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POTREBBE PIOVERE”
Stavo lì con la pala a scavare una fossa sufficiente ad ospitare un cadavere in una zona periferica della provincia di Roma, ai piedi dei colli Albani. Pensando a questo dato di fatto mi venne in mente il film “Frankenstein junior” di Mel Brooks. Il dottor Frankenstein e il suo fido assistente Igor, cavolo si chiama come il nostro cadavere, vanno in un cimitero per cercare un corpo adatto a diventare “La Creatura”, il mostro. Dopo aver scavato nella terra putrida, disseppellito il cadavere e posto su un carro trainato da loro stessi a braccia, era un carrettino. Il dottore chiede a Igor, noi non lo potremmo fare, il nostro Igor è il cadavere, “cosa potrebbe succedere ancora” sottinteso di peggio, Igor risponde: beh, potrebbe piovere! Ebbene appena pronuncia queste parole appare un fulmine, a pochissima distanza di tempo si sente un tuono e comincia a piovere. Ecco anche per noi l’unica cosa che potrebbe succedere a peggiorare già una situazione pessima è la pioggia. Ovviamente direte: a si, la pioggia, vero, potrebbe essere la cosa peggiore? E se viene la polizia? Sono questi per voi veri problemi, altro che. Ovviamente non posso controbattere una vostra tale obiezione, avete ragione, se viene la polizia oppure vengono gli amichetti napoletani di Giulia per noi è nel primo caso la prigione, nel secondo caso, penso, ci aspetta la fossa ove faremmo compagnia al nostro Igor. Comunque tranquilli, almeno non piove. La notte è stellata, anzi no c’è una bella luna piena. Io corro alla memoria dei versi di Giacomo Leopardi: O graziosa Luna, io mi rammento: nel suo idillio dedicato “alla Luna”; oppure Che fai tu,Luna, in ciel? Dimmi che fai, // Silenziosa Luna? Lo strepitoso, bellissimo, commovente inizio del “canto di un pastore errante dell’Asia”. Leopardi è un mago delle evocazioni naturalistiche. Attraverso i suoi versi si possono vedere animali, paesaggi e persone. È il poeta della natura, idilliaco. Non nel senso che evoca paesaggi sereni tranquilli, diremmo piatti. Anzi è il contrario. Evoca ciò che i tedeschi chiamano lo sturm und drang, la tempesta dell’anima. Ma lo fa con estrema maestria dialettica, sapendo accarezzare il cuore del lettore, pur prospettandogli una vita dolorosa e di impegno infinito per raggiungere “solo” ( si fa per dire) la sopravvivenza. Ricordiamo la sua poesia “La Ginestra” in cui esalta la pianta capace di vivere e prosperare sulla bocca del Vesuvio, malgrado la lava che fuoriesce dai crateri. Insomma la Luna che vedo stasera mi evoca grandi eroi della letteratura, che sanno del dolore umano, ma che lo affrontano e invitano ad affrontarlo anche agli altri con stoico impegno. E pensare che Leopardi è considerato pessimista.. E’ invece il poeta che canta la capacità umana di superare ogni ostacolo, per poter costruire un futuro migliore. Malgrado la sua malattia, malgrado la sua morte prematura, è il poeta del cambiamento, è il poeta carbonaro che vuole rovesciare l’ancian regime. Proprio lui che è il rampollo di una aristocrazia di campagna, era di Recanati, e papalina, grida con i suoi versi “rivoluzione e Italia unita”. Quanto vorrei aver preso il suo esempio. Certo che mi basta pensare ai suoi versi per cogliere la bellezza del firmamento e del satellite naturale del nostro piccolo pianeta. Una cosa cattiva la devo dire. Giovanni Pascoli ha parlato degli stessi temi: il tema della natura (penso alla poesia “Vertigine”), il tema del rapporto dialettico fra eventi naturali e umanità, la sfida solitaria dell’uomo contro il fato, che nella poesia del XIX secolo perde perfino la sua connotazione divina e diviene solo un meccanismo di morte, a differenza dell’epoca classica che l’assurge ad entità onnisciente e sapiente. Però Pascoli non è Leopardi. La bellezza dei versi del recanatese è superiore a quella di quelli del nato a San Mauro di Romagna. Giacomo accende i cuori. Mentre penso a queste cose Giulia e Francesca mi dicono in coro: Stronzo, vuoi finire di coprire questo cadavere di merda, dobbiamo andarcene di corsa. Mi dico: ecco lo sturm und drang. Alto che tormento, passione, poesia. Bisogna fare di corsa e andare a casa. Poi aggiungo: pensando anche a dialoghi fatti fra noi del passato: ormai per ambedue sono “stronzo”, questo è il nome che mi attribuiscono nella nostre leason, altri amanti sono cucciolo, magari toro, emh, io sono stronzo, e va be’. Finito il lavoro, si riparte. Destinazione Roma, casa. Io al volante, loro due sul sedile di dietro. Le guardo dallo specchietto retrovisore, sono belle. Francesca si appisola, si poggia sulle spalle di Giulia. Non vedo il suo viso, che forse ha trovato nello stomaco dell’altra un comodo cuscino. Ma che succede? Vedo il viso di Giulia cambiare espressione. Si è ridestata, ma non è preoccupata, ne avrebbe certo motivo, ma sorpresa. Poi il suo volto sembra cercare l’estasi. Io immagino. Anche con disappunto, per la serie sono geloso di entrambe. Francesca da aver appoggiato la testa sui seni di Giulia è scivolata un po’ più giù, per citare una canzoncina del passato. Con le sue mani ha sollevato il vestitino di Giulia, ha preso con le mani il suo pisello, l’ha liberato dalle mutande, e, penso, gli stia facendo un bocchino. Esattamente come ieri l’ha fatto a me. Tutto ciò avviene nella mia vecchia “Escort”, per la serie anche il nome stesso della automobile evoca la situazione e i giorni che sto vivendo. Giulia muove le sue mani toccandosi i suoi seni prosperosi, forse vuole così aumentare il suo piacere che già gli stava dando l’azione di Francesca in basso. Cavolo, sbando. Giulia dice: stai attento stronzo,appunto, ci vuoi far ammazzare! Pensa a guidare! “L’are” finale è pronunciato come se fosse un gridolino. Io correggo la guida della macchina, questo mi ha fatto tornare in me. Metto da parte la gelosia e affondo con la mia ironia. Una ironia volgare e dozzinale, quale può essere la mia, certo. Il “verso” (posso chiamarlo così?) di Giulia mi ricorda una scena di un vecchio film comico americano. Si chiamava “Scuola di polizia”. Ecco la scena del film che mi balena alla mente. Il capo del’istituto di formazione dei poliziotti americani sta facendo un discorso di conclusione dell’anno accademico, terminato il quale dovrà consegnare i diplomi ai novelli poliziotti, il suo corpo è invisibile sia agli spettatori del film sia a coloro che nel lungometraggio dovrebbero essere gli ascoltatori del suo prolegomena. Solo noi spettatori, né l’oratore né i discenti vedono, scrutiamo da sotto il leggio una donna che si avvicina alle parti basse del capitano, chi ha visto il film sa che è una prostituta, poi il film taglia e inquadra solo il volto del capitano. Si sente una abbassarsi di cerniera lampo, evidentemente quella dei pantaloni del comandante della scuola. Un rumore chiaramente centuplicato nel film, in realtà nessuno avrebbe potuto sentirlo. E da lì il capitano continua imperterrito il suo discorso, come se nulla fosse. L’unica, si fa per dire, stranezza è il cambiamento repentino dei toni a seconda dell’andamento del rapporto orale, che si presume stia avvenendo sotto il leggio. Il discorso del capitano, quando è al culmine del piacere, grida con decisione il suo entusiasmo per il risultato dei suoi alunni. Cavolo Giulia fa proprio come il capitano del lungometraggio. Francesca sta facendo un ottimo lavoro.
Intanto arriviamo a Roma, le due donne si accarezzano come se fossero state buone amiche da anni che si fanno effusioni che indicano un casto reciproco affetto. Io penso che in realtà si accarezzano come due amanti dopo il goito. Ahi, una battuglia. Mettiamo tutti e tre le mascherine, io mi fermo. Francesca dice: calma fate parlare me. Salve, patente e libretto. Li mostro. Il poliziotto fa siete in contravvenzione per non rispetto delle norme stabilite del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri per fermare la diffusione del Covid. Penso, meno male che ci hanno fermato al ritorno. Perché? Risponde Francesca. Siamo impiegati del ministero delle finanze, incaricati ed autorizzati dalla nostra capo reparto a fare una trasferta a Latina. Questo lo appureremo, ovviamente, risponde l’agente. Rimane il fatto che il solo essere in tre su una macchina vuol dire infrangere le norme del DPCM. Lo sapete la normativa autorizza lo spostamento su una macchina di solo due persone, una avanti e una dietro. Merda! È l’unico pensiero che mi balena nel cervello, l’unica parola. E ora?. Francesca fa un sorriso. Abbassa il finestrino di dietro, ove stava lei, mentre prima ha parlato con il poliziotto facendo capolino dietro le mie spalle. Senta collega, posso aver l’ardire di chiamarla così, visto che siamo entrambi chiamati a svolgere un servizio al cittadino sotto l’autorità ministeriale? Ahia, prova a prenderlo per il culo con la retorica del “servitore dello stato”, penso, speriamo l’agente ci caschi se no finiamo da stasera, stasera? Stamattina!, a Regina Coeli è chissà quando usciamo.. Francesca continua. Dovevamo andare a Latina, per un importantissimo accertamento catastale, il ministero, o meglio la sovraintendenza delle finanze deve decidere se farsi parte civile in un delicato processo che ha anche delle implicazioni residue di carattere mafioso. Si vuole conoscere la natura della proprietà di alcuni stabili, se sono stati acquistati per riciclare danaro di dubbia provenienza, nella, diciamo pure certezza, anche se ovviamente anche questo sarà il giudice a appurarlo, che c’è stata una evasione fiscale che ammonta a diversi milioni di euro. Ecco il motivo per cui stiamo scrivendo una relazione tecnica che mostreremo ai nostri diretti superiori e all’avvocatura dello stato. Posso vedere il vostro mandato? Dice l’agente di polizia. Francesca apre le app del suo telefonino. Mostra la mail di Elena Garrone. Spera che sia sufficiente e soprattutto spera che quei poliziotti non facciano indagini ulteriori e si accontentino delle sue dichiarazioni. Altrimenti? Altrimenti sarà per tutti e tre sicuramente la galera. Regina Coeli aspettaci. La mia collega continua. Senta mi rendo conto che abbiamo trasgredito un’importante norma di profilassi. Sono costernata. È stato un errore grave. Non abbiamo appurato per tempo che fosse necessaria la presenza di tre e non di due figure professionali. Quando ce ne siamo accorti non abbiamo avuto la possibilità di fare domanda di fornitura di un’ulteriore strumento di trasporto. Anzi, gentile collega, devo ammettere che il mio ministero non ci ha fornito alcuna macchina, come ben ha visto stiamo svolgendo la nostra missione utilizzando il mezzo di trasporto privato del mio collega, il dottor Fabio Lizzo, io sono Francesca Delfuoco. Interviene la voce narrante: Elena non si chiama dottoressa per, diciamo, modestia. Ma sa che devo intervenire io e dire: la dottoressa Francesca Delfuoco. Ovviamente lo faccio. Poi Francesca ha un momento di tentennamento, e anche a me e a Giulia batte il cuore. Poi parte. Accanto a me c’è la dottoressa Elena Carsoli. Io sono la dirigente amministrativa, il dottor Lizzo si occupa degli accertamenti catastali, la dottoressa Elena è esperta in questioni bancarie. Il poliziotto chiede di attendere un attimo. Si consulta con l’altro agente, che per tutto il tempo è stato zitto. Poi torna, chiede a Francesca di fare l’autocertificazione. Dice, facciamo finta che la dottoressa Elena non ci sia, per evitare scartoffie. Evviva che culo, penso. L’autocertificazione la scriviamo io e Francesca, evitiamo di parlare di ufficio nello specifico, parliamo di generiche impellenti attività professionali. Chissà forse ci salverà da guai giudiziari. Poi i poliziotti aggiungono: sentite la prossima volta comunque evitate di viaggiare a quest’ora. Lo so come funziona, anche io l’ho fatto, magari vi siete fatti mandare davanti all’ufficio catastale una lauta cena, pagata dal ministero, sorride, con un pony, e, facendo benissimo, avete aspettato un po’ prima di partire, ma sarebbe stato meglio se qualcuno vi avesse ospitato, cosi da partire questa mattina. Francesca risponde, tranquillizzata dal tono rassicurante dell’interlocutore, in questo periodo chi ci doveva ospitare? Già risponde il poliziotto. Si avvicina anche il suo collega e ci fa un cenno di saluto. Noi ora andiamo via. Terminiamo il tragitto che ci porta alle nostre abitazioni. Lascio Francesca a casa sua. Io e Giulia andiamo al mio appartamento. Si conclude una nottata estremamente complessa.
Saliamo le scale. Entriamo nell’appartamento. Non posso più tacere. Chiedo a Giulia: perché? Lei mi fa: cosa “perché”? Ovviamente vuole dirmi: cosa vuoi chiedermi, per me non c’è nulla da spiegare. Ma ambedue, credo ne sia consapevole anche lei, sappiamo che una spiegazione debba esserci. Perché diavolo hanno fatto sesso in macchina lei e Francesca? Giulia alza le spalle. Non so cosa passasse per la testa alla tua collega. Dice. Io non ho fatto nulla. Cioè a parte tendere il mio uccello, ma è stato un atto istintivo. È lei che ha voluto farmi una fallatio. È la prima volta che la sento chiamare con questo termine quell’atto. Ma allora perché mi hai detto: guarda avanti, quando ti sei resa conto che io mi ero accorto del tutto e vi stavo osservando. Lei mi risponde: prima di tutto perché veramente temevo che finissimo morti ammazzati sulla strada, andando a sbattere ad un albero o a un palo, poi non sapevo che dire, non sapevo come definire e giustificare quello che stavamo facendo. Un tradimento nei tuoi confronti? Un giochino erotico a tre, con il terzo, che saresti tu, osservatore interessato? Probabilmente era solamente un modo per far scendere l’adrenalina che era nei nostri corpi, dopo gli eventi tremendi che abbiamo affrontato. Ti ricordi quando abbiamo fatto sesso dopo che io sono stata interrogata dal capitano Sportelli e dal suo vice, Corretta. Si decisamente lo ricordavo. Per la prima volta in vita mia ero stato violentato. Certo da Giulia, da una con cui avevo fatto l’amore sia prima che dopo quell’evento, ma rimane il fatto che in quel frangente mi ha abbassato di forza i pantaloni e mi ha messo il suo pisello nel culo. Senza che io potessi esprimere né con parole né con gesti un mio consenso, che infatti non c’era. Penso che si tratti proprio di violenza domestica. Giulia continua. Non so come interpretare il rapporto fra me e Francesca. Sembravamo solo due donne interessate al destino di un uomo, che è stato ed è amante di entrambi. Ci sentivamo un po’ come Margherita Sarfatti e Rachele Mussolini Guidi Mussolini ambedue, amante e moglie, preoccupate entrambe per le sorti di Benito Mussolini ferito in un attentato. Cavolo cita la vita di Mussolini, poi un episodio che neanche conosco. Sa sempre sorprendermi! Continuo a pensare. Lei continua. Poi la tensione della notte. Il fatto che io, proprio io, avessi ammazzato un uomo. Il fatto, immagino, che lei si sentisse sconvolta dall’idea di essere complice di un occultamento di cadavere e, in caso di arresto, sarebbe potuta essere anche indagata come complice di un delitto, di un omicidio. Questi due fatti, oggettivi incontestabili, ci hanno indotto a sentirci parte di un unico essere, come lo siamo con te quando facciamo l’amore. Se prima eri una unica essenza con Francesca, quando andavi a casa sua, e io facevo finta di credere che andavi lì per lavoro, ed eri un’altra essenza con me, una entità che amo profondamente quella composta da me e te. Ora siamo ancora un’altra essenza, un’altra unità di anime, in tre, insieme. Insieme torna. Eravamo insieme io e Giulia a formare una nuova forma di convivenza, ora siamo in tre ad essere unica cosa. Almeno così crede Giulia. Magari era inevitabile. Era inevitabile che Giulia e Francesca costruissero un rapporto fra loro, fondato sulla loro comune conoscenza biblica di me. Ma tutto questo mi fa tremare i polsi, anche più dell’idea di essere scoperto quale autore dell’omicidio del magnaccia romeno Igor, e anche più dell’idea, veramente orrenda, di essere accusato dell’omicidio del senatore Eugenio Callispera. Intanto il sole era già alto. Cominciava un altro giorno, senza sapere cosa mi aspetta, cosa ci aspetta
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