POLVERE SOTTO IL DIVANO
“Che fai?”, mi disse Giulia. Io ero sopra di lei. Gli rispondo “faccio scendere l’adrenalina”. Avevo citato le sue stesse parole, che aveva usato per giustificare il fatto che lei e Francesca avevano fatto poche ore prima in macchina l’amore, con me spettatore e guidatore. Gli stavo alzando la camicetta lunga che utilizzava per dormire. Stavo puntando ad abbassargli le mutande, con il mio corpo che era già sul suo. Giulia allora stende le sue braccia sui suoi fianchi, accosta le sue mani alle sue mutande, intende farle scorrere lungo le gambe. La sua azione non è decisiva. C’ero già io che gli stavo togliendo la biancheria intima. Ma quel gesto indicava chiaramente che lei acconsentiva, intendeva dire “si” al mio atto di coito. Chissà se aveva capito il mio riferimento alla storia di sesso fra lei e Francesca? Chissà se si volesse far perdonare, accondiscendendo a un momento di sessualità fra noi due, appena ridestati forti grazie a un sonno ristoratore? Il mio pisello entrava nel suo culo. La sua azione si faceva decisa e ritmica. Ben presto ogni pensiero si spense in me, tutto il mio essere, corpo e cervello, era concentrato sul spingere, sull’atto di rapporto amoroso che stavo compiendo. Nel frattempo le miei mani si erano posate sull’inguine di lei. Sentivo che piano piano anche la sua eccitazione cresceva. Alla prima mia penetrazione il suo uccello era completamente moscio. Sembrava disinteressata all’atto sessuale, sembrava realmente che avesse consentito al coito solo per placare la mia gelosia, per “farmi scendere l’adrenalina”, per farmi scordare la gelosia e per chiedere perdono. Poi ho sentito che i muscoli involontari del suo ano cominciavano a tendersi e contrarsi. Era indice che anche lei provava un po’ di piacere. Si era spostata più volte con il suo corpo sotto il mio, per essere più comoda e non sentire i dolori muscolari provocati dalla presenza della mia persona sopra la sua. Il suo pisello cominciava a crescere. La sua duplice passione sessuale, causata dal suo essere transex si appalesava. Sentiva piacere dalle sue terga, e manifestava la sua passione dall’erezione della parte anteriore del suo corpo. Io mi sentivo potente. Avevo, ora, tolto le mani da lei, le avevo poggiate sul letto per utilizzarle come leva per battere con più veemenza il suo culo. Spingo. Spingo ancora. Il suo corpo freme. Il mi oscilla imperiosamente sulla sua schiena. I suoi ansimi diventano grida di piacere. La sua bocca si contorce di piacere, la sento che compie suono compatibili con il frenetico scontrarsi della lingua con il palato. Sono minuti interminabili che si susseguono. Ora il mio liquido spermale esce dal mio pene ed entra nei suoi orifizi. Il piacere è all’estasi. Ma si consuma presto. Io mi accascio sul letto, quasi cadendo per terra, visto che comunque la nostra alcova era il mio “a una piazza”. Quasi mi addormento, ma sento che lei viene sopra di me. Ora è il suo uccello che vuole aprire un varco nel mio corpo. Lo fa imperiosamente, penetrandomi con decisione, Io gemo dal piacere. Non so come possa essere successo, ma ormai riesco a trovare piacere sessuale in maniera assolutamente avulsa dal mio apparato genitale. Riesco a provare piacere anche se il mio pene è completamente inattivo. Tutto grazie allo strepitoso rapporto che si sta creando fra me e Giulia. Riesco a condensare la felicità in un attimo fuggente che si realizza attraverso l’efficace congiungersi delle nostre anime. Poi, a dire il vero, non è solo una passione spirituale quella che mi fa battere il cuore. Il suo cazzo dentro il mio ano mi crea un piacere inaspettato. Quando viene i miei pensieri si perdono in un oceano di pensieri che diventano sogni e che hanno come oggetto solo e unicamente la sua persona.
Mentre ci riposavamo abbracciati, suona il cellulare. È il mio telefonino. Elena dice non rispondere e mi dà un fuggevole bacio sul mio labbro inferiore. Devo. Rispondo. Il mio tono è quello di un condannato a morte che va verso il patibolo. Forse la mia sensazione e la mia emozione nel frangete sarebbe meglio paragonata a quella di un bimbo a cui la mamma sottrae un gelato per dargli una medicina. Ma fra pochi minuti sarò più propriamente, anzi realmente, un condannato a morte. Ciao, sono Elena. Di Troia? Domando io fra i miei pensieri, stando ben attento a non esprimerlo con parole alla mia attuale interlocutrice. Avrete capito, come capii subito io, che era Elena Garrone il mio direttore di dipartimento. Ciao, dimmi. Solo il fatto che aveva deciso di entrare di botto con il “tu” era un gravissimo segno, lo sapevo. Quando si trattava di avere una conversazione formale, istituzionale, era d’obbligo utilizzare il “lei”. Quando si partiva in terza persona, alla francese, e poi ci si buttava a ridere e a darci del “tu”, la conversazione era scherzosa e allegra. Ma quando, con serietà, si inizia fin da subito con il “tu”, vuol dire che si sta parlando di cose fondamentali per la vita di tutti e di ognuno i componenti dell’organizzazione dell’ufficio e dell’istituzione stessa. Elena Garrone doveva dirmi qualcosa di molto importante e di grave. Inizia. Mi ha chiamato un distaccamento periferico del dipartimento di polizia di stato romano. Mi ha telefonato il comandante del distretto. Mi ha chiesto informazioni su Fabio Lizzo, su di te, e su Francesca Delfuoco. Ho chiesto perché? Mi ha detto che queste due persone sono state fermate mentre svolgevano una missione per contro del mio ufficio. Ho chiesto dove? A Latina. Può darsi che abbiano dovuto compiere un controllo catastale, azzardo. Esatto, risponde il poliziotto. Volevamo sapere, prosegue, lei è a conoscenza della trasferta, l’ha autorizzata, malgrado la pandemia, considerandola urgente? Qui avevo un groppo in gola, non sapevo cosa fare. Mentire voleva dire essere complici di non so che cosa, dire la verità, cioè che ero all’oscuro di tutto il vostro viaggio ed ero certa che non c’era nessuna missione da compiere al Latina voleva dire condannarvi. Qui io, Fabio Lizzo, ho un tremito, il mio telefonino potrebbe essere controllato, e la Garrone sta dicendo troppo, la polizia e il giudice potrebbero farci un mazzo tanto, potrebbero farci male più dell’arnese di Giulia quando è al massimo della potenza. La Garrone è una fessa. Si sta incastrando anche lei. Oppure è il contrario, tremendamente furba e utilizza la nostra conversazione per informare la polizia della verità, consapevole anche lei che il telefono è controllato, senza esporsi troppo. Poi la mia superiore continua. Senta Lizzo,ahia mi chiama per cognome, intanto si prenda un po’ di ferie, non c’è bisogno di accendere il terminale del ministero da parte sua almeno per, diciamo, tre settimane. Io non dico nulla. Sapevo già da Francesca che questa sarebbe stata la decisione della Garrone. Gli propongo un gentile “buona sera” come congedo e chiudo il telefonino.
Chi era, Francesca? Mi fa Giulia con un tono che voleva apparire appositamente da gelosa. Rispondo no. Era Elena Garrone. Hai un’altra!? Bastardo, non ne bastano due. Risponde Giulia in tono faceto. Sa chi è la Garrone. L’abbiamo detto a lei sia io che Francesca. Sa che è il nostro capo. Poi mi fissa in volto. Che hai? Mi ha lasciato a casa, in ferie! E non sei contento? È vero che a casa c’eri già ma almeno non devi stare dietro alle scartoffie. Ridi, ridi. Dico io. Mi ha messo in ferie perché la polizia gli ha comunicato che sono invischiato nell’omicidio dell’onorevole Calispera e che sono andato a fare una gita con Francesca lei sa a Latina, ma noi sappiamo bene dove.. senza che fossi autorizzato dall’ufficio e, cosa più grave, dichiarando alle forze dell’ordine di esserlo. E ora purtroppo saranno guai anche per Francesca. Aggiungo. Pensa se sapesse che con noi c’era anche la nostra efficiente Elena Carsoli, dirigente amministrativa, giusto? Giulia alza le spalle. Chi cavolo si ricorda le balle che ha sfoderato Francesca per giustificare la mia presenza in macchina, sorride. Per te (Giulia) bastava il bocchino che ti ha fatto Francesca a giustificare il viaggio? Penso, sarcastico, ma non dico. Suona ancora il cellulare. È Francesca! Cosa c’è, gli dico. Siamo nella merda. Non dobbiamo dirci nulla di compromettente al telefono, penso. Aspetta, non drammatizzare. Provo a dire a Francesca. Aspetta a parlare dopo che siano evoluti gli eventi, il mio dire contorto vuole fargli capire che deve tenere la bocca chiusa, speriamo che capisca. Ma allora che facciamo! Dice Francesca, mi ha chiamato la Garrone. Anche a me, rispondo. Mi ha consigliato di prendermi qualche giorno di ferie, dice Francesca. A me ha imposto di stare a casa o meglio di non lavorare visto che a casa ci restiamo comunque grazie al lock down , rispondo io. Io ho accettato la sua proposta, non sapevo che dirgli, replica Francesca, anche io rimango in ferie da adesso almeno fino al prossimo primo del mese, vuol dire quindici giorni. Insomma oggi ha utilizzato lo stesso metro di giudizio sia con me che con te. Dico alla fine.
Suonano alla porta. Io dico a Francesca: ti devo lasciare e interrompo la conversazione. Meglio, parlare al telefonino è rischioso, soggiungo fra me. Chi è? Faccio io. L’agente Mario Carri, sto scortando il nunzio giudiziario del tribunale di Roma. Buonasera, si presenta quest’ultimo, sono il nuncio del Tribunale di Roma, sezione penale. Sono il dottor Edgardo dell’Edera. È qui il signor Marco Ignome, sono io risponde Giulia. Il messo penale sbarra gli occhi, poi dice ah, mi mostri un documento. A quanto pare gli avevano detto che Giulia era un trans ma se n’era dimenticato, allora quando Giulia si è presentata prima ha avuto un sommovimento poi si è rilassato. Il dottor Dell’Edera aggiunge, rivolto a me, è lei per caso il padrone di casa, il signor Fabio Lizzo. Sono io rispondo. Ecco per voi due avvisi da parte del tribunale penale, controfirmati dal giudice la dottoressa Martina Buonasera e dal coordinatore dell’ufficio delle indagini preliminari e capo della procura, il giudice dottor Roberto Gualtieri. Li prendiamo, ognuno prende quello che è indirizzato a sé. Sono due mandati di comparizione, bisogna andare al tribunale a parlare con la Buonasera. Sono ambedue per il 22 marzo, fra un mese esatto. Ambedue nello stesso giorno. Ma il mio è un avviso a comparire per persona che potrebbe avere informazioni utili al caso, insomma mi chiamano come testimone. Per Elena, invece, c’è un avviso di garanzia per sospetto omicidio premeditato perpetrato ai danni del senatore Eugenio Callispera. Su ambedue gli avvisi c’era una postilla, evidentemente introdotta per decreto legislativo recentemente in tutti gli atti giudiziari. Diceva se l’emergenza sanitaria lo renderà necessario sarà possibile ascoltare vostra signoria in tele conferenza. Bah.
Intanto accompagnarono il nunzio alla porta, dopo che questi aveva gentilmente declinato l’invito a prendere un caffè. Salutiamo gentilmente il nostro ormai amico Mario Carri, poliziotto appena assunto in servizio ma con grande futuro. È impossibile che degustino con noi una qualsiasi bevanda sia per la funzione che svolgono, sia per il nostro ruolo nell’inchiesta e sia per la contingenza sanitaria. Giulia e Fabio senza neanche parlarsi andarono a spostare il divano, per controllare se avessero dimenticato di pulire qualche macchia di sangue di Igor. Non c’era sangue, ma non c’era neanche polvere, cosa usuale sotto un vecchio comodo sofà. Se la polizia entrasse a perquisire l’appartamento, anche questo sarebbe sospetto. La polvere sotto il divano è una prova, una prova di vita vissuta all’interno di una casa e che non si vuole cancellare anzi se ne è orgogliosi.
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