lunedì 2 settembre 2019

LA COSTITUZIONE ITALIANA: ARTICOLO 4



ARTICOLO 4

“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo dritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiare e spirituale della società”.

Prosegue la pubblicazione degli articoli della Costituzione Italiana su “Racconto a mano libera” per celebrare i settant’anni della promulgazione della nostra carta fondamentale. L’articolo quattro è l’esplicitazione di un concetto già formulato nell’articolo 1. Si spiega cosa vuol dire che “la Repubblica.. è fondata sul lavoro”. La Repubblica riconosce non istituisce il diritto al lavoro. Come per altri diritti fondamentali il padre costituente esplicita che il “diritto al lavoro” è un diritto che esiste ancor prima dell’ordinamento statale, esiste come diritto proprio di ogni persona che nella laboriosità esplicita il proprio essere. La Repubblica ha il dovere di promuoverlo. Ha il dovere di mettere in atto le politiche istituzionali necessarie per portare la piena occupazione nel nostro paese. Deve fare in modo che la disoccupazione, almeno quella involontaria, sia un lontano ricordo di epoche buie. Diciamo subito che questo obbiettivo, è agli occhi di tutti, non è stato realizzato e pare lungi dal realizzarsi. La disoccupazione nel nostro paese, soprattutto quella giovanile, è a livelli allarmanti. Noi siamo la nazione in cui i ragazzi, in età fra i venti e quarant’anni, stentano ancora a trovare lavoro e se lo trovano è precario e sottopagato. La repubblica è ben lungi da rendere “effettivo” il diritto al lavoro per tutti. Il lavoro è nel nostro paese, di fatto, un privilegio non un diritto. E’ questo dato di fatto ci rende molto cupi e tristi. L’Italia è il paese che vede sempre con meno speranza il domani. Si fanno meno figli. Si sceglie sempre meno spesso di sposarsi e di “mettere famiglia”, come si suol dire. Il senso di precarietà rende il nostro paese sempre meno aperto al domani, sempre meno ottimista. L’intuizione dei padri costituenti di mettere il lavoro al centro dei valori fondanti del nostro ordinamento, si dimostra giusta proprio analizzando gli effetti deleteri che la precarietà e l’assenza del posto sicuro sta producendo nella nostra società. E’ la mancanza di lavoro che determina lo scollamento sociale. Senza lavoro siamo diventati una società frantumata, senza sogni e obbiettivi comuni da realizzare. Ognuno vive isolato in se stesso, concentrato a difendere il propri privilegi, piccoli o grandi che siano, senza pensare al bene comune e ai diritti che a differenza dei privilegi non sono di pochi e per pochi ma di tutti e per tutti. Allora la scelta dei padri costituenti di rendere l’Italia un paese che mette al centro i lavoratori era vincente. Un paese in cui il lavoro, intellettuale o manuale, sia il fulcro del vivere sociale è un paese sano. Come ogni diritto anche il lavoro ha l’altra faccia della medaglia, cioè il dovere. Se ogni cittadino ha il diritto di lavorare, ha anche il dovere di farlo. Tutti dobbiamo concorrere alla crescita non solo economica, ma anche morale e culturale della nazione attraverso lo svolgimento di un’attività lavorativa. Questo è ben esplicitato nel secondo comma dell’articolo quattro della Costituzione. Ognuno deve dare tutto il proprio impegno per rendere la nostra società migliore, per questo si dice che !ogni cittadino ha il dovere di svolgere.. un’attività  o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della nazione”. Concetti nobili che invitano ogni persona a farsi cosciente che la propria opera è e deve essere preziosa al fine di rendere fulgidi i destini della nazione. Il lavoratore deve finalizzare il suo impegno non solo, come è pur giusto, per far vivere meglio se stesso e la propria famiglia, non deve lavorare solo per avere soldi, ma deve lavorare per realizzare un progetto collettivo comune a tutto il popolo che si incarna nella stessa nazione italiana. Allora appare non solo disdicevole ma anche moralmente inaccettabile il lavoro legato all’illegalità. Il lavoro nero, l’evasione fiscale, la frode sono tutti aspetti della vita economica che non solo sono illegali ma scardinano i valori fondanti del nostro stato. La corruzione dilagante, il dover pagare per avere appalti pubblici, è lo svilire del valore morale che il concetto di lavoro ha in sé. Il dichiarare il falso al fisco, il non pagare i contributi, il dichiarasi disoccupato e invece lavorare, non sonno solo atti di slealtà verso lo stato, ma sono atti di vero e proprio attacco alla collettività che deve fondare il proprio vivere comune sulla lealtà reciproca. Infine vorrei chiudere con un’altra nota dolente del nostro paese. Nel lavoro si esplicita l’emarginazione sociale. E’ sotto gli occhi di tutti che chi è povero, disabile o in stato di difficoltà invece di avere da parte dello stato strumenti atti a superare la propria difficoltà, come imporrebbe l’articolo 3 della Costituzione, è invece spinto ancora più in basso, è messo sempre più ai margini. La nostra società invece che includere, come vorrebbe la formazione culturale cristiana del nostro paese, esclude. In Italia i disabili che lavorano sono pochi, eppur tanti avrebbero i mezzi psichici e fisici per svolgere un’attività che concorra al progresso materiale, eppure non riescono a trovare lavoro. Da un lato ci sono i canali di inserimento dei disabili nell’impiego che non funzionano. Le “categorie protette”, come vengono dette le persone che sono iscritte al collocamento pubblico essendo invalide, non sono affatto tutelate. Dall’altra c’è una cultura distorta, che vede il disabile come un usurpatore di lavoro e di reddito. La stessa logica che alimenta l’odio xenofobo verso gli immigrati, anche loro visti come “ruba lavoro”. La Carta Costituzionale ci insegna che il diritto dell’altro non deve voler dire un “rubare” qualcosa a te. Se un disabile ha un lavoro, non lo ruba a te, ma esercita il diritto alla realizzazione personale insieme con te. I disabili, i disoccupati cronici, tutti gli emarginati sociali sono visti come un pericolo dagli “altri”. Come coloro che vorrebbero prenderti il posto. Proviamo invece a cambiare completamente punto di vista. Le parole di papa Francesco, che invitano all’inclusione, secondo me non valgono solo per il cattolico. Il pontefice indica una strada per costruire una società migliore nell’accoglienza, nell’abbraccio dell’altro, concetti che non sono lungi dai dettami costituzionali. Allora proviamo a costruire veramente una nazione includente, proviamo a rendere il lavoro strumento per crescere insieme come collettività, niente esclusione niente rancore. A questo punto vorrei provare ad invitare tutti a portare nei luoghi in cui lavorano quei valori di solidarietà di comunanza di fratellanza che rendono possibile debellare l’emarginazione e il rancore. Sono oggi valori di pochi, ma che potrebbero diventare valori di tutti contribuendo così a rendere l’Italia intera una nazione migliore.
Testo di Giovanni Falagario

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