giovedì 1 luglio 2021

UNA STORIA SBAGLIATA 10 PUNTATA

 


INSIEME

Mi sento scuotere, apro gli occhi. Non so da quanto tempo dormivo. Vedo Giulia che mi sorride, era lei che mi muoveva per farmi svegliare. Era bella cavolo. Aveva il viso perfettamente truccato, anche se in maniera leggera. Guardavo i suoi occhi, che avevano acquistato profondità, grazie alla matita. Aveva un rossetto sulle labbra lucido e di colore tenue. Ora aprivo la mia prospettiva visuale. Guardavo il suo corpo fasciato da un vestito di lana leggera. Le sue forme erano esaltate dal tessuto elastico. I suoi seni si ergevano, quali montagne imponenti e alte. Le sue gambe erano di una bellezza fascinosa, fasciate in un paio di collant neri, ma trasparenti al punto giusto. Insomma si direbbe una signora che attende, a casa sua, un ospite, che per l’occasione portava una veste informale, ma elegante. Vieni a cena? Mi chiede. Io quasi automaticamente, senza neanche pensare, rispondo: dammi qualche minuto, il tempo di riprendermi. In realtà dico a me stesso che devo mettermi anche io qualche cosa di bello. Va bene, dice lei, ti aspetto nel tuo, e questo aggettivo possessivo lo sottolinea con una voce suadente, salotto.

Vado in bagno, mi spoglio dei jeans e della camicia e ovviamente anche della maglieria intima. Mi faccio una doccia. Mi asciugo. Torno nella camera da letto e apro l’armadio. Scelgo i pantaloni e la camicia chasual più eleganti. Ora però penso. Ma dove cavolo ha preso quel vestitino che indossa? Non aveva niente con sé!Tremo! E’ andata in giro, è tornata al suo appartamento, oppure, cosa ancora più inopportuna, è andata a fare compere. Bah, ora me lo faccio raccontare.

Lei non era in soggiorno. Era in cucina alle prese con i fornelli. Le chiedo dove ha preso il vestitino. Mi risponde che è andata alla Chez moi, la boutique merceria dietro l’angolo e dal salumiere. Lì aveva comprato il necessario per vestirsi e mangiare. Tutte quattro le piastre erano in funzione, Padelle, pentole e tegami erano utilizzate, immagino da lei, per preparare pietanze. Io mi accosto a Giulia, mentre lei è di spalle a cucinare. Accosto il mio uccello a suo culo. Ondeggia un po’. Chiaramente vuole massaggiarmelo. Ma dice: lasciami cucinare. Io ignoro le sue parole. Accosto le mie labbra al suo collo. È la prima volta, da quando ci conosciamo, che lo faccio. Almeno credo. Poi le di botto chiude tutte le manopole del gas. Ho finito, dice. Io gli alzo il vestitino da dietro. La parte inferiore dell’abito, la colloco sulla sua schiena. Giù il collant, credo di averlo smagliato, giù le mutande di pizzo. Beh se Giulia se l’è messe vuol dire che stasera non voleva solo cenare. Mi slaccio il bottone e mi abbasso la cerniera dei pantaloni che avevo appena messo. Via anche le mutande lungo le gambe. Continuo ad accarezzarle il culo con il mio pene. Solo che prima lo facevo attraverso il sipario dei nostri indumenti, ora le nostre pelli si toccano senza alcun ostacolo. Non si muove dal luogo in cui è. Chiaramente vuole che la penetri. Non vuole decidere nulla del nostro atto sessuale in corso. Neanche il luogo fisico in cui avviene. Neppure decidere la posizione. Ogni decisione è nelle mie volontà. Io comincio ad infilarlo nel suo ano. Comincio ad andare ritmicamente su e giù con un uso proprio del mio bacino. La prendo lì, sui fornelli, in cucina. Quasi fosse in film pornografico dozzinale ove la padrona di casa viene trombata da un avventore entrato per caso in casa, un fattorino ad esempio, mentre cucina manicaretti per il marito, destinato ad essere cornuto.

Certo che duro parecchio. Di questo passo questa sarà la mia migliore perfomance.  La leason d’amore che abbiamo avuto io e Giulia solo qualche ora prima mi ha reso più forte. La durata del mio atto d’amore è lunga. Giulia comincia ad ansimare, la sento. Non finge. Sta arrivando all’orgasmo, grazie al mio cazzo. Come è mia abitudine in questi frangenti, vorrei voltarla. Il mio ragionamento è semplice e coerente, almeno credo, dopo il culo tocca alla fica. Poi desisto quasi subito. Non ci provo neanche. Mi rendo conto delle circostanze. La fica non c’è. Al posto della fica, ha un altro aggeggio, ben funzionante fra l’altro, come mi ha dimostrato solo poche ore prima, quando Giulia era  travolta dalla rabbia verso la poliziotta che l’aveva tenuta a bada in un interrogatorio dai toni scabrosi. Si è sfogata con me. Mi ha trattato come un giocattolo sessuale, come una baldracca qualunque da inculare ed abbandonare, solo perché era profondamente incazzata con il viceispettore Corretta e con il suo capo, il dottor Ettore Sportelli, l’ispettore. Ora forse si vuole far perdonare, ecco perché ha comprato un vestitino sexy al punto giusto, si è messa a cucinare, si è fatta inculare quasi fosse una mogliettina che si appresta a vivere nella casa coniugale, appena tornata da un fantastico viaggio di nozze e volendo inaugurare la nuova vita comune con il suo lui con una bella scopata.

Insomma continuo a spingere. Il suo ano si gonfia, ospita il mio pisello. Io comincio a sentire il massaggio dei suoi muscoli, diciamo del posteriore, sul mio uccello. È un momento di vera estesi, di felicità fuggevolmente raggiunta, che si speri duri in eterno. Lei continua a sussurrare il mio nome. Fabio, Fabio, Fabio. Io non voglio mettere le mani al suo bacino. Non voglio toccare il suo “attrezzo”, non in questo frangente, non adesso, basta, voglio che Giulia sia una donna. Mi aggrappo, quali boe di salvataggio in una terribile tempesta, ai suoi seni. Sono grandi. Le mie mani non ci riescono a coprire interamente la loro superficie, vagano come se si arrampicassero su monti impervi, per giungere alla vetta, ai capezzoli, ritti e pronti a dare piacere sia al loro possessore, sia a me che sono solo un ospite del suo corpo in questa avventura di sesso e passione. I suoi seni sono diventati manubri. Ora non mi appoggio alla cucina, afferro le sue tette per spingere di più. Lei così sente dolore. Non protesta, geme abbinando piacere, lussuria e patimento. Il ritmo con cui spingo aumenta. Questo è segno che a momenti arriverò alla eiaculazione. Ma non importa. Voglio penetrare dentro di lei, quale l’atto fisico fosse la stessa cosa di una ricerca di comuni accordi di pensiero. Come i nostri corpi sono un’unica cosa, le nostre anime solo lo stesso. Siamo, come dicevano i greci, o meglio come diceva il sommo Platone, un unico essere vivente, diviso da un demone crudele, che con la spada ha tranciato gli organi che ci tenevano insieme. Ora con l’atto sessuale torniamo all’unità perduta. Ora siamo uno e non ci divideremo più. Mentre pensavo queste cose, il mio sperma abbandona il mio cazzo per penetrare negli anfratti dell’apparato anale di Giulia. L’orgasmo è al climax, al suo massimo di esplosione di piacere. Ora rapidamente si ridimensiona, come si sta ridimensionando il mio pisello, che lentamente sta tornando alla posizione di “riposo”.

Beh ora si mangia. Dice Giulia, con tono realmente allegro. Non lo vuole confessare a se stessa, ma in realtà è vero: si sente felice. Malgrado tutto. Malgrado il fatto che non può andare nel suo appartamento. Malgrado il fatto che da stamattina ha chiuso il telefonino, da cui riceve le chiamate dei clienti, per ovvi motivi logistici, non sa come e dove ospitarli. Malgrado il fatto che a casa sua la polizia ha messo i sigilli, è venuta un’ambulanza e ha portato via un cadavere sotto gli occhi dei vicini, che fino ad allora era steso, ammazzato, sul suo letto. Io e Giulia ci aggiustiamo gli abiti in fretta. Lei si alza le mutande e si abbassa il vestitino, buttando sul divano il collant che ormai gli dava solo fastidio. Io mi rinfilo mutande e pantaloni. Giulia serve un pasto semplice. Il primo è spaghetti al sugo. Mangiamo di gusto, sorridendoci vicendevolmente. Ora tocca al secondo.. Cavolo contemporaneamente bussano alla porta e al citofono del portone. Chi sono? Col senno di poi appare stano che noi non avessimo afferrato subito. Ma veramente Giulia ed io non immaginavamo che c’era una pletora di giornalisti e curiosi.. che volevano sapere.. che volevano dare voce (!) alla trans accusata di omicidio di un potente, di un politico. In realtà il magistrato non si era ancora pronunciata in proposito, anzi non era ancora andata sul “luogo del delitto”, presa da altre inchieste. Non c’era nessun capo di accusa nei confronti di Giulia, almeno non c’era ancora. Era la stampa che aveva fretta di narrare ai propri lettori un fatto di potere, sesso, sangue e morte con tanto di retroscena di “diritti trans gender” attualmente tanto di moda. Mia accosto alla porta. Guardo dallo spioncino. Vedo una pletora di persone con mascherine sul volto, macchine fotografiche, tablet e quant’altro. Porco Giuda, per loro non c’è il lockdown? Penso. Quasi, quasi telefono al 113 e li denuncio per non ottemperanza ai decreti del presidente del consiglio per fronteggiare la pandemia covid. Poi invece alzo la voce, per chiedere, quasi non avessi capito, chi è? Buona sera, sento una numero indefinito di voci dire la stessa cosa, vorremo avere un’opinione sull’accaduto da parte della signorina Giulia Ingome. Ahia, sanno proprio tutto! Penso. Sanno che nell’appartamento di Marco Ingome c’è stato un omicidio. Visto che conoscono bene il suo cognome. Sanno che è un/una trans, l’hanno chiamato/a con il suo nome da donna. Sanno che il morto era lì per avere un rapporto sessuale a pagamento. Sanno che era un senatore, probabilmente è la prima notizia saltata fuori questa. Immagino che vogliano portare argomentazioni piccanti alle loro redazioni, per giustificare un articolo, con tanto di titolone, a loro firma sul giornale di domani o sul loro blog. Vogliono essere i padroni di internet. Con una notizia bella tosta, piccante, si può avere una serie di migliaia, di milioni di followers.

Poi si sente un’altra voce. Questa volta è ben distinta dalle altre. Dice: prego circolare, non si può sostare, per giunta in un così folto numero in qualsiasi luogo, soprattutto se è chiuso, come è questo. Vi prego di uscire immediatamente da questo edificio. È il poliziotto che stava sulla strada, davanti al portone di Giulia. Sarà accorso quando ha notato il caos. Lo abbiamo conosciuto quando ci ha misurato la febbre. Io sono stato con lui diverse ore, in attesa che Giulia scendesse le scale del suo palazzo, dopo essere stata consultata dall’ispettore. È un bravo ragazzo. Niente grilli per la testa. Fa il suo dovere. Tanto è vero che non mi ha chiesto nulla sull’omicidio e su quali fossero i miei legami con Giulia. Era chiaramente un uomo che ubbidiva ed eseguiva solo gli ordini, non faceva di testa sua. Io mi sbilancio. Provo ad immaginare ciò che pensa. Dall’aria giovane e intelligente, sembra un poliziotto convinto che ognuno ha un ruolo e lo deve compiere con dovizia. Pensa: quando sarò capo, deciderò io delle indagini e mi presenterò come interlocutore dei testimoni, delle vittime, dei parenti e degli indiziati. Ora, però, faccio solo cosa dice l’attuale capo. Insomma ha l’aria di uno che farà carriera. Dopo lunghissimi minuti, bussa alla porta. Si presenta. Sono Mario Carri, vi ricordate di me? La risposta mia e di Giulia è unisona: certo! Io gli dico: si accomodi, grazie per averci aiutato! L’agente sorride. Non posso, devo tornare al mio posto di controllo, giù in strada. Mi raccomando, aggiunge, eviti di parlare con i giornali. Lo dico non da poliziotto, lo dico da uno che vuole darvi un consiglio disinteressato. Il magistrato, forse, vi imporra il segreto istruttorio, chi lo sa. Ma certamente prima di parlare non solo con i giornali, ma con chiunque, anche con me, sarebbe meglio che vi faceste consigliare da un legale, anzi che questi parlasse per voi, almeno nelle conferenze stampa. Poi l’agente Carri, esce di casa mia chiude la porta e continua a gridare ai giornalisti che nel frattempo non erano andati in strada ma erano rimasti sulle scale.

Che fare? Chiedo a Giulia. Sconsolata lei non sa trovare una risposta. È stanca proprio di tutto, non solo a causa dell’attività ginnica che abbiamo fatto insieme solo pochi minuti prima. Ha l’aria sconsolata. Questo incontro con i giornali non ci voleva proprio. Allora ci provo io a tirala su col morale. Intanto sforno un sorriso il più rassicurante possibile, visto il contesto. Le dico: andiamo a mangiare, mi hai messo addosso una fame tremenda, con i tuoi manicaretti ti devi far perdonare. Gli sfugge un sorriso, ce l’ho fatta. Gli ho fatto passare almeno un po’ della tristezza che si porta addosso. Si porta a tavola la carne. Lo facciamo insieme dall’open space della cucina portiamo a tavola tegami, piatti e posate. Ora lei ha perso l’aria di ospite che invita a cenare un estraneo. Siamo veramente una coppia che va a cena dopo una giornata vissuta insieme. Io alzo le spalle, fra me e me, penso “Che Giornata!”meno male che almeno siamo stati “INSIEME”.

Nessun commento:

Posta un commento