sabato 30 maggio 2020

SCONTRI E LUTTI



Giovedì sera, 28/05/2020, un poliziotto ha ucciso George Floyd, un uomo di colore, a Minneapolis. Le immagini delle telecamere cittadine sono purtroppo chiare. L’uomo delle forze dell’ordine dello stato USA del Minnesota ha messo un suo ginocchio sul collo di Floyd, steso a terra, fino a soffocarlo. Il nero era disarmato, mentre l’agente, bianco, commetteva violenza contro di lui. La reazione è stata forte. Le manifestazioni contro il brutale assassinio si sono presto trasformate in guerriglia urbana. In questi due giorni, dal 28 al 30 maggio, si sono susseguite scene di violenza, fino al punto che un altro poliziotto è morto negli scontri, travolto da una folla inferocita. Insomma le proteste si moltiplicano. Non è solo Minneapolis che vede scendere in piazza la folla, anche molte altre città statunitensi hanno visto formarsi cortei, malgrado le forti restrizioni dovute all’incipiente pericolo per la salute pubblica causata dal Corona Virus. Difficile valutare come si svilupperà la situazione. La magistratura ha ordinato l’arresto del poliziotto presunto assassino, Derek Chauvin. Il presidente americano, Donald Trump, ha mandato la “Guardia Nazionale”, un corpo di polizia federale, a controllare le città e a sodare le incipienti rivolte. Si sa che l’inquilino della casa Bianca è sempre stato duro contro tutte le intemperanze della comunità di colore. Ricordiamo come bollò come piagnucolio di sinistra, il dolore di una parte della popolazione per la morte sempre a causa della polizia di uno studente facente parte anch’esso di una minoranza etnica. Prescindendo dalle opinioni di Trump la situazione dell’ordine pubblico è preoccupante. La tensione è alta del paese. L’ex presidente Barak Obama, primo capo dello stato USA di colore, si è detto molto preoccupato per la situazione e ha invitato i sostenitori di Trump e i colorati a trovare la via del dialogo invece di lasciare una striscia rossa di sangue nelle strade.

NOTA A MARGINE


Il commento all'articolo 28 della Costituzione è stato scritto due anni fa. Il testo in oggetto parla delle responsabilità civili, amministrative e penali dei funzionari pubblici nell'esercizio delle loro funzioni. La costituzione è chiara "i funzionari e i dipendenti pubblici dello Stato e degli enti pubblici dello sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione dei diritti". Insomma tutti coloro che sono chiamati a svolgere funzioni pubbliche rispondono dei loro atti compiuti in lesione di diritti e di norme di legge. Tenendo conto di questo principio nel testo si cita avvenimenti che a quel tempo erano di stretta attualità. Lo scandalo della banca "Monte dei Paschi di Siena" riempiva giornali e telegiornali. Bisogna dire che ancor oggi le difficoltà finanziarie di allora di quell'istituto di credito hanno effetti gravi su molti risparmiatori. Oggi è d'attualità la vicenda della Banca Popolare di Bari, che ha molti aspetti simili a quella del passato. Ho parlato delle vicende giudiziarie di Silvio Berlusconi, oggi si parlerebbe del "Russia Gate" come viene chiamata la vicenda non chiara sul finanziamento russo al partito italiano "Lega", che vede coinvolti molti importanti esponenti  di quell'organizzazione politica. Si parlerebbe della complessa e discussa questione della "Nave Diciotti" o altri casi simili, che vede coinvolto Matteo Salvini per vicende che risalgono a quando ricopriva la carica di Ministro degli Interni. Si parlerebbe dello scandalo delle assunzioni negli ospedali in Umbria, al tempo in cui era in carica una giunta di sinistra in quella regione (si parla di qualche mese fa, ora c'è al governo una coalizione di centro destra, probabilmente anche per la reazione dell'elettorato a quello scandalo). Si parlerebbe della complessa gestione dell'emergenza corona virus che ha coinvolto amministratori, pubblici funzionari e rappresentanti dei cittadini sia a livello nazionale che locale, con esiti, anche dal punto di vista legale, contraddittori.Si parlerebbe delle complesse vicende che coinvolgono il magistrato, Luca Palamara. Una non chiara vicenda che sembra legata a un giro di raccomandazione per la nomina di Togati e che coinvolgerebbe in prima persona alcuni membri del Consiglio Superiore della Magistratura e dell'Ordine oltre che alcuni politici, fra cui l'ex ministro del Partito Democratico, Luca Lotti. Insomma l'articolo 28 della Costituzione Italiana è un articolo che regolamenta la vita quotidiana della Pubblica Amministrazione. Per questo motivo commentarlo vuol dire inevitabilmente cimentarsi con l'attualità e con la quotidianità. Quante volte, se dipendenti pubblici, ci si trova a farsi la domanda: agisco correttamente?" Quante volte da normale cittadino ci facciamo la domanda "ma quel dato funzionario ha agito rispettando la legge?". La risposta è nei codici, nelle leggi, nelle norme. Nessuno deve considerarsi al di sopra delle leggi. Ognuno deve essere chiamato a svolgere il proprio dovere secondo un principio etico comune fondato sulla disciplina statuale. In particolare i dipendenti pubblici, i rappresentanti dell'elettorato, coloro che svolgono funzioni pubbliche in nome della Repubblica "hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore" come dire un'altro articolo della Costituzione Italiana, il numero 54. Ecco perché la responsabilità penale di dipendenti e funzionari dello stato, sancita dall'artico 28, è fondamentale. Chi è chiamato a servire lo stato nell'esercizio di funzioni importanti è responsabile per il suo operato compiuto in nome e per il bene di tutta la comunità.

Testo di Giovanni Falagario

PARLANDO DI COSTITUZIONE



ARTICOLO 28 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“I funzionari e i dipendenti dello stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici”


L’articolo 28 della costituzione sancisce che i dipendenti pubblici nell’esercizio delle loro funzioni sono chiamati a rispondere dei loro gesti contrari alle leggi. Sono penalmente sanzionabili, se funzionari infedeli. Sono anche perseguibili a norma del diritto civile e amministrativo. La responsabilità personale per i propri atti è un fondamentale principio giuridico. Il funzionario infedele, cioè colui che ha approfittato della propria posizione per avere illeciti guadagni e privilegi, è chiamato a rispondere del proprio comportamento davanti allo stato. Chi fa concussione, cioè chiede soldi o favori in cambio di servigi illeciti della propria posizione di dipendente o funzionario pubblico deve essere punito. In più lo stato e gli enti locali sono chiamati a risarcire i danni che la vittima ha subito a causa del cattivo comportamento del dipendente, del rappresentante della Repubblica e di chiunque abbia il ruolo di conduttori di affari pubblici. Questo principio è base per un chiaro e corretto rapporto fra pubblica amministrazione e cittadini. È una garanzia per tutti coloro che si approcciano ad avere rapporti con la Pubblica Amministrazione. Bisogna aggiungere che per un rappresentante dello stato e per un dipendente pubblico un comportamento onesto dovrebbe essere un imperativo morale. Chiunque ha il privilegio di essere un dipendente della Repubblica deve comportarsi degnamente. La stragrande maggioranza dei dipendenti pubblici lo fa. Si comporta correttamente. Abbiamo una classe di amministratori di altissimo livello. Bisogna deprecare i casi negativi. Coloro che infangano il ruolo che detengono con comportamenti illeciti. Questi vanno criticati. L’articolo 28 della Costituzione deve servire da monito contro i loro atti indegni. La scure della giustizia deve ricadere su di loro. Il comportamento illecito di pubblici amministratori comporta gravissimi danni alla popolazione. Ricordiamo i tremendi giorni del terremoto dell’Aquila quando l’allora presidente del Consiglio Berlusconi prometteva la rapida ricostruzione delle case e aiuto concreto per i terremotati, mentre i suoi più stretti collaboratori “festeggiavano” immaginandosi lauti guadagni causati dallo scorretto utilizzo dei soldi pubblici. Non illudiamoci la corruzione il degrado morale non è appannaggio solo della lega e Forza Italia. Anche il Partito Democratico, purtroppo, è stato oggetto di scandali, vedi quello della Banca Etruria che ha visto il tentativo di coprire il comportamento scellerato di alcuni dipendenti della banca solo perché parenti di qualche ministro. Il popolo, l’elettorato, si scandalizza più per i comportamenti illegali della sinistra, vista come difensore dei valori repubblicani, che delle angherie della destra. Ricordiamo la scelta di Berlusconi, capo della destra, di presentare quale candidato al comune di Roma quel Guido Bertolaso simbolo della corruzione di destra legata al terremoto dell’Aquila, quel gesto fu un modo di ribadire che Forza Italia e Lega, i partiti della sua colazione, sono latori di valori assolutamente contrari alle norme dello stato, i cittadini votandoli si dimostrano concordi. E’ facile immaginare che se vinceranno Lega e Forza Italia alle elezioni politiche del 2018 continuerà il loro impegno storico per depenalizzare i reati di natura amministrativa, legati alla corruzione e alla concussione, una missione che dura da vent’anni, Berlusconi infatti lo chiama “spirito del ‘94”, anno in cui fondò il partito Forza Italia per combattere contro i magistrati che mettevano in prigione chi non rispettava le leggi. Per proteggere i corrotti, è bene che gli elettori lo sappiano, non basta votare Forza Italia e Lega, urge cambiare la costituzione, urge che sia cancellato l’articolo 28. La promessa di Salvini e Berlusconi di rendere la vita semplice ai funzionari infedeli siamo sicuri che sarà mantenuta. La destra ha dimostrato di mantenere le promesse elettorali. Quando è stata al governo si è distinta per aver introdotto “il processo lungo”, cioè un processo che ritardava il suo fluire per dare la possibilità a chi avesse compiuto reati finanziari e contro la pubblica amministrazione di arrivare alla prescrizione, i cui tempi furono abbreviati grazie all’impegno di Berlusconi. Rimane il fatto che bisogna cambiare l’articolo 28, se no votare Forza Italia e Lega vuol dire solamente esprimere una solidarietà simbolica a Cesare Previti e ai tutti i martiri di destra che sono in difficoltà accusati di aver commesso reati di natura economica.
Testo di Giovanni Falagario

venerdì 29 maggio 2020

LETTERATURA E VITA


FELICITA'
In questi momenti così particolari e complicati, nei quali il nostro paese sta cercando di superare le difficoltà e i lutti prodotti dal Corona Virus, la soluzione per trovare un po' di quiete è nella lettura. Perdersi nelle pagine dei grandi romanzieri, farsi trascinare da storie coinvolgenti, è l'unico modo, a mio modesto parere, per ritrovare un pizzico di gioia. Riscoprire Honore' de Balzac. Rileggere Garcia Maquez. Perdersi nei tormentati e tormentosi vicoli della Dublino di James Joyce. Percorre Il sentiero dei nidi di ragno assieme a Italo Calvino. Ripercorre la fuga da Troia e il viaggio verso il Lazio di Enea. Ricordare le gesta di Ulisse, Aiace, Ettore e Achille. Riscoprire il giocoso e vizioso Trimalcione raccontato da Petronio nel suo Satyricon. Riscoprire la complessa vita interiore di Cesare Pavese, avendo cura di apprezzare la bellezza e l'intensità dei suoi romanzi. Questo è il momento per potersi abbandonare alla bellezza della letteratura. Chiusi nelle nostre casa, temendo il contagio, potremmo raccontare e raccontarci gradi storie esattamente come hanno fatto i giovani del 1300 raccontati da Giovanni Boccaccio nel suo "Decamerone", quando la peste faceva tremare Firenze. E' vero il pericolo sembra meno stringente. Oggi siamo chiamati ad uscire per riprendere le nostre attività lavorative, dopo mesi di chiusura legata alla paura del morbo. Ma pur potendo ricominciare a vivere la nostra vita esteriore, non dobbiamo scordarci di arricchire la nostra vita interiore, facendo propri i più grandi pensieri prodotti dal genere umano. Ecco perché il romanzo, il racconto, fa bene a tutti noi. Usciamo per andare nelle librerie e nelle biblioteche, rompiamo i lacci della paura attraverso la grande letteratura. Il mondo ci apparirà migliore. Le difficoltà saranno meno insormontabili. Vi parla uno che non conosce i veri arcani dell'arte dello scrivere. Che spesso, purtroppo per me, si perde anche nell'utilizzo delle più rudimentali regole della grammatica e della sintassi. Uno che commette strafalcioni. Ma anche un ignorante, un incolto come me, trova nel romanzo un'oasi di pace e un momento di maturazione della propria interiorità che è preziosa. Ecco perché mi trovo qui a esprimere la bellezza della Cultura, è non è solo fine a se stessa ma è soprattutto strumento di accrescimento non solo intellettuale ma anche umano.

PARLANDO DI COSTITUZIONE



ARTICOLO 27 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“La responsabilità penale è personale

L’imputato non è considerato colpevole sino a condanna definitiva

Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Non è ammessa la pena di morte”

L’articolo 27 della costituzione definisce in maniera chiara la condizione dell’imputato, di colui che è’accusato di aver commesso un reato penale, davanti allo stato. Prima di tutto si afferma che la responsabilità penale è personale. Nessuno può espiare la pena di un altro. In materia penale solo chi commette il reato, solo chi trasgredisce la legge, è chiamato a rispondere dei propri atti. Il reo è chiamato personalmente a rispondere dei propri gesti. Solo i danni di natura civile e gli eventuali risarcimenti possono essere risarciti da soggetti terzi, quali ad esempio gli eredi del reo oppure il datore di lavoro, se il soggetto ha commesso reato agendo quale conduttore degli atti giuridici dell’azienda per cui lavora. Dal punto di vista penale chiunque risponde dei propri gesti personali, non è ammessa la sostituzione, il rispondere per gesti compiuti da altri. Questo è un principio fondamentale. La legge tutela i terzi che, legati da un rapporto giuridico o di altra natura con il reo, comunque sono da considerare estranei al procedimento penale. Nessuno può essere chiamato in causa per una generica responsabilità morale. Nessuno può essere chiamato in causa perché ha legami parentali o di amicizia con il reo. Nessuno può essere chiamato in causa in un processo penale in nome di una generica comunanza di intenti con il reo, si è imputati in un procedimento penale perché si è partecipato all’atto dando un contributo nell’attuarlo, un contributo che potrebbe essere anche solo intellettuale, nel senso che si è contribuito a orchestrare il disegno, il piano, del reato, ma bisogna comunque essere partecipi all’orchestrazione dell’atto illegale per essere imputati, non è sufficiente una generica solidarietà e affinità di pensiero. Nei secoli passati, è bene ricordarlo, era d’uso condannare l’intera famiglia se un membro di questo avesse commesso una mancanza contro lo stato. L’esilio, ad esempio, si estendeva a tutta la gens, la famiglia romana, del traditore dell’impero. Questa visione è stata abolita con la nascita del diritto moderno. Le colpe dei padri non devono ricadere sui figli. Chi commette un reato è giusto che paghi per la propria colpa, quello che non è giusto che a pagare siano i discendenti. Sul piano del risarcimento per danni economici le cose stanno diversamente. E’ giusto che vi sia una responsabilità giuridica civile di colui che è responsabile e custode degli atti del reo. Ad esempio è giusto che gli eredi di una persona rispondano dei danni da esso causati e risarciscano i danneggiati. E’ giusto che un genitore risponda dei danni causati dal figlio minorenne. La stessa cosa potrebbe avvenire per i tutori dei minori, per gli insegnati durante le ore in cui il ragazzo gli è stato affidato e per chiunque abbia in custodia il piccolo anche momentaneamente. In questi casi ci può essere anche la possibilità che il parente sia imputato per mancanza di adeguata vigilanza. Insomma il principio di responsabilità penale personale vale in materia penale e non civile e amministrativa, lo Stato ad esempio è chiamato a risarcire i danni causati dal comportamento illecito di un proprio dipendente. Il secondo comma dell’articolo 27 è un esempio di grande sensibilità verso i diritti dell’imputato. Nessuno deve essere reputato colpevole fino al compimento di tutti i gradi si giudizio. La carta dell’Onu dei diritti umani impone che vi siano almeno due gradi di giudizio prima che un accusato sia dichiarato definitivamente colpevole. E’ un principio di grande sensibilità giuridica. Vi devono essere almeno due organi giudicanti a stabilire la colpevolezza di un uomo. Nel nostro ordinamento sono previsti ben tre gradi di processo. Vi è un primo procedimento di natura penale. Si può ricorrere e contestare la sentenza del primo giudice in appello. La sentenza d’appello può essere contestata davanti alla Corte di cassazione, la massima corte del nostro paese. Questi tre gradi di giudizio sono fonte di garanzia per il corretto e giusto procedimento giudiziario. La Costituzione è chiara. L’imputato non può essere considerato colpevole se non a condanna definitiva, cioè fino a quando vi è possibilità di appellarsi la persona non è colpevole anche se ha subito condanne a lui sfavorevoli. Solo quando si è concluso l’iter giudiziario ci può essere un giudizio definitivo di colpevolezza. Chiunque è sottoposto a giudizio è innocente fino a sentenza definitiva. Insomma si è considerati colpevoli solo a seguito di una condanna definitiva e inappellabile. L’ordinamento giuridico Italia rifiuta ogni tipo di trattamento contrario al senso di umanità. La costituzione vieta la tortura come strumento di pena e come mezzo per indurre il colpevole a confessare. Urge sottolineare che in Italia da pochissimi mesi è stata introdotta una legge che individui compiutamente il “reato di tortura” inteso come azione condotta da un’autorità statuale, da un organo o da un ente dello stato al fine di indurre coercitivamente il malcapitato a fare la volontà dello stato o di chi è chiamato, indegnamente dobbiamo dire in questo caso, a rappresentarlo. La legge che istituisce la tortura è stata approvata in questa legislatura, ma la lega e forza Italia hanno promesso di abrogarla appena riavranno la maggioranza. Ci sono ragioni culturali e ideali che spingono il partito di Berlusconi e quello di Salvini a considerare cosa giusta la violenza di stato verso alcuni soggetti, quali manifestanti o immigrati. Rimane il fatto che il comportamento del centrosinistra che ha adottato una legge contro il reato di tortura è conforme alla Costituzione e attua un dettame giuridico che è fondamento anche del diritto internazionale. La legge che vieta ogni forma di tortura è il compimento dei dettami costituzionali. E’ veramente sconcertante che due forze politiche che hanno governato il paese si siano schierate contro una norma che attua la costituzione. Cosa faranno quando vinceranno le elezioni? Aboliranno la legge che punisce la tortura? E quale popolo siamo noi italiani i che votiamo così numerosi partiti che propugnano la violenza di stato? E’ d’obbligo ricordare l’ultimo comma dell’articolo 27, come è stato riformato dalla legge costituzionale del 2 ottobre 2007. L’Italia, si legge, non ammette la pena di morte. Non l’ammette mai. Nemmeno in caso di guerra, come invece era previsto nella precedente stesura dell’ultimo comma. La riforma costituzionale in questione si lega all’articolo 1 della legge 13 ottobre 1994, n.589, che ha abolitola pena di morte prevista dal codice militare di guerra sostituendola con la pena massima prevista dal codice penale (l’ergastolo).  La pena è ripudiata definitivamente come strumento di esercizio del diritto. Nemmeno in caso di pericolo incombente per la nazione è giustificata. Ecco lo spirito di umanità che dovrebbe prevalere e dovrebbe spingere anche ad appoggiare le norme che rinnegano e condannano ogni tipo di tortura. Le pene coercitive le pene che non ammettono redenzione devono essere abolite. Anche l’ergastolo dovrebbe essere usato parsimoniosamente come punizione anche per i reati gravissimi come l’omicidio. Anche alle persone più indegne dovrebbe essere data una possibilità di redenzione e di rinserimento nella società civile. Speriamo che nella prossima legislatura riaffiori quell’afflato di umanità che caratterizzò il legislatore del 2007, e non la voglia di prevaricazione che si sente nell’aria.
Testo di Giovanni Falagario


giovedì 28 maggio 2020

L'ITALIA CHE NON MOLLA


LA SFIDA
Pensare a cambiare in meglio la vita di tutti e di ognuno è la sfida per antonomasia. Il sogno di poter condurre un'esistenza più bella è il diritto di tutti e tutte. Oggi l'Italia è prostrata dal corona virus. La regione simbolo del progresso del nostro paese, la Lombardia, ancora ieri segnava un aumento esponenziale dei casi. Il dato, dobbiamo dircelo per tranquillizzarci, è in controtendenza rispetto a quello della settimana scorsa che indicava un forte ridimensionamento dei casi di contagio. Per questo motivo non dobbiamo abbassare la guardia. Il male è in agguato, pronto a sferrare il suo terribile attacco appena cediamo nella nostra difesa. La Lombardia non è sola in questa tragedia, tutta l'Italia è colpita ed è stremata. Bisogna provare decisamente a scegliere il bene per ciascuno e per tutti. Bisogna evitare di avere comportamenti che facilitino la proliferazione del malanno. Bisogna avere spirito di gruppo, sapendo che per costruire solidarietà è bene usare il raziocinio. Si può far più danni stando vicini al nostro prossimo, che standogli lontano. Questo è un dato allo stesso tragico e assolutamente veritiero. La vicinanza, normalmente strumento di spirito di amicizia, è nella lotta all'infezione un pericolo. Allora bisogna usare gli strumenti di protezione individuale, mascherina e guanti, quando si agisce in luoghi promiscui, cioè frequentati da persone che non conosciamo e di cui non conosciamo esattamente gli spostamenti. Bisogna curarsi di evitare di portare in casa il male, evitando di contagiare i nostri cari, soprattutto se più anziani e deboli. Bisogna avere cura di tutta la nostra popolazione più matura, evitando che ogni persona di una certa età si esponga a inutili pericoli. Il male si può fermare. Il Corona Virus è già oggi un pericolo meno soffocante, anche se cogente. I dati lo dicono. Il morbo fa meno vittime. Ci sono meno persone che si ammalano. Ma per continuare a registrare questo trend positivo è necessario uno sforzo di tutti. Oggi che il Lockdown è finito, oggi che si può ritornare a lavorare e a vivere una vita parzialmente normale. Oggi che si possono fare acquisti, tagliare i capelli, andare in banca, non si deve perdere il senso della misura. Il morbo è in agguato. O meglio i nostri comportamenti potrebbero riaccendere focolai di contagi. Allora è il momento di accettare la sfida. Il momento di riconquistarsi il quotidiano, la normalità, senza correre rischi. Bisogna comportarsi con misura. E' bene sapere misurare le proprie azioni per il bene nostro, dei nostri cari e di tutti coloro che ci sono prossimi

mercoledì 27 maggio 2020

CORONAVIRUS

LA SFIDA
Pensare a cambiare in meglio la vita di tutti e di ognuno è la sfida per antonomasia. Il sogno di poter condurre un'esistenza più bella è il diritto di tutti e tutte. Oggi l'Italia è prostrata dal corona virus. La regione simbolo del progresso del nostro paese, la Lombardia, ancora ieri segnava un aumento esponenziale dei casi. Il dato, dobbiamo dircelo per tranquillizzarci, è in controtendenza rispetto a quello della settimana scorsa che indicava un forte ridimensionamento dei casi di contagio. Per questo motivo non dobbiamo abbassare la guardia. Il male è in agguato, pronto a sferrare il suo terribile attacco appena cediamo nella nostra difesa. La Lombardia non è sola in questa tragedia, tutta l'Italia è colpita ed è stremata. Bisogna provare decisamente a scegliere il bene per ciascuno e per tutti. Bisogna evitare di avere comportamenti che facilitino la proliferazione del malanno. Bisogna avere spirito di gruppo, sapendo che per costruire solidarietà è bene usare il raziocinio. Si può far più danni stando vicini al nostro prossimo, che standogli lontano. Questo è un dato allo stesso tragico e assolutamente veritiero. La vicinanza, normalmente strumento di spirito di amicizia, è nella lotta all'infezione un pericolo. Allora bisogna usare gli strumenti di protezione individuale, mascherina e guanti, quando si agisce in luoghi promiscui, cioè frequentati da persone che non conosciamo e di cui non conosciamo esattamente gli spostamenti. Bisogna curarsi di evitare di portare in casa il male, evitando di contagiare i nostri cari, soprattutto se più anziani e deboli. Bisogna avere cura di tutta la nostra popolazione più matura, evitando che ogni persona di una certa età si esponga a inutili pericoli. Il male si può fermare. Il Corona Virus è già oggi un pericolo meno soffocante, anche se cogente. I dati lo dicono. Il morbo fa meno vittime. Ci sono meno persone che si ammalano. Ma per continuare a registrare questo trend positivo è necessario uno sforzo di tutti. Oggi che il Lockdown è finito, oggi che si può ritornare a lavorare e a vivere una vita parzialmente normale. Oggi che si possono fare acquisti, tagliare i capelli, andare in banca, non si deve perdere il senso della misura. Il morbo è in agguato. O meglio i nostri comportamenti potrebbero riaccendere focolai di contagi. Allora è il momento di accettare la sfida. Il momento di riconquistarsi il quotidiano, la normalità, senza correre rischi. Bisogna comportarsi con misura. E' bene sapere misurare le proprie azioni per il bene nostro, dei nostri cari e di tutti coloro che ci sono prossimi
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PARLANDO DI COSTITUZIONE



ARTICOLO 26 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“L’estradizione del cittadino può essere consentita soltanto ove sia espressamente prevista dalle convenzioni internazionali.

Non può in alcun caso essere ammessa per reati politici.”

L’articolo 26 della Costituzione Italiana pone un paletto fondamentale nella disciplina dei rapporti con gli altri stati. Non è possibile che un cittadino italiano sia consegnato ad una autorità straniera giudicante o di polizia senza che vi sia un accordo internazionale che regolamenti l’atto. Per autorizzare l’estradizione di un cittadino italiano bisogna che ci sia stato un trattato in materia fra l’Italia e la nazione in questione, oppure occorre che l’atto sia previsto da trattati plurinazionali ai quali sia l’Italia che la controparte statuale abbiano aderito. Non solo, ma stante l’accordo di diritto internazione, abbisogna che un giudice italiano costati che la richiesta proveniente dall’estero abbia un fondamento giuridico sia in base agli accordi internazionali, sia in base alle leggi dello stato richiedente e, soprattutto, che sia ammissibile in base ai principi fondamentali dello Stato Italiano. Occorre a questo punto ricordare che è assolutamente vietato concedere l’estradizione di un cittadino italiano, ma anche di uno straniero che si trova nel nostro paese, se i giudici stranieri intendono giudicarlo in base a una legge che prevede come strumento di espiazione della pena la morte. Su questo la Costituzione, come si può chiaramente leggere nell’articolo 27 ultimo comma della stessa, è chiarissima. La pena di morte non è ammessa nel nostro ordinamento. Punire con la perdita della vita è considerato un atto barbaro, che lede il diritto all’esistenza proprio di ogni essere umano. L’Italia non può concedere l’estradizione a stati che puniscono con la morte. E’ successo nel corso degli anni che il nostro paese abbia avuto anche aspre contese con gli Stati Uniti d’America. Alcuni stati federali che fanno parte della potenza americana, da decenni alleata, prevedono la pena di morte. Dei nostri concittadini sono stati processati negli USA, rischiando la pena capitale, lo stato italiano ha sempre resistito alle richieste americane di estradizione, con esiti controversi, ma che comunque hanno reso lampante  che il nostro ordinamento è sensibile al tema della vita come valore e di conseguenza ha gli strumenti per resistere anche alle ingerenze di una superpotenza amica. Il secondo comma dell’articolo 26 sancisce l’impossibilità assoluta, a prescindere da accordi e da legami internazionali, di estradare una qualsiasi persona per reati politici. Il reato d’opinione politica non è contemplato nel nostro ordinamento. Chi rischia la galera nel proprio paese per come pensa è visto dall’Italia non come imputato, ma come paladino di libertà e di coerenza. Nel mondo ci sono tanti uomini e tante donne che hanno subito l’onta della prigione solo perché hanno avuto il coraggio di alzare forte la loro voce contro i soprusi e gli atti dittatoriali dei propri governi. Se riescono a giungere nel nostro paese questi valorosi devono essere protetti. L’Italia non deve e non può, per motivi etici e per i valori democratici di cui il nostro ordinamento è latore, autorizzare l’estradizione di chicchessia verso paesi in cui il potere di polizia e politico è prevaricante. Luoghi in cui si applica la tortura come strumento di coercizione. Nessuno può essere stradato se rischia di subire pene di tipo corporale. Insomma l’articolo 26 impone norme di civiltà indirizzate agli organi statuali. E’ lo stato, attraverso l’ordinamento giudiziario e il governo, a dover vegliare al fini di impedire l’estradizione in paesi non liberali e non democratici. Ma allo stesso tempo è un faro, è un punto di riferimento, per tutti i cittadini e gli uomini che lo leggono. Sapere che la costituzione, pur rispettosa dell’ordinamento internazionale, è un baluardo invalicabile contro ogni violenza e prevaricazione, contro ogni atto contrario allo spirito umanitario, deve essere allo stesso tempo fonte d’orgoglio nazionale e sprone per rendere i principi umanitari cogenti e presenti anche nella vita quotidiana. La solidarietà verso le persone che fuggono da guerre e violenze deve essere un obbligo morale per tutti noi.
Testo di Giovanni Falagario


INSIEME CONTRO IL VIRUS



RIPARTIRE

Il mondo sta provando ad affrontare la terribile minaccia del Corona Virus. La terra è cambiata da quando è comparso il morbo. L’umanità ha dovuto radicalmente cambiare le sue abitudini in ogni angolo del pianeta. L’uomo ha dovuto affrontare, e ancora adesso combatte, un terribile nemico invisibile. L’Italia è stata una delle nazioni più colpite. Siamo chiamati a piangere la dipartita di tanti nostri concittadini, siamo chiamati a prenderci cura di chi ancor oggi è affetto dal male, siamo in dovere, allo stesso tempo, di utilizzare tutte le precauzioni necessarie per tutelare la nostra salute e quella del nostro prossimo. Come fare? Come riuscire a cimentarsi nel grande agone che è il quotidiano, evitando con cura di ammalarci? La risposta è nel rispetto assoluto delle regole di profilassi che sono state indicate dal sistema sanitario nazionale. Bisogna evitare assembramenti. Bisogna evitare di svolgere attività al chiuso, ma anche all’aperto, che prevedono la presenza di molte persone nello stesso luogo. Bisogna evitare il contatto fisico con chi interloquisce o svolge attività di qualsiasi tipo con noi. Bisogna insomma mantenere una distanza fisica di almeno un metro e mezzo, in alcune occasioni di due, con chi si incontra. Sappiamo che ogni interrelazione sociale è anche un toccarsi. Ci si dà la mano quando si fa una transazione economica. Ci si scambia un bacio fra amici, familiari e fidanzati. Ci si dà una pacca sulle spalle per incoraggiarsi reciprocamente. Questi atti sono parte della nostra umanità. Ci rendono uomini e donne sociali, cioè felici di essere una comunità. In questi mesi vi abbiamo rinunciato, purtroppo dobbiamo ancora farlo. Anche se le manifestazioni di stima e di affetto, esplicate con il toccarsi, sono fondamentali per il nostro dialogo che è fatto non solo di parole ma di gesti, è nostro dovere rinunciarvi. Fare questa scelta è l’unico modo per ripartire. Bisogna trovare il sistema di fermare il virus, di impedirgli di propagarsi e di ammalare noi e chi ci sta vicino. L’unico modo per farlo è mantenere una distanza sociale. Quando finirà la nuttata, per citare il grande Eduardo De Filippo, torneremo a darci la mano, a scambiarci baci, a porgerci verso l’altro per ricevere una carezza. Il virus non vincerà, non ci toglierà il nostro spirito sociale. Ma adesso impariamo ad esprimere i nostri affetti con gesti e parole che si manifestano senza un contatto fisico fra noi. Ci si può scambiare un bacio in lontananza, accostando la nostra mano alla nostra bocca, e facendolo volare via con un soffio, esattamente come una farfalla che vola di fiore in fiore. Possiamo trasformare le parole, le lettere, un fervidi atti d’amore ancor più inebrianti di un abbraccio focoso. Poi quando tutto sarà finito, quando potremmo di nuovo abbracciarci, ricorderemo questi momenti come strumento epifanico atto a scoprire nuove e inebrianti manifestazioni d’affetto. Bisogna ripartire, bisogna scegliere di agire consapevolmente per evitare ogni forma di tensione e di pericolo sociale. Poi verrà il tempo in cui si potrà stringere la mano.

PARLANDO DI COSTITUZIONE



ARTICOLO 25 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.

Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso

Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge.”


L’articolo 25 della costituzione afferma una delle più importanti garanzie costituzionali. Per garantire l’imparzialità del giudice e del giudizio che a lui è affidato, impone che sia la legge a stabilire l’individuazione dell’organo giudicante. Questo principio è volto ad impedire che non sia l’arbitrio dell’amministrazione statale ad assegnare il magistrato che è chiamato a districare una questione giuridica, ma che lo sia una norma generale a determinarlo. Il cittadino ha la garanzia che l’iter processuale non sarà preordinato e indirizzato secondo interessi contingenti di qualcuno, ma procederà in base a indicazioni normative che saranno seguite nella stessa maniera a prescindere da chi sia il soggetto che è chiamato a rispondere dei propri gesti in tribunale. Insomma il magistrato non può essere scelto. L’organo giudicante è prestabilito precedentemente alla apertura della vertenza e in base a criteri di legge oggettivi. Il “giudice naturale”, come lo definisce l’articolo 25 della Costituzione, è il magistrato, che in base a criteri  stabiliti dalla legge, chiunque abbia commesso un reato o abbia una vertenza civile da sostenere in un determinato luogo del paese dovrà incontrare e riconoscere quale supremo dispensatore della verità giuridica. Insomma questo principio è garanzia di imparzialità. Nessuno si può scegliere il giudice. Nessuno può decidere se sia preferibile un magistrato o un altro per sciogliere le controversie legali. Solo la legge decide come un processo avviene e chi sia l’autorità preposta a presiederlo. L’unico organo che ha la competenza a designare i magistrati per i singoli uffici e per le procure, insomma a decidere dove un giudice debba lavorare, è il Consiglio Superiore della Magistratura. Questo è l’organo di governo dei giudici, un organo collegiale presieduto dal presidente della Repubblica, che ha l’alto compito di coordinare e governare il lavoro della magistratura. Ma il CSM non può e non deve usare la propria autorità per trasferire magistrati che operano in un determinato processo. Il suo compito è distribuire in maniera coerente sul territorio i magistrati in modo da non creare in alcuni uffici delle carenze di organico. Il CSM può operare, su richiesta del guardasigilli, il trasferimento di un giudice per motivi di incompatibilità ambientale, ma deve essere una misura eccezionale e da operarsi per motivi gravissimi. Il suo compito è principalmente quello di rendere più efficace il potere giudiziario attraverso un’opera di coordinamento. Il secondo comma dell’articolo 25 è un principio fondamentale di correttezza e di garanzia giuridica. Chiunque, che sia cittadino italiano o straniero, non può essere chiamato in giudizio e punito in forza di una norma entrata in vigore dopo che ha commesso il fatto. Una norma penale non può avere efficacia retroattiva. La sua vis giuridica è effettiva solo al momento della sua promulgazione. Questo principio di non retroattività delle norme vale per tutte le leggi dello stato. Di buona regola una norma non deve regolare situazioni giuridiche avvenute prima della sua entrata in vigore. E’ duopo precisare, però, che per quanto riguarda le leggi amministrative, tributarie e civili questo principio, la non retroattività della legge, può essere derogato, e abitualmente viene derogato. La Costituzione invece tassativamente esclude che una legge penale, una legge che punisce il cittadino che la viola, possa avere valore retroattivo. E’ un principio fondamentale nessuno deve essere punito se al momento in cui ha compiuto l’atto la legge non lo considerava reato, e poco importa se una legge successiva ha stabilito che lo stesso gesto fosse considerato atto da censurare penalmente. Nessuna persona può essere punita in forza di una norma susseguente temporalmente al gesto compiuto. Questo principio di civiltà è fondamentale. Chiunque commette un reato penale è comunque un cittadino, una persona, un uomo o una donna. Ha diritto a vedersi protetto di fronte al potere prevaricante dello stato che ti costringe alla cattività e alla reclusione. Lo stato di prigionia o la punizione in qualsiasi forma deve essere giustificata da una coerenza logica trasparente. Chiunque è chiamato a rispondere dei propri atti deve essere garantito nella sua integrità morale e fisica. Così nessuno può essere indicato quale “delinquente” se non ha commesso atto che le norme vigenti al momento considerano reato. Allo stesso modo nessuno può essere imprigionato o sottoposto a misure di sicurezza se non sono previste dalla legge. Nessuno può subire la detenzione carceraria come arbitrio delle autorità statuali. Ogni arresto, ogni detenzione, deve essere prevista per legge. A questo proposito la “detenzione preventiva, l’arresto prima di una sentenza giudiziaria definitiva, è da tempo oggetto di vivaci discussioni. Questa è prevista dalla legge. E’ prevista per poter garantire la sicurezza pubblica ed evitare che l’imputato inquini le provi con un suo comportamento illegittimo. Rimane però il dato che debba essere usata con estrema parsimonia. Il magistrato non deve abusarne. Deve procedere al fermo quando è tassativamente necessario. Di conseguenza non è solo la legge, ma è anche la delicata valutazione dell’organo giudiziario a valutare la necessità o meno dell’arresto. Per evitare abusi la norma ha creato un ufficio, interno al tribunale, volto a stabilire la congruità dell’arresto preventivo. Questo ufficio si chiama “tribunale della libertà”, a cui il fermato può appellarsi. Insomma la normativa, adempiendo ai dettami costituzionali, sta cercando di rendere il meno arbitrario possibile il fermo giudiziario. Non è un solo magistrato a decidere, ma più organi giudiziari, anche collegiali. La certezza che la magistratura operi con competenza e imparzialità è necessaria per poter affrontare un giudizio giudiziario che per qualsiasi cittadino è fonte di preoccupazione e angoscia. La magistratura deve, con la sua imparzialità  e competenza, rendere una sensazione di fiducia e serenità a chiunque si trovi ad avere una vertenza giudiziaria.
Testo di Giovanni Falagario


lunedì 25 maggio 2020

GIORNATA DELLA DISABILITA'



LA VITA INSIEME
Ieri, 24 maggio, è stata la giornata regionale pugliese dedicata ai diversamente abili. Un momento di riflessione voluto dal presidente regionale, Michele Emiliano, dal Consiglio regionale della Puglia, e dal garante della disabilità, Giuseppe Tulipani, purtroppo recentemente scomparso. E' da diversi anni che la giornata è un momento conviviale e allo stesso tempo di riflessione su quale sia la strada migliore per procedere verso una comunità che non lascia indietro nessuno, ma che valorizza le capacità di ognuno. Questo 24 maggio è stato diverso dagli altri. Il Corona Virus non ha permesso incontri pubblici. Il lutto per l'assenza di Giuseppe Tulipani, ha colpito tutta la regione, le sue componenti sociali fatte di uomini e donne. Ma la voglia di stare insieme è la caratteristica che più brilla. L'esempio di Giuseppe, Pino, volto non solo all'aiuto ma anche alla valorizzazione di ogni singolo essere umano, soprattutto se in difficoltà, ci deve essere da sprone. L'istituzione regionale pugliese, con la collaborazione strettissima e fruttuosa delle altre istituzioni pubbliche locali e nazionali e delle associazioni di cittadini, deve continuare il lavoro prezioso svolto in questi tempi. Il prendersi cura degli altri deve essere una scelta radicale e generatrice di una nuova cultura comunitaria, fondata su valori allo stesso tempo antichi e lanciati nel futuro. Si può diventare migliori pensando alla salute del proprio prossimo. Si può costruire una società fondata sul dono del sorriso dato all'altro, sulla carezza donata a chi vive nell'angoscia o nella, "semplice", incertezza. La persona umana viene prima di qualsiasi cosa. Prima anche del legittimo interesse economico, prima di ogni logica monetaria, prima di qualsiasi legittimo interesse al guadagno. Ovviamente prima anche di ogni interesse illegittimo, ma questo è scontato, ogni atto illegale deve essere combattuto ed estirpato. E' questo il senso della giornata della disabilità. Non bisogna lasciare indietro nessuno. Fermarsi e prendersi per mano, rallentare il passo per camminare insieme tutti, è l'unico modo per riuscire a pensare e realizzare qualcosa di bello. Oggi il corona virus obbliga tutti a rallentare, ad pensare al proprio e all'altrui destino, utilizziamo questa "pausa costretta" per discutere insieme su un domani più bello. Lo dobbiamo ai più deboli, lo dobbiamo ai nostri figli, a cui dobbiamo lasciare un mondo migliore di quello che abbiamo trovato, lo dobbiamo a noi stessi. Allora pensiamo veramente a costruire la vita insieme.

PARLANDO DI COSTITUZIONE



ARTICOLO 24 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA

“Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.

La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento

Sono assicurati ai non abbienti con appositi istituti i mezzi per agire e difendersi davanti a ogni giurisdizione.

La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari”

L’articolo 24 della Costituzione sancisce il diritto di ogni persona di rivendicare davanti allo stato, davanti a un magistrato, i propri diritti violati. Questo principio è stato istituito in Germania nel 1700. Un mugnaio di una piccola città tedesca, Postdam, era vessato dai soprusi del signore locale. Il nobile gli imponeva lavori di corveè, lavoro gratuito che il villano doveva al signore nel Medioevo, senza che questi fossero sanciti dalle leggi e consuetudini locali. Il mugnaio indignato andò a Berlino. Si rivolse al re di Prussia, Federico il Grande, pronunciando la frase che d’allora rimase proverbiale: “c’è un giudice a Berlino?”. Il sovrano giudicò che, in base alle leggi e alle tradizioni giuridiche della Prussia, il contadino avesse ragione a reputare vessatorio il comportamento del signorotto locale, e sancì che il mugnaio fosse libero dalle imposizioni medievali.  Questo precedente storico inserì fra i diritti inviolabili dell’uomo anche quello di poter agire in giudizio per la tutela dei propri diritti. Chiunque, se vittima di soprusi frutto della violazione di legge, può chiedere l’aiuto dello stato per ripristinare un proprio diritto violato. Tutti gli ordinamenti Costituzionali che sono nati successivamente, dalla Costituzione Americana alla Dichiarazione dei diritti dell’Uomo francese hanno incardinato, nei propri statuti, il principio. Tutti gli stati liberali dell’Ottocento  hanno inciso nelle proprie leggi questo principio inderogabile. E’ lampante che qualsiasi diritto non possa essere considerato tutelato in un ordinamento statuale, se non è effettivo. Effettivo vuol dire che sia possibile esercitarlo pienamente e se ciò non avviene sia nelle facoltà del cittadino chiamare in giudizio chi impedisce il suo esercizio. Insomma chi subisce un torto ha la possibilità, il sacrosanto diritto, di chiedere giustizia allo stato attraverso un organo appositamente istituito e preposto a difendere la legalità. Lo stato italiano, la Costituzione, garantisce la difesa dei diritti e degli interessi legittimi di ogni persona. I diritti sono direttamente esigibili da parte del soggetto. Io compro una cosa, e in virtù dell’atto giuridico dell’acquisto, ho il diritto di proprietà sul bene. Nessuno può sottrarmi quel bene che rientra nella piena mia proprietà. L’Interesse legittimo è importantissimo al pari del diritto soggettivo. Ogni cittadino, ogni persona, che si trova a confrontarsi con la pubblica amministrazione deve avere la garanzia che gli atti d’autorità di quest’ultima siano conformi alla legge dello stato. Si fa l’esempio dei concorsi pubblici. Il singolo partecipante non ha il diritto soggettivo a vincere il concorso ed ottenere un posto di lavoro, ma ha l’interesse legittimo che la prova concorsuale si svolga senza brogli ed adempiendo le norme di legge in materia. Insomma l’interesse legittimo si esercita contro gli atti amministrativi esecutivi che si rivolgono a una vasta platea di utenti, i quali possono rivolgersi ad un apposito tribunale, il TAR (Tribunale Amministrativo), se ritengono che siano violate norme dello stato o delle regioni. Il secondo comma dell’articolo 24 sancisce il diritto inviolabile alla difesa. Chi è chiamato in giudizio ha il diritto di difendersi o in prima persona o, come è usuale e spesse volte indispensabile, chiedendo l’ausilio di un professionista, un avvocato. Il diritto alla difesa è un principio volto a scongiurare i soprusi. Nessuno deve essere in balia dello stato, nessuno deve essere sottoposto ad angherie. L’esempio letterario di Kafka deve essere scongiurato. Nessuno deve essere come K., l’anonimo protagonista del romanzo “Il Processo”, condotto agli arresti, processato e condannato a morte senza conoscere le ragioni dell’accusa e senza avere la possibilità di difendersi. La nostra costituzione sancisce, al contrario, il diritto alla difesa in ogni ordine e grado del procedimento, che impone, come necessario corollario, la conoscenza da parte dell’imputato dei capi d’accusa. E’ d’obbligo ricordare che negli anni bui del XX secolo i regimi fascisti e nazisti hanno condotto in prigionia e hanno ucciso milioni di persone innocenti negandogli un processo. Gli ebrei deportati, quali agnelli sacrificali, furono depostati senza alcuna possibilità di difendersi. La stessa sorte la subirono gli zingari, la comunità Sinti, anch’essa perseguitata dal nazifascismo. I disabili furono internati in nome di un vago e crudele principio di sanità pubblica, che si fondava sull’idea che il meno atto ad affrontare la vita dovesse essere soppresso, cancellando così l’idea che la vita di chiunque è un bene inviolabile. Insomma senza il diritto alla difesa, lo stato, totalitario, ha compiuto gravissimi crimini. La legge deve, come dice il terzo comma dell’articolo 24, garantire gli strumenti di difesa a chi non ha i soldi e gli strumenti culturali per acquisirli da solo. E’ stata istituita la figura dell’avvocato d’ufficio che ha il compito di difendere gratuitamente chi è in stato d’indigenza. Questo istituto è un atto di umanità e di saggezza giuridica volto a venire incontro a chi si trova ad affrontare una causa in stato d’indigenza. L’ultimo comma dell’articolo 24 sancisce il diritto ad essere risarciti in caso di errori giudiziari. Il cittadino che come K. Subisce le angherie del potere deve essere rimborsato. E’ un principio di giustizia. Chiunque subisca processi ha dei danni non solo materiali ma anche morali. Se è costretto a subirli ingiustamente deve essere risarcito. Alle volte, specie se si è accusati ingiustamente di gravi reati penali, un risarcimento economico, per quanto consistente, non sarà mai adeguato all’onta subita. In questi anni si è molto discusso se fosse il caso di introdurre la responsabilità penale e civile del giudice nel nostro ordinamento. Oggi se un giudice sbaglia è lo stato che paga che risarcisce, in seguito potrà rivalersi sul giudice, ma riprendendosi piccola parte del dato alla vittima dell’errore giudiziario. La destra vorrebbe che fosse il giudice a pagare interamente i danni provocati. Staremo a vedere. Certo l’introduzione della responsabilità personale del giudice sarebbe un grave nocumento per la sua libertà di giudizio. Il magistrato dovrebbe pensare prima alle cause giudiziarie che dovrà affrontare, che a fare giustizia. Più razionale è l’attuale modello, in cui lo stato risarcisce e il giudice, uomo di coscienza, proncia le sue sentenze in spirito di verità e giustizia senza alcun vincolo psicologico. Staremo a vedere cosa succederà. Certo che per rendere effettivo lo spirito dell’articolo 24, per garantire al cittadino l’esistenza di un giudizio sereno e libero, bisognerebbe che la magistratura fosse libera da ogni condizionamento.
Testo di Giovanni Falagario

GIORNATA DELLA DISABILITA'



LA VITA INSIEME
Ieri, 24 maggio, è stata la giornata regionale pugliese dedicata ai diversamente abili. Un momento di riflessione voluto dal presidente regionale, Michele Emiliano, dal Consiglio regionale della Puglia, dal suo presidente, Mario Loizzo, e dal garante della disabilità, Giuseppe Tulipani, purtroppo recentemente scomparso. E' da diversi anni che la giornata è un momento conviviale e allo stesso tempo di riflessione su quale sia la strada migliore per procedere verso una comunità che non lascia indietro nessuno, ma che valorizza le capacità di ognuno. Questo 24 maggio è stato diverso dagli altri. Il Corona Virus non ha permesso incontri pubblici. Il lutto per l'assenza di Giuseppe Tulipani, ha colpito tutta la regione, le sue componenti sociali fatte di uomini e donne. Ma la voglia di stare insieme è la caratteristica che più brilla. L'esempio di Giuseppe, Pino, volto non solo all'aiuto ma anche alla valorizzazione di ogni singolo essere umano, soprattutto se in difficoltà, ci deve essere da sprone. L'istituzione regionale pugliese, con la collaborazione strettissima e fruttuosa delle altre istituzioni pubbliche locali e nazionali e delle associazioni di cittadini, deve continuare il lavoro prezioso svolto in questi tempi. Il prendersi cura degli altri deve essere una scelta radicale e generatrice di una nuova cultura comunitaria, fondata su valori allo stesso tempo antichi e lanciati nel futuro. Si può diventare migliori pensando alla salute del proprio prossimo. Si può costruire una società fondata sul dono del sorriso dato all'altro, sulla carezza donata a chi vive nell'angoscia o nella, "semplice", incertezza. La persona umana viene prima di qualsiasi cosa. Prima anche del legittimo interesse economico, prima di ogni logica monetaria, prima di qualsiasi legittimo interesse al guadagno. Ovviamente prima anche di ogni interesse illegittimo, ma questo è scontato, ogni atto illegale deve essere combattuto ed estirpato. E' questo il senso della giornata della disabilità. Non bisogna lasciare indietro nessuno. Fermarsi e prendersi per mano, rallentare il passo per camminare insieme tutti, è l'unico modo per riuscire a pensare e realizzare qualcosa di bello. Oggi il corona virus obbliga tutti a rallentare, ad pensare al proprio e all'altrui destino, utilizziamo questa "pausa costretta" per discutere insieme su un domani più bello. Lo dobbiamo ai più deboli, lo dobbiamo ai nostri figli, a cui dobbiamo lasciare un mondo migliore di quello che abbiamo trovato, lo dobbiamo a noi stessi. Allora pensiamo veramente a costruire la vita insieme.

domenica 24 maggio 2020

UN MAGISTRATO




CAPACI
Capaci è qualcosa che segna la storia d'Italia. Non è solo una località vicino a Palermo. E' una cicatrice indelebile sulla pelle di ogni italiano. In un tratto di autostrada lì morirono Giovanni Falcone, sua moglie, il magistrato Francesca Morvillo e gli uomini della scorta. Il giudice tornava da Roma, ove era capo degli ufficio Affari penali, alla sua Palermo. Era appena atterrato all''aeroporto di Punta Raisi, e si stava avvicinando a casa sua, ove avrebbe passato giorni con la sua sposa. Invece la mafia aveva messo del tritolo sotto la sua strada. Mentre Falcone percorreva il tragitto che lo divideva dalla sua abitazione, un detonatore in mano a Giuseppe Brusca scattò e così il vile mafioso, poi pentito, uccise il giudice, la sua sposa e i poliziotti della scorta. Era il 23 maggio 1992, mancava poco alle 18. Sono passate quasi due decadi. In quel momento il giudice che aveva incarnato la lotta dello stato contro la criminalità si spegneva ad opera dei suoi più acerrimi nemici. Da allora molte morti si sono susseguite. Dì a pochi mesi sarebbe morto Paolo Borsellino, magistrato ed amico di Falcone che con lui aveva, negli anni '80 del secolo scorso, condotto il "maxi processo" l'impresa epocale che aveva messo per la prima volta in ginocchio "Cosa Nostra", la mafia, arrestando e condannando boss ed assassini. In quel momento la criminalità diceva: chi ci combatte è un uomo morto, temete. La politica, forse, si è messa paura. Forse ha trattato con la mafia, come dicono alcuno processi ancora in corso. Ma la magistratura e i cittadini hanno invece gridato la loro volontà di combattere la mafia. Falcone, sua moglie Francesca e tutti gli altri martiri sono un esempio indelebile. Do quasi vent'anni siamo ancora a combattere quel mostro che è la criminalità. Lo facciamo decisi, anche noi piccoli e inermi cittadini, in forza della luce e la bussola che è la vita di coloro che si sono sacrificati in nome del sacrosanto principio di legalità. Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino, Rocco Chinnici sono ancora vivi. Sono vivi perché ci sono milioni di persone che nel nostro paese si alzano ogni mattina convinti che dire no al crimine è un dovere morale improcrastinabile ed ineludibile. Noi vinceremo. Noi spazzeremo il crimine, redimeremo i malvagi. L'Italia riuscirà a debellare il fenomeno mafioso. Dobbiamo crederci. Dobbiamo riuscirci per onorare i tanti morti, come Giovanni Falcone, che si è spento credendo fino alla fine che è bene ed è giusto fare sempre il proprio dovere.

venerdì 15 maggio 2020

TRAGEDIA A BARI


LO SCONCERTO DELLA FATALITA’

Ieri, 14/05/2020, una signora in bicicletta percorreva Largo Crispi, una strada di Bari dedicata al grande statista e presidente del consiglio italiano. Repentinamente un pezzo di tettoia di un capannone, sospinto da una forte folata di vento, si staccava dalla sua usuale ubicazione e colpiva sulla testa la passante. La donna rimaneva uccisa all’istante, colpita violentemente da un oggetto che da essere una semplice tegola è diventato un improbabile e drammatico strumento di offesa. L’episodio ha scioccato l’intera comunità cittadina. Bari, già provata come tutto il paese, dall’incombere del morbo, è rimasta incredula davanti alla crudeltà del fato. Come si può essere spenta una vita in questa maniera? Come è possibile che il semplice pedalare possa portare alla morte? E’ un tragico episodio che fa riflettere tutti noi sulla fragilità della vita. Sulla insicurezza che è caratteristica del nostro essere umani. Ci fa riflettere sul dato che, inopinatamente, atti e gesti quotidiani, che consideriamo finanche banali, possano essere il motore e la causa di eventi fatali che possono sconvolgere l’esistenza o, addirittura, porvi fine. Un gesto uguale a tanti atti simili, può diventare, inconcepibilmente, il nostro ultimo gesto. Siamo come d’autunno sugli alberi le foglie, per citare il sommo poeta, Giuseppe Ungaretti. La morte è un elemento della vita. Ci accompagna nel nostro cammino esistenziale. Si manifesta come a lei garba. Può presentarsi come atto finale di una lunga e dolorosa malattia. Può irrompere come un colpo di fucile. Può presentarsi come un malvivente armato di coltello. Può prenderci in una spelonca o in un castello. Può bussare mentre noi siamo impegnati nelle attività quotidiane. Può presentarsi, come probabilmente è successo a Paolo e Francesca ricordati da Dante nella Commedia, mentre si stanno scoprendo le bellezze dell’amore. Può avvenire in una camera buia di un ospedale. Questa caducità della vita umana deve essere da sprone per cogliere la vera essenza della vita. Il valore assoluto degli affetti va tenuto in conto. Bisogna riscoprire in ogni attimo l’immensa ricchezza che ci regala la vicinanza, o magari solo l’esistenza lontana, di un nostro figlio, di una nostra figlia, del nostro congiunto (scusate ma questo vocabolo me lo ha ispirato l’attività creativa del nostro presidente del consiglio Giuseppe Conte alle prese con i vari Decreti della Presidenza del Consiglio). Io non conoscevo la signora deceduta, mentre andava in bicicletta. Sicuramente la sua vita era preziosa, come lo è quella di chiunque. Sicuramente ha lasciato persone care, che oggi vivono un inconsolabile lutto. Agli occhi di tutti appare certamente incomprensibile un termine della vita causato da un evento così inaspettato. Il vento, è sentore di tutti, non può uccidere, almeno fin quando non è così violento da diventare ciclone o tornado. Eppure è successo. Eppure una vita si è spenta per una folata di vento, quasi a rimarcare quanto può essere tragico un qualsiasi atto naturale. Allora rimaniamo attaccati alla esistenza, continuiamo ad emozionarci, a vivere passioni intense o/e profonde anche per coloro che ci hanno lasciato. La vita è fatalità, è dolore, è scontro con gli elementi, ma è anche felicità, bellezza e serenità. Facciamo nostri tutti questi elementi e affrontiamo la vita a testa alta promettendoci un futuro migliore per ognuno di noi e per l’intera comunità. Una nota a margine, che in realtà non è così insignificante, se quella donna non è morta per un semplice gioco del destino, ma la sua dipartita è stata causata dall’incuria di qualche d’uno, che doveva vegliare affinché i mattoni della tettoia  non volassero, o affinché le strade fossero sicure, è giusto che costui  paghi. Morire incidentalmente è già di per sé un gesto crudele dell’esistenza che si subisce, morire per mano della disattenzione altrui è un evento che somma dolore al dolore e che chiede, non certo vendetta, ma giustizia. Chi vi scrive al momento non sa se sia imputabile a qualcuno la dipartita della signora in via Crispi. Ma se qualcuno è colpevole è giusto che paghi. 

PARLANDO DI COSTITUZIONE


ARTICOLO 23 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA 
"Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge"
L'articolo 23 della Costituzione Italiana ricalca un principio che è proprio della cultura giuridica anglosassone. "No taxation without representation" era il motto delle tredici colonie inglesi che in America si ribellarono al trono britannico dando il via alla rivoluzione che si concluse con la nascita degli Stati Uniti d'America. Un principio che ha incardinato tutto il susseguente diritto liberale occidentale. Nessuno può essere sottoposto all'arbitrio del potere statuale. Ogni prestazione di tipo monetario, lavorativo o di altro genere, ad esempio la testimonianza davanti a una corte giudiziaria, che lo stato impone al cittadino deve essere prevista da una norma. Norma votata dal parlamento che è composto dai rappresentanti del popolo. Insomma ogni limitazione della libertà personale e patrimoniale deve essere giustificata da un atto normativo voluto da persone regolarmente elette. Questa norma costituzionale vuole rendere impossibile il sopruso. Lo stato non può e non deve privare i cittadini delle proprie ricchezze, materiali e morali, senza che non vi sia un chiaro scopo di interesse generale da perseguire indicato da una norma. Siamo lontani dagli oscuri tempi in cui lo stato poteva arbitrariamente costringere un cittadino a compiere lavori coatti. Siamo ben lungi dalla cultura medievale in cui il signore locale imponeva al suddito corveé e vessazioni inimmaginabili. Lo stato non può e non deve imporre prestazioni ingiuste. Se il parlamento attua una politica tributaria vessatoria verso il popolo, sarà punito attraverso il voto generale. I rappresentanti della nazione che hanno imposto gabelle ingiuste non saranno più rieletti, almeno questo si spera. Insomma lo stato è anch'esso sottomesso alla legge. Anche la Repubblica ha nella normativa nazionale il limite oltre il quale non può andare. Nessuna autorità statuale può imporre prestazioni lavorative, soprattutto se non retribuite o non compensate adeguatamente, senza che queste siano previste dalla legge e senza che vi siano motivazioni reali e inoppugnabili legati al bene superiore della nazione. In base a questo principio lo stato può imporre la leva, cioè il servizio militare obbligatorio, ai propri cittadini. Il governo della nazione può chiamare alle armi l'intera cittadinanza in caso di guerra e di pericolo per la nazione. Per questo lo stato può chiedere, se lo ritiene necessario, l'aiuto solidale di tutti davanti a gravi eventi naturali. Per questo lo stato può imporre l'espletamento di doveri civici. Ogni atto del cittadino imposto dallo stato deve essere teleologicamente motivato, cioè ogni gabella o lavoro coscritto deve avere una motivazione chiara e supportata quale compimento dei valori propri della Costituzione. Questo è uno dei principi più importanti, volto a garantire un rapporto trasparente tra cittadino e stato. Tutto ciò che è attività lavorativa, tutto ciò che è lavoro, tutto ciò che è un doveroso contributo alla cresciuta della nazione deve essere inciso fra le norme del nostro stato, votate da un'assemblea di "pari", cioè di cittadini, eletti da cittadini e chiamati a rappresentare tutti i cittadini, quale è il nostro parlamento.
testo di Giovanni Falagario