 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse.

A tale scopo nomina fra i propri componenti una commissione formata in modo da rispecchiare la proporzione dei vari gruppi. La Commissione d’inchiesta procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria”.

L’articolo 82 della Costituzione prevede che ciascuna Camera possa disporre inchieste su materie di pubblico interesse. Ciò non esclude, come avviene sovente, che le camere possano disporre, con legge o atto bicamerale non legislativo, di impegnare nell’inchiesta l’intero Parlamento, istituendo una commissione detta bicamerale. Tale commissione è composta, in pari numero, da deputati e senatori. Sia che nasca una commissione monocamerale, sia che si istituisca una bicamerale, è d’obbligo che siano rispettati i rapporti di forza fra le organizzazioni politiche esistenti all’interno del parlamento. Ogni partito deve essere adeguatamente rappresentato all’interno delle commissioni d’inchiesta. L’inchiesta è uno strumento di controllo. È volta ad accertare le responsabilità di funzionari e uomini politici, in relazione ad una situazione di pubblico interesse. Basti ricordare le inchieste sul disastro del Vajont, sul caso Sindona, sulla loggi massonica P2. Possono essere istituite commissioni d’inchiesta volte a controllare il funzionamento di un apparato dello Stato. Tempo addietro è stata istituita una commissione sulla gestione delle risorse della principale azienda industriale dello Stato, I.R.I. Vi possono essere commissioni denominate legislative. Il loro scopo è quello di compiere inchieste su specifiche realtà sociali, al fine di trovare soluzioni normative atte a superare eventuali disparità socio culturali in determinate parti del paese. Pensiamo alle Commissioni per il Mezzogiorno. Le commissioni d’inchiesta vengono istituite con voto a maggioranza semplice. Questo ha prodotto non poche polemiche. Quando fu istituita la commissione Mitrochin, nel 2002, si voleva provare le responsabilità politiche di Romano Prodi in una vicenda di spie che coinvolgeva la vecchia Unione Sovietica. Fu una commissione voluta dalla maggioranza parlamentare composta da Forza Italia (all’ora si chiamava Popolo delle Libertà) e Lega. Un modo per vendicarsi del “nemico” di Berlusconi, quel Romano Prodi che gli aveva conteso la leadership del paese. Una storiaccia fatta di ex miliziani coinvolti nella guerra Jugoslava disposti a dire qualunque cosa pur di avere compensi. Sono stati diversi i cosiddetti “reclutatori”, come Le Havre, gente disposta a dire che Romano Prodi era stato pagato dalla URSS pur di avere non chiari benefici da parte della destra italiana. Questa Commissione d’Inchiesta si risolse in una farsa. È da ricordare l’imbarazzata relazione finale di Paolo Guzzanti, presidente della Commissione, che doveva essere il censore del “traditore” Prodi e invece fu costretto ad ammettere di aver chiamato persone a testimoniare senza aver accertato la loro credibilità dibattimentale. Lo scontro si trasferì sui giornali. Da  una parte “Il Giornale”, quotidiano di propaganda di Berlusconi, e dall’altra “Repubblica”, che al contrario critica da sempre le destre. L’uno difendeva la scelta di attaccare Prodi, l’altro intendeva stigmatizzare la Lega e il Popolo delle Libertà disposti a credere a notizie false pur di mettere in difficoltà l’avversario politico. Questo forse è stato il momento più basso della storia delle Commissioni d’Inchiesta. Che in passato hanno invece avuto il compito di combattere la mafia e la criminalità. Le Commissioni hanno gli stessi poteri e limitazioni dell’autorità giudiziaria. Possono interrogare testimoni, ordinare perizie, richiedere documenti. Il loro compito è di appurare verità storiche e giudiziarie. Il fine è di chiarire davanti alla nazione eventi oscuri che hanno turbato il quieto vivere della Repubblica. Ricordiamo le commissioni sul “Rapimento Moro”. Aldo Moro, statista e giurista di prestigio, fu rapito e ucciso dalle Brigate Rosse, un gruppo terrorista di matrice marxista leninista. I punti oscuri del tremendo atto di barbarie furono oggetto di elaborazione politica e di indagine di un’apposita commissione parlamentare. Leonardo Sciascia, intellettuale e scrittore siciliano di fama mondiale, ne fece parte, in quanto eletto in parlamento,scrisse da quell’esperienza un libro memorabile: “Il caso Moro”. Sono passati Quaranta anni da quel gesto barbaro, ancor oggi non si è fatta luce interamente sulla vicenda. Una cosa è certa le commissioni parlamentari sono state fonte di nuovi elementi che hanno reso possibile ulteriori indagini da parte della Magistratura Ordinaria. Un dato su cui si può ripartire per dimostrare che l’azione parlamentare d’inchiesta può avere importanza e può contribuire realmente a scoprire verità nascoste. Sarebbe bene che lo spirito della politica, in questo ambito, fosse quello di voler far luce su verità storiche e non quello di utilizzare gli strumenti d’indagine per meri interessi di parte. Il nostro paese ha vissuto tragedie epocali. Ricordiamo la strage di Ustica, quando cadde nei mari siciliani un aereo di linea uccidendo tutti i suoi passeggeri. Quell’incidente forse non fu un incidente. Quel veivolo fu abbattuto. Da chi? Nessuno lo sa ancora! È bene che la politica faccia luce su tali tragedie, è bene che le autorità statali dicano alla nazione intera ciò che sanno e al momento nascondono per non chiari interessi politici. Questo è il compito delle inchieste parlamentari. Fare luce sui problemi dell’Italia, aprendo una discussione franca e costruttiva fra tutte le forze politiche.

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