I PATTI LATERANENSI E LA COSTITUZIONE: ARTICOLO 7
“Lo stato e la chiesa cattolica sono ciascuno nel proprio
ordine, indipendenti e sovrani.
I loro rapporti dono regolati dai patti Lateranensi. Le
modificazioni dei Patti, accettate dalle parti, non richiedono procedimento di
revisione costituzionale”
Dante Alighieri paragonava il papato, il potere spirituale,
e l’impero, ai suoi tempi il potere temporale, a due soli che riscaldavano
la vita e rendevano floride le terre di tutti gli uomini. Il sommo poeta
utilizzava questa allegoria per teorizzare una benefica e pacifica convivenza
fra il potere di Dio e quello degli umani. Camillo Benso Conte di Cavour, padre della patria e presidente del consiglio
di re Vittorio Emanuele primo re d’Italia, motteggiò, in una celebre frase:
libera chiesa in libero stato. Alla luce del pensiero di questi due grandi
della storia italica, con la dovuta umiltà e con la consapevolezza di non poter
considerarci degni di narrare nella loro interezza le complesse vicende che
caratterizzano i rapporti fra Vaticano e Stato Italiano, noi di “racconto a
mano libera” continuiamo il percorso di lettura della costituzione, riportando,
quest’oggi, l’articolo 7. Questo articolo è stato lungamente dibattuto
nell’assemblea costituente. Il nostro paese, allora come oggi, è forgiato
culturalmente dalla religione cristiana ed è grandemente influenzato dalla
dottrina cattolica. Il problema principale era conciliare il dato di fatto che
la stragrande maggioranza degli italiani era cattolica con l’esigenza di
tutelare chi non lo era. In più era necessario che fossero definiti in maniera
chiara gli ambiti propri della Chiesa e gli ambiti della nascente Repubblica,
libera chiesa in Libero stato, le parole di Cavour riecheggiavano nell’assemblea
costituente. Prima di tutto era a cuore dei costituenti chiarire che la
Repubblica, lo stato, riconosce l’indipendenza della chiesa dal potere della
politica. D’altro canto è d’obbligo che la chiesa sappia non influenzare la
politica. La costituzione esplicita che i due poteri hanno un “proprio ordine”,
cioè agiscono in ambiti diversi, quello delle anime l’una e quello delle
faccende temporali, l’altra. E sono indipendenti, cioè lo stato e la chiesa non devono influenzarsi nelle
loro scelte. Ambedue hanno sovranità nel loro ambito. Questo vuol dire che sono
in una condizione di parità. Né lo stato è sottoposto alla chiesa. Né la chiesa
è prostrata davanti al potere temporale. Sono, quali stati fratelli e uguali,
indipendenti fra loro. Quello che infiammava maggiormente i cuori dei
costituente, che discutevano animatamente su come dovesse essere sancito in
costituzione il rapporto fra il papa e la repubblica, era il rispetto dei
cosiddetti Patti lateranensi. I Patti erano stati firmati da Benito Mussolini,
nelle vesti di Presidente del consiglio italiano, e da papa Pio XI nel 1929.
Gli accordi intendevano superare le cosiddette “guarentige”, i privilegi che
casa Savoia aveva concesso in via
unilaterale, senza consenso del papa, al pontefice all’indomani della
debellatio, la fine storica, dello stato pontificio a seguito della presa
italiana di Roma. Privilegi che servivano al papa a mantenere i propri
possedimenti e quelli della chiesa e allo stesso tempo di avere sostentamento
economico. Le guarantige non furono mai accettate giuridicamente dal papa, ma
solo esercitate di fatto. Con i patti Lateranensi l’Italia e lo Stato della
Città del Vaticano, istituzione statuale che di fatto ha le sue fondamenta
giuridiche e nasce proprio a seguito della firma in Laterano degli accordi,
trovano una comune e concordata gestione dei loro rapporti istituzionali. Fu
ampio e serrato il dibattito in assemblea costituente. I partiti laici,
socialisti e liberali, intendevano non riconoscere i patti lateranensi come
parte dell’ordinamento giuridico della nascente Repubblica. Trovavano indegno
che una simile negoziazione, fatta e voluta dal dittatore Mussolini, entrasse
nella nuova democrazia. La proposta era di considerare la Chiesa come una
formazione sociale, di enorme rilevanza sociale e culturale, ma pur sempre
sottordinata allo stato. Alla fine prevalse la tesi del leader della Democrazia
Cristiana, Alcide De Gasperi, e del leader del Partito Comunista, Palmiro
Togliatti, che ascoltando gli ammonimenti di un giovanissimo giurista oltre che
membro dell’assemblea costituente, Aldo Moro, imposero l’inserimento dei Patti
Lateranensi in costituzione, atto che fu votato in assemblea a larga
maggioranza. A caldeggiare e a scrivere questo articolo fu il giovane Aldo
Moro, spalleggiato dall’anziano Don Luigi Sturzo, padre nobile del popolarismo
italiano. L’Italia aveva trovato il modo di salvaguardare la propria laicità e
allo stesso tempo di garantire alla chiesa di continuare ad operare nel nostro
paese. E’ giusto ricordare, però, che coloro che erano contrari alla
legittimazione costituzionale dei patti non erano fanatici laicisti, non erano
famelici mangiapreti. Avevano ragione nel dire che Mussolini aveva offerto
diritti e privilegi alla chiesa che erano in contrasto evidente con i valori di
eguaglianza di libertà e pluralismo della Costituzione che si andava scrivendo.
La chiesa aveva privilegi di natura economica che di fatto danneggiavano, per
la loro prominenza, le altre religioni. Vi era il reato penale di dileggio alla
religione nazionale, quella cristiana, che nettamente contrastava con il
principio di parità. Perché bestemmiare, scusate il termine, Gesù era un reato
e invece bestemmiare Geova no? Perché a scuola si insegnava religione cattolica
e non le altre fedi? Sono domande che hanno trovato solo una risposta parziale
nel 1984 quando il presidente del consiglio di allora, Bettino Craxi, e il
segretario di stato vaticano, Agostino Casaroli, hanno modificato i Patti
Lateranensi liberando l’Italia da un fardello che imponeva delle lesioni della
libertà ai cittadini che non intendevano praticare la fede cattolica. Anche
quella riforma però non ha superato interamente le contraddizioni e le aporie
che il concordato ha in sé. La strada per un sano e fruttuoso rapporto fra
stato e chiesa non è ancora interamente percorsa. Molto c’è da fare. Urge però
sottolineare che, alla luce degli eventi che si sono susseguiti nella storia
della nostra nazione, è da ritenere un atto di lungimiranza quello del Pci e
della Dc di voler scrivere l’articolo 7 della Costituzione così com’è. Un atto
e un’intuizione che proviene da due parti politiche così diverse e allora
lontane fra loro, ma che, fatto proprio dall’intera assemblea, ha portato
benefici e serenità a una nazione come l’Italia che allora era composta per la
quasi totalità da cattolici.
Testo di Giovanni Falagario
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