domenica 29 settembre 2019

LA COSTITUZIONE ITALIANA: ARTICOLO 21


ARTICOLO 21

Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo.

La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dall'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili. 

In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle prime ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo di ogni effetto.

La legge può stabilire con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. 

Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume . La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.
Per ricordare i 70 della Costituzione Italiana non poteva mancare il ricordo dell'articolo 21. L'articolo della libertà di pensiero e di parola. Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola con lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Questo è il primo comma dell'articolo. Niente censure, niente silenzi imposti. Ogni persona ha diritto di dire la propria idea, anche se in contrasto con il pensiero dei più. Ovviamente lo stato e la sua forza autoritaria non devono impedire il proferire del pensiero, a meno che questo non sia latore di un reato penale, quale ad esempio la calunnia. In questo caso occorre dire il nostro ordinamento democratico non prevede la censura, ma il perseguimento penale dell'eventuale calunniatore. Insomma la censura è preclusa nel nostro paese. Tanto è vero che i giornali possono essere sequestrati, ma mai si può impedirne la loro stampa. Insomma in Italia, almeno secondo la legge, ognuno può e deve dire la sua, in qualsiasi luogo. Difficile dire che questo articolo sia realmente applicato. L'Italia è agli ultimi posti nelle classifiche dei paesi occidentali per quanto riguarda la libertà di stampa. C'è di fatto un controllo sostanziale delle notizie. Il potere economico e politico esercita un vero e proprio controllo della stampa. Non è un caso che per vent'anni un editore abbia egemonizzato la vita politica. Questo dimostra come la stampa difficilmente sia libera, e che sia anzi asservita agli interessi economici e alla fame di potere di pochi. Ma la libertà di parola si esercita anche nel quotidiano. Si esercita grazie alla disponibilità all'ascolto dell'altro. Per esercitare la libertà di parola dovremmo imparare ad ascoltare. Quante volte un dialogo diventa un monologo. Quante volte riempiamo di insulti il nostro interlocutore senza renderci disponibili all'ascolto? Troppe! L'articolo 21 si esercita anche nel quotidiano, rispettando il proprio collega, rispettando il commesso del negozio che prova a spiegarci le motivazioni di un'attesa prolungata, rispettando colui che ci sembra dica cose poco interessanti e di conseguenza liquidiamo il suo interloquire con una sonora pernacchia, nella migliore delle ipotesi, o con improperi degni di tori ben più gravi che una semplice paralipomena poco gradita. Allora garantire la libertà di parola propria e altri è un esercizio di vita. Far proferire agli altri parola vuol dire prima di tutto imparare ad ascoltare. Vuol dire riuscire ad intuire che ogni parola detta da un altro è importantissima. Impariamo ad ascoltare gli altri. Impariamo a rispettare il loro pensiero. Impariamo ad esercitare la nostra libertà di parola, rispettando il verbo degli altri. Questo contribuirà a fare della nostra Italia un posto migliore. L'articolo 21, la libertà. non è solo il riconoscimento di un diritto, è anche un'indicazione su come vivere la vita assieme agli altri.

E' giusto ricordare che l'articolo 21 è anche uno prezioso strumento per il potere legislativo, l'autorità giudiziaria e di polizia per districarsi nel delicatissimo compito di bilanciare il diritto di parola con altri diritti della persona umana. Il costituente indica chiaramente come le autorità dello stato debbano comportarsi in caso di utilizzo della libertà di proferire parola per commettere reati penali, soprattutto contro la persona ma non solo. Il comma 3 del presente articolo dice che non esiste la censura preventiva nel nostro ordinamento,si può sequestrare un documento redatto con qualsiasi strumento di comunicazione soltanto forti di un atto dell'autorità giudiziaria che lo autorizza in base a tassative indicazioni prodotte dalla legge. In casi d'urgenza, precisa il IV comma, il sequestro può essere effettuato da ufficiali di polizia giudiziaria, ma il loro gesto deve essere immediatamente comunicato al magistrato competente che entro ventiquattrore lo deve legittimare con atto proprio, altrimenti il sequestro è come se non fosse stato fatto ed è dovere dello stato rimettere alla pubblica lettura il cartaceo illegittimamente tolto dal commercio. 
Il V comma dell'articolo 21 della Costituzione Italiana indica che i finanziamenti e i finanziatori dei giornali, o comunque dei mezzi di informazione, devono essere noti. Questo comma è di estrema e stringente attualità oggi, in cui le notizie si acquisiscono con strumenti di divulgazione rapidi e senza possibilità di un pronto controllo, quale è ad esempio la "rete", cioè internet. Molto spesso si diffondono notizie la cui fonte è sconosciuta. Sono ignote anche le finalità per cui una rete di informazioni si sia presa la briga di diffondere una informazione. Come fare a risolvere questo delicatissimo problema? La legge trova nell'azione della Polizia Postale lo strumento per vegliare sui prodotti mediatici. E' lei che ha il dovere di comunicare ai magistrati delle devianze e ove necessario provvedere al sequestro, lo spengimento del sito incriminato, e comunicarlo al giudice, che avallerà la decisione o ordinerà la riapertura del canale web. Ho fatto l'esempio della rete. Sono comunque variegati gli ambiti in cui opera lo stato per controllare che non sia utilizzato contro i canoni della legge il diritto di parola. Penso alla commissione bicamerale per la vigilanza della RAI, organo parlamentare che ha il controllo di vegliare sulla TV di stato. Il controllo sulle molte TV e radio private da parte delle autorità amministrative, ad esempio i dipartimenti del ministero delle Telecomunicazioni. Deve essere chiaro che questa opera delle autorità dello stato non deve mai mettere in dubbio il principio di libertà e di pluralità del pensiero espresso con qualsiasi mezzo di comunicazione. Nessuno è censurato o censurabile. Il compito statale è quello di comunicare alla autorità giudiziaria eventuali atti illeciti, alla fine dei conti sarà questo, solo questo, organo dello stato a rilevare eventuali reati, in forza della sua autorità super partes.

L'ultimo comma vieta la pubblicazione a stampa e spettacoli contrari al buon costume. Il concetto di "Buon costume" è mutato nel corso degli anni. Decenni fa per un giudice particolarmente probo poteva essere scandaloso mostrare anche solo che una donna mostrasse in pubblico le proprie gambe nude o le proprie braccia. C'è purtroppo poco da ridere. In alcuni paesi Africani o asiatici ancora oggi se una donna mostra in pubblico parti del proprio corpo, viene condannata anche alla pena di morte. E' doveroso condannare chi lede in questo modo il più elementare diritto ad essere libero della donna. Chi applica la cosiddetta Sharia, la legge islamica, non rispetta norme ma lede i diritti delle persone, della parte femminile dell'umanità, bisogna ricordarlo. Dopo questo inciso è giusto ricordare che oggi il concetto di "buon costume" nel nostro paese è fortunatamente molto diverso da quelli prima esposti. La donna può sentirsi libera in Italia di vestire come vuole, ovviamente non superando quei limiti di decenza che vietano di mostrare nelle pubbliche piazze le putenda. La cosa importante, decisiva per far capire lo spirito democratico ed egualitario del nostro stato, è che le stesse norme che l'Italia impone alla donna in materia di pubblico pudore, valgono per l'uomo. Questo concetto è valido e diffuso in ogni stato che, come il nostro, si definisce occidentale. Ecco la ragione per cui oggi sono autorizzati alla stampa i cosiddetti giornali Osé, ma con la possibilità di essere censurati, cioè sottratti alla pubblica lettura preventivamente, cosa invece non prevista per altre riviste e giornali, se le immagini e i contenuti che riportano sono talmente "forti" (passatemi questa parola) da non poter rimanere indifferenti al pubblico ludibrio. Speriamo che nessun giornale arrivi a questo. Occorre ricordare che film importantissimi nella filmografia mondiale e italiana furono posti sotto censura per scabrosità. Negli anni 70 del secolo scorso per mesi non poté uscire nelle sale "L'ultimo tanto a Parigi" di Bernardo Bertolucci. Che dire? La censura nella filmografia appare ancor oggi necessaria. E' bene che alcuni film siano proposti, ad esempio, solo a un pubblico adulto. Detto questo è bene che si utilizzi, come dicevano i latini, grano salis, cioè si sappia intuire quando certi contenuti e certe scene che il pubblico pensiero considera scabrose, siano in realtà strumento di espressione creativa di un artista. Comunque ottemperare a questo impegno di ponderata saggezza è compito difficilissimo, si è sbagliato in passato, è facile pensare che si continuerà a sbagliare in futuro.
testo scritto da Giovanni Falagario

sabato 28 settembre 2019

LA COSTITUZIONE ITALIANA:ARTICOLO 20


ARTICOLO 20 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività”

L’articolo 20 della costituzione appare come un corollario dell’artico diciannove. Come conseguenza del diritto a professare qualsiasi tipo di credo c’è il dovere da parte delle autorità pubbliche  di non discriminare alcuna associazione nata per accogliere coloro che professano una determinata fede. Non vi possono essere norme  volte a discriminare l’attività di enti ecclesiali, di associazioni e di istituzioni. La legislazione potrebbe attuare norme per dissuadere la popolazione ad organizzarsi per finalità religiose. Vi possono essere norme che istituiscono tassazioni speciali per gli enti religiosi. L’articolo 20 impone che lo stato non attui mai questa strada. Discriminare una qualsiasi attività religiosa è reso impossibile nel nostro paese grazie all’articolo venti della costituzione.  Insomma le istituzioni a carattere religiose possono avere norme di favore, cioè volte a facilitare la loro istituzione, ma non possono esservi norme che pongano ostacoli e difficoltà alla loro nascita. Questo principio è fondamentale per agevolare l’aggregazione di persone nella loro professione di fede. Il credente può liberamente manifestare il suo afflato religioso senza associarsi ad alcuno, senza aderire ad alcuna comunità ecclesiale. Se decide invece di far parte di una comunità religiosa lo stato deve agevolare l’attività istituzionale della comunità. La repubblica deve facilitare l’organizzarsi dei fedeli. L’autorità deve garantire che siano rispettati gli statuti. Non deve in alcun modo ostacolare l’attività religiosa. Questo è un principio basilare che la Costituzione esplicita nell’articolo 20. Insomma non vi possono essere aggravi di natura fiscale allo svolgimento dell’attività religiosa, che spesso impone forme di autofinanziamento da parte dei fedeli e anche di un finanziamento pubblico. Questo principio, occorre dirlo, ha prodotto effetti aberranti. In Italia ci sono esercizi commerciali che sono tassati poco e in maniera incostante, perché facenti capo ad un ente ecclesiastico. Sono vere e proprie attività commerciali che fanno concorrenza sleale ad altri esercenti. Siamo al paradosso che l’articolo 20, nato per non discriminare le associazioni religiose, diventato la giustificazione della nascita di privilegi fiscali e giuridici che la teleologia del commercio non dovrebbe giustificare. Ci sono attività economiche che non pagano le tasse sui beni immobili posseduti solo perché risultano facenti parte di enti ecclesiastici. E’ bene che la legge razionalizzi la tassazione. Non è certo finalità dell’articolo 20 agevolare alcune attività commerciali a discapito di altre. Non è volontà del costituente che alcuni negozi possano non pagare le tasse, perché formalmente sono attività religiose, ,ma  sostanzialmente sono imprese commerciali. E’ d’uopo una razionalizzazione della materia e un censimento accurato di tutte le proprietà e i beni catalogati come ecclesiastici al fine di tassare tutti i beni immobiliari e mobiliari che sono estranei all’attività religiosa e sono solo strumenti di attività economiche. Ovviamente non c’è alcun biasimo verso coloro che, pur facenti parte della comunità clericale, svolgono attività commerciali. La necessità è quella di riconoscere che tali attività sono equiparate ad ogni altra attività volta ad ottenere lucro e dal bisogno di tassarle adeguatamente. Lo stesso vale per le proprietà immobiliari, devono essere soggette alla tassazione, come qualsiasi altra casa e appartamento. Questo per garantire il principio di eguaglianza imposto dal dettato costituzionale.

testo di Giovanni Falagario

RIVOGLIONO IL LORO FUTURO


FRIDAY FOR FUTURE

Ieri, 27/09/2019, in milioni sono scesi in piazza. In ogni parte del mondo giovani studenti hanno manifestato per farsi latori di una concreta tutela ambientale. Erano decenni, dal 1968, che non avveniva una cosa del genere. Una intera generazione in ogni parte del mondo ha una visione comune di cosa non va e di cosa si dovrebbe fare nel mondo intero. Le temperature si alzano. I ghiacciai nei monti e ai poli si sciolgono. Le acque marine crescono. Il disastro ambientale, la crisi planetaria che potrebbe mettere a rischio la stessa esistenza del genere umano, sembra alle porte. Per questa ragione i giovani chiedono una presa di responsabilità da parte degli adulti. Ora basta! Fermatevi! Bisogna smetterla di sfruttare le risorse ambientali come se fossero merci qualsiasi, senza pensare che il trasformare in danaro acqua, cibo, piante e materie prime vuol dire accelerare la fine delle nostre esistenze. Guidare una macchina, costruire un'industria, addirittura anche mangiare un panino, cose tutte legali e benefiche sotto molti aspetti, se fatte con disordine ed ingordigia, senza moderazione, possono mettere in pericolo l'intero ecosistema. Questi sono i temi della discussione che ha infervorato e infervora i cuori dei ragazzi. Il futuro è loro, i "grandi" lo stanno rubando. Come fare a cambiare questo stato di cose? Greta Tunberg, la giovanissima svedese che nell'agosto 2018 manifestò davanti al parlamento del proprio paese iniziando così un processo che oggi coinvolge milioni di suoi coetanei, ha posto delle priorità ai potenti. E' andata in questi giorni di torrido agosto - settembre 2019 a parlare alla politica mondiale nel Palazzo dell'ONU a New York, ha gridato forte la sua indignazione, ha invitato i capi di stato ad impegnarsi per ridurre i gas inquinanti nell'atmosfera terreste. Ha chiesto di pensare al bene comune, di pensare a non gettare via le risorse naturali al fine di preservare la vita umana. Il grido di dolore della terra sembra essere stato raccolto da Greta e dagli altri ragazzi, non da una classe politica mondiale che appare insensibile davanti alle tragedie umane causate dal moltiplicarsi di incendi, uragani e altri eventi direttamente correlati all'aumento della temperatura terrestre. Greta non è sola. Non lo è mai stata. Neanche quando da piccolina andava davanti al parlamento svedese. Aveva con sé milioni di giovani che avevano le sue stesse paure, nel cuore pulsavano le stesse speranze, nella mente gli stessi propositi. Ora che comune sentire ha prodotto una manifestazione mondiale, magari domani una politica concreta e attiva di cambiamento. Greta è affetta dalla sindrome di Asperger, è continuamente insultata sui social network soprattutto in Italia, per gli effetti che ha sul suo viso questa patologia. La migliore risposta a queste prese in giro sono i ragazzi e le ragazze che hanno un sogno comune con lei, un sogno di tutela ambientale, un progetto che frantuma ogni pregiudizio coadiuvato dalla vivacità prorompente della giovane età. Questo afflato di bene che accomuna la generazione dei "nativi del XXI secolo" da una nuova forza, offre un nuovo obbiettivo da raggiungere: il superamento di ogni pregiudizio verso ogni di diversità. Il cammino in Italia è ancora lungo per costruire una comunità inclusiva, gli insulti verso i meno fortunati su internet sono solo il dato più evidente e il meno deleterio, in una società in cui il primo partito nei sondaggi è un movimento xenofobo, in una società in cui i disabili, gli omosessuali, le donne sono di fatto esclusi dal mondo attivo e dal sociale. Cambiare non solo è possibile, è indispensabile, speriamo che lo faranno i ragazzi di Friday for Future.

Testo di Giovanni Falagario

giovedì 26 settembre 2019

LA COSTITUZIONE ITALIANA: ARTICOLO 18



LA COSTITUZIONE ITALIANA:ARTICOLO 18

“i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per i fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale.

Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare”

L’articolo 18 dà a tutti i cittadini  il diritto di associarsi. Che cosa sono le associazioni? Sono formazioni sociali stabilmente organizzate e costituite su base volontaria al fine di soddisfare determinati interessi comuni a tutti coloro che ne fanno parte. Da questa definizione scaturiscono due diritti del singolo. Il primo è quello di associarsi, di aderire a una determinata organizzazione. Il secondo, all’opposto, è quello di scegliere di non farvi parte. Non vi è un obbligo assoluto di associarsi, si può scegliere di non aderire a quel progetto comune che ha dato vita a una determinata associazione. La caratteristica della volontarietà rende libera la persona di non fare parte dell’organizzazione. La Costituzione garantisce un’altra libertà fondamentale del singolo. La libertà nella associazione consiste nel diritto di poter esprimere il proprio pensiero, di poter agire secondo coscienza, all’interno dell’associazione. Questa libertà, è bene sottolinearlo, va bilanciata con il diritto dell’associazione di dotarsi di una finalità collettiva e un regolamento interno propri. Il singolo non può considerarsi libero di operare all’interno di una associazione compiendo azioni che sono contrarie alle finalità e agli statuti sociali. Essendo l’organizzazione libera, libero è l’aderirvi o meno. Se il singolo non ritiene di riconoscersi nella teleologia dell’associazione è libero di non aderirvi o di dimettersi, ma non di ledere la stessa struttura sociale contestandone i fondamenti. Qui viene posta una questione fondamentale, la cui risposta è molto complessa. In un’associazione di liberi cittadini quali sono i fondamenti incontestabili?  Quali sono i limiti che intercorrono fra il normale confronto dialettico fra associati, che hanno punti di vista diversi su come perseguire un obbiettivo comune, e invece lo scontro radicale che mette in discussione i principi fondamentali dello stare insieme? Non vi può essere una risposta assoluta a tale domanda. Certo ci sono casi in cui il singolo associato mette in discussione la ragione sociale, il motivi per i quali si sta insieme, allora è lampante che il suo dibattere lo mette fuori dalla comunità, giustifica un’eventuale espulsione. Ma ci sono dei dibattiti che non hanno una chiara soluzione. Spesso vi sono dei dissidi fra i singoli partecipanti, che non possono essere risolti con un’analisi obbiettiva delle regole che gli associati si sono date e la conseguente espulsione di chi le trasgredisce. I contenuti del contendere possono essere frutto di una visione diversa dell’agire concreto. Allora inevitabile che a prevalere sono le ragioni di “forza”, cioè i numeri, i numeri di associati che appoggiano una tesi rispetto a quelli che sostengono quella avversa. In caso di controversie lecite legalmente e nelle quali tutte le parti agiscono nel quadro comune delle norme fondamentali dell’associazione, iscritte nello statuto e nel regolamento, razionale sarebbe mettere tutto nelle mani dell’assemblea degli associati, che esprimono con il voto la scelta collettiva. La libertà d’associazione è uno dei più importanti strumenti per la crescita collettiva della nazione. Le associazioni, con il loro impegno in tutti gli ambiti dello scibile umano, accrescono il livello culturale, le conoscenze scientifiche di tutto il paese. Ci sono molte associazioni nel nostro paese che si distinguono nel loro impegno verso l’aiuto e il soccorso dei soggetti di in difficoltà. Le associazioni di volontariato che hanno come scopo l’aiuto delle persone anziane, dei disabili, dei meno fortunati in generale, sono una ricchezza assoluta per la nazione. La libertà di associazione permette di fatto la nascita di realtà di comunanza eccezionali. Come non ricordare l’associazionismo cattolico. Le associazioni animate dalla fede in Cristo e nella Chiesa hanno contribuito in maniera eccezionale al miglioramento del paese. Animate da un comune ideale di vita queste società di persone si sono messe in cammino nel mondo con la loro opera di testimonianza. E’ d’obbligo ricordare anche altre associazioni, animate dallo stesso spirito di solidarietà, ma laiche e che hanno diversi orientamenti culturali, le associazioni liberali, socialiste o comuniste. Tutte queste associazioni, a prescindere dal loro orientamento ideale, hanno donato un prezioso contributo alla crescita culturale del paese.  E’ comunque sbagliato pensare che la formazione culturale crei steccati. Vi sono in Italia persone che, pur essendo di credo diverso, operano insieme in associazioni, persone che sono riuscite a trasformare i diversi punti di vista delle persone in ricchezza collettiva, che si manifesta nell’associazione. Sono splendidi esempi di come il dialogo, la cooperazione, la volontà di raggiungere obbiettivi benefici possa superare ogni tipo di barriera. L’associazionismo è una miniera d’oro da cui ogni giorno scaturiscono pepite che sono fonte di ricchezza per tutta la comunità nazionale. Sbagliato non rendersene conto, sbagliato non utilizzare queste grandissima risorsa per superare i limiti che il nostro apparato statuale contiene. La Repubblica deve mettere a frutto questo straordinario patrimonio. Le associazioni possono e devono operare insieme agli apparati pubblici al fine di superare tutte le barriere che impediscono il raggiungimento dell’uguaglianza formale e sostanziale di tutti. L’articolo 18 della costituzione vieta le associazioni che hanno fini vietati dalla legge penale.  A questo proposito è d’obbligo pensare alla mafia. La terribile organizzazione criminale che ogni giorno uccide, spaccia droga, corrompe politici e cittadini, fa opera di strozzinaggio. Contro questi enti terribili la nostra Costituzione di staglia come strenuo baluardo di legalità. Il fenomeno delle associazioni criminali va assolutamente debellato. Il nostro paese non può crescere se avrà ancora nel suo ventre tale tremenda serpe. Lo stesso vale per le associazioni segrete. La costituzione e la repubblica, come saggiamente dichiara il secondo comma dell’articolo 18, non deve permettere l’esistenza di associazioni segrete. Ognuno è libero di associarsi, ma non può farlo celando i suoi scopi e le sue finalità, non può avere un obbiettivo volto a ledere l’ordinamento statale e i principi democratici. L’esempio è la Loggia Massonica P2 che ha tramato contro l’ordinamento dello stato e che è stata debellata con estrema fatica e impegno da parte di tutte le istituzioni, La magistratura, in primis, e poi il parlamento, con la costituzione della commissione parlamentare presieduta dalla compianta Tina Anselmi nel 1981. Le associazioni segrete sono un pericolo non solo per lo stato, ma per tutti i cittadini. La P2 voleva sovvertire l’ordinamento democratico del paese, portando grave nocumento all’intera collettività e rovesciando lo stesso ordinamento costituzionale. Altro punto da sottolineare è l’assoluto divieto di costituire organizzazioni di carattere militare. La forza deve rimanere prerogativa dello Stato. Nessun cittadino deve farsi giustizia da sé. Ma in questo articolo si vuole stigmatizzare la pratica del fascismo e, in alcuni casi, del comunismo, che in passato si sono armati e hanno portato il terrore nel nostro paese. Le organizzazioni paramilitari sono assolutamente bandite. Nessuno può circolare liberamente armato nelle nostre strade per raggiungere finalità politiche e di cambiamento sociale. La prigione è l’unico luogo per persone del genere. Ogni tipo di organizzazione lecita deve farlo sen’armi. Insomma l’articolo 18 è uno dei fondamenti del nostro vivere insieme. L’associazionismo è un universo prezioso. Lo stare insieme, dandosi regole comuni, è un modo per essere persone migliori, per vivere la vita in comune, per sentirsi partecipe di un progetto collettivo che apra le strade a un futuro migliore.       

Testo di Giovanni Falagario                                                                          

COSTITUZIONE ITALIANA: ARTICOLO 19


LA COSTITUZIONE ITALIANA: ARTICOLO 19

“Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associativa, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”

L’articolo 19 della costituzione fonda la propria ragion d’essere nell’articolo 3 della stessa carta. Il principio di uguaglianza, iscritto nel terzo articolo costituzionale, dà il diritto a tutti i cittadini di professare il proprio credo religioso. Nessuno deve essere discriminato in base alle sue credenze sull’aldilà. L’articolo 19 offre a ogni cittadino una libertà personale, un diritto universale e inviolabile di libertà religiosa che non può essere intaccato da nessuno, né da altre persone né dall’autorità statuale. Questo articolo è legato all’articolo 8 della stessa carta che afferma che tutte le religioni sono egualmente libere davanti alla legge. Il 19 dice qualcosa di più e di diverso. Afferma che il singolo uomo e la singola donna sono libere di credere o di non credere. Afferma la libertà del singolo di professare una fede religiosa, una libertà che spezza ogni catena e costrizione causata da un’entità esterna che sia statuale o abbia le sembianze di un’autorità religiosa. Quindi dà la libertà di professare una fede religiosa. Offre la possibilità di professare il suo agnosticismo e il suo ateismo. Insomma l’uomo è nella piena potestà di manifestare il suo rifiuto assoluto del divino (ateismo) o la sua indifferenza verso tutte le credenze metafisiche (agnosticismo) esattamente come è libero di professare qualsiasi forma di credo e di venerare qualsiasi divinità. Non c’è più la religione di stato. Nel periodo della Monarchia Sabauda lo stato riconosceva la religione cattolica come religione di stato. Alla luce di questo i cattolici avevano nei fatti privilegi, rispetto a coloro che avevano altre credenze. La religione del papa e i suoi segni liturgici erano presenti nella vita pubblica dello stato, le manifestazioni istituzionali erano accompagnati da riti cristiani. Oggi la sensibilità verso le diverse credenze ha portato lo stato a considerare ogni rito religioso degno di essere rispettato e inserito nel protocollo istituzionale. La Repubblica non ha scelto di essere atea, cioè di considerare ininfluente la religione, ma ha scelto di rispettare ogni forma religiosa. E’ un importante cambiamento di prospettiva. Malgrado l’oggettivo riconoscimento della Chiesa Cattolica come interlocutore religioso meglio radicato nel territorio italiano, la Repubblica dà pari dignità ad ogni religione presente nel territorio. Il patti lateranensi, che regolamentano i rapporti fra stato e chiesa, sono la naturale conseguenza del fatto che il cattolicesimo è la religione della maggioranza dei cittadini italiani. Ma questo dato non deve comportare uno svilimento del ruolo degli altri credi che sono rispettati egualmente alla quello cristiano. Infatti lo stato sta conducendo da decenni una politica di dialogo con tutte le istituzioni religiose di ogni credo al fine di definire i rapporti istituzionali con esse e di rendere possibile la libertà di fede dei singoli aderenti a queste fedi in forza dell’ultimo comma dell’articolo 8 della stessa costituzione. La libertà di culto è un diritto universale. Non è riservato a una parte del genere umano, i cittadini italiani ad esempio, ma all’intero genere umano. La Repubblica non fa discriminazioni di alcun genere chi vive nel nostro paese può e deve professare la propria fede. A questo proposito è da citare la disputa del crocifisso, come la stampa l’ha chiamata. Il tema era se fosse opportuno appendere il simbolo cristiano nei luoghi pubblici, soprattutto nelle aule scolastiche. La questione è stata sollevata da alcune famiglie con bambini in età scolare non di religione cattolica. Le madri di questi pargoli hanno espresso la loro perplessità davanti all’imposizione di un simbolo cristiano, appeso nel luogo ove si insegna, al propri bambini. La questione  è stata risolta dalla corte europea dei diritti dell’uomo, a cui si sono appellate le parti, che ha invitato tutti a una maggiore tolleranza. Da una parte ha invitato le autorità scolastiche a rispettare le singole diverse sensibilità. Dall’altro ha riconosciuto che i simboli del cattolicesimo e del cristianesimo sono parti integranti della cultura secolare della nazione, non possono essere rimossi senza un grave nocumento per la formazione personale del singolo bambino che vive in una realtà in cui la religione di Gesù è fondamento del vivere culturale e collettivo. I segni religiosi cristiani fanno parte dellostile di vita che si segue nel nostro paese, la loro derubricazione a semplici moti dell’anima personale che non devono manifestarsi in simboli esterni è praticamente impossibile. Alla luce del diritto di appendere simboli cattolici in luoghi pubblici in nome del rispetto della sensibilità religiosa della maggioranza, c’è il pari diritto di tutti a professare liberamente il proprio credo. Questa libertà offe il diritto a tutti di indossare simboli della propria religione e di avere costumi consoni ai dettami dei testi sacri a loro cari, tranne che non siano contrari al buon costume, che non siano pericolosi o che non siano perturbatori dell’ordine pubblico. I mussulmani hanno diritto di vestire come credono. Le donne che credono in Allah hanno il diritto di coprirsi il viso e il corpo, se lo credono opportuno. Urge sottolineare che la Costituzione è chiara e precisa. Una persona può essere libera di indossare ciò che vuole, può essere libera di coprire interamente il proprio corpo, indossando il Burka. Quello che è vietato tassativamente è l’imposizione. Nessuna comunità religiosa, nessuna famiglia, nessuna istituzione può imporre al singolo una particolare condotta pubblica. Nel nostro paese una mussulmana è libera di vivere, come si dice volgarmente, all’occidentale, nessuno può imporgli nulla. Ciò in nome dei diritti universali della persona. Diritti che devono essere portati anche in regioni della terra in cui la donna è oggetto di discriminazione e di pregiudizi. Il principio di uguaglianza impone che la donna debba essere considerata libera anche di professare la propria fede superando i dettami maschilisti che caratterizzano la stragrande maggioranza delle religioni. La dignità umana è un bene prezioso che non può essere sacrificato sull’altare di nessun dio. Vorrei citare un episodio. In Italia appartenenti alla religione sikh hanno chiesto di poter circolare nelle nostre strade con il Kirpan il coltello rituale che ogni sikh deve portare sempre con sé. Il kirpan è un’arma estremamente pericolosa. Ha una lama affilata di diversi centimetri, chi professa la religione asiatica lo indossa per sconfiggere allegoricamente il male, ma rimane uno strumento di morte che potrebbe infliggere gravi lesioni in caso di litigi o zuffe. La corte di cassazione, interrogata sulla questione, ha invitato i credenti a indossare coltelli di plastica, così da rispettare il loro credo e i valori allegorici di cui è latore, ma allo stesso tempo di evitare che si vada in giro per strada con armi pericolose. La comunità sikh in Italia ha reagito con malumore. Per loro è necessario circolare con coltelli veri per adempiere il volere delle proprie divinità. La questione è complessa e lungi dall’essere pienamente risolata. Fortunatamente però i casi in questione sono sporadici, è raro vedere persone armate di coltello in giro nelle nostre città. Ma è il caso di proporre questi casi quali rilevatori delle enormi questioni che il principio di libertà religiosa può sollevare, questioni risolvibili solo con la pazienza e la tolleranza reciproca. La libertà religiosa, però, è un bene prezioso. Dare a tutti la libertà di credere nel proprio dio è un modo per accrescere culturalmente l’intera collettività. La Repubblica diviene più grande se è in grado di accogliere tutte le filosofie e le religioni del mondo. La crescita avviene nella sincretica convergenza di più fedi. E’ bene ricordarlo: la pluralità è ricchezza. Per questo motivo è fondamentale l’articolo 19 che dà la possibilità ad ogni cittadino di esprimere il proprio credo e la propria fede.

Testo di Giovanni Falagario

mercoledì 25 settembre 2019

LA COSTITUZIONE ITALIANA: ARTICOLO 17



ARTICOLO 17

“I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi.

Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso.

Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”

Il diritto di riunirsi è sancito dalla Costituzione nell’articolo 17. Questo principio è fondamento della partecipazione democratica di ogni cittadino alla vita sociale. Incontrarsi in uno stesso luogo per discutere di argomenti di diversa natura è una palestra per accrescere lo spirito di confronto e il senso di appartenenza civica che deve caratterizzare ogni comunità di persone. Scegliere di partecipare a delle riunioni è la manifestazione della capacità di ogni singola persona di voler vivere un’esperienza di cittadinanza attiva. Il diritto di riunirsi durante il regime fascista era disincentivato. Le forze di polizia regie avevano indicazione di considerare il dialogo fra più persone in pubblica piazza quale atto di per sé sedizioso. Se un numero, anche esiguo,  di cittadini discuteva pubblicamente di argomenti vari poteva essere condotto in caserma e accusato di cospirazione. I padri costituenti hanno voluto rovesciare questa tesi. Hanno inciso nella Carta Costituzionale la libertà di riunione quale diritto fondamentale del cittadino. Niente più barriere al dialogo, niente più ostacoli al confronto in Italia si può e si deve proferire parola liberamente, esprimere le proprie idee, manifestare la propria formazione culturale e ideale liberamente. Le riunioni dei cittadini possono essere definite in più modi. Si dice che le riunioni occasionali causate da una situazione eccezionale e imprevista siano da denominare “assembramenti”. Questi avvengono in caso di repentina riunione di moltitudini di persone a casa di eventi di richiamo improvvisi. Può definirsi assembramento l’accalcarsi di persone che guardano sgomenti un incidente stradale. In questi casi le forze dell’ordine possono ritenere necessario allontanare gli accorsi per evidenti motivi di sicurezza. Ma assembramento può essere anche il precipitarsi nelle strade di fronte a un atto grave condotto da diversi soggetti che ha prodotto la repentina indignazione di coloro che assistevano all’episodio increscioso. In questo caso sta alla sensibilità delle autorità di sicurezza determinare se è il caso o meno di sgombrare i luoghi. Devono tener conto che è loro dovere rispettare la manifestazione popolare di indignazione, eventuali atti di sgombero dovrebbero essere compiuti solo e unicamente se c’è l’imminente e chiaro pericolo per l’incolumità e la quiete pubblica. Le dimostrazioni invece sono incontri di persone preventivamente organizzato da un gruppo di persone denominato “comitato promotore”. Se avvengono in un luogo pubblico e all’aperto (in spazi non privati), devono essere comunicate alle autorità di polizia, queste ultime non possono proibirle, devono eventualmente predisporre tutti gli strumenti pubblici per garantirne il loro pacifico svolgimento. Una manifestazione può essere proibita solo e unicamente se potrebbe essere latrice di atti violenti e di sommovimenti sociali. La costituzione è chiara ci si può riunire ma solo senz’armi. La violenza è assolutamente bandita dalla vita italiana, almeno così dovrebbe essere. La libertà di riunirsi cessa se la ragione dello stare insieme è volta a enfatizzare l’odio razziale, l’odio sociale, etnico e contro determinate minoranze. Le riunioni in luogo chiuso non necessitano dell’autorizzazione della questura. Non ci sono in questi casi le necessità volte a garantire l’ordine pubblico. Il riunirsi, ad esempio, in un teatro non necessita dello sforzo dell’autorità di mettere a disposizione un apparato di vigilanza pubblica atto al normale fluire dell’evento, di conseguenza non serve il preavviso. Insomma le riunioni al chiuso, anche se pubbliche, non necessitano di autorizzazione. Tanto più vale lo stesso principio per le riunioni private, non segrete, in cui partecipano, ad esempio, i soli iscritti a circoli culturali o partiti politici. Insomma si può vietare una manifestazione pubblica solo se è considerata sediziosa. Volta ad accendere l’odio e la violenza. Il diritto di riunirsi liberamente è una conquista democratica di inestimabile valore. La democrazia si arricchisce quando ha una comunità di cittadini disposta ad impegnarsi con afflato etico e con impegno sociale e politico scendendo in pizza, esprimendo le sue idee, divulgandole all’intera comunità. I grandi moti sociali, quali ad esempio le manifestazioni palermitane dopo la brutale uccisione dei giudici Falcone e Borsellino, sono la manifestazione dell’impegno solidale della cittadinanza volto a costruire una società più giusta. Ho fatto solo un esempio di manifestazione volta al bene collettivo. Ce ne sono state altre, molteplici, nella storia repubblicana. Ricordiamo le manifestazioni degli anni ’70 del secolo scorso contro il terrorismo politico di qualsiasi colore. Insomma l’esercizio del diritto di riunione è un modo per crescere dal punto di vista coscienziale. Chi partecipa a queste manifestazioni, con lo spirito giusto, accresce la propria anima e la collettività.


testo di Giovanni falagario

martedì 24 settembre 2019

FERMARE IL MALE


Per ogni regime totalitario tutto ciò che è diversità deve essere cancellato. Questo vuol dire uccidere tutti coloro che sono considerati diversi e inferiori. Il regime nazista ha teorizzato e messo in pratica questa prassi. Ha pensato all'eugenetica come strumento per stroncare ogni germoglio di unicità. Ebrei, zingari, omosessuali, disabili erano considerati il male da estirpare per il bene della "razza", dello stato. Non dimenticare le brutture del nazismo è indispensabile, affinché si scongiuri il pericolo che tutto ciò possa riaccadere. Lo diceva Primo Levi

CINQUANTUNO ANNI FA NASCEVA AL CIELO PADRE PIO


CINQUANTUNO FA MORIVA SAN PIO
Il santo di Pietrelcina è morto il 23/09/1968. Era nato il 25
maggio 1887 nella cittadina in provincia di Benevento. Sono passati ormai 41 anni dalla sua dipartita. Il santo ha lasciato il suo indelebile ricordo nei cuori di milioni, miliardi, di fedeli. La sua testimonianza è fonte di ispirazione per tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Il suo impegno civile ha reso possibile la nascita di una struttura ospedaliera a San Giovanni Rotondo, una piccola cittadina sul promontorio garganico, che è fra le più all'avanguardia nel mondo. Fu parte dell'ordine dei Cappuccini. Fu frate e uomo di fede. La sua santità divenne certezza di fede quando era ancora in vita. Si distinse come uomo dell'ascolto. Sapeva scrutare nell'animo umano. Chi si confessava o comunicava da lui aveva risposte vere e profonde sulla propria vita. Ha saputo consigliare e guidare gente comune, come ognuno di noi, e gradi del mondo e del pianeta. La sua guida è stata una certezza per tantissima gente. Ancora oggi, a quattro decadi dalla sua morte, la sua autorità spirituale è ancora viva nel cuore delle genti. Tanti singoli fedeli si rivolgono a lui, rivolgendo gli occhi al cielo, per avere consigli di vita. Questa era la sua capacità divinatoria: il sapere cogliere il lato bello e quello brutto dell'animo umano e saper indicare all'interlocutore gli strumenti per far risaltare il primo e eliminare il secondo. Quando morì nella sua San Giovanni Rotondo i giovani stavano nelle piazze, il mondo intero stava conoscendo una fase travagliata della storia, le guerre locali e il pericolo atomico imperversavano, la sua guida fu fonte di consolazione e speranza per tanti che vivevano con turbamento la vita.

PADRE PIO


CINQUANTUNO FA MORIVA SAN PIO
Il santo di Pietrelcina è morto il 23/09/1968. Era nato il 25
maggio 1887 nella cittadina in provincia di Benevento. Sono passati ormai 41 anni dalla sua dipartita. Il santo ha lasciato il suo indelebile ricordo nei cuori di milioni, miliardi, di fedeli. La sua testimonianza è fonte di ispirazione per tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Il suo impegno civile ha reso possibile la nascita di una struttura ospedaliera a San Giovanni Rotondo, una piccola cittadina sul promontorio garganico, che è fra le più all'avanguardia nel mondo. Fu parte dell'ordine dei Cappuccini. Fu frate e uomo di fede. La sua santità divenne certezza di fede quando era ancora in vita. Si distinse come uomo dell'ascolto. Sapeva scrutare nell'animo umano. Chi si confessava o comunicava da lui aveva risposte vere e profonde sulla propria vita. Ha saputo consigliare e guidare gente comune, come ognuno di noi, e gradi del mondo e del pianeta. La sua guida è stata una certezza per tantissima gente. Ancora oggi, a quattro decadi dalla sua morte, la sua autorità spirituale è ancora viva nel cuore delle genti. Tanti singoli fedeli si rivolgono a lui, rivolgendo gli occhi al cielo, per avere consigli di vita. Questa era la sua capacità divinatoria: il sapere cogliere il lato bello e quello brutto dell'animo umano e saper indicare all'interlocutore gli strumenti per far risaltare il primo e eliminare il secondo. Quando morì nella sua San Giovanni Rotondo i giovani stavano nelle piazze, il mondo intero stava conoscendo una fase travagliata della storia, le guerre locali e il pericolo atomico imperversavano, la sua guida fu fonte di consolazione e speranza per tanti che vivevano con turbamento la vita.

domenica 22 settembre 2019

IL GARANTE DELLA DISABILITA' INCONTRA LA CITTADINANZA


Il garante Pugliese delle persone differentemente abili, il dottor Giuseppe Tulipani, ieri 21/09/2019 ha incontrato le associazioni e la cittadinanza presso lo stand del Consiglio Regionale della Regione Puglia alla Fiera del Levante di Bari. L'impegno delle istituzioni è creare una rete di cittadinanza attiva volta a proseguire l'opera sinergica delle istituzioni e di tutte le persone sensibili volte a superare ogni ostacolo che rende non ancora raggiunto l'obbiettivo della piena inclusione di ogni uomo e donna nella comunità locale e nazionale. Insieme si cammina nel futuro e si vive meglio.

LA VITA E L'IMPEGNO. IL MONITO DI ANTONIO GRAMSCI


“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.
Antonio Gramsci

LA COSTITUZIONE ITALIANA: ARTICOLO 16



VIAGGIO INTORNO ALLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 16

“ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità e sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche.

Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e rientrarvi. Salvo gli obblighi di legge”

Continua la pubblicazione degli articoli della Costituzione Italiana da parte di “Racconto a mano libera”. Per ricordare che sono passati settanta anni fra l’oggi e l’anno della promulgazione della nostra Carta Fondamentale abbiamo deciso di riportare tutti i lemmi del testo giuridico che è a fondamento dell’ordinamento repubblicano. Quest’oggi ci accompagneranno le splendide parole dell’articolo 16. La libertà di movimento, la libertà di viaggiare e sostare nei luoghi che più ci aggradano, è un diritto stupendo. Ci offre la libertà di scoprire nuovi luoghi, di scorgere la molteplice bellezza che caratterizza il nostro splendido paese. Lo spostarsi è uno degli atti che hanno caratterizzato il genere umano fin dalla sua nascita. I nostri avi nella preistoria, per lo più raccoglitori, hanno sempre viaggiato alla ricerca di cibi migliori e di terre amene. I nostri costituenti hanno sentito l’esigenza di scrivere nella nostra carta fondamentale questo diritto inviolabile. Per millenni le convenzioni sociali, i diritti locali, gli usi, le imposizioni statuali hanno reso impossibile la reale libera circolazione delle persona. I confini, che separavano le città comunali le une dalle altre nel nostro Medioevo, hanno reso per millenni impossibile muoversi senza avere un lasciapassare da parte del signorotto locale. L’unità nazionale, faticosamente raggiunta nel 1861, ha reso possibile l’abbattimento delle frontiere che dividevano le nostre regioni. Ma l’avvento della monarchia sabauda non ha abolito l’istituto del confino, una pratica che imponeva a un soggetto di soggiornare obbligatoriamente in un luogo. Questo istituto fu utilizzato largamente dal regime fascista contro coloro che erano considerati oppositori politici del regime. Oggi applicare l’istituto del confino non è più possibile, nessuno può essere costretto a dimorare in un luogo per ragioni legate al suo credo politico, l’articolo 16 nega esplicitamente e con forza la possibilità di applicare l’istituto del confino. Tutti i cittadini italiani possono circolare liberamente all’interno del suolo nazionale. In quanto cittadini europei possiamo anche liberamente circolare nei territori in cui gli stati che hanno aderito al trattato di Schengen esercitano la propria sovranità nazionale. Il Trattato di Schengen è l’accordo fra alcuni stati, non tutti, che aderiscono alla Unione Europea che istituisce la cosiddetta “cittadinanza europea”, che dà ai cittadini dei singoli stati aderenti diritti e doveri nuovi e propri di coloro che fanno parte di questa comunità stras nazionale. Uno di questi diritti, forse il più importante, è quello di stabilirsi in qualsiasi stato aderente senza alcun obbligo di richiedere permessi di soggiorno, di studio o di lavoro, oneri che gli stati impongono agli stranieri. Urge a questo punto notare che la libertà di circolazione, per esplicita enunciazione dei padri costituenti, è un diritto non generale, ma proprio del cittadino italiano, e oggi europeo. Chi è nato in nazioni lontane non ha diritto di circolare e soggiornare liberamente nel nostro stato, la sua presenza nel nostro paese deve essere autorizzata dalla nostra autorità nazionale. Questa visione è il lascito di una cultura in cui la difesa dello stato nazione da invasioni stranieri era sentito come necessità. Lo straniero è visto come un pericolo. La parola “ospite” ha la stessa radice del termine latino di hos (nemico). Lo straniero è il nemico sempre e comunque nella tradizione classica. Da quando ci sono gli stati e i confini, chi proviene da fuori è purtroppo considerato un nemico. L’esistenza di barriere e di controlli che regolamentano i flussi delle persone straniere è purtroppo necessaria. E’ necessario controllare chi proviene da lontano, identificandolo e accogliendolo. Detto questo è giusto sottolineare come l’avversione e l’ostilità verso l’altro ha sempre e solo portato lutti. Quando si sono costruite barriere fra gli stati e i popoli sono crollate rovinosamente provocando morti. E’ d’obbligo ricordare la cosiddetta “Linea Maginot” che doveva separare, confine invalicabile, la Francia e la Germania agli albori del XX secolo, non ha prodotto altro che i milioni di morti della Grande Guerra (1914/1918). I confini non proteggono, uccidono. Pensiamo  ai tanti morti che sono spirati cercando di valicare il “Muro di Berlino”, il terribile confine fra la Germania Est e quella Ovest, cosa che avveniva fino all’anno 1989. E’ d’obbligo pensare, quindi, a una politica saggia volta all’inclusione, non certo all’esclusione. Dare la possibilità a tutti di viaggiare di stabilire liberamente il luogo in cui risiedono è motivo anche di ricchezza. Perché la libertà di circolazione dà la possibilità, anche, di aprire attività, lavori, liberamente in ogni luogo del paese. Un avvocato lombardo può aprire uno studio a Canicattì. Un imprenditore siciliano può aprire una fabbrica in Veneto. Anche la libera circolazione dei beni e delle ricchezze è un elemento legato alla libera circolazione delle persone, è meglio non dimenticarlo. La legge può limitare la libera circolazione dei cittadini solo per motivi di sanità e sicurezza. Urge sottolineare quindi che è solo la legge, una norma scritta che può limitare la libertà di spostarsi. In più questa legge è, come si suol dire con linguaggio giuridico, rinforzata. Nel senso che questa legge, che vieta il libero circolare dei cittadini all’interno dello stato, deve essere motivata da ragioni tassativamente elencate dalla norma costituzionale: queste ragioni sono: la sanità e la sicurezza pubblica o del singolo. In caso contrario la Corte Costituzionale deve farla decadere e renderla inapplicabile con sentenza. Insomma la repubblica può limitare la libera circolazione o per scongiurare epidemie, e quindi per ragioni di profilassi. O per ragioni di sicurezza pubblica, pensiamo al confino imposto a persone che sono state condannati per reati mafiosi, costretti al domicilio coatto dopo aver scontato la propria pena. Sono norme necessarie. Nel primo caso per garantire la salute pubblica. Nel secondo caso per combattere fenomeni criminali, quali le associazioni malavitose, che sono un vero cancro per il tessuto sociale. L’ultimo comma dell’articolo 16 è importantissimo. Proclama la libertà di movimento. Tutti i cittadini italiano hanno piena libertà di uscire e rientrare nel suolo patrio. Non sono ammessi divieti di espatrio, come avveniva ad esempio nei regimi comunisti nell’Europa Orientale. Ognuno è libero di raggiungere terre lontane per motivi di svago, viaggio, lavoro o per accrescere le sue conoscenze culturali. Uniche restrizioni possibili a questa libertà sono gli obblighi di legge, cioè una norma potrebbe limitare questa libertà a persone che hanno svolto particolari atti99vità all’estero tali da essere reputati pericolosi per la Repubblica. Ad esempio coloro che hanno svolto attività diplomatiche per stati stranieri, oppure hanno fatto il servizio militare per potenze straniere, questi potrebbero avare un divieto di ritorno nello stato italiano e, addirittura, perdere la cittadinanza patria. A parte questi casi estremi, in cui la sicurezza nazionale prevale sul diritto di libera circolazione del singolo cittadino, la regola della libertà di movimento è la preminente, non è un caso che le autorità preposte al rilascio del passaporto, quindi che autorizzano l’espatrio, non devono mai sindacare sulle ragioni del viaggio o sulla integrità morale del richiedente, il loro compito è solo appurare che non vi siano condanne penali o altre ragioni di natura fiscale o legate al diritto di famiglia e commerciale che ostano il rilascio del documento d’espatrio al singolo richiedente. Insomma la libertà di circolazione, la libertà di spostarsi, di lavorare, di dormire, di mangiare dove più ci aggrada è una delle più belle conquiste della nostra repubblica.
Testo di Giovanni Falagario

martedì 17 settembre 2019

ELEZIONI


LA LEGGE ELETTORALE
Matteo Salvini ha dichiarato che la Lega chiederà ai presidenti delle regioni del nord di proporre un referendum abrogativo tale da trasformare l'attuale legge elettorale in una pienamente maggioritaria. Per intenderci: simile a quella utilizzata nel Regno Unito ormai da quasi due secoli. L'iniziativa, mi pare, pienamente legittima. Anche Mario Segni, nel lontano 1991, propugnò un quesito referendario che sostanzialmente non abrogava la legge ma la novellava, e tale iniziativa fu giudicata legittima sia dalla Corte di Cassazione sia, elemento ancor più rilevante e probante, dalla Corte Costituzionale. I referendum che abrogano parte di comma di legge, invece di abrogare l'intero titolo, sono stati oggetto più volte del voto popolare. Insomma la scelta di Salvini è pienamente legittima. Si può chiedere di abrogare una parte di atto normativo al fine di cambiarne la teleologia, cioè le finalità. In questo caso trasformare un sistema elettorale misto, maggioritario e proporzionale, in un modello interamente e integralmente maggioritario. Va in parlamento chi nel singolo collegio ha preso più voti. Insomma l'articolo 75 della costituzione italiana indica cinque consigli comunali come potenziali promotori di referendum. In base a questo assunto Salvini intende muoversi. Vuole che il presidenti delle regioni propongano il referendum abrogativo della legge elettorale attuale, innovando il sistema e trasformandolo in maggioritario "secco". In più promette che un comitato di cittadini si metterà immediatamente al lavoro per trovare nell'elettorato un movimento organizzato di sostegno all'iniziativa. Difficile non ammettere che una proposta del genere sarebbe vista positivamente da molti. Quando Roberto Calderoli, nel 2005 ministro delle riforme del governo Berlusconi, impose il ritorno al sistema proporzionale con premio di maggioranza al partito o alla coalizione che avesse preso più voti, furono molti a storcere il naso. Lo stesso Calderoli, ieri 16/09/2019 a Pontida, ha dichiarato che è bene tornare al maggioritario puro, come vuole Salvini, la sua legge è "una macchina vecchia". Certo la riforma Calderori ha creato tanti scompensi istituzionali, tante storture, che la nuova legge elettorale a firma Rosati ha solo in parte superato. Cosa succederà? Ci sarà un referendum? Il popolo della lega sconfesserà ancora una volta se stesso, censurando nei fatti l'opera legislativa di Calderoli e quindi propugnando un sistema maggioritario a collegi uninominali? La risposta sembra: si. Non è la prima volta che la Lega cambia idea per fini strategici - elettorali. Ha votato "no" al referendum che abrogava le province per dare maggiore spazio alle Regioni, pur essendo da sempre il suo cavallo di battaglia, pur di defenestrare Matteo Renzi. Ha appoggiato il sindaco di Milano per le organizzazioni olimpiadi invernali, pur considerandolo un nemico. Insomma ha vissuto le scelte politico istituzionali come atti strategici per acquisire consenso. Lo farà ancora adesso.

LA COSTITUZIONE ITALIANA: ARTICOLO 15



VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 15

“La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili.

La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie della legge”

“Racconto a mano libera” per festeggiare la ricorrenza dei settant’anni dall’entrata in vigore della Costituzione Italiana sta pubblicando gli articoli della nostra carta fondamentale. Quest’oggi abbiamo scritto le parole incise nell’articolo quindici. Questo è dedicato a una delle libertà più importanti, la libertà di corrispondenza. Ognuno è libero di scrivere a chi vuole e deve avere la certezza che nessun altro oltre il suo interlocutore legga la missiva. Ovviamente capita che altri oltre al mittente e destinatario sappiano i contenuti di una lettera, ma ciò deve avvenire per l’espressa volontà di una o ambedue le parti. Insomma poter comunicare le proprie idee agli altri e avere la sicurezza che non ci sia un “grande fratello” che veda e controlli ciò che si scrive è una delle conquiste della Repubblica. Infatti in precedenza l’ordinamento monarchico, ancor prima che lo Statuto Albertino fosse inquinato dall’ideologia fascista, prevedeva la possibilità che le forze dell’ordine potessero controllare la corrispondenza dei cittadini senza alcun vincolo o controllo da parte di un’autorità superiore, quale la magistratura. Durante il fascismo, addirittura, il controllo postale era utilizzato per soffocare ogni forma di opposizione al regime e per fermare ogni afflato di libertà che potesse scaturire dall’animo popolare. Il diritto alla riservatezza della corrispondenza è considerato un diritto universale. Ciò vuol dire che non è riservato solo ai cittadini italiani ma a tutte le persone. In nessun caso l’autorità statale può, arbitrariamente, controllare la corrispondenza. Con il progredire della tecnologia mediatica i problemi legati alla libertà e alla riservatezza delle comunicazioni interpersonali si è ampliata. Già all’epoca in cui fu scritta la costituzione non si comunicava solo in forma scritta, c’erano già gli apparecchi radio e telefonici. Ancor oggi la legge sulle intercettazioni telefoniche da parte della magistratura per combattere il crimine è oggetto di aspre polemiche, proprio per l’estrema rilevanza e delicatezza del tema. E’ d’obbligo, quindi, pensare che le tutele dell’articolo 15 vadano estese anche a questi mezzi di comunicazione. Con l’avanzare delle nuove tecnologie, con l’avvento di internet e le “reti” telematici la materia si è ampliata e complicata in maniera esponenziale. Ogni giorno ognuno di noi attraverso internet comunica con tantissime persone e spesso lo fa in maniera riservata. Come è possibile garantirci che la riservatezza sia veramente tutelata? Com’è possibile che i “provider”, cioè le aziende che gestiscono la rete, non utilizzino i dati che ci riguardano e che vorremmo riservati per i loro fini di natura commerciale e per altri fini ancora più allarmanti? Come è possibile evitare che i dati cosiddetti sensibili, cioè che vertono sul sesso, sulle abitudini culturali, sessuali e di altro genere di ognuno di noi, non siano sulla bocca di tutti? E’ possibile scegliere cosa sia e cosa non sia in rete delle nostre informazioni personali? Ha trovare una risposta a queste domande ci ha pensato il grande giurista Stefano Rodotà, da pochi mesi scomparso, che ha dedicato l’ultima parte della sua vita di studioso di diritto al tema della tutela della Privacy, un termine inglese che indica il diritto di ognuno a scegliere di essere solo, cioè il diritto di ogni persona di scegliere se e quando partecipare al grande circo mediatico della rete e di scegliere se dare o meno pubblicità alle azioni che fa. Passi avanti nella tutela della privacy si sono fatti. La legislazione europea, fin dai primi anni ’90, ha normato sulla materia con regolamenti e direttive. Lo stato italiano, anche se con ritardo, si è adeguato. Ha introdotto norme che mettano un freno alla incontrollata creazione di banche dati, nelle quali le informazioni che riguardano la vita dei cittadini sono immagazzinate senza la loro autorizzazione. Oggi la legge impone che, chiunque voglia immagazzinare dati sugli altri, lo debba fare informando i diretti interessati, i quali possono impedirlo semplicemente non autorizzando l’ente, pubblico o privato che sia, a conservare dati sulla propria persona. In più è tassativamente vietato avere dati che riguardano informazioni personalissime: quali la propria inclinazione sessuale. Questo non è solo per evitare che cittadini ignari siano ricattabili, ma anche perché è considerato giustissimo che alcuni dati debbano rimanere conosciute solo della persona interessata. Ogni uomo o donna ha il diritto, se lo ritiene giusto, di esternare quello che sono le proprie abitudini culturali, le proprie attività sessuali, ma nessuno altro deve esserne a conoscenza  senza che sia lui stesso a comunicarlo. Questo è un principio sacrosanto, a cui non si deve rinunciare. La libertà personale è anche poter scegliere di informare o meno gli altri di quello che è la propria persona e la sfera intima della propria vita. Questa libertà di esternare la propria natura più intima è esercitabile verso altre persone. Lo stato, invece, non deve e non può interessarsi a questi dati, a meno che non siano dati essenziali per tutelare la salute del soggetto, mi si consenta un esempio delicatissimo: un medico può essere costretto a sapere delle abitudini sessuali di un paziente per diagnosticare eventuali malattie veneree. Ma questo può avvenire in base al principio che il diritto alla salute è un bene prezioso da tutelare. Il medico in questione, però, deve essere ben lungi dal pensare di poter rendere pubblica questa informazione, che deve restare nell’ambito della ricerca medica e scientifica la cui deontologia impone anche la riservatezza sui dati del paziente. Appare quindi evidente che anche i dati sulla salute sono da annoverare fra quei dati sensibili che non possono essere utilizzati, in ambito extrasanitario, senza l’autorizzazione del paziente. Per fare un esempio commetterebbe grave reato un’azienda che cercasse di venire a conoscenza dello stato di salute di un dipendente per poter così determinarne la carriera. E criminale sarebbe il medico che comunicasse questi dati. Insomma la legge sui dati personali, sulla corrisponda, verte su una materia di estrema ampiezza e complessità. Materia giuridica che tocca praticamente tutti gli aspetti della vita di ognuno di noi. E’ difficile pensare che si possa superare tutte le aporie e le contraddizioni che una normativa così complessa ha. E’ difficile pensare che ognuno di noi possa essere totalmente garantito quando naviga in internet, quando compila un modulo in un ospedale, quando, per avere servizi e per fare acquisti, comunica i propri dati personali. Rimane il dato che passi avanti se ne sono fatti. La legislazione sulla privacy esiste e, in più, è stato istituito un garante, un commissario, che ha il compito, con il suo staff, di vegliare sulla effettiva applicazione della legge e di dare indicazioni su come mutare norme e atti amministrativi, pubblici e privati, al fine di migliorare la tutela della riservatezza. Insomma il diritto alla segretezza, il diritto a non divulgare i propri dati personali sensibili e in generale tutti i propri dati, quando non lo si vuole, è una vittoria della Costituzione, ma è anche un obbiettivo che si deve conquistare e raggiungere tutti i giorni, attraverso continui adeguamenti della legge alle nuove tecnologie e un afflato culturale che si fondi su una cultura della cittadinanza sensibile alla materia .
 Il secondo comma dell’articolo 15 è dedicato ad indicare quando il diritto alla segretezza può essere derogato. Ciò deve avvenire solo per atto motivato dall’autorità giudiziaria, quindi la polizia non può mai controllare la posta altrui senza autorizzazione dei giudici. In deroga a questo principio la polizia postale veglia sulla rete per evitare la diffusione di materiale pedopornografico. Ma appare a tutti che tale, orrendo, materiale non può essere assimilato ad una qualsiasi lettera o messaggio, più facilmente può essere assimilato quelle pubblicazioni a stampa, che l’articolo 21 della costituzione vieta tassativamente perché “contrarie al buon costume”, sarebbe il caso di dire: perché contrari ai diritti e all’integrità personale e morale dei bambini, credo che su questo i padri costituenti, se al corrente del terribile fenomeno della pedofilia online, sarebbero d’accordo.    
Testo di Giovanni Falagario

LA COSTITUZIONE ITALIANA: ARTICOLO 14



VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 14

“Il domicilio è inviolabile

Non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela delle libertà personali.

Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o ai fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali”

“Racconto a mano libera”, per ricordare i settanta anni dall’entrata in vigore della costituzione pubblica gli articoli della nostra carta fondamentale. Oggi parliamo dell’articolo 14. E’ dedicato al diritto a vivere e ad abitare in un posto sicuro e confortevole, senza che nessuno possa mettere a repentaglio la nostra sicurezza e quella dei nostri beni. Il luogo in cui ogni persona vive ed esercita le proprie attività quotidiane è inviolabile. Questo è il senso del primo comma di codesto articolo della Costituzione. I brocardi  medievali, commenti dei dotti antichi alle leggi degli uomini, dicevano che ogni uomo è un sovrano a casa propria. Questo concetto è stato fatto proprio da tutte le costituzioni democratiche moderne, anche quella del nostro paese.  La casa, il domicilio, diviene il luogo in cui si custodiscono i preziosi ricordi di una vita, dell’avvicendarsi dei tempi, dell’esperienze familiari. Ogni casa è un museo di una persona o di più persone. Un luogo in cui è segnato il transito su questa terra di colui che vi abita. Certo non gradi condottieri, non statisti, non artisti ma persone comuni che hanno comunque il diritto e anche il dovere di lasciare ai posteri i segni del loro transito in questa terra. La casa quindi è un monumento alla vita di chi vi abita. La legge dello stato deve fare in modo che venga custodita. Ma la casa non è solo custode dei ricordi, è qualcosa di ancor più prezioso. E’ il focolare in cui chi vi abita si stringe per vivere in maniera confortevole e dignitosa il susseguirsi dei giorni. Ognuno dovrebbe avere  un rifugio proprio ove stare, un luogo ove vivere con la propria famiglia, il diritto alla casa deve essere garantito a tutti. Per questo è bene che lo stato si adoperi per ampliare una sana edilizia popolare, che permetta a chiunque di accedere al diritto alla casa. Ma non c’è solo il diritto ad avere la casa, c’è il diritto a scegliere chi favi entrare e quando. E’ un diritto fondamentale che va oltre il semplice diritto di proprietà. Io non posso entrare, senza il permesso del padrone di casa, in un appartamento non solo perché “non è mio”, ma anche perché facendo così violo il diritto personale del titolare della casa a custodire al suo interno i propri beni i propri ricordi scegliendo a chi mostrali. Insomma il diritto al domicilio va altre i freddi diritti di natura economica. E’ un modo per custodire il bene prezioso della famiglia. E’ un modo per custodire i ricordi dei propri casi, se si abita in una casa che è da generazioni proprietà del proprio ceppo familiare. E’ un modo per custodire i propri figli. E’ un diritto sacrosanto del genitore sapere che se i propri bambini stanno a casa non corrono i pericoli prodotti dal mondo esterno. Ecco perché la sicurezza, l’operare dello stato per evitare aggressioni e furti all’interno di case e abitazioni, non è solo un doveroso atto di polizia, ma un importantissimo strumento per adempiere a un sacro e inviolabile principio costituzionale. Neanche lo stato può violare il sacro domicilio. Le perquisizioni, i sequestri e le ispezioni all’interno di una casa devono essere giustificate solo e unicamente da fattispecie giuridiche previste dalla legge. Nessuna forza istituzionale può impunemente entrare nel domicilio di qualsiasi persona, questo è un diritto dell’uomo, un diritto che deve essere garantito a chiunque. I casi previsti dalla legge sono quelli propri del codice penale. Si può sequestrare beni da parte delle forze dell’ordine  se le cose in questione sono oggetto o causa di reati, sempre previa l’autorizzazione del giudice. La libertà personale, anche in questi casi, deve essere tutelata. Non vi possono essere azioni di polizia che violano la dignità della persona possessore e abitante del luogo oggetto di atti giudiziari. C’è un’altra eventualità in cui l’autorità statale può predisporre sequestri . E’ il caso in cui il possessore non abbia adeguatamente svolto il proprio dovere di cittadino nell’adempiere i suoi doveri di natura fiscale. Le autorità preposte al controllo delle tasse possono procedere a sequestri e ingiunzioni. Ciò è possibile in nome del bene superiore della collettività, che ha nocumento da coloro che provano ad aggirare i loro doveri fiscali. I sequestri sono giustificati dal danno che malati, disabili, poveri ed emarginati ottengono a causa di chi non dichiara le proprie entrate. Minori entrate fiscale vuol dire meno servizi e meno azioni per tutelare la dignità nei confronti del settore più debole della società. Urge sottolineare che Lega e Forza Italia da vent’anni si battono per eliminare il principio di solidarietà fiscale. Silvio Berlusconi, condannato dai giudici italiani per frode fiscale, sta portando la sua battaglia presso i tribunali europei per riavere il diritto a sedere in parlamento. E’ una battaglia di civiltà che Forza Italia porta avanti in tutela dei tanti evasori fiscali, una coerenza che i cittadini hanno premiato con il voto. Quando Berlusconi, assieme al suo collaboratore Agrama, fu condannato per aver portato soldi all’estero scesero in piazza commossi tanti cittadini che solidarizzarono con loro. Ecco noi stiamo dall’altra parte, noi crediamo che le tasse bisogna pagarle. Noi facciamo una battaglia ideale contro lo “spirito del ‘94”, cioè contro le tesi forza leghiste in favore dell’evasione. Rimane il fatto che ci sono milioni di italiani che non la pensano come noi, che voteranno in massa per Salvini e Berlusconi e spereranno che gli evasori fiscali possano dormire sonni tranquilli. Il loro punto di vista lo rispettiamo. Urge però sottolineare che per permettere a Berlusconi di portare all’estero i propri beni senza  pagare le tasse bisogna eliminare in costituzione anche questi passi che impongono la solidarietà sociale. Rispetto l’impegno dei militanti di Forza Italia e Lega di aiutare chi ha beni all’estero, chi evade le tasse, ma è arrivato il tempo di cambiare la costituzione, se no, non ci saranno manifestazioni ,non ci saranno voti popolari che potranno impedire a un giudice di sindacare sui giri bancari di Berlusconi, e dei tanti altri attivisti di destra, estero per estero. Ultimo caso in cui il domicilio può essere violato sono i motivi di natura sanitaria o legati a calamità fisica. La salute pubblica può autorizzare, non solo la magistratura ma anche le amministrazioni locali e nazionali, a fare sequestri e ispezioni di case e appartamenti. Pensiamo al caso tragico di un sisma, le autorità della protezione civile devono ispezionare gli edifici per appurare se sono lesionati o meno. Ricordiamo i terremoti dell’Aquila e di Amatrice in cui la protezione civile ha dovuto controllare tanti appartamenti. Ovviamente ciò dovrebbe avvenire in maniera celere e l’azione  dovrebbe essere improntata a ridare il luogo di abitazione al legittimo residente. Spesso purtroppo non avviene, a causa dei ritardi della Pubblica Amministrazione. Rimane però una verità indiscutibile, la salute generale e del singolo è un diritto sacrosanto, la sua tutela prevale finanche al diritto di avere una casa. Il bene della salute è troppo prezioso. In passato le epidemie di colera, ad esempio, hanno reso necessario ispezioni e sequestri di appartamenti. Speriamo che questi tristi eventi non avvengano mai più, però è d’obbligo ricordare che il personale medico, in veste di funzionario pubblico, in tali casi deve procedere al sequestro e alla sterilizzazioni dei locali. La salute generale prima di tutto.
Testo di Giovanni Falagario

venerdì 13 settembre 2019

LA COSTITUZIONE ITALIANA: ARTICOLO 13




ARTICOLO 13 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA
“La libertà personale è inviolabile.
Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.
In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore alla autorità giudiziaria e, se questa non convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto.
È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà.
La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva”
“Racconto a mano libera” in occasione dei settanta anni della Costituzione Italiana sta pubblicando gli articoli della nostra carta fondamentale. Dopo esserci soffermati sui primi 12, che racchiudono i principi fondamentali dell’ordinamento, discutiamo della “Parte Prima” della costituzione dedicata ai “diritti e doveri dei cittadini”. Questa è divisa a sua volta in quattro Titoli: il primo è dedicato ai rapporti civili; il secondo è dedicato ai rapporti etico sociali; il titolo terzo ai rapporti economici; il titolo quarto ai rapporti politici. Ogni titolo è composto da diversi articoli ognuno dedicato a un diritto inviolabile della persona. Diritti che non possono essere scalfiti da nessuno, neanche dallo stato stesso, che sono uno scudo della singola persona contro glia attacchi alla integrità fisica, politica e morale che può subire da chiunque. Il primo articolo del titolo primo è quello denominato numero “13”. L’incipit è fulminante: la libertà personale è inviolabile”. La persona e la sua libertà è un tempio, sembra vogliano dire i padri costituenti, chi attenta alla sua integrità fisica e morale commette un sacrilegio. Siamo lontani dagli oscuri tempi del fascismo in cui chiunque poteva essere arrestato per ordine della polizia giudiziaria, senza alcun controllo di un potere terzo quale la magistratura. Nessuno può subire restrizioni alla libertà personale. Nessuno può essere detenuto arbitrariamente. Nessuno può subire perquisizioni o ispezioni senza che vi sia una ragione legata alla sicurezza e alla difesa della collettività. Inoltre questa ragione deve essere scritta in una legge e motivata. Insomma è il parlamento, direttamente eletto dai cittadini, che può indicare le ragioni e in modi in cui la libertà personale può essere negata a un singolo o a un gruppo. Ma il parlamento non è scevro da limitazioni. La Legge che ordina l’applicazione di azioni preventive ed esecutive volte a privare persone delle proprie libertà deve essere conforme ai principi e alle norme della Costituzione Stessa, non può e non deve negare il principio di rispetto della dignità umana che è fondamento dell’ordinamento giuridico repubblicano. Se andiamo a leggere l’articolo tredici, questo dà delle chiari indicazioni al futuro legislatore di come la norma vertente la restrizione della libertà personale debba essere. Ogni ordine di reclusione deve essere motivato dall’autorità giudiziaria, cioè è il magistrato, come abbiamo detto potere terzo sottoposto solo alle leggi e alla Costituzione, a ordinare la restrizione di una libertà personale. Quindi è solo il codice penale, non certo un regolamento e una direttiva del governo, a poter decidere quali siano i casi di legge in cui le porte del carcere si aprono per un eventuale condannato, indagato o imputato. Questa è una grande conquista del diritto, una esplicitazione autorevole dell’importanza fondamentale del principio della divisione dei poteri. Il parlamento fa le leggi. Il governo si occupa delle questioni dell’amministrazione, anche di altissimo profilo. E’ la magistratura che si occupa, coadiuvata dalle forze dell’ordine, di far rispettare le leggi e di punire chi non le rispetta. In casi eccezionali, motivati dal necessario intervento tempestivo e indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può attuare provvedimenti provvisori che ledono le libertà personali. Pensiamo a un ladro o un assassino colto sul fatto mentre commette il suo crimine. La polizia può e deve arrestarlo senza aspettare l’autorizzazione del giudice. La flagranza di reato rende necessario l’arresto. Ma questo atto di privazione della libertà deve essere comunicato e motivato all’ordine giudiziario entro quarant’otto ore. Il magistrato deve vagliare e convalidare l’atto d’arresto, se non avviene entro le quarant’ore successive ogni atto cautelare è revocato e privo di effetto. Gli ultimi due comma dell’articolo 13 sono importantissimi, ma purtroppo in buona parte inattuati. Il Terzo dice che “è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni fisiche. La legge che istituisce il reato di tortura ha atteso settant’anni per essere posta in essere dai due rami del parlamento. Solo l’anno passato, 2017, è stata approva, fra l’altro con uno strascico di polemiche fondate su una presunta solidarietà con le forze dell’ordine, quasi che l’istituzione del reato di tortura fosse una ritorsione di qualcuno contro di loro. Invece la norma sul reato di tortura è ancora una risposta parziale all’esigenza costituzionale di garantire che nessun uomo venga sottoposto a molestie fisiche e psicologiche da parte di istituzioni dello stato e privati cittadini. La nuova legge lascia spazio a valutazioni del giudici, che potrebbero definire episodi di comune violenza atti di vera e propria tortura, solo perché non vi è la “reiterata volontà ad offendere”, quasi che il torturatore sia tale solo se si accanisce irrefrenabilmente contro la vittima. Ma si sa soprattutto la destra vede nella forza bruta non tanto un atto vergognoso, quanto la naturale punizione di persone considerate violente, perché emarginate. L’ultimo comma è “la legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva”. Purtroppo i nostri processi giudiziari sono lunghi e farraginosi, le difficoltà ad arrivare a sentenza definitiva creano la necessità di sottoporre l’imputato a lunghi periodi di carcerazione preventiva. Qui la destra si è battuta valorosamente per l’attuazione dell’ultimo comma, va dato atto a Berlusconi Salvini e Bossi di essersi battuti per la liberazione di persone imputate per reati di natura economica, soprattutto, ma anche per altra materia, vedi il caso Previti che commuove i cuori dei forza leghisti. Hanno ragione nel dire che i processi durano troppo urge una riforma che non scarceri arbitrariamente, ma che non permetta scarcerazioni arbitrarie ma un celere raggiungimento della verità giudiziaria. Ultima nota dolente: lo stato delle carceri. Le prigioni italiane sono in uno stato di degrado sconfortante. I detenuti hanno il diritto, anche se in cattività, di vivere decorosamente. Ciò in Italia non avviene ed è un grande nocumento per una nazione patria dei diritti che ha dato i natali a quel Cesare Beccaria che scrivendo tre secoli fa “dei diritti e delle pene” ha aperto la strada a una giustizia umana.
Testo di Giovanni Falagario