ARTICOLO 13 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA
“La libertà personale è inviolabile.
Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o
perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà
personale, se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e
modi previsti dalla legge.
In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati
tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare
provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore
alla autorità giudiziaria e, se questa non convalida nelle successive
quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto.
È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone
comunque sottoposte a restrizioni di libertà.
La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione
preventiva”
“Racconto a mano libera” in occasione dei settanta anni
della Costituzione Italiana sta pubblicando gli articoli della nostra carta
fondamentale. Dopo esserci soffermati sui primi 12, che racchiudono i principi
fondamentali dell’ordinamento, discutiamo della “Parte Prima” della
costituzione dedicata ai “diritti e doveri dei
cittadini”. Questa è divisa a sua volta in quattro Titoli: il primo è
dedicato ai rapporti civili; il secondo è dedicato ai rapporti etico sociali;
il titolo terzo ai rapporti economici; il titolo quarto ai rapporti politici.
Ogni titolo è composto da diversi articoli ognuno dedicato a un diritto
inviolabile della persona. Diritti che non possono essere scalfiti da nessuno,
neanche dallo stato stesso, che sono uno scudo della singola persona contro
glia attacchi alla integrità fisica, politica e morale che può subire da
chiunque. Il primo articolo del titolo primo è quello denominato numero “13”.
L’incipit è fulminante: la libertà personale è inviolabile”. La persona e la
sua libertà è un tempio, sembra vogliano dire i padri costituenti, chi attenta
alla sua integrità fisica e morale commette un sacrilegio. Siamo lontani dagli
oscuri tempi del fascismo in cui chiunque poteva essere arrestato per ordine
della polizia giudiziaria, senza alcun controllo di un potere terzo quale la
magistratura. Nessuno può subire restrizioni alla libertà personale. Nessuno
può essere detenuto arbitrariamente. Nessuno può subire perquisizioni o
ispezioni senza che vi sia una ragione legata alla sicurezza e alla difesa
della collettività. Inoltre questa ragione deve essere scritta in una legge e
motivata. Insomma è il parlamento, direttamente eletto dai cittadini, che
può indicare le ragioni e in modi in cui
la libertà personale può essere negata a un singolo o a un gruppo. Ma il
parlamento non è scevro da limitazioni. La Legge che ordina l’applicazione di
azioni preventive ed esecutive volte a privare persone delle proprie libertà
deve essere conforme ai principi e alle norme della Costituzione Stessa, non
può e non deve negare il principio di rispetto della dignità umana che è
fondamento dell’ordinamento giuridico repubblicano. Se andiamo a leggere
l’articolo tredici, questo dà delle chiari indicazioni al futuro legislatore di
come la norma vertente la restrizione della libertà personale debba essere.
Ogni ordine di reclusione deve essere motivato dall’autorità giudiziaria, cioè
è il magistrato, come abbiamo detto potere terzo sottoposto solo alle leggi e
alla Costituzione, a ordinare la restrizione di una libertà personale. Quindi è
solo il codice penale, non certo un regolamento e una direttiva del governo, a
poter decidere quali siano i casi di legge in cui le porte del carcere si
aprono per un eventuale condannato, indagato o imputato. Questa è una grande
conquista del diritto, una esplicitazione autorevole dell’importanza
fondamentale del principio della divisione dei poteri. Il parlamento fa le
leggi. Il governo si occupa delle questioni dell’amministrazione, anche di
altissimo profilo. E’ la magistratura che si occupa, coadiuvata dalle forze
dell’ordine, di far rispettare le leggi e di punire chi non le rispetta. In
casi eccezionali, motivati dal necessario intervento tempestivo e indicati
tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può attuare
provvedimenti provvisori che ledono le libertà personali. Pensiamo a un ladro o
un assassino colto sul fatto mentre commette il suo crimine. La polizia può e
deve arrestarlo senza aspettare l’autorizzazione del giudice. La flagranza di
reato rende necessario l’arresto. Ma questo atto di privazione della libertà
deve essere comunicato e motivato all’ordine giudiziario entro quarant’otto
ore. Il magistrato deve vagliare e convalidare l’atto d’arresto, se non avviene
entro le quarant’ore successive ogni atto cautelare è revocato e privo di
effetto. Gli ultimi due comma dell’articolo 13 sono importantissimi, ma
purtroppo in buona parte inattuati. Il Terzo dice che “è punita ogni violenza
fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni fisiche. La
legge che istituisce il reato di tortura ha atteso settant’anni per essere
posta in essere dai due rami del parlamento. Solo l’anno passato, 2017, è stata
approva, fra l’altro con uno strascico di polemiche fondate su una presunta
solidarietà con le forze dell’ordine, quasi che l’istituzione del reato di
tortura fosse una ritorsione di qualcuno contro di loro. Invece la norma sul
reato di tortura è ancora una risposta parziale all’esigenza costituzionale di
garantire che nessun uomo venga sottoposto a molestie fisiche e psicologiche da
parte di istituzioni dello stato e privati cittadini. La nuova legge lascia
spazio a valutazioni del giudici, che potrebbero definire episodi di comune
violenza atti di vera e propria tortura, solo perché non vi è la “reiterata
volontà ad offendere”, quasi che il torturatore sia tale solo se si accanisce
irrefrenabilmente contro la vittima. Ma si sa soprattutto la destra vede nella
forza bruta non tanto un atto vergognoso, quanto la naturale punizione di
persone considerate violente, perché emarginate. L’ultimo comma è “la legge
stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva”. Purtroppo i nostri
processi giudiziari sono lunghi e farraginosi, le difficoltà ad arrivare a
sentenza definitiva creano la necessità di sottoporre l’imputato a lunghi
periodi di carcerazione preventiva. Qui la destra si è battuta valorosamente
per l’attuazione dell’ultimo comma, va dato atto a Berlusconi Salvini e Bossi
di essersi battuti per la liberazione di persone imputate per reati di natura
economica, soprattutto, ma anche per altra materia, vedi il caso Previti che
commuove i cuori dei forza leghisti. Hanno ragione nel dire che i processi
durano troppo urge una riforma che non scarceri arbitrariamente, ma che non
permetta scarcerazioni arbitrarie ma un celere raggiungimento della verità
giudiziaria. Ultima nota dolente: lo stato delle carceri. Le prigioni italiane
sono in uno stato di degrado sconfortante. I detenuti hanno il diritto, anche
se in cattività, di vivere decorosamente. Ciò in Italia non avviene ed è un
grande nocumento per una nazione patria dei diritti che ha dato i natali a quel
Cesare Beccaria che scrivendo tre secoli fa “dei diritti e delle pene” ha
aperto la strada a una giustizia umana.
Testo di Giovanni Falagario
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