ARTICOLO 20 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA
“Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di
culto d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali
limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua
costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività”
L’articolo 20 della costituzione appare come un corollario
dell’artico diciannove. Come conseguenza del diritto a professare qualsiasi
tipo di credo c’è il dovere da parte delle autorità pubbliche di non discriminare alcuna associazione nata
per accogliere coloro che professano una determinata fede. Non vi possono
essere norme volte a discriminare
l’attività di enti ecclesiali, di associazioni e di istituzioni. La
legislazione potrebbe attuare norme per dissuadere la popolazione ad organizzarsi
per finalità religiose. Vi possono essere norme che istituiscono tassazioni
speciali per gli enti religiosi. L’articolo 20 impone che lo stato non attui
mai questa strada. Discriminare una qualsiasi attività religiosa è reso
impossibile nel nostro paese grazie all’articolo venti della costituzione. Insomma le istituzioni a carattere religiose
possono avere norme di favore, cioè volte a facilitare la loro istituzione, ma
non possono esservi norme che pongano ostacoli e difficoltà alla loro nascita.
Questo principio è fondamentale per agevolare l’aggregazione di persone nella
loro professione di fede. Il credente può liberamente manifestare il suo
afflato religioso senza associarsi ad alcuno, senza aderire ad alcuna comunità
ecclesiale. Se decide invece di far parte di una comunità religiosa lo stato
deve agevolare l’attività istituzionale della comunità. La repubblica deve
facilitare l’organizzarsi dei fedeli. L’autorità deve garantire che siano
rispettati gli statuti. Non deve in alcun modo ostacolare l’attività religiosa.
Questo è un principio basilare che la Costituzione esplicita nell’articolo 20.
Insomma non vi possono essere aggravi di natura fiscale allo svolgimento
dell’attività religiosa, che spesso impone forme di autofinanziamento da parte dei
fedeli e anche di un finanziamento pubblico. Questo principio, occorre dirlo,
ha prodotto effetti aberranti. In Italia ci sono esercizi commerciali che sono
tassati poco e in maniera incostante, perché facenti capo ad un ente
ecclesiastico. Sono vere e proprie attività commerciali che fanno concorrenza
sleale ad altri esercenti. Siamo al paradosso che l’articolo 20, nato per non
discriminare le associazioni religiose, diventato la giustificazione della
nascita di privilegi fiscali e giuridici che la teleologia del commercio non
dovrebbe giustificare. Ci sono attività economiche che non pagano le tasse sui
beni immobili posseduti solo perché risultano facenti parte di enti
ecclesiastici. E’ bene che la legge razionalizzi la tassazione. Non è certo
finalità dell’articolo 20 agevolare alcune attività commerciali a discapito di
altre. Non è volontà del costituente che alcuni negozi possano non pagare le
tasse, perché formalmente sono attività religiose, ,ma sostanzialmente sono imprese commerciali. E’
d’uopo una razionalizzazione della materia e un censimento accurato di tutte le
proprietà e i beni catalogati come ecclesiastici al fine di tassare tutti i
beni immobiliari e mobiliari che sono estranei all’attività religiosa e sono
solo strumenti di attività economiche. Ovviamente non c’è alcun biasimo verso
coloro che, pur facenti parte della comunità clericale, svolgono attività
commerciali. La necessità è quella di riconoscere che tali attività sono
equiparate ad ogni altra attività volta ad ottenere lucro e dal bisogno di
tassarle adeguatamente. Lo stesso vale per le proprietà immobiliari, devono
essere soggette alla tassazione, come qualsiasi altra casa e appartamento.
Questo per garantire il principio di eguaglianza imposto dal dettato
costituzionale.
testo di Giovanni Falagario
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