ADDIO AL COMUNISTA FINO ALLA FINE
Una vita non può, non deve essere, la rappresentazione di qualcosa, ma un’allegoria. Non deve limitarsi ad essere un’icona di un’idea, di un’organizzazione politica, economica o sociale che sia. Ma è anche concreto susseguirsi di passioni, sentimenti e affetti. Questo mi fa pensare la scomparsa di Emanuele Macaluso avvenuta ieri, 19 gennaio 2021. Lui era allo stesso tempo simbolo del suo partito, il Partito Comunista Italiano, e anche uomo di carne e di ossa. Era nato a Caltanissetta, il 21 marzo 1921. Si iscrisse subito al pc d’I, Il Partito Comunista d’Italia, quando c’era ancora il regime fascista e questa scelta poteva voler dire l’arresto o, addirittura, la morte. Durante la liberazione, con la Sicilia occupata dall’esercito statunitense, si impegnò nella lotta sindacale. Fece proprie le istanze dei braccianti e degli zolfatari, gli estrattori di zolfo che allora nella Trinacria vivevano in stato di quasi schiavitù, sfruttati dai padroni. Fu uno dei padri del nascente sindacato unitario. Fu al fianco di Giuseppe Di Vittorio nella comune lotta in difesa dei braccianti e degli operai.
Durante La Repubblica, il nostro stato nato dalla Resistenza, si iscrisse al PCI nella convinzione che attraverso questo partito si potesse avviare un processo di emancipazione sociale, che avrebbe portato alla nascita di una società giusta, in cui nessuno fosse lasciato indietro. Nella sue parole e nella sua mente riecheggiavano sempre le parole dell’articolo 3 della nostra Carta fondamentale: è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Macaluso non partecipò ai lavori della Costituente, era troppo giovane. Ma visse la propria vita, non solo la carriera politica, nella convinzione che la giustizia sociale è un bene collettivo della nazione che va convintamente perseguito. Da esponente di spicco del PCI siciliano favorì l’ascesa alla segreteria regionale di Pio La Torre, uomo che credeva che la Sicilia potesse uscire dalla regressione sociale solo attraverso una convinta e indefessa guerra alla mafia. Pio La Torre fu ucciso per mani mafiose il 30 aprile 1982. Ma le sue convinzioni continuarono a vivere anche per merito di uomini come Macaluso.
Macaluso fu uno dei più importanti collaboratori di Enrico Berlinguer. Il segretario della Terza Via, quella che doveva portare il PCI nei lidi sicuri della Democrazia liberare e democratica, rompendo i legami con il comunismo di Mosca, vide in Macaluso un fidato collaboratore e un prezioso interlocutore, le sue posizioni erano spesso affini, ma anche, in alcuni casi, dialetticamente divergenti al fine di trovare soluzioni utili, certo, per il partito, ma soprattutto per i cittadini. Macaluso voluto da Palmiro Togliatti a Roma, cioè voluto in parlamento, ove nel 1962 entrò come senatore, diventò punto di riferimento della stagione berlingueriana.
Macaluso fu parte integrante della cosiddetta area migliorista voluta da Giorgio Napolitano. Era una parte del PCI che guardava con dubbio e scetticismo il materialismo dialettico su cui si basava la dialettica politica di tutta la sinistra dell’epoca. E già negli anni 1960 e 1970 propugnava una nuova lettura della politica che superasse i rigidi dogmatismi del materialismo storico. Macalauso, infatti, pur essendo convitamente ateo, non rinunciò mai al dialogo con il mondo cattolico. Sicuramente i funerali laici che si terranno domani,21 gennaio 2021, sul piazzale all’ingresso del CGIL nazionale a Roma, vedranno la partecipazione commossa di molti cattolici e credenti che gli volevano bene.
Macaluso era un Comunista. Bisogna dirlo. Pur essendo migliorista, come detto, credeva convintamente che il riscatto sociale dell’Italia potesse e dovesse avvenire solo con l’azione del PCI. Quando Achille Occhetto, nel 1989, decise di sciogliere il PCI e fondare il PDS, lui scelse di eclissarsi politicamente. Non partecipò più all’agone politico, non entrò né nel Partito Democratico di Sinistra né nella Rifondazione Comunista di Cossutta e Bertinotti. Scelse di continuare la sua militanza sociale esprimendo con scritti di diversa natura le sue idee. Fin a poche ore dalla sua morte ha scritto giudizi e interpretazioni, che agli occhi degli osservatori appaiono preziose, sugli sviluppi paradossali della crisi dell’attuale governo guidato da Antonio Conte e messo in discussione da Matteo Renzi. La sua lungimiranza ha aperto squarci interpretativi su una crisi italiana ingarbugliatissima. La sua lucidità intellettuale è uno dei lasciti più preziosi che un uomo del secolo scorso, per parafrasare il noto libro autobiografico di Rossana Rossanda, anche lei protagonista del XX secolo scomparsa nel 2020, ci ha lasciato. Ciao Emanuele, che la terra ti sia lieve.
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