UGUAGLIANZA
"Tutti i cittadini
hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione
di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di
condizioni personali e sociali.
E' compito della
Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando
di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno
sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione dei lavoratori
all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese"
Ho riportato, copiandolo
alla lettera dal testo costituzionale, l'articolo tre della Costituzione
Italiana. Uno degli articoli più importanti del nostro ordinamento giuridico.
E' diviso in due commi. Il primo è dedicato all'uguaglianza formale di tutti i
cittadini davanti alla legge. Il secondo sancisce l'uguaglianza sancisce
sostanziale di ogni persona. Cosa vuol dire uguaglianza formale? Vuol dire che
davanti alla legge tutti gli uomini e le donne sono uguali. Non ci possono
essere status speciali. La nobiltà, come ceto sociale, è abolita. Anzi non ci
sono proprio più i ceti. Nessuno può avere o non avere diritti in base alla
nascita. Nessuno è principe o barone. In secondo luogo si afferma che nessuno
può sottrarsi alle proprie responsabilità giuridiche, che siano di natura
penale o civile. Se si commette un reato bisogna risponderne davanti alle
autorità giudiziarie. Un altro elemento è la abolizione di ogni tipo di
discriminazione. Gli uomini e le donne sono uguali di fronte allo stato
italiano. Il genere femminile ha il diritto di accedere ai lavori che in
passato furono prerogativa solo maschile, deroghe a questo principio possono
esservi solo se legate ad evidenti necessità e bisogni dello Stato. Esempio è
il servizio militare che fino a qualche tempo fa era solo compito maschile.
Oggi la donna può servire lo stato come militare. Ma fino a qualche anno fa era
sentimento comune ritenere che ciò era impossibile. I tempi cambiano e con essi
i costumi e il modo di pensare, dobbiamo dircelo. La costituzione dichiara che
non vi debbano essere discriminazioni di genere. Sappiamo invece come le
statistiche parlano di una disoccupazione femminile ben più alta di quella
maschile. E' un caso in cui l'uguaglianza formale è vanificata dall'assenza
dell'uguaglianza sostanziale. Ora veniamo alla uguaglianza sostanziale, cosa
vuol dire? Vuol dire che è compito della repubblica porre le condizioni, ad
esempio,volte ad eliminare il divario fra disoccupazione maschile e femminile.
Vuol dire rendere concreto l'obbiettivo di dare dignità alle persone che non
possono averle perché sono svantaggiate rispetto agli altri. Vuol dire dare la
possibilità a tutti di formarsi e di studiare, anche se provenienti da un ceto
basso. Vuol dire che oltre a dare libertà di proferire le proprie idee, di
essere liberi di credere nella propria religione, si ha anche la libertà di
proferire in pubblico il proprio credo, e che lo stato ci dà gli strumenti per
farlo. L'uguaglianza vuol dire anche aiutare i disabili, i malati, le persone
che vivono in uno stato di disagio economico a poter avere una vita dignitosa e
a realizzarsi come persone. Qui è il tema più delicato. Non tutti sono
d'accordo su questo principio solidaristico, anzi sono molti che non accettano
il principio che l'aiuto al disabile sia un diritto di quest'ultimo, lo vedono
come un'opera caritatevole che deve essere libera e fatta da privati, non
imposta da una struttura statuale. Il dibattito si fa complesso. E' giusto
negare il diritto al lavoro a chi è in difficoltà? A una lettura stringente del
testo costituzionale dovremmo rispondere: no non è possibile. Di fatto in
Italia, proprio per la dicotomia cronica fra Forma e Sostanza che caratterizza
il nostro paese, chi è "diverso" non ha diritti. Chi è omosessuale,
chi è legato a tradizioni e culture diverse da quelle dei più, chi è affetto da
patologie invalidanti croniche non ha il diritto a quella dignità che la
costituzione vorrebbe fosse garantita a tutti. In questi periodi di crisi i
primi ad essere espulsi dal mondo del lavoro sono i più deboli. A poco serve
appellarsi alle parole di papa Francesco che durante il giubileo invitava a
includere e non ad escludere i meno fortunati. Insomma l'articolo 3 appare oggi
disapplicato. Non c'è uguaglianza. I politici godono privilegi. I più deboli
vengono messi all'angolo, invece di essere aiutati. Le donne subiscono
discriminazioni che spesse volte sfociano addirittura in violenza. Perfino le
minoranze linguistiche non vengono tutelate, anche se in questo campo molti
progressi grazie alla repubblica sono stati fatti. Cosa fare? Scegliere che
questo articolo rimanga solo un groviglio di belle parole che non hanno alcuna
attinenza con la realtà? Scegliere addirittura di abrogarlo, se non tutto,
almeno il secondo comma, quello delle libertà sostanziali? Scegliere di
ignorare gli inviti di papa Francesco volti ad aiutare chi è il nostro
prossimo? E' la scelta che nei fatti oggi si fa. Ma ci potrebbe essere un'altra
scelta. Quella di rendere vivo e concreto l'articolo 3. Considerare i diritti di
tutti non un ostacolo alla realizzazione personale, ma un modo di concepire la
società e l'economia in maniera differente. Un'economia non volta a schiacciare
ed escludere, ma ad accogliere ed includere.Una economia non del profitto fine
a se stesso, ma di una visione del lavoro che serve a far vivere meglio tutti,
anche se questo vuol dire ridurre i profitti delle imprese. L'articolo 3,
l'uguaglianza, può portare non solo un sollievo a chi vive il dramma
dell'emarginazione, che si realizza attraverso la disoccupazione e la povertà,
ma anche a una visione più giusta e bella della società. Proviamo a perseguire
questa strada, proviamo ad applicare nella sua interezza l'articolo 3 della
Costituzione Italiana. A 70 anni dalla entrata in vigore della Carta Costituzionale
sarebbe un bel regalo per l'Italia e per ognuno di noi.
Testo di Giovanni Falagario
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