domenica 31 gennaio 2021

PARLANDO DI COSTITUZIONE

 


ARTICOLO 95    DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri.

I ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri e individualmente degli atti dei loro dicasteri.

La legge provvede all’ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e l’organizzazione dei ministeri”.

L’articolo 95 della Costituzione, nel suo primo comma, dà un ruolo fondamentale al Presidente del Consiglio nella conduzione della politica generale del governo. È lui che la dirige. È lui che mette i paletti che i membri dell’esecutivo, i singoli ministri e sottosegretari, devono seguire per compiere il loro lavoro. È d’obbligo notare che la politica generale del governo non è determinata dal solo Presidente del Consiglio. Questa è voluta dal Parlamento, che dà la fiducia all’esecutivo e dalle forze politiche che lo sostengono e che hanno dato l’assenso al programma governativo, esprimendo il loro pensiero sulle finalità governative attraverso le “mozioni di fiducia”, che sono le dichiarazioni di voto espresse al momento della nascita dell’esecutivo. Il Presidente del consiglio ha l’alto compito di assicurare che gli obbiettivi che si erano prefissati al momento della nascita dell’esecutivo, vengano perseguiti. Il Presidente del Consiglio è colui che fa in modo che le finalità del governo vengano raggiunti. Per questo motivo risponde al Parlamento e all’intera nazione dei risultati conseguiti e dei fallimenti dell’intero organo esecutivo. Il ruolo del Presidente del Consiglio non è solo politico. Il suo compito è quello di dirigere tutta la Pubblica Amministrazione, questa è un mastodontico sistema organizzativo su cui si regge l’intero funzionamento dello stato. Milioni di dipendenti, funzionari e collaboratori dello stato hanno come punto di riferimento e capo il Presidente del Consiglio. Compito del capo del governo è garantire che questa enorme macchina burocratica funzioni. Ovviamente non può e non deve farlo da solo. I singoli ministri sono responsabili del ramo della pubblica amministrazione loro assegnato. Devono dirigere con assennatezza e senso dello stato il loro dicastero. I ministri sono responsabili collegialmente degli atti del consiglio dei ministri, che hanno votato. Sono responsabili individualmente degli atti compiuti dai loro dicasteri. È un principio importante. I componenti possono e devono rispondere dei propri atti alla nazione e al parlamento. Possono essere oggetto di mozione di sfiducia sia collettiva, dell’intero governo, sia personale. Un singolo ministro può essere chiamato a rispondere del proprio agire davanti al parlamento. La mozione di sfiducia del singolo ministro è un istituto molto discusso. Alcuni giuristi hanno interpretato il secondo comma dell’articolo 95 non come la possibilità del parlamento di far decadere il singolo ministro, ma come una responsabilità giuridica e amministrativa del singolo titolare di un dicastero. Secondo questi l’istituto della “sfiducia” deve valere solo per tutto il governo. La quotidianità costituzionale, in cui sono stati registrati nella storia repubblicana diversi casi di sfiducia individuale, e diverse sentenze della Corte Costituzionale hanno chiarito che la mozione di sfiducia individuale è contemplata dal nostro ordinamento. È giusto che il parlamento possa controllare e, se lo ritiene opportuno, censurare il lavoro di un singolo ministro, imponendogli le dimissioni. I regolamenti parlamentari prevedono e normano le modalità con cui si può chiedere la sfiducia non solo dell’intero governo, ma anche del singolo ministro. Quindi è da reputare superata la disputa su tale tema nell’ottica di considerare possibile la decadenza di un singolo membro del governo su richiesta di un ramo del parlamento. Ricordiamo che sia in caso di sfiducia all’intero governo sia in caso di sfiducia a un singolo ministro basta che questa sia votata da un solo ramo del parlamento per diventare effettiva. Insomma la squadra dell’esecutivo è composta da un capitano, il presidente del consiglio, e da un numero significativo di collaboratori. I componenti del governo non sono solo i ministri. La legge, a cui l’ultimo comma dell’articolo 95 affida l’ordinamento della Presidenza del Consiglio e il numero dei ministeri, determina la composizione del governo. Questa non è solo fatta di ministri, comprende la presenza di viceministri segretari e sottosegretari che hanno il compito di coadiuvare e di supportare i singoli ministri e di gestire la Presidenza del Consiglio, ufficio proprio del premier. La legge che disegna il funzionamento e i ruoli all’interno dell’esecutivo è la legge del 23 agosto 1988, successivamente novellata da altre norme dello stato che hanno mutato solo in piccola parte l’assetto normativo della stessa. Questa norma prevede la possibilità che siano nominati vice presidenti del consiglio. Che vi siano “ministri senza portafoglio” cioè ministri a cui vengono delegate specifiche funzione, pur non essendo titolari di uno specifico ministero. Insomma hanno il compito di gestire particolari attività amministrative e di raggiungere determinati scopi, ma non sono a capo di uno specifico ufficio ministeriale. I sottosegretari di stato sono coloro che aiutano i singoli ministri nel loro compito, si distinguono dai semplici impiegati del ministero perché la loro carica è politica ed è legata alla vita del governo in carica, fra questi si può individuare un viceministro, nominato dal consiglio dei ministri, la differenza, importantissima, fra lui e i sottosegretari è che può partecipare a pieno titolo al consiglio dei ministri, così contribuendo alla costruzione e alla realizzazione dell’indirizzo politico dell’esecutivo. Vi possono essere dei commissari straordinari del governo, personalità nominate con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio, che hanno il compito di realizzare specifici obbiettivi in relazione a programmi e obbiettivi. Pensiamo al Commissario Straordinario per la ricostruzione designato dal governo per gestire la delicata vicenda del post terremoto nelle regioni del Centro Italia. Questi partecipano al consiglio dei ministri quando si tiene l’assemblea sulla materia e sull’emergenza per cui è stato nominato. Tutte le figure istituzionali che fanno parte del governo devono essere istituite e regolamentate per legge. Non potrebbe essere altrimenti. La norma è lo strumento principale per dar vita e sostanza ad ogni organizzazione statuale. Il governo deve sottostare alla legge. È un principio fondamentale che serve a espellere ogni forma di arbitrarietà e di privilegio che potrebbe albergare in un istituto, quello governativo, che potrebbe esercitare il proprio potere per favorire l’uno o l’altro. La legge invece dovrebbe garantire che l’arbitrarietà amministrativa, la libertà di compiere azioni di carattere politico, propria dell’esecutivo non ecceda in atti di favore o di ingiustizia che non tutelano il principio di uguaglianza di ogni cittadino davanti allo stato.

IL MANDATO ESPLORATIVO

 


L’ESPLORATORE

Roberto Fico è il Presidente della Camera dei Deputati. È la terza carica dello stato, dopo il Presidente della Repubblica e il Presidente del Senato. È uno dei più importanti esponenti del Movimento Cinque Stelle, l’organizzazione politica che alle ultime elezioni nazionali è risultata la forza politica con più consenso da parte degli elettori.  L’atro ieri, 29/01/2021, ha avuto l’incarico da parte di Sergio Mattarella, il Presidente della Repubblica, di esplorare i proponimenti dei vari partiti di formare una nuova maggioranza politica che dia la fiducia a un nuovo governo.

Il compito di Fico è oggettivamente complesso. Italia Viva, la formazione parlamentare fondata da Matteo Renzi, ha fatto cadere il governo denominato dalla stampa “Conte 2” e non intende concedere il suo consenso alla formazione di un altro esecutivo, se non alla luce di evidenti discontinuità rispetto al precedente. Il centro destra, guidato da Silvio Berlusconi, ha chiarito che è urgente un cambio di passo. Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Antonio Tajani, a colloquio con il Presidente Mattarella, hanno ribadito la necessità di una forte e impellente esigenza di cambio di passo. Elezioni subito! Hanno chiesto. E in subordine un governo guidato da un esponente del Centro – destra. Il modello è la gestione della pandemia in Lombardia di questa primavera. Un dato esplicitato dalla vice presidente della Camera, l’onorevole Mara Carfagna, esponente di spicco di Forza Italia. Si ricorda che con la guida di Guido Bertolaso, non da oggi modello di “buona politica”per tutti gli esponenti di destra, la regione Lombardia ha combattuto contro il virus. Salvini promette che se la destra ritornerà al governo, sarà quella la linea di tendenza da seguire, coordinata dalla paziente e proficua dedizione politica di Silvio Berlusconi.

Ma queste sono le prospettive del domani, sono le certezze che potrà regalare solo un voto popolare che darà mandato alla coalizione di destra di governare. Oggi c’è un empasse politica non facilmente risolvibile. Roberto Fico ha in prospettiva la soluzione di proporre ancora una volta a Partito democratico, Liberi Uguali, Italia Viva e Movimento Cinque Stelle di appoggiare un governo la cui presidenza dovrebbe essere affidata ancora una volta a Giuseppe Conte. Ma la possibilità che ci siano altre personalità a guidare un futuro esecutivo esiste. Si fa il nome di Mario Draghi, ex governatore della Banca d’Italia ed ex governatore della Banca Europea. Il banchiere è persona stimata da un numero imponente di politici. La sua presidenza alla Banca Europea ha segnato la forte riduzione del cosiddetto “spread”, cioè il divario fra i rendimenti degli interessi dei titoli di stato italiano e di quelli tedeschi, favorendo di fatto l’alleggerimento del peso del debito pubblico italiano. Alla luce delle dichiarazioni delle forze politiche la prospettiva di una cosiddetta “maggioranza Draghi” non esiste. Nessun partito ha dichiarato apertamente di voler appoggiare un esecutivo che sarebbe “tecnico”. Lo stesso Draghi non si è sbilanciato a dare la propria disponibilità. Ma sono molti a pensare che se il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, affidasse il compito di formare un esecutivo a Mario Draghi ci sarebbe una maggioranza parlamentare solida formata da coloro che hanno appoggiato il Conte 2, con in più Forza Italia e,forse, l’astensione della Lega di Matteo Salvini. Sarebbe un cambio di rotta importante anche per la destra, che fino ad oggi ha chiesto con veemenza: elezioni. L’unica che, con sostanziale certezza, rimarrebbe all’opposizione sarebbe Giorgia Meloni con il suo movimento, Fratelli d’Italia.

Tutte queste sono congetture. Tutto sembra azzardato. Perfino le elezioni, lo sbocco “naturale” di fronte a una crisi senza prospettive parlamentari, appaiono difficili da pensare in una Italia bloccata dalla pandemia. Anche se, bisogna dirlo, le elezioni regionali del 2020 si sono comunque tenute, malgrado il morbo. Insomma la complessità della situazione impone prudenza. Giuseppe Conte sta a guardare, il premier dimissionario è forte dei sondaggi che esprimono l’apprezzamento dei cittadini per la sua azione ministeriale ai tempi della fase acuta della pandemia. Ma appare difficile valutare il peso che potrà avere in termini di voti, questo consenso per la sua politica. Anche perché, oggettivamente, questo consenso, che rimane pur molto alto, sta calando alla luce della contraddittoria azione governativa nella cosiddetta “fase due dell’emergenza”, quella che stiamo oggi vivendo.

Quello che conta sono i destini del paese, i nostri destini, quelli di noi cittadini. Difficile dire quale sia la scelta politica migliore per riportare serenità nel tessuto socio economico della Comunità Italiana. Ma è necessario che la politica e l’intera classe dirigente italiana faccia presto qualcosa. Risolva la crisi politica in un modo o nell’altro, al fine di concentrarsi sulla vera priorità nazionale che è la tutela della salute, della prosperità, del lavoro, dello studio e in ultimo , ma non per ordine d’importanza, di pensare a garantire la possibilità di tutti a vivere serenamente la propria vita. Che dire: in bocca a lupo Roberto Fico. Sappiamo che il tuo impegno, gentile presidente della Camera dei Deputati, deve essere volto a garantire che gli italiani tutti abbiano un futuro sereno. Chi sia il prossimo Presidente del Consiglio, a questo punto dei giochi, conta relativamente. Bisogna che sia una persona che garantisca la prosperità generale, e ci faccia uscire definitivamente dalla emergenza.  Speriamo che l’esploratore trovi un esplorato all’altezza.

sabato 30 gennaio 2021

PARLANDO DI COSTITUZIOONE

 


NOTE A MARGINE DELL’ARTICOLO 94 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

Il governo deve avere la fiducia delle due Camere.

Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale.

Entro dieci giorni dalla sua formazione il governo si presenta alle Camere per ottenere la fiducia.

Il voto contrario di una o di entrambe le Camere su una proposta del governo non importa obbligo di dimissioni.

La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione”.

Chi vi scrive queste note a margine dell’articolo 94 della Costituzione Italiana guarda sconcertato le vicende politiche che hanno determinato le dimissioni del governo guidato dall’avvocato Giuseppe Conte. Una crisi di governo che va definita “extra parlamentare”, cioè non causata da un voto di sfiducia di uno dei due rami del parlamento. Quindi in sostanza non in linea con i dettami della Costituzione Italiana, che vorrebbe un voto del parlamento che sancisca i destini di tutti i governi in carica nel nostro paese.

Bisogna dire il vero. L’attuale esecutivo dimissionario non ha i numeri sufficienti di consenso fra i deputati e senatori per governare. A Palazzo Madama, oggettivamente, gli oppositori al governo, se si comprende anche i senatori di Italia Viva, sono in numero superiore ai suoi sostenitori. Ma un voto di sfiducia non c’è stato. Anzi quando il governo ha chiesto l’assenso al cosiddetto decreto “ristorni”, cioè il provvedimento volto ad aiutare coloro che sono in difficoltà a ragione della pandemia, Italia Viva non ha votato “No”, come hanno fatto Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia, rendendo esplicita l’ambiguità del nuovo partito fondato da Matteo Renzi.

Certo che Giuseppe  Conte non è la prima volta che si trova a gestire le bizze di un componente importantissimo della sua maggioranza. Il cosiddetto “Conte 1”, che nacque con l’alleanza fra Lega e Cinque Stelle, cadde per i diktat di Matteo Salvini, che dalla spiaggia del Papete sulle rive dell’Adriatico, diede ordine ai suoi di non votare più l’esecutivo di cui era Ministro degli Interni. Sembra dunque che due Matteo segnino i destini dell’avvocato Conte e dell’Italia.

Ma è giusto che un governo debba cadere senza un voto delle Camere? Se si legge la storia istituzionale del paese apparirà chiaro che i destini del “Conte 1” e del “Conte 2” non sono affatto un’eccezione nella vita repubblicana. Pochissimi governi sono caduti a causa di un voto contrario delle Camere, forse solo il Prodi 2 e il Berlusconi 3. Negli altri casi, anche De Gasperi per dire lo fece, si scelse di non affrontare il voto in parlamento, e di presentarsi direttamente dimissionario al Presidente della Repubblica, affidando a lui i destini del paese, in forza dell’articolo 92 secondo comma della Costituzione Italiana.

Ora l’Italia è senza un esecutivo nel pieno delle sue funzioni. In piena Pandemia non c’è un governo che abbia la fiducia delle Camere. È un pericolo vero per la salute e il benessere di tutti. Che fare? Scusate se cito un dittatore quale Lenin. Difficile trovare una risposta. La pandemia ha palesato le contraddizioni del nostro paese. La Lombardia e il Veneto, che sono le due regioni più all’avanguardia del paese, sono quelle che sono rimaste più colpite dall’incedere della pestilenza. Le colpe di chi sono? Io francamente non lo so. Ma ci sono! È inutile negarlo. Perfino i dati statistici non sono affidabili. Fino a qualche giorno fa la Lombardia, ad esempio appariva fra le regioni che ancora oggi hanno un numero preoccupante di malati, oggi altri dati smetiscono questa tesi. Fa un po’ tristezza vedere la pur bravissima Letizia Moratti, imposta come assessore alla salute lombarda da Salvini e Berlusconi, dover spiegare il perché di dati strampalati e affannarsi a controbattere le accuse. Insomma mentre il paese è nel caos, la crisi del governo Conte bis appare fondata su una logica di piccoli interessi di “bottega” che non dovrebbero esserci.

Le responsabilità di Matteo Renzi sono molte. È faticoso comprendere l’ex sindaco di Firenze, che in nome di una richiesta giusta di “agire in fretta” di fatto ha bloccato ogni azione di governo, attraverso le costrette dimissioni di Conte. Ma non nascondiamoci che i ritardi, le indecisioni, le ambiguità nelle scelte sono anche nell’esecutivo. Bisogna fare in fretta. Bisogna intervenire. Bisogna cambiare la situazione sociale del paese, oggi frustrata dall’incipiente attacco del virus. Allora appare chiaro che una situazione di uscita potrebbe essere il rispetto dell’articolo 94 della Costituzione Italiana. Proviamo a “parlamentarizzare”la crisi. Cioè proviamo discutere apertamente nelle aule dei rappresentanti del popolo su cosa fare. Decidano insieme i politici dei destini della nostra Italia. Non è ammissibile che una crisi politica sia voluta da alcuni notabili. È l’ora  della responsabilità. È l’ora che la politica risponda al paese. Cambiare esecutivo, ovviamente, si può. Ma deve essere chiaro il percorso da prendere, deve essere esplicita la linea politica che si vuole per risolvere i problemi di oggi, di adesso. Basta trucchetti, basta strategie per continuare a “campare”. Il paese ha bisogno di politica, di una visione teleologica dell’agire quotidiano, per emergere dall’emergenza. La Costituzione, il rispetto dei suoi dettami, è ancora una volta la via per risolvere i problemi di interesse generale, allora rispettiamola e agiamo secondo i suoi insegnamenti. Tutti, ma soprattutto coloro che svolgono compiti di alto profilo statuale.

lunedì 25 gennaio 2021

PARLANDO DI COSTITUZIONE

 


ARTICOLO 93 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Il Presidente del Consiglio dei ministri e i ministri  prima di assumere le funzioni, prestano giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica.”

Il complesso processo di formazione del governo si conclude con il giuramento di fedeltà alla Nazione e alla Costituzione espresso dal nuovo presidente del consiglio e dai suoi ministri davanti al presidente della Repubblica. Questo pronunciamento di assoluta fedeltà alla patria rende l’esecutivo operativo e nel pieno delle sue funzioni. La professione di servizio allo stato conclude quello che è stato iter istituzionale che ha fatto nascere l’esecutivo. Prima sono avvenute le cosiddette consultazioni. Il Presidente della Repubblica ascolta le varie componenti politiche presenti in parlamento attraverso le loro delegazioni, un gruppo di dirigenti dei vari partiti che vanno al Quirinale per esporre la propria posizione politica al primo cittadino dello stato. Una volta ascoltati tutti i gruppi politici il Presidente della Repubblica dà il mandato di formare il governo a un esponente politico o della società civile che, secondo il suo saggio giudizio, potrebbe essere in grado di formare un governo che abbia la capacità di ottenere la fiducia delle Camere. Queste consultazioni possono essere rapide, se la situazione politica rende possibile individuare immediatamente la figura in grado di ottenere il consenso delle assemblee. Le consultazioni, però, possono essere lunghe e difficoltose, se in Parlamento non ci sono i margini per la formazione di alcuna maggioranza in grado di votare l’esecutivo. L’opera di mediatore del Presidente della Repubblica si fa in questo caso importantissima. È lui che deve provare a far convergere le forze politiche. Il suo ruolo non è di soggetto politico. Lui non deve mediare, ma deve essere in grado di mettere in risalto le convergenze politiche dei singoli partiti in modo da favorire un eventuale accordo. Il suo ruolo può essere fondamentale, in una fase di estrema frammentazione politica. Alcuni  esecutivi sono stati denominati “del presidente (della Repubblica)” proprio perché sono stati il frutto del paziente impegno del primo cittadino della nazione di trovare il bandolo della matassa, in situazioni di estrema crisi politica. In una fase politica in cui appare impossibile formare una maggioranza che appoggi un eventuale governo, il Presidente della Repubblica sceglie una figura, spesso estranea alle vicissitudini politiche, in grado di formare un governo che affronti i problemi impellenti del paese, trovando una convergenza di intenti fra partiti che non sembrano in grado di proporre un presidente del consiglio proveniente dalla loro fila. Bisogna sottolineare che il  termine giornalistico “governo del presidente” da un lato spiega una complessa e intricata vicenda politico istituzionale, però dall’alto è una definizione impropria, perché tali esecutivi, esattamente come tutti i governi della nostra nazione, devono avere la fiducia del parlamento e quindi sono da considerare parlamentari. Dopo aver prestato giuramento i ministri devono presentarsi alle camere e ottenere da loro la fiducia. In caso contrario hanno l’obbligo di dimettersi. Quindi appare chiaro che “governo del presidente”, termine usato più opportunamente in altre nazioni ove vige una repubblica presidenziale, sia fuori luogo dal punto di vista giuridico. In Italia vige un modello di stato di tipo parlamentare. Il presidente del consiglio incaricato deve certo scegliere i ministri. Il suo esecutivo entra in carica al momento del giuramento davanti al Presidente della Repubblica. Ma il suo esecutivo decade se non ha la fiducia del Parlamento. In caso di voto negativo il presidente del consiglio deve immediatamente presentare le sue dimissioni e quelle dei ministri al presidente della repubblica. A tal ragione avviene che al momento dell’incarico il Presidente del consiglio prescelto faccia a sua volta un giro di consultazioni con le forze politiche in parlamento  per saggiare se ci sono i presupposti per ottenere la fiducia, in caso contrario rimette il mandato al presidente della repubblica ancor prima di giurare e quindi di far nascere il nuovo esecutivo. Insomma il giuramento del Governo è la conclusione di un complesso rituale politico e istituzionale in cui le formazioni politiche si ritrovano a discutere dei destini del paese sotto il saggio, si spera, influsso del Presidente della Repubblica.

domenica 24 gennaio 2021

RIPENSARE AL NATALE

 


AVVENTO

Oggi è il 24 dicembre 2020. È la vigilia di Natale. Ogni famiglia attende di festeggiare la venuta del Salvatore del Mondo. Chi è Cristiano riconosce in queste ore della notte, l’aurora che illumina l’intera storia dell’umanità. Gesù, il bambinello che è nato 2020 anni fa, è colui che ha portato luce nelle tenebre, e il 25 Dicembre di ogni anni questo si ripete. Per questo motivo chi crede in lui oggi è in attesa, esattamente come lo erano nell’antica Israele le spose in attesa degli sposi. Queste secondo la tradizione ebraica erano sveglie nella notte, con le lampade ad olio accese, pronte ad aprire la porta al promesso in matrimonio. Insomma Gesù era ed è l’atteso da una terra e da un genere umano che ha bisogno del suo redentore. Ecco perché la notte del 24 è importante quanto il Natale stesso. La Vigilia è il tempo degli uomini e delle donne. È il momento in cui ci prepariamo all’arrivo dello sposo. È il momento in cui dobbiamo rimodellare la nostra stessa esistenza per accogliere colui che è figlio di Dio. Avvento vuol dire attesa di una venuta. Ma coloro che attendono non devono e non possono rimanere inerti. Devono compiere un atto di rigenerazione interiore che li pone in sintonia con il Salvatore che viene. Allora non possiamo altro che sperare e cambiare in meglio la nostra anima. Non possiamo che far altro che meditare sul senso della nostra esistenza alla luce del messaggio di salvezza che Gesù, nato a Betlemme, ci offre.

Meditiamo su quello che siamo. Pensiamo a come ci rapportiamo alle nostre relazioni sociali, sentimentali, affettive umane. Impariamo a stravolgere i nostri codici interpretativi. Sappiamo trasformare il nostro stesso sistema di relazioni e di interrelazioni sulla base della certezza che un bambino è nato per cambiare radicalmente la vita di tutti noi in meglio. Attendiamo la nascita del fanciullo. Sappiamo che porterà terre nuove e cieli nuovi, per parafrasare una frase del Nuovo Testamento. Sappiamo che le nostre interrelazioni umane saranno radicalmente migliori se fondate sulla consapevolezza che siamo chiamati ad essere redenti dal Cristo. Un bambino può cambiare il mondo. È una certezza che nasce direttamente dal nostro cuore. Ogni nascita è la speranza che quel nuovo essere umano cambierà in meglio la vita di tutti, sicuramente renderà felici i propri genitori. Allora quello che ricordiamo oggi è che attendere colui che viene, attendere una nuova nascita, è un momento di veritiera rigenerazione comunitaria. Non sono solo i genitori, non sono solo Maria e Giuseppe, che attendono la nascita del redentore. Non è solo la Madonna che avverte le doglie del parto, ma, per citare San Paolo, è l’intera umanità che geme per la gestazione, perché quella nascita cambierà radicalmente l’intera umanità. Questa è la fede del cristiano. Questa brama di rifiorire a nuova vita, però, non è solo di chi crede in Dio, ma di tutti. Ognuno di noi, anche se ateo, attende che la vita cambi in meglio, rivoluzionata da un uomo, che è ancora bambino, con la sua semplicità e purezza d’animo.

LAVORO

 


ARTICOLO 2104 DEL CODICE CIVILE

“Il prestatore deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale.

Deve inoltre osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende.

La nostra Nazione, l’Italia, è fondata sul lavoro, come dice l’articolo 1 primo comma della Costituzione. Questo è un contenuto e un fondamento qualificante del nostro ordinamento giuridico. La convivenza di tutti si basa sul principio che tutti e ognuno siamo chiamati, se non impossibilitati da gravi ragioni di salute o d’altro genere, a partecipare alla creazione della ricchezza monetaria della comunità italiana, come ben si evince anche dall’articolo 2104 del Codice Civile in cui si afferma: che il lavoratore, il termine usato è prestatore, deve usare diligenza al fine di garantire, oltre che il giusto difendere l’interesse dell’impresa, anche e, oso dire, soprattutto, quello della produzione nazionale.

È lampante che questo articolo del Codice Civile è corollario dell’articolo  1 e dell’articolo 4 della costituzione Italiana. Scritto prima della nascita del nostro stato repubblicano, come tutto il Codice Civile, ad eccezione delle parti novellate di cui questo articolo non fa parte, riesce ad incardinarsi perfettamente nel palinsesto costituzionale della nostra moderna democrazia. Perché appare giustificato pensare che il fine teleologico della produzione nazionale, improntato ad arricchire il paese e non solo i singoli proprietari, fosse comune anche al regime fascista, anche se ovviamente per realizzare un progetto statuale diverso, (nel caso del fascismo:  una dittatura); rispetto a quello democratico, plurale e partecipativo voluto dai padri costituenti all’indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale. Insomma il fine ultimo era diverso per i due legislatori, quello fascista e quello repubblicano, ma il cammino tracciato per arrivare allo scopo ultimo poteva essere simile ed, infatti, ha molte analogie.

Ecco il motivo per cui l’articolo 2104 è ancora operante, ma non può essere avulso, nella sua applicazione, dai principi scritti dallo “Statuto dei Lavoratori”, la legge 300 del 1970 che è caposaldo per la disciplina dei contratti di lavoro di ogni tipo, soprattutto di quello subordinato. Insomma l’articolo 2104 va letto, come ogni atto normativo e norma, secondo un principio evolutivo, logico e, soprattutto, sistematico. Mi spiego ogni norma, anche quella che verte su materie lavoristiche, non può che essere applicata se non un corretto approccio che sappia inserirlo nella visione d’assieme che lo stato, attraverso il pronunciamento del legislatore, ha nella singola materia giuridica, in questo caso si parla di diritto del lavoro. Allora appare chiaro che lo sforzo che deve essere compiuto dal lavoratore per adempiere i suoi doveri e le direttive apicali, non può essere avulso dai principi fondamentali che sono alla base della convivenza collettiva nazionale. Come si evince dalle preziose parole del professore di diritto del Lavoro, Gaetano Veneto, l’obbedienza alle disposizioni impartite dal datore di lavoro nell’esercizio del suo potere direttivo sono a distinguere maggiormente la collaborazione propria del lavoro subordinato. Insomma, aggiungo io per provare a spiegare il concetto, il lavoro subordinato è caratterizzato da una disciplina che impone un assoluta versione verticista, in questo caso il termine è da intendersi in maniera positiva e da escludere ogni valutazione negativa, dei rapporti di funzionamento della macchina produttiva. L’obbiettivo è produrre un bene, il datore di lavoro dà gli strumenti per ottenere lo scopo, ma, anche, le direttive necessarie per raggiungerlo. Ma non bisogna dimenticare che questo principio è da interpretare anche con una lettura comparata degli articoli dello statuto dei lavoratori che garantisce la libertà dai  lavoratore dai limiti interni ed esterni come si evince fin dall’articolo 1 della materia legislativa in oggetto. Poi in materia lavoristica la legislazione è perdurata negli anni. Nel nuovo millennio che viviamo sono state scritte norme a tutela della privacy del singolo e della collettività del lavoro. Tutele che si intrinsecano con il cosiddetto diritto alla privatezza, cioè il diritto a non essere intaccato nei propri sentimenti e nelle proprie pulsioni più intime.

Insomma il principio di obbligo all’obbedienza è un sacrosanto fondamento per garantire il sano ed efficiente raggiungimento degli obbiettivi produttivi, è anche un modo per garantire il sano procedere delle attività lavorative, ecco perché vale anche per gli istituti lavorativi che non hanno fini lucrativi, ma di servizio, penso agli enti pubblici che non sono attività d’impresa. Il dovere di servizio e di abnegazione, il sottomettersi alle giuste logiche dirigenziali attraverso le direttive dei propri superiori diretti o indiretti che siano, è un dovere di tutti i dipendenti pubblici o privati che siano. Comunque come spiega Andrea Torrente nel suo “Manuale di diritto privato” il fine teleologico aziendale non  può ledere i diritti dei lavoratori. Non si può mettere in discussione la tutela della dignità di ogni singola persona. È bene che si trovi la strada giusta che garantisca il beneficio del guadagno, l’accrescimento patrimoniale, con quello che è il diritto e, soprattutto, la dignità del lavoratore. Su questo tema la legge del 20 maggio 1970, n. 300, ormai denominata da tutti “statuto dei Lavoratori” è chiara. L’obbedienza, ribadiamo obbligatoria, non deve essere in antitesi con i principi fondamentali di libertà, che in ambito lavorativo si esplicitano nel diritto di esplicitare liberamente il proprio pensiero (articolo 1 dello statuto), il principio di sentirsi garantiti nella salute, attraverso visite di controllo, il diritto a professare la propria fede religiosa o le proprie idee politiche senza subire discriminazioni. Ciò fa pensare all’idea che tutti ed ognuno siano liberi, compatibilmente alle esigenze lavorative, di professare la propria fede. Pensiamo alle esigenze di culto cattolico, ma anche a quelle di altre religioni: mussulmana od ebrea etc. Insomma l’imprescindibile dovere della disciplina e della diligenza del lavoratore, non può che ordinarsi anche tenendo contro delle caratteristiche proprie della persona. Il Codice dei lavoratori pone al centro del suo stesso esistere la tutela ad esempio del lavoro femminile, troppo spesso strutturato in modo che alle donne non sia garantito il sacrosanto diritto a una eguale retribuzione ad eguale lavoro, e il diritto, ancor più importante, di garanzia della dignità della propria persone nella sua interezza, anche in virtù della diversità di genere. Insomma la differenza non deve essere mai motivo di declassamento lavorativo, ma risorsa primigenia per costruire un sistema di lavoro ed, in ultima analisi, di società in cui le differenze sessuali non siano una inibizione, ma una risorsa.

L’articolo 2104 del Codice Civile insomma apre molte questioni. Verte sul sistema di produzione delle singole imprese e nazionale. Si poggia sul principio che è bene dare strumenti anche legislativi per garantire l’efficienza e, soprattutto, l’efficacia d’impresa. Esplicita la necessità che il sistema di produzione economico si fondi su strutture gerarchiche, quanto rigide poi dipende dalla volontà di chi vive la realtà concreta della singola realtà produttiva. Si può pensare a un sistema di condivisione della gestione aziendale fra proprietà, dirigenza e forza lavoro, come sancisce l’articolo 46 della Costituzione Italiana che dice: la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione aziendale. Insomma l’articolo 2104 non appare, se si legge in maniera comparata con altre norme, come l’esplicitazione di un imperativo assoluto, cioè che non prevede e consigli, anzi, deroghe. La gerarchia può conciliarsi con una visione plurale e pluralista degli ordini decisionali. Si può vivere e decidere insieme delle scelte quotidiane, senza mettere in discussione i diritti di scelta del singolo imprenditore, che come si assume gli oneri ha, giustamente, i diritti scaturiti dalla sua valenza di dirigenza, ma che può mettere in comune i valori e gli obbiettivi collettivi con la sua squadra di lavoro. È nel dialogo che si può costruire una società e un’impresa efficiente, ma anche fondata sui valori di solidarietà e condivisione che, almeno negli auspici, non devono porsi in conflitto dialettico con la libertà di impresa, con il rispetto del esigenze del capitalista, non inteso come sfruttatore, come fa una vetusta terminologia, ma come colui che mette soldi e impegno al servizio di un progetto da realizzare e un guadagno da conseguire.

LA QUOTA CENTO DELLO SCI

 


UNA “GOGGIA” PER ARRIVARE A CENTO

Una goccia, un piccolo sforzo in più, e le ragazze dello sci italiano sono arrivate a cento vittorie. Scusate il maldestro gioco di parole. In realtà l’impresa di Sofia Goggia, che ha vinto ieri, 23/01/2021,  la discesa libera di sci a Gras Montana sulle alpi svizzere, ha portato il palmares dello sci femminile a quota 100. Mi spiego da oggi l’italia sciistica del gentil sesso potrà con decisione vantare di aver vinto 100 gare di coppa del mondo. Un successo meritatissimo. Una vittoria personale, di Sofia, ma anche dell’intero gruppo sportivo: come poter dimenticare le splendide vittorie di Marta Bassino, Federica Brignone e Laura Pirovano che hanno contribuito a raggiungere la fatidica quota 100.

L’Italia dello sci è orgogliosa delle sue atlete. Sono in tanti, atleti e semplici amatori, che si riconoscono in loro. L’Italia rivive le splendide vittorie del passato attraverso le gambe e le braccia, oltre che la testa ovviamente, di queste giovanissime donne che sono riuscite ad emulare le atlete del passato, antico e recente. Come non citare la gardenese  Giustina Demetz, che nel 1967 regalò la prima medaglia d’oro all’Italia vincendo a pari merito con l’atleta francese Goitschel. Ma Giustina, sfortunata, deve interrompere subito la sua carriera sportiva, per un grave infortunio in allenamento avvenuto nel 1970. Ma ci sono tante altre italiane. Come dimenticare la grande Deborah Compagnoni, capitana di quella squadra che agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso era chiamata valanga azzurra. Valanga perché registrava vittorie in un numero inimmaginabile, e lasciava dietro di sé avversarie annichilite dalla superiorità delle donne italiane. Fra queste c’era anche Isolde Kostner, grande discesista al pari di Goccia, Laura Mangoni, Sabina Panzarini.

Insomma quando un italiana vince, ha dietro, fortunatamente, un gruppo unito di donne capaci anche esse di concludere grandi gare e portare a casa indimenticabili vittorie. Insomma anche questo scampoli di secondo decennio di XXI secolo registra la bravura, il coraggio e la determinazione di donne italiche che non sono da meno alle colleghe svizzere o tedesche, anzi spesso battono le loro concorrenti, ponendosi alla vetta del cielo e delle montagne innevate. Bisogna essere orgogliosi di queste giovani. Lo sport è sacrificio e dedizione. Lo sport invernale, fra l’altro, espone chi lo pratica al freddo e alle bizze delle nuvole che sfiorano le montagne.

Quest’anno e il precedente (il 2021 e 2020) sono stati un anni difficilissimi per ogni attività legata alla neve. Il Corona Virus, il perfido virus che ha bloccato l’intero pianeta ed ha ucciso migliaia di persone, ha anche reso impossibile praticare attività sportive in montagna. Ciò ha messo in pericolo l’economia dell’interoarco alpino. Praticamente non si mai aperta la stagione invernale 20/21 per le attività amatoriali sulla neve. Infuriano le polemiche sui ritardi e le indecisioni da parte delle autorità, è dell’altro ieri l’indignazione dell’assessore lombardo alla sanità, la dottoressa Letizia Moratti, per la scelta del governo nazionale di considerare la Lombardia “zona rossa”, cioè zona in cui il contagio è alto, mentre i dati statistici sembrerebbero indicare che la regine di Milano sia una in cui il virus, ora, è meno diffuso. Questo dato, l’ormai famoso RT, cioè l’indice di diffusione indica se è maggiore di 1 che un singolo malato infetta più persone, se è uguale a uno che infetta una sola persona, se inferiore a uno indica che ogni malato di Corona Virus può non infettare alcuno. Quindi se la Lombardia, come sanciscono i dati, ha un RT inferiore a uno vuol dire che il morbo sta diminuendo la sua diffusione. Ogni malato non contagia il prossimo. Non perché il virus sia diventato “buono”, ma perché in questo caso il sistema sanitario lombardo riesce a creare un rilevante cordone sanitario che cura i malati, dato fondamentale, e allo stesso tempo evita, per quanto possibile, che questi infettino altri. Anche in altre regioni ci sono questi dati positivi, pensiamo al Lazio, alla Toscana ed ad altre regioni. Ma ci solleva il fatto che Lombardia, Veneto e tutte le altre regioni dell’arco alpino possano ritornare presto zone sicure, per fare il modo che lo sci possa tornare a praticarsi a tutti i livelli: dall’amatoriale, allo sportivo,all’atletico, al professionistico. L’obbiettivo e ritornare a vedere le nostre campionesse vincere con un pubblico degno che le applaude dal vivo.

Tornare in montagna, tornare a guardare le atlete come Sofia Goggia, che vincono e onorano lo stendardo azzurro è anche questo un segno auspicabile di ritorno sereno alla normalità. Buna fortuna a noi, e forza “Valanga Rosa” come ormai è d’uopo chiamare il gruppo nazionale italiano di campionesse di sci.

sabato 23 gennaio 2021

CODICE CIVILE E COSTITUZIONE

 


ARTICOLO 2104 DEL CODICE CIVILE

“Il prestatore deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale.

Deve inoltre osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende.

La nostra Nazione, l’Italia, è fondata sul lavoro, come dice l’articolo 1 primo comma della Costituzione. Questo è un contenuto e un fondamento qualificante del nostro ordinamento giuridico. La convivenza di tutti si basa sul principio che tutti e ognuno siamo chiamati, se non impossibilitati da gravi ragioni di salute o d’altro genere, a partecipare alla creazione della ricchezza monetaria, come ben si evince anche dall’articolo 2104 del Codice Civile in cui si afferma: che il lavoratore, il termine usato è prestatore, deve usare diligenza al fine di garantire, oltre che il giusto difendere l’interesse dell’impresa, anche e, oso dire, soprattutto, quello della produzione nazionale.

È lampante che questo articolo del Codice Civile è corollario dell’articolo  1 e dell’articolo 4 della costituzione Italiana. Scritto prima della nascita del nostro stato repubblicano, come tutto il Codice Civile, ad eccezione delle parti novellate di cui questo articolo non fa parte, riesce ad incardinarsi perfettamente nel palinsesto costituzionale della nostra moderna democrazia. Perché appare giustificato pensare che il fine teleologico della produzione nazionale, improntato ad arricchire il paese e non solo i singoli proprietari, fosse comune anche al regime fascista, anche se ovviamente per realizzare un progetto statuale diverso, una dittatura, rispetto a quello democratico, plurale e partecipativo voluto dai padri costituenti all’indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale. Insomma il fine ultimo era diverso per i due legislatori, quello fascista e quello repubblicano, ma il cammino tracciato per arrivare allo scopo ultimo poteva ed ha molte analogie.

Ecco il motivo per cui l’articolo 2104 è ancora operante, ma non può essere avulso, nella sua applicazione, dai principi scritti dallo “Statuto dei Lavoratori”, la legge 300 del 1970 che è caposaldo per la disciplina dei contratti di lavoro di ogni tipo, soprattutto di quello subordinato. Insomma l’articolo 2104 va letto, come ogni atto normativo e norma, secondo un principio evolutivo, logico e, soprattutto, sistematico. Mi spiego ogni norma, anche quella che verte su materie lavoristiche, non può che essere applicata se non un corretto approccio che sappia inserirlo nella visione d’assieme che lo stato, attraverso il pronunciamento del legislatore, ha nella singola materia giuridica, in questo caso si parla di diritto del lavoro. Allora appare chiaro che lo sforzo che deve essere compiuto dal lavoratore per adempiere i suoi doveri e le direttive apicali, non può essere avulso dai principi fondamentali che sono alla base della convivenza collettiva nazionale. Come si evince dalle preziose parole del professore di diritto del Lavoro, Gaetano Veneto, l’obbedienza alle disposizioni impartite dal datore di lavoro nell’esercizio del suo potere direttivo sono a distinguere maggiormente la collaborazione propria del lavoro subordinato. Insomma, aggiungo io per provare a spiegare il concetto, il lavoro subordinato è caratterizzato da una disciplina che impone un assoluta versione verticista, in questo caso il termine è da intendersi in maniera positiva e da escludere ogni valutazione negativa, dei rapporti di funzionamento della macchina produttiva. L’obbiettivo è produrre un bene, il datore di lavoro dà gli strumenti per ottenere lo scopo, ma, anche, le direttive necessarie per raggiungerlo. Ma non bisogna dimenticare che questo principio è da interpretare anche con una lettura comparata degli articoli dello statuto dei lavoratori che garantisce la libertà dai  lavoratore dai limiti interni ed esterni come si evince fin dall’articolo 1 della materia legislativa in oggetto. Poi in materia lavoristica la legislazione è perdurata negli anni. Nel nuovo millennio che viviamo sono state scritte norme a tutela della privacy del singolo e della collettività del lavoro. Tutele che si intrinsecano con il cosiddetto diritto alla privatezza, cioè il diritto a non essere intaccato nei propri sentimenti e nelle proprie pulsioni più intime.

Insomma il principio di obbligo all’obbedienza è un sacrosanto fondamento per garantire il sano ed efficiente raggiungimento degli obbiettivi produttivi, è anche un modo per garantire il sano procedere delle attività lavorative, ecco perché vale anche per gli istituti lavorativi che non hanno fini lucrativi, ma di servizio, penso agli enti pubblici che non sono attività d’impresa. Il dovere di servizio e di abnegazione, il sottomettersi alle giuste logiche dirigenziali attraverso, è un dovere di tutti i dipendenti pubblici o privati che siano. Comunque come spiega Andrea Torrente nel suo “Manuale di diritto privato” il fine teeleologico aziendale non  può ledere i diritti dei lavorator. Non si può mettere in discussione la tutela della dignità di ogni singola persona. È bene che si trovi la strada giusta che garantisca il beneficio del guadagno, l’accrescimento patrimoniale, con quello che è il diritto e, soprattutto, la dignità del lavoratore. Su questo tema la legge del 20 maggio 1970, n. 300, ormai denominata da tutti “statuto dei Lavoratori” è chiara. L’obbedienza, ribadiamo obbligatoria, non deve essere in antitesi con i principi fondamentali di libertà, che in ambito lavorativo si esplicitano nel diritto di esplicitare liberamente il proprio pensiero (articolo 1 dello statuto), il principio di sentirsi garantiti nella salute, attraverso visite di controllo, il diritto a professare la propria fede religiosa o le proprie idee politiche senza subire discriminazioni. Ciò fa pensare all’idea che tutti ed ognuno siano liberi, compatibilmente alle esigenze lavorative, di professare la propria fede. Pensiamo alle esigenze di culto cattolico, ma anche a quelle di altre religioni: mussulmana od ebrea etc. Insomma l’imprescindibile dovere della disciplina e della diligenza del lavoratore, non può che ordinarsi anche tenendo contro delle caratteristiche proprie della persona. Il Codice dei lavoratori pone al centro del suo stesso esistere la tutela ad esempio del lavoro femminile, troppo spesso strutturato in modo che alle donne non sia garantito il sacrosanto diritto a una eguale retribuzione ad eguale lavoro, e il diritto, ancor più importante, di garanzia della dignità della propria persone nella sua interezza, anche in virtù della diversità di genere. Insomma la differenza non deve essere mai motivo di declassamento lavorativo, ma risorsa primigenia per costruire un sistema di lavoro ed in ultima analisi di società in cui le differenze sessuali non siano una inibizione, ma una risorsa.

L’articolo 2104 del Codice Civile insomma apre molte questione. Verte sul sistema di produzione delle singole imprese e nazionale. Si poggia sul principio che è bene dare strumenti anche legislativi per garantire l’efficienza e, soprattutto, l’efficacia d’impresa. Esplicita la necessità che il sistema di produzione economico si fondi su strutture gerarchiche, quanto rigide poi dipende dalla volontà di chi vive la realtà. Si può pensare a un sistema di condivisione della gestione aziendale fra proprietà dirigenza e forza lavoro, come sancisce l’articolo 46 della Costituzione Italiana che dice: la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione aziendale. Insomma l’articolo 2104 non appare, se si legge in maniera comparata con altre norme, come l’esplicitazione di un imperativo assoluto, cioè che non prevede e consigli, anzi, deroghe. La gerarchia può conciliarsi con una visione plurale e pluralista degli ordini decisionali. Si può vivere e decidere insieme delle scelte quotidiane, senza mettere in discussione i diritti di scelta del singolo imprenditore, che come si assume gli oneri ha, giustamente, i diritti scaturiti dalla sua valenza di dirigenza, ma che può mettere in comune i valori e gli obbiettivi collettivi con la sua squadra di lavoro. È nel dialogo che si può costruire una società e un’impresa efficiente, ma anche fondata sui valori di solidarietà e condivisione che, almeno negli auspici, non devono porsi in conflitto dialettico con la libertà di impresa, con il rispetto del esigenze del capitalista, non inteso come sfruttatore, come fa una vetusta terminologia, ma come colui che mette soldi e impegno al servizio di un progetto da realizzare e un guadagno da conseguire.

venerdì 22 gennaio 2021

DOVERI DEL LAVORATORE


 

Articolo 2104 del Codice Civile: Diligenza del prestatore di lavoro – il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale.

Deve inoltre osservale le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore o dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende.

PARLANDO DI COSTITUZIONE

 


ARTICOLO 92 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Il Governo della Repubblica è composto dal Presidente del Consiglio e dei ministri che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri.

Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri”.

L’articolo 92 della Costituzione è il primo del Titolo III. Il titolo III è composto da tre sezioni e da undici articoli. Sono tutti dedicati alla funzione amministrativa dello stato. Insomma sono tutti dedicati agli organi esecutivi, cioè quegli uffici volti a rendere concreta la politica della nazione attraverso la pubblica amministrazione. Questi alti compiti si possono succintamente elencare: la cura dei rapporti internazionali, la difesa del territorio, la tutela dell’ordine pubblico e della salute, l’elevazione culturale dei cittadini, lo sviluppo economico e tante altre incombenze. Il potere esecutivo è costituito da un complesso di organi, periferici e centrali. Al vertice di questo sistema c’è il Governo Italiano. Questo è un organo collegiale composto da ministri che sono coordinati dal Presidente del Consiglio, che è primus inter pares, cioè è allo stesso tempo parte integrante della collegialità governativa, ma ha anche il ruolo di coordinare l’intero governo e presiede il Consiglio dei ministri, l’assemblea governativa ove l’esecutivo si incontra, discute e vota tutte le proprie attività. Il ruolo del presidente del consiglio è quindi importantissimo. È lui che definisce le linee programmatiche dell’esecutivo. È lui che ha l’incarico di formare il governo da parte del Presidente della Repubblica. È lui che sceglie i ministri e tutti i componenti dell’esecutivo che solo formalmente nomina il presidente della repubblica. È lui che sarà chiamato a controfirmare tutti gli atti presidenziali di rilevanza politica, quali decreti e disegni di legge. Il Governo insomma ruota intorno alla sua figura. Il Governo è, quindi, composto da più organi individuali: Il Presidente del Consiglio ed i singoli ministri. È anche un organo collegiale: le sue decisioni sono prese all’interno del Consiglio dei ministri. Si può definire, in ultima analisi, un organo complesso, cioè composto da più organi dello stato. L’esecutivo ha un ruolo fondamentale per la nazione. È il pivot di tutta la vita sociale. Gli organi periferici dello stato dipendono da lui. È lui che coordina tutto l’apparato organizzativo nazionale. La vita della nazione è posta nelle sue mani. Alla luce di questo sono stati negli anni molti i tentativi di cambiare il sistema del governo. La finalità sarebbe quella facilitare e accelerare le decisioni  e gli atti esecutivi del governo, farlo meno soggetto alle fibrillazioni politiche, caratteristica della classe dirigente italiana. La volontà di rendere il presidente del consiglio non un semplice coordinatore, ma un vero e proprio primo ministro in grado di nominare e revocare liberamente i propri ministri senza che ne debba rispondere al parlamento, come avviene oggi. Ricordiamo che oggi, secondo il nostro ordinamento, il Presidente del Consiglio è libero di nominare i ministri, ma la sua scelta deve essere avallata dal foto di fiducia del parlamento. I ministri non possono essere defenestrati dal Presidente del Consiglio, possono decadere se subiscono una sfiducia individuale da parte del parlamento. Questa consiste in un voto di una delle due assemblee che invita alle dimissioni del titolare del dicastero. Questa pratica è stata oggetto di grandi discussioni. La fiducia parlamentare, il voto che esprime l’assenso della maggioranza delle Camere alla nascita del governo, è rivolto all’intero organo collegiale esecutivo. Ad alcuni giuristi non è sembrato ammissibile l’istituto della sfiducia possa valere solo per un ministro. La Corte Costituzionale, però, con una sentenza ha chiarito che la fiducia che le camere pongono verso gli organi collegiali e individuali del Governo può essere scissa. Il Parlamento può esprimere al contempo il suo atto censorio verso il singolo ministro e continuare ad avallare l’operato dell’esecutivo. È bene comunque che a seguito di una sfiducia individuale, sia dato un voto che confermi l’operato del gabinetto governativo. L’esecutivo deve essere formalmente reinvestito dell’avvallo del parlamento, una nuova fiducia che ratifichi l’eventuale la  nomina di un nuovo ministro fatta per sostituire quello sfiduciato. Una nomina fra l’altro non necessaria, in quanto il Presidente del Consiglio potrebbe assumere ad interim, come è avvenuto in passato, le funzioni del ministro uscente. Quello che invece appare necessario è il pronunciamento del Parlamento verso l’esecutivo.

 Insomma la nomina dei ministri è un atto complesso. Li sceglie il Presidente del Consiglio incaricato di fare il governo. Li nomina il Presidente della Repubblica, il cui atto è meramente formale. Ad avallare la scelta del capo del governo c’è il Parlamento che dà la fiducia all’intero organo collegiale. Si darà così vita ad un organo complesso. I ministri sono coloro che reggeranno e condurranno uno specifico ramo della pubblica amministrazione, Il Consiglio dei Ministri, un organo di cui fanno parte, discuterà collegialmente della politica del governo e gli atti necessari per compierla. Il Presidente del Consiglio è colui che coordina tutte le attività dell’esecutivo e ne risponde personalmente al Paese e al Parlamento. In più ha il delicato compito di scegliere i componenti del suo gabinetto.

IL GIURAMENTO

 


IL PRESIDENTE

Mercoledì 20/01/2021presso il Campidoglio di Washington, ove risiedono le camere legislative federali degli USA, ha giurato John Biden quale quarantaseiesimo presidente degli Stati Uniti. Una cerimonia vecchia di secoli, da sempre il primo cittadino degli States giura fedeltà alla nazione il primo giorno in cui entra in carica davanti alla sede del Senato e della camera dei Rappresentanti. A giurare con lui, dopo di lui, la vicepresidente Kamala Harris, prima donna e prima persona di colore a ricoprire questa carica. Ad assistere alla cerimonia c’era anche Barak Obama, il primo presidente di colore degli Stati Uniti, che ora è lì a fare il tifo per Biden, che durante la sua presidenza ricopriva il ruolo che oggi è della Harris, cioè vicepresidente.

Le sfide della nuova presidenza sono tante. Sono tangibili, è di solo qualche giorno fa l’assalto dei fedelissimi di Donald Trump, il presidente uscente, proprio al Campidoglio, per provare ad impedire la ratifica dell’elezione del nuovo presidente che spetta alle Camere con un voto che sancisce il verdetto popolare delle elezioni presidenziali, avvenute in autunno del 2020. La rabbia di quell’elettorato Repubblicano ha segnato la storia della nazione. È la prima volta che dei cittadini hanno preso letteralmente in ostaggio gli organi legislativi della nazione. Ha fatto il giro del mondo l’immagine, postata sui social network e poi trasmessa su tutti i mass media, di un sostenitore di Trump vestito con pelli e con un copricapo con le corna di bufalo, che ha occupato la stanza di Nancy Pelosi, speaker della Camera, diremmo che ricopre le stesse funzioni del nostro presidente della Camera dei Deputati. Insomma la Pelosi e l’omologa del nostro Roberto Fico. Questo gesto, l’assalto alle Camere, ha scioccato gli States non abituati a questo assalto al parlamento, anche se le piazze americane, purtroppo, hanno visto negli anni, anche recenti, violenti scontri, ma lontani dai gangli del potere repubblicano.

Allora la cerimonia di ieri, quella che vede giurare il nuovo presidente, è stata all’insegna della morigeratezza. I cittadini non hanno potuto assistere all’evento, se non da casa. Gli invitati hanno dovuto mantenere le distanze obbligatorie per evitare il diffondersi della terribile malattia, il Corona Virus. Tutto sembrava l’allegoria di un periodo storico triste. Spetterà a Biden, e non solo a lui, fare in modo che questo presagio non si avveri. Biden deve fare in modo che il male non si propaghi, utilizzando con efficacia e capillarmente il vaccino. Questo è stato una indubbia vittoria del suo predecessore, Donald Trump. Si può criticare molte cose della scorsa presidenza, compreso il non utilizzo della mascherina come strumento di contenimento del contagio, che probabilmente ha fatto ammalare lo stesso Donald Trump. Ma quello che è certo è che la scorsa presidenza ha favorito con investimenti massici le case farmaceutiche impegnate a brevettare l’antidoto alla malattia che ha segnato il 2020 e, probabilmente, determinerà anche i destini di quest’anno, il 2021. Allora Biden deve da un lato evitare il diffondersi del contagio e dall’altro dare una mano all’economia reale. Trump ha mantenuto la sua promessa, durante la sua presidenza l’indice di borsa ha guadagnato il 140%, praticamente gli investitori di Wall Streat hanno messo in cascina tanti soldi in questi quattro anni. Ora Biden deve provare a fare in modo che questi soldi servano da traino alla cosiddetta “economia reale”, cioè alle industrie, ai servizi e alla agricoltura, generando così posti di lavoro. Una sfida non facile, su cui Biden gioca i destini della sua presidenza, ma anche e soprattutto i destini di uomini e donne che hanno nel lavoro la loro fonte di sostentamento e di emancipazione sociale. Ci riuscirà? Questo dovremo vedere! Augurandoci che ci riesca non solo per i cittadini americani, ma anche per tutto il pianeta. È tempo di una economia ecologicamente sostenibile, cioè che riduca drasticamente gli agenti inquinanti, e che garantisca benessere e dignità a più uomini e donne possibile. Biden non può essere da solo a prefiggersi questo scopo, tutta la comunità internazione, Cina e Unione Europea in primis, devono dargli una mano. Il fine è fare uscire l’intero pianeta dallo stallo che il morbo e anche gli errori della politica ha portato.

IL GIURAMENTO DEL PRESIDENTE USA

 


IL PRESIDENTE

Mercoledì 20/01/2021presso il Campidoglio di Washington, ove risiedono le camere legislative federali degli USA, ha giurato John Biden quale quarantaseiesimo presidente degli Stati Uniti. Una cerimonia vecchia di secoli, da sempre il primo cittadino degli States giura fedeltà alla nazione il primo giorno in cui entra in carica davanti alla sede del Senato e della camera dei Rappresentanti. A giurare con lui, dopo di lui, la vicepresidente Kamala Harris, prima donna e prima persona di colore a ricoprire questa carica. Ad assistere alla cerimonia c’era anche Barak Obama, il primo presidente di colore degli Stati Uniti, che ora è lì a fare il tifo per Biden, che durante la sua presidenza ricopriva il ruolo che oggi è della Harris, cioè vicepresidente.

Le sfide della nuova presidenza sono tante. Sono tangibili, è di solo qualche giorno fa l’assalto dei fedelissimi di Donald Trump, il presidente uscente, proprio al Campidoglio, per provare ad impedire la ratifica dell’elezione del nuovo presidente che spetta alle Camere con un voto che sancisce il verdetto popolare delle elezioni presidenziali, avvenute in autunno del 2020. La rabbia di quell’elettorato Repubblicano ha segnato la storia della nazione. È la prima volta che dei cittadini hanno preso letteralmente in ostaggio gli organi legislativi della nazione. Ha fatto il giro del mondo l’immagine, postata sui social network e poi trasmessa su tutti i mass media, di un sostenitore di Trump vestito con pelli e con un copricapo con le corna di bufalo, che ha occupato la stanza di Nancy Pelosi, speaker della Camera, diremmo che ricopre le stesse funzioni del nostro presidente della Camera dei Deputati. Insomma la Pelosi e l’omologa del nostro Roberto Fico. Questo gesto, l’assalto alle Camere, ha scioccato gli States non abituati a questo assalto al parlamento, anche se le piazze americane, purtroppo, hanno visto negli anni, anche recenti, violenti scontri, ma lontani dai gangli del potere repubblicano.

Allora la cerimonia di ieri, quella che vede giurare il nuovo presidente, è stata all’insegna della morigeratezza. I cittadini non hanno potuto assistere all’evento, se non da casa. Gli invitati hanno dovuto mantenere le distanze obbligatorie per evitare il diffondersi della terribile malattia, il Corona Virus. Tutto sembrava l’allegoria di un periodo storico triste. Spetterà a Biden, e non solo a lui, fare in modo che questo presagio non si avveri. Biden deve fare in modo che il male non si propaghi, utilizzando con efficacia e capillarmente il vaccino. Questo è stato una indubbia vittoria del suo predecessore, Donald Trump. Si può criticare molte cose della scorsa presidenza, compreso il non utilizzo della mascherina come strumento di contenimento del contagio, che probabilmente ha fatto ammalare lo stesso Donald Trump. Ma quello che è certo è che la scorsa presidenza ha favorito con investimenti massici le case farmaceutiche impegnate a brevettare l’antidoto alla malattia che ha segnato il 2020 e, probabilmente, determinerà anche i destini di quest’anno, il 2021. Allora Biden deve da un lato evitare il diffondersi del contagio e dall’altro dare una mano all’economia reale. Trump ha mantenuto la sua promessa, durante la sua presidenza l’indice di borsa ha guadagnato il 140%, praticamente gli investitori di Wall Streat hanno messo in cascina tanti soldi in questi quattro anni. Ora Biden deve provare a fare in modo che questi soldi servano da traino alla cosiddetta “economia reale”, cioè alle industrie, ai servizi e alla agricoltura, generando così posti di lavoro. Una sfida non facile, su cui Biden gioca i destini della sua presidenza, ma anche e soprattutto i destini di uomini e donne che hanno nel lavoro la loro fonte di sostentamento e di emancipazione sociale. Ci riuscirà? Questo dovremo vedere! Augurandoci che ci riesca non solo per i cittadini americani, ma anche per tutto il pianeta. È tempo di una economia ecologicamente sostenibile, cioè che riduca drasticamente gli agenti inquinanti, e che garantisca benessere e dignità a più uomini e donne possibile. Biden non può essere da solo a prefiggersi questo scopo, tutta la comunità internazione, Cina e Unione Europea in primis, devono dargli una mano. Il fine è fare uscire l’intero pianeta dallo stallo che il morbo e anche gli errori della politica ha portato.

giovedì 21 gennaio 2021

TITO ZANIBONI ATTENTA ALLA VITA DEL DUCE

 


ATTENTARE

Tito Zaniboni nacque a Monzambano, un piccolo centro in provincia di Mantova. I suoi natali risalgono al 1 febbraio 1883. Fervente socialista, non aderì alla scelta non interventista del suo partito, e si arruolò nell’esercito del Regno d’Italia al momento in cui il nostro paese entrò in guerra nel 1915.

Le sue scelte furono simili ad altri aderenti alla sinistra dell’epoca, che scelsero di seguire i destini della patria partecipando a quella che fu la Grande Guerra. È d’obbligo segnalare che anche un altro socialista, Benito Mussolini, scelse di andare volontario a combattere sul fronte del Piave. Perché ricordare queste comuni scelte fatte Zaniboni e da colui che diventerà il duce degli italiani? Perché il 4 Novembre 1925, mentre Mussolini, già Presidente del Consiglio, già capo del Fascismo, già duce dell’Italia, si apprestava ad affacciarsi sul balcone di Palazzo Chigi prospiciente Piazza Colonna, per arringare le folle esultanti in ricordo della vittoria dell’Italia sull’esercito dell’Impero Austriaco,avvenuta il 4 Novembre del 1918, Zaniboni da un palazzo prospiciente la piazza si era pronto a sparare il colpo di carabina che avrebbe, secondo i suoi auspici, messo fine alla vita di colui che considerava despota e dittatore.

Benito Mussolini era allora il capo indiscusso del paese. Aveva posto sotto la sua “protezione” il re Vittorio Emanuele III e il Parlamento. Stava procedendo a far entrare in vigore le Leggi Fascistissime, cioè un pacchetto di provvedimenti che avrebbero portato l’Italia a trasformarsi da regime monarchico costituzionale a una vera e propria dittatura. L’anno prima (1924), in parlamento, Benito Mussolini si era preso la responsabilità morale dell’omicidio del parlamentare socialista Giacomo Matteotti. Questo atto era stato un gesto epocale. Mussolini aveva tratto il dado, al pari di Cesare sul Rubicone, se il parlamento avesse assunto un corale atto di disapprovazione sarebbe caduto il suo governo. Ma questo non avvenne. Le opposizioni si ritirarono dal parlamento in atto di sdegno, ma i parlamentari suoi sostenitori lo continuarono ad appoggiare, di fatto sancendo la sua vittoria. Dopo alcuni mesi Mussolini era il capo del paese. Zaniboni intendeva ucciderlo, per mettere fine al tiranno. Da una stanza di albergo prospiciente palazzo Chigi si accingeva a sparare, colui che era stato deputato socialista, colui che aveva arringato le folle e i suoi colleghi parlamentari a fermare l’incipiente avanzata del regime che considerava assassino, visti non solo gli omicidi politici ma anche la violenza, nelle tante città italiane, operata dai sostenitori del fascismo imperante, si accingeva a diventare sicario in nome della libertà.

Ma il piano non ebbe successo. Una “soffiata” da parte di Carlo Quaglia, che Zaniboni considerava un amico e confidente prezioso, alla polizia rende noto l’attentato ancora prima che si verifichi. Le forze dell’ordine irrompono nella stanza d’albergo ove Zaniboni preparava il fucile che avrebbe ucciso il duce. Lo arrestano, mentre Quinto Navarra cerimoniere di Palazzo Chigi si apprestava a preparare il Balcone su cui il Duce si sarebbe affacciato di li a poco per arringare le folle e festeggia la grande vittoria. Si era fatto consapevole bersaglio, sapeva che c’era qualcuno che voleva uccidere il duce. Si era esposto alla piazza consapevole che una pallottola poteva partire. Ma proprio mentre Navarra si affacciava, la polizia arrestava l’attentatore Tito Zanibioni.

Ora Zanibioni doveva essere fucilato o impiccato. Allora la pena per coloro che attentavano a persone titolari di uffici apicali dello stato era la morte. Ma Zanioli fu graziato dal Duce. Rimase in prigione a Roma, fin quando si offrì volontario nella guerra di conquista dell’Etiopia, siamo nel 1935, l’Italia si accingeva a diventare un impero.  Zanibioni durante questi decenni di prigionia scrisse lettere di sentito ringraziamento a Benito Mussolini, si sentiva realmente avvolto dalla benevole magnanimità del Duce, che non solo gli aveva concesso la vita, ma anche era stato generoso nell’aiutare la sua famiglia, e in particolare sua figlia a cui aveva concesso anche una borsa di studio per andare all’università.

Zanibioni, pur riconoscente al Duce per la libertà e per aver aiutato la figlia, rimase antifascista. Combatte in Africa, ma da Italiano, non da aderente al regime. Questo suo sentirsi non fascista fu tollerato, a differenza di un simile sentimento nutrito da altri che il regime non rollerò mai. Forse perché per Mussolini Zanibioni aveva espiato già con il carcere. Forse perché il duce trovava il fallito attentatore simpatico. Le cronache dell’epoca e gli storici faticano a capire il motivo per cui il capo del fascismo fu così generoso con Zanibioni. Una cosa è certa Zanibioni dopo la caduta di Roma nel 1944 e la sua liberazione da parte degli alleati fu indiscusso protagonista della rinascita democratica. Fu uno degli amministratori della capitale durante il periodo di transizione fra la fine della II guerra mondiale e la nascita della Repubblica. Il generale Pietro Badoglio, che successe a Mussolini come presidente del Consiglio Italiano a seguito delle concitate e tragiche sorti della guerra, lo volle alto commissario all’epurazione nazionale del fascismo. Carica cruciale in quel momento storico. La sua carriera si concluse come presidente nazionale degli ufficiali in congedo, mentre il ruolo di gestione dell’epurazioni dei fascisti gli fu tolto, e Palmiro Togliatti, Guardasigilli del Governo De Gasperi (succedutosi a quello di Badoglio), promulgò l’amnistia generale.

Che dire? Zaniboni è stata una figura marginale della storia italiana, non vi è dubbio. Quello che rimarrà della sua vita, a parte i legami affettivi e di comunanza con i suoi parenti e sua figlia, è stato il suo gesto di ribellione alla dittatura nascente di Mussolini. L’attentato certo ha avuto effetti controproducenti. Benito Mussolini, da fine giornalista e polemista, seppe ribaltare l’evento, da momento di morte per lui a strumento per fortificare il suo potere. Utilizzò l’attentato per giustificare il pugno di ferro contro tutti gli avversari della sua persona e del suo regime, tacciandoli di essere anti italiani. La sua fortuna politica divenne ancor più solida. Mussolini, oggettivamente, apparve anche magnanimo con Zanibioni. Non lesinando prebende alla sua famiglia e tutele in carcere per lui, fino a decretarne la liberazione nel 1935. Fa impressione pensare a un antagonista del regime, quale era Zanibioni, che graziato dal duce parte in guerra in Etiopia nel 1935, la guerra di conquista che fa nascere l’Impero d’Italia e certifica l’egemonia, non solo nazionale ma anche mondiale, di Benito Mussolini, in quegli anni veramente capo, duce, della Nazione. Ma così stanno le cose. Mussolini, che avrebbe portato l’Italia nella tragedia di morte della Seconda Guerra Mondiale, nel 1935 era colui che agli occhi di tanti avrebbe guidato il paese a un futuro radioso. Zanibioni, che avrebbe dovuto nel 1944 amministrare Roma dilaniata dalla tragedia bellica, sapeva che questa promessa di radiosità si sarebbe dimostrata presto vana.

Tito Zaniboni si spense a Roma il 27 dicembre 1960. Visse quindici anni nella Repubblica democratica, vessillo per cui aveva lottato contro il fascismo e contro Mussolini per gran parte della sua vita. Difficile dire cosa sia stata la sua vita per i destini dell’Italia. Il suo gesto di attentatore è stato sicuramente velleitario, ma la sua vita rimane densa di dignità e di orgoglio, come quella di tanti suoi contemporanei.

mercoledì 20 gennaio 2021

EMANUELE MACALUSO



ADDIO AL COMUNISTA FINO ALLA FINE

Una vita non può, non deve essere, la rappresentazione di qualcosa, ma un’allegoria. Non deve limitarsi ad essere un’icona di un’idea, di un’organizzazione politica, economica o sociale che sia. Ma è anche concreto susseguirsi di passioni, sentimenti e affetti. Questo mi fa pensare la scomparsa di Emanuele Macaluso avvenuta ieri, 19 gennaio 2021. Lui era allo stesso tempo simbolo del suo partito, il Partito Comunista Italiano, e anche uomo di carne e di ossa. Era nato a Caltanissetta, il 21 marzo 1921. Si iscrisse subito al pc d’I, Il Partito Comunista d’Italia, quando c’era ancora il regime fascista e questa scelta poteva voler dire l’arresto o, addirittura, la morte. Durante la liberazione, con la Sicilia occupata dall’esercito statunitense, si impegnò nella lotta sindacale. Fece proprie le istanze dei braccianti e degli zolfatari, gli estrattori di zolfo che allora nella Trinacria vivevano in stato di quasi schiavitù, sfruttati dai padroni.  Fu uno dei padri del nascente sindacato unitario. Fu al fianco di Giuseppe Di Vittorio nella comune lotta in difesa dei braccianti e degli operai.

Durante La Repubblica, il nostro stato nato dalla Resistenza, si iscrisse al PCI nella convinzione che attraverso questo partito si potesse avviare un processo di emancipazione sociale, che avrebbe portato alla nascita di una società giusta, in cui nessuno fosse lasciato indietro. Nella sue parole e nella sua mente riecheggiavano sempre le parole dell’articolo 3 della nostra Carta fondamentale: è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Macaluso non partecipò ai lavori della Costituente, era troppo giovane. Ma visse la propria vita, non solo la carriera politica, nella convinzione che la giustizia sociale è  un bene collettivo della nazione che va convintamente perseguito. Da esponente di spicco del PCI siciliano favorì l’ascesa alla segreteria regionale di Pio La Torre, uomo che credeva che la Sicilia potesse uscire dalla regressione sociale solo attraverso una convinta e indefessa guerra alla mafia. Pio La Torre fu ucciso per mani mafiose il 30 aprile 1982. Ma le sue convinzioni continuarono a vivere anche per merito di uomini come Macaluso.

Macaluso fu uno dei più importanti collaboratori di Enrico Berlinguer. Il segretario della Terza Via, quella che doveva portare il PCI nei lidi sicuri della Democrazia liberare e democratica, rompendo i legami con il comunismo di Mosca, vide in Macaluso un fidato collaboratore e un prezioso interlocutore, le sue posizioni erano spesso affini, ma anche, in alcuni casi,  dialetticamente divergenti al fine di trovare soluzioni utili, certo, per il partito, ma soprattutto per i cittadini. Macaluso voluto da Palmiro Togliatti a Roma, cioè voluto in parlamento, ove nel 1962 entrò come senatore, diventò punto di riferimento della stagione berlingueriana.

Macaluso fu parte integrante della cosiddetta area migliorista voluta da Giorgio Napolitano. Era una parte del PCI che guardava con dubbio e scetticismo il materialismo dialettico su cui si basava la dialettica politica di tutta la sinistra dell’epoca. E già negli anni 1960 e 1970 propugnava una nuova lettura della politica che superasse i rigidi dogmatismi del materialismo storico. Macalauso, infatti, pur essendo convitamente ateo, non rinunciò mai al dialogo con il mondo cattolico. Sicuramente i funerali laici che si terranno domani,21 gennaio 2021, sul piazzale all’ingresso del CGIL nazionale a Roma, vedranno la partecipazione commossa di molti cattolici e credenti che gli volevano bene.

Macaluso era un Comunista. Bisogna dirlo. Pur essendo migliorista, come detto, credeva convintamente che il riscatto sociale dell’Italia potesse e dovesse avvenire solo con l’azione del PCI. Quando Achille Occhetto, nel 1989, decise di sciogliere il PCI e fondare il PDS, lui scelse di eclissarsi politicamente. Non partecipò più all’agone politico, non entrò né nel Partito Democratico di Sinistra né nella Rifondazione Comunista di Cossutta e Bertinotti. Scelse di continuare la sua militanza sociale esprimendo con scritti di diversa natura le sue idee. Fin a poche ore dalla sua morte ha scritto giudizi e interpretazioni, che agli occhi degli osservatori appaiono preziose, sugli sviluppi paradossali della crisi dell’attuale governo guidato da Antonio Conte e messo in discussione da Matteo Renzi.  La sua lungimiranza ha aperto squarci interpretativi su una crisi italiana ingarbugliatissima. La sua lucidità intellettuale è uno dei lasciti più preziosi che un uomo del secolo scorso, per parafrasare il noto libro autobiografico di Rossana Rossanda, anche lei protagonista del XX secolo scomparsa nel 2020, ci ha lasciato. Ciao Emanuele, che la terra ti sia lieve.

 

domenica 17 gennaio 2021

LA CRISI POLITICA

 


IL GOVERNO

In questi mesi la preoccupazione principale di noi italiani e di tutti gli abitanti del pianeta è stata la galoppante diffusione del Corona Virus. La malattia ha segnato l’anno da poco concluso, il 2020, e, purtroppo, sembra che caratterizzerà anche il 2021, nascente. Ma in Italia la politica si affanna preoccupata per i destini della maggioranza parlamentare che sostiene il governo guidato da Antonio Conte. Il Leader del gruppo politico “Italia Viva”, Matteo Renzi, ha dichiarato che i membri del suo partito eletti al Senato della Repubblica e alla Camera dei Deputati non voteranno più a favore dell’attuale esecutivo. Questo determinerebbe una crisi di governo in piena pandemia. Gli altri gruppi politici che appoggiano Conte stanno cercando “volenterosi” che sostituiscano i voti dei “renziani” con i propri. Ma la prospettiva che l’esecutivo Conte ottenga la fiducia nelle due camere, dopo il ritiro dell’appoggio da parte di Italia viva, appare difficile.

Certo che appare incomprensibile, agli occhi di chi vi scrive, il comportamento della classe politica in questa fase. L’impegno e il cuore di tutti dovrebbe essere orientato a cercare il modo per garantire la salute di tutti e la guarigione dei colpiti da Corona Virus. Invece si discute di ministeri, di poltrone, di voti da dare o da negare. Mentre l’esecutivo e il parlamento dovrebbero essere concentrati nel trovare il modo più efficace per portare repentinamente il nostro paese fuori dalla crisi, si parla di elezioni. Ovviamente le elezioni sono l’esplicazione della volontà popolare. Sono di per sé positive, perché sono uno degli strumenti più importanti per manifestare la sovranità popolare, solennemente evocata e tutelata dall’articolo 1 della Costituzione Italiana, la nostra, quella del nostro paese. Detto questo, però, è dignitoso  che un governo e i suoi componenti si dilaniano su poltroni e posizioni governative, mentre dovrebbero pensare al bene comune? È bene chiedere a noi elettori di votare, mentre si dovrebbe pensare alla tutela della pubblica salute? La risposta a me, ma penso a molti, appare lapalissiana. Prima bisogna pensare al morbo e poi a tutto il resto. Cambiare è un diritto del cittadino in democrazia. Ma la salute è un diritto ancora più pregnante, assoluto nel senso che da solo può spiegare tutto quello che è il senso della vita in comune, sociale. Allora è il momento di agire. È il momento essere un cuore e una mente sola spronata a vincere il virus. Questo impegno deve essere lo sforzo comune, di tutti i partiti, di tutte le istituzioni. Anche nelle regioni in questi mesi hanno dato il massimo per fermare il virus, e continuano a farlo. Triste è lo scontro fra loro e il governo nazionale. Anche gli enti intermedi, pubblici e privati devono fare la loro parte. Anche le aziende, le associazioni i sindacati devono essere concentrati, ognuno nel rispetto del proprio ruolo, a migliorare la situazione del paese e a fermare la diffusione della malattia. Bisogna credere che cittadini, istituzioni e classe dirigente assieme possano uscire da questo imprevisto e terribile inferno. Allora pensare a litigare, anche se si avanzano critiche legittime, appare inopportuno.

giovedì 14 gennaio 2021

VIAGGIATORE DI SPERANZA

 


BUON COMPLEANNO

Oggi, 14 Gennaio 2021, è il compleanno del Dottor Giuseppe Tulipani. Fino al momento della sua nascita al cielo, avvenuta il 28 marzo del 2020, ha svolto il prezioso ruolo di Garante Regionale Pugliese delle Persone con Disabilità. Un prezioso compito che il Consiglio Regionale Pugliese gli aveva affidato il 27 marzo 2018, con il voto unanime di tutto l’arco parlamentare della regione del Tacco d’Italia. Se un attacco cardiaco non l’avesse portato via, in questo giorno avrebbe compiuto 60 anni.

Il ruolo di Giuseppe Tulipani, per tutti Pino, era fondamentale. Il ruolo del garante, figura che è stata istituzionalizzata in tutti gli ambiti della Pubblica Amministrazione (esistono i garanti comunali, i garanti regionali e c’ il garante nazionale), ha il ruolo di conciliatore fra quelle che sono le difficoltà e i bisogni della comunità e quelle che sono le funzioni istituzionali. Insomma il Garante è l’orecchio della pubblica amministrazione, cioè ascolta quello che sono i bisogni della gente, delle persone e delle famiglie che vivono l’esperienza di affrontare la vita nella disabilità, ma è allo stesso tempo la voce di questi nelle istituzioni. Provo a spiegarmi. Il garante ascolta i bisogni di noi cittadini e si fa l’atore di questi presso gli organi istituzionali che hanno il complesso compito “di rimuovere gli ostacoli.. che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”, citando il prezioso articolo 3, secondo comma, della Costituzione Italiana.

Insomma Giuseppe Tulipani ascoltava chi aveva idee per migliorare la vita di tutti e in particolare i diversamente abili e le tramutava in proposte che l’azione del Consigli e della Giunta Regionale tramutava in atti. Era la scintilla che metteva in azione l’opera della politica regionale. Certamente il suo successore sarà ottimamente in grado di continuare nel solco da lui tracciato, non possiamo che dirgli “forza” siamo con te nel tuo cammino, tracciato da Giuseppe Tulipani e che tu devi proseguire e rendere ancora più bello per tutti grazie alle tue infinite qualità .

Ma oggi è Giuseppe Tulipani, per tutti, i tanti, che gli volevano bene Pino, che vogliamo avere nel cuore. Il suo compleanno è un modo per tenere a mente il suo insegnamento. Discepolo e figlio spirituale di Don Tonino Bello, il vescovo santo di Molfetta, ha saputo manifestare in suo spirito di servizio verso i più deboli in ogni aspetto della sua vita sia pubblico, in quanto avente un ruolo istituzionale, sia privato come padre, e come uomo impegnato nel volontariato. È lui il fondatore dell’associazione “Angeli della vita” un gruppo di persone, di famiglie, che nella disabilità hanno trovato la ragione di vivere insieme la vita con gioia. I componenti di questa associazione infatti sono famiglie che hanno almeno un componente speciale. Se non ci fosse stato lui, questo progetto di comunione fraterna non sarebbe nato, di questo gli siamo tutti grati. L’associazione “Angeli della Vita” è un esempio di impegno e di amore che si fa lavoro e amicizia quotidiana. È questo il monito di Pino: stare insieme è l’unico modo per affrontare e vincere le tempeste che alle volte scoppiano nella vita ed è allo stesso tempo, cosa importantissima, il modo per centuplicare, per rendere infinita, la gioia che producono i momenti belli. Perché insieme la vita è migliore. La sua ragione di vita, quella di Pino, era racchiusa in un insegnamento di San Tonino Bello, che amava continuamente ripetere. Pino ci raccontava, a me che scrivo ma anche ai tanti che l’hanno amato e con cui ha vissuto la vita, che don Tonino raccontava che un uomo è un angelo con un ala sola. È un angelo di Dio diversamente abile, si direbbe. Ma non è che non può volare. Anzi deve volare. Per farlo non può essere da solo. Deve necessariamente abbracciarsi al proprio prossimo, così da avere due ali con le quali spiccare il volo. Ecco perché aveva chiamato l’associazione di Giovinazzo “Angeli della Vita”. Perché la comunione fra noi porta la gioia. Oggi Pino è gioioso nei cieli, ma il suo insegnamento è gioia anche su questa terra. I suoi percorsi di vita, che ha saputo saggiamente indicare, sono un modo per affrontare e vincere tutte le difficoltà insieme. Perché l’altro non è mai un problema. È una risorsa. Ecco l’insegnamento di Giuseppe Tulipani.

BUON COMPLEANNO GARANTE DELLA DISABILITA'

 


BUON COMPLEANNO

Oggi, 14 Gennaio 2021, è il compleanno del Dottor Giuseppe Tulipani. Fino al momento della sua nascita al cielo, avvenuta il 28 marzo del 2020, ha svolto il prezioso ruolo di Garante Regionale Pugliese delle Persone con Disabilità. Un prezioso compito che il Consiglio Regionale Pugliese gli aveva affidato il 27 marzo 2018, con il voto unanime di tutto l’arco parlamentare della regione del Tacco d’Italia. Se un attacco cardiaco non l’avesse portato via, in questo giorno avrebbe compiuto 60 anni.

Il ruolo di Giuseppe Tulipani, per tutti Pino, era fondamentale. Il ruolo del garante, figura che è stata istituzionalizzata in tutti gli ambiti della Pubblica Amministrazione (esistono i garanti comunali, i garanti regionali e c’ il garante nazionale), ha il ruolo di conciliatore fra quelle che sono le difficoltà e i bisogni della comunità e quelle che sono le funzioni istituzionali. Insomma il Garante è l’orecchio della pubblica amministrazione, cioè ascolta quello che sono i bisogni della gente, delle persone e delle famiglie che vivono l’esperienza di affrontare la vita nella disabilità, ma è allo stesso tempo la voce di questi nelle istituzioni. Provo a spiegarmi. Il garante ascolta i bisogni di noi cittadini e si fa l’atore di questi presso gli organi istituzionali che hanno il complesso compito “di rimuovere gli ostacoli.. che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”, citando il prezioso articolo 3, secondo comma, della Costituzione Italiana.

Insomma Giuseppe Tulipani ascoltava chi aveva idee per migliorare la vita di tutti e in particolare i diversamente abili e le tramutava in proposte che l’azione del Consigli e della Giunta Regionale tramutava in atti. Era la scintilla che metteva in azione l’opera della politica regionale. Certamente il suo successore sarà ottimamente in grado di continuare nel solco da lui tracciato, non possiamo che dirgli “forza” siamo con te nel tuo cammino, tracciato da Giuseppe Tulipani e che tu devi proseguire e rendere ancora più bello per tutti grazie alle tue infinite qualità .

Ma oggi è Giuseppe Tulipani, per tutti, i tanti, che gli volevano bene Pino, che vogliamo avere nel cuore. Il suo compleanno è un modo per tenere a mente il suo insegnamento. Discepolo e figlio spirituale di Don Tonino Bello, il vescovo santo di Molfetta, ha saputo manifestare in suo spirito di servizio verso i più deboli in ogni aspetto della sua vita sia pubblico, in quanto avente un ruolo istituzionale, sia privato come padre, e come uomo impegnato nel volontariato. È lui il fondatore dell’associazione “Angeli della vita” un gruppo di persone, di famiglie, che nella disabilità hanno trovato la ragione di vivere insieme la vita con gioia. I componenti di questa associazione infatti sono famiglie che hanno almeno un componente speciale. Se non ci fosse stato lui, questo progetto di comunione fraterna non sarebbe nato, di questo gli siamo tutti grati. L’associazione “Angeli della Vita” è un esempio di impegno e di amore che si fa lavoro e amicizia quotidiana. È questo il monito di Pino: stare insieme è l’unico modo per affrontare e vincere le tempeste che alle volte scoppiano nella vita ed è allo stesso tempo, cosa importantissima, il modo per centuplicare, per rendere infinita, la gioia che producono i momenti belli. Perché insieme la vita è migliore. La sua ragione di vita, quella di Pino, era racchiusa in un insegnamento di San Tonino Bello, che amava continuamente ripetere. Pino ci raccontava, a me che scrivo ma anche ai tanti che l’hanno amato e con cui ha vissuto la vita, che don Tonino raccontava che un uomo è un angelo con un ala sola. È un angelo di Dio diversamente abile, si direbbe. Ma non è che non può volare. Anzi deve volare. Per farlo non può essere da solo. Deve necessariamente abbracciarsi al proprio prossimo, così da avere due ali con le quali spiccare il volo. Ecco perché aveva chiamato l’associazione di Giovinazzo “Angeli della Vita”. Perché la comunione fra noi porta la gioia. Oggi Pino è gioioso nei cieli, ma il suo insegnamento è gioia anche su questa terra. I suoi percorsi di vita, che ha saputo saggiamente indicare, sono un modo per affrontare e vincere tutte le difficoltà insieme. Perché l’altro non è mai un problema. È una risorsa. Ecco l’insegnamento di Giuseppe Tulipani.