sabato 3 luglio 2021

UNA STORIA SBAGLIATA V PUNTATA

 


CONVERSAZIONI E SILENZI

Perso nei miei ricordi scolastici. L’amore fra Didone ed Enea può avere dei risvolti divertenti, penso, non è solo esametro, metro, leason di versi. Può essere anche eccitazione, coinvolgimento in una storia truce di torbido legame sessuale, può essere il racconto di un folle amore, quello di Didone, e di un crudele calcolo di opportunità, il comportamento di Enea. Certo in alcuni passi Virgilio è un bacchettone. La sua poetica è strumentale alla politica di austerità e di moralizzazione dei costumi voluta da Augusto. Appare a questo punto logico che Virgilio racconti che il suo eroe, Enea il Pio, lasci la lascivia dell’alcova di Didone a Cartagine, sollecitato dal dio Mercurio, il messaggero dell’Olimpo (in precedenza avevo detto che era stata la madre di Enea, Venere, a imporlo, ho sbagliato), per compiere il proprio destino di padre di una nazione (quella romana) in Italia. Ma Virgilio non era solo un bacchettone. Era un poeta di corte, e che corte la corte di Augusto il fondatore d’imperi. Era un uomo di campagna, proveniva da Andes, un oppidum romano nel mantovano. Quindi si sentiva un privilegiato, perché era stato scelto da Mecenate, il collaboratore di Augusto che si occupava dell’arte come strumento di esaltazione imperiale, per essere uno dei poeti che doveva esaltare la supremazia giuridica, etica, culturale e valoriale di Roma nei confronti di tutte le genti conosciute, anche e soprattutto, Roma doveva essere superiore non solo militarmente, dato oggettivo, ma anche culturalmente alla Grecia.

Ma la poetica di Virgilio non era solo propaganda ed ideologia, avrebbe coniato questo concetto millenni più tardi Antonio Gramsci. La poetica di Virgilio era il canto della natura, la ricerca instancabile e, allo stesso tempo, disperata degli uomini di trovare un equilibrio con la natura. Era il poeta che cercava il puer, il fanciullo che avrebbe salvato il mondo, come scrive nella IV egloga, una delle sue opere più famose ed importanti, così fondamentali da essere la causa per cui Dante Alighieri lo scelse come guida nell’Inferno e nel Purgatorio. Chi era il puer? Era la manifestazione più evidente dell’ambiguità dello scrivere di Virgilio. Per i suoi committenti per il figlio di Ottavia, la sorella dell’imperatore, e di Marcantonio. È questo gli fa credere Virgilio. Ma il puer era una figura che travalicava l’intenzioni dei committenti. Doveva essere il latore di un mondo nuovo e di cieli nuovi. Era forse il frutto che hanno avuto alcune religioni orientali dionisiache, sul poeta latino. Si attendeva un’età nuova, diversa, credo, da quella che stava producendo l’imperio di Ottaviano. Una età fondata si sulla pace, come era quella di augusto, ma una pace non fondata sulle armi ma sull’armonia. Una pace panica, cioè voluta dal dio Pan, il dio della natura.

Virgilio era questo. Era esaltazione del potere delle armi di Augusto. Ma anche cantore della serenità prodotta dalla vita raccolta e avulsa da tutto ciò che è attività pubblica. Si direbbe un epicureo di mala voglia convertito ai doveri della vita pubblica romana. Che bello pensare alla grandezza di questo poeta che doveva segnare nel millenni la storia del genere umano. Che bello pensare che le sue poesie siano un fecondo prodursi di armonia e bellezza. Il suo esametro, il metro del suo poetare, è ordine e continuità, anche quando una il giambo o il dittico, ritmi più pressati, non rinuncia all’armonia che è propria della sua poetica.

Ora faccio fatica a non perdermi nel ricordo piacevole che produce la lettura dei versi virgiliani. Mi fa ricordare la scuola. Non solo i cattivi voti, che collezionavo, sono sempre stato un pessimo studente. Ma mi fa ricordare anche le amicizie, i rapporti di fiducia e di legame fra compagni, le  prime “storie” con le ragazze. L’assoluta mancanza di codici di comportamento preconfezionati, che mi portava a costruire rapporti interelazionali autentici. La gioventù non è idillio. La gioventù è dolore e scoramento, alternati a momenti di eccitazione e di coinvolgimento emotivo. Quello che rimane, però, di prezioso di quella età è che tutti, tutti noi esseri umani, in quel tempo siamo come fossimo solo orecchi pronti a percepire il bello e il fecondo della vita.

Ora mi interrogo sui miei destini, la mia vita come sarà, cosa produrrà il mio disordinato procedere nel tempo? Cosa sarà dei miei rapporti umani con Francesca e Giulia? Cosa sarà della mia vita procellosa? Tutto sembra fermo inglobato in una nebbia fitta. Non riesco a procedere. I miei occhi si fanno sempre meno consoni a scrutare ciò che mi si aspetta nel procedere della vita terrena. Vorrei trovare un senso che in realtà mi appare inesistente.

Un attimo, cosa succede? Mentre mi arrovello in queste domande esistenziali bussano alla porta. Chi sarà? Guardo dallo spioncino: è Giulia! Non c’è nessun pensiero che frappone il mio scrutare dallo spioncino la sua sagoma e l’aprire la porta. Opsh! Mi prende lo scoto destro. Me lo afferra con decisione, quasi fosse un trofeo che è da conquistare. Mi fa male. Ma mi fa drizzare l’uccello. Che piacere. Che perdita di sensi. Le mie mani toccano le sue tette. Sono momenti di estrema lussuria per i miei sensi. Ora lei entra per intero nella mia casa. Si solleva la gonna di lana, si abbassa le mutande. Mi dona il suo culo, piegandosi e voltandosi di spalle. Io non penso più da tempo. Mi slaccio la cintola dei pantaloni. Mi Sbottono, mi abbasso la cerniera lampo, mi abbasso le mutande il necessario per far uscire il cazzo. E via, il paradiso. Tutto un continuo barcamenarsi, un andare giù e sì, come fossimo su una scialuppa in piena tempesta, penso ai poveri morti annegati nel Mediterraneo e un po’ anzi molto mi vergogno. Ma continuo ad andare, esattamente come fa ogni italiano davanti alla disgrazia di poveri profughi e migranti morti nella disperata ricerca di lidi migliori di quelli che hanno lasciato.

A parte lo struggimento morale che produce la mia ipocrisia che non riesce a far indietreggiare il proprio bisogno di piacere neanche davanti al dolore di innocenti. Rimango qui nel disperato gesto di amore, di sesso, fatto assieme a Giulia. Il mio pene entra nel suo orifizio anale. Si gonfia per il piacere che procura il contatto con la pelle di lei. La felicità è lungi da arrivare, ma la lussuria, che fa perdere il senso stesso dell’agire raziocinante è tutta qui. Non so perché sia tornata, non so se da oggi in poi prenderà l’abitudine di venirmi a trovare ogni giorno. È già due giorni che viene. Io non posso che chiudere in me tutto il piacere che mi procura, con i suoi gesti e movenze feline, per almeno illudermi che la felicità possa essere per sempre. Pensate queste parole sento uscire dal mio corpo l’ineffabile mistura biancastra che rappresenta la vitalità. Tutto è, già, finito. Ma abbraccio i fianchi della mia Giulia. Quanto vorrei che la mia, la sua, la nostra felicità durasse per sempre.

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