martedì 27 febbraio 2018

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 53

ARTICOLO 53

“Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.
Il sistema tributario informato a criteri di progressività.”

Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.

L’articolo 53 della Costituzione Italiana enuncia chiaramente che tutti coloro che vivono e hanno attività economiche nel nostro territorio, non solo i cittadini del nostro stato, devono pagare le tasse. Chiunque opera transazioni, attività di compravendita, attività finanziarie all’interno della Repubblica deve dare il dovuto allo stato. Anche gli stranieri che operano economicamente nel nostro paese devono contribuire  alle esigenze della nazione che li ospita o/e ospita le loro attività economiche. Insomma tutti devono contribuire, dando parte del loro reddito, a finanziare i servizi pubblici, le opere sociali, la sanità che lo stato offre ai cittadini e a coloro che vivono in Italia. Se gli ospedali e i trasporti pubblici possono funzionare è perché ci sono le tasse. Ogni persona che vive nel nostro paese deve contribuire alla spesa pubblica secondo la sua capacità. Chi non ha reddito non paga le tasse, vi sono molti atti normativi che esentano i cittadini che hanno entrate economiche bassissime a pagare l’Irpef, che sarebbe l’imposta personale, cioè la tassa che ogni hanno ogni singola persona e ogni società giuridica deve pagare allo stato. Ci sono molti sgravi fiscali, cioè riduzione delle imposte, per i genitori che hanno molti figli nella fascia scolare o comunque privi di un reddito proprio. Ci sono molti strumenti di perequazione sociale. Molti modi per permettere che chi ha meno risorse sia aiutato finanziariamente dallo Stato, mentre chi ha un alto reddito deve versare parte dei propri guadagni per finanziare i servizi pubblici. Il modello di tassazione può essere un validissimo strumento per rendere effettivo il principio di eguaglianza sostanziale sancito dall’articolo 3 della Costituzione. L’Italia rimuove gli ostacoli che impediscono la piena uguaglianza dei cittadini attraverso una saggia tassazione. Sono due gli elementi che hanno impedito, fin dagli albori della costituzione, la piena applicazione di questo articolo: la forte evasione fiscale che caratterizza il nostro paese e l’estrema complessità del nostro sistema contributivo. Crediamo che questi elementi siano due facce della stessa medaglia. L’evasione è favorita dalla farraginosità delle nostre regole. Le nostre norme sono complesse proprio perché sono improntate al, purtroppo vano, tentativo di scoprire gli evasori. L’evasione fiscale italiana è la più alta in Europa. Noi siamo il paese europeo in cui il fisco incassa meno del dovuto. È un problema serio. Chi froda il fisco mette in pericolo il sistema economico finanziario nazionale. Da una parte imbroglia, droga le regole del libero mercato, si mette in una condizione di privilegio e di forza rispetto a coloro che pagano le tasse. Ovviamente chi non paga il dovuto allo stato può utilizzare quelle risorse illecite per vincere la concorrenza. Dall’altro non pagare le tasse priva la comunità dei cittadini di quelle infrastrutture necessarie, quali strade, condutture e servizi, necessarie per una nazione moderna. Anche l’abuso edilizio, la costruzione di case senza il rispetto dei piani comunali di regolazione, è nei fatti un modo per frodare il fisco e per usufruire di servizi non dovuti. È uno scandalo che i governi scelgano di condonare, di perdonare, questi abusi invece di perseguirli. Questi abusi, non dimentichiamolo, causano crolli e morti. Comprendiamo chi si sente vessato dalla forte tassazione nel nostro paese. Rimaniamo sconcertati comunque dal profondo senso di inciviltà che caratterizza coloro che fanno fatture false, fomentano il lavoro nero, operano all’estero, nei cosiddetti paradisi fiscali, per defraudare lo stato e in buona sostanza per rubare la cittadinanza italiana intera. Occorre un cambio di passo. Occorre che in Italia tutti paghino le tasse, una efficace lotta all’evasione può risolvere molti dei problemi di finanza pubblica che attanagliano lo stato. Evasione non vuol dire solo il piccolo commerciante che non emette lo scontrino. Evasione è il ricco industriale che porta i suoi soldi all’estero senza pagare il dovuto allo stato italiano. È la forza politica che utilizza i fondi dello stato per finanziare il fondo sovrano della Tanzania, come ha fatto la Lega. Evasione è sinonimo di corruzione. Gli episodi legati a Banca Etruria, ad esempio, oltre ad aver provocato ammanchi finanziari, hanno prodotto anche evasione. Oggi la Lega e Forza Italia propongono un sistema fiscale non legato alla progressività ma alla proporzionalità. Secondo Salvini e Berlusconi il problema del nostro paese è da ritracciare nel secondo comma dell’articolo 53 della Costituzione, che impone ai cittadini di pagare le tasse non in proporzione al reddito ma in maniera progressiva. Cioè impone che chi più ha più paghi. Oggi la tassazione dovrebbe essere improntata a un principio che chi ha molti soldi dia una parte del suo reddito allo stato percentualmente maggiore rispetto a chi ha poco. La destra vuole scardinare questo principio. Chi è ricco deve pagare le tasse in percentuale uguale a chi possiede minor reddito. Se io guadagno 100 e c’è una tassazione al 10% devo pagare 10. Se il mio amico guadagna 1000 e c’è una tassazione al 10% paga 100. Attualmente invece chi guadagna di più paga proporzionalmente di più. Ha una tassa pari all’11% 12% del suo reddito. Questo per permettere un’adeguata perequazione sociale, una distribuzione di ricchezze. Questo meccanismo è scardinato dalla destra. Difficile dire se realmente questa politica invogli a investire nel nostro paese. Sarebbe più opportuno puntare non sulla difesa del reddito dei più ricchi, ma su agevolazioni nell’investimento. Sei ricco? Paghi meno tasse se investi!Se utilizzi il tuo reddito ultramilionario per creare posti di lavoro e imprese. Questo sistema di sgravi non sarebbe contrario al principio di progressività dell’articolo 52, che è indirizzato a favorire la ricchezza del paese. Più razionale, a mio avviso, è la scelta che fece il Governo Renzi, di ridurre l’irpef, la tassa sul reddito, a tutti i cittadini al disotto di un certo reddito. Quella fu una scelta che riduceva il peso fiscale, ma a beneficio di persone non abbienti. Berlusconi derise quella mossa, il dare 40 euro ai titolari di bassi stipendi. Disse: anche io faccio beneficenza, ricordando quando regalò una dentiera alla vecchietta terremotata dell’Aquila, ma la politica è altro, è difendere le finanziarie e le imprese e i loro guadagni. I cittadini italiani, secondo i sondaggi, daranno ragione a Berlusconi alle prossime elezioni, riporteranno la sua compagine politica al governo. Riprenderanno le azioni volte a difendere le grandi imprese, i grandi finanzieri che hanno fondi all’estero e gli evasori fiscali. Rimane l’articolo 52 che invece vorrebbe un’Italia diversa, più aperta al meno abbiente e meno propensa a difendere gli interessi dei super ricchi .


Scritto da Pellecchia Gianfranco


VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 53

ARTICOLO 52

“La difesa della patria è sacro dovere del cittadino.
Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e nei modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né i suoi diritti politici.
L’ordinamento delle Forze armate si ispira allo spirito democratico della nostra repubblica”.

Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
L’articolo 52 della Costituzione è dedicato alla difesa dell’Italia da parte di ogni cittadino. Il dovere più importante e, se vogliamo, più gravoso da compiere è difendere la patria. La Costituzione lo definisce come compito sacro. Difendere la patria vuol dire essere disposti anche a morire per lei. Per questo motivo l’articolo 52 della costituzione usa un termine che richiama alla sacralità di un gesto che ha profonde motivazioni morali ed etiche. Un termine che richiama il sacrificio, l’abnegazione, la consapevolezza di donare la nostra vita per un fine più alto, che travalica la nostra stessa esistenza. La Patria non è solo una parte di territorio del pianeta. La patria è una comunità di persone che hanno la stessa storia e gli stessi valori, difenderli vuol dire sentirsi parte di un percorso storico che poggia le sue radici millenarie nei gloriose gesta dei nostri avi. La Patria è il diritto che i nostri padri, i Romani, hanno lasciato in eredità al mondo. La Patria sono le strade dell’Impero Romano che due millenni fa collegavano tutto l’orbe conosciuto. La Patria è il Rinascimento, con le sue imponenti opere architettoniche, con le sue magnifiche sculture, con i suoi splendidi quadri e con le sue immortali opere letterarie. La Patria è la bellezza del territorio. La Patria sono tutti quei principi di solidarietà, libertà e uguaglianza che sono a base del nostro vivere sociale e sono scritti nella nostra Costituzione. È questo che il cittadino è chiamato a difendere. Queste sono le cose sacre che uniscono il paese, che fanno l’Italia una nazione indivisibile, come dice l’articolo 5 della Costituzione. La Patria è un’idea. La patria è cultura. La Patria è sogno di una civiltà in cui le glorie del passato possano illuminare la strada del futuro che noi siamo chiamati a percorrere. Questo deve difendere il cittadino. Questo dobbiamo difendere tutti noi. Chi ha la cittadinanza italiana ha il dovere morale di difendere il nostro stato. Lo deve fare con le armi se il nostro suolo  è invaso da un esercito straniero, come fecero i partigiani che si sacrificarono nella guerra contro l’esercito nazista, o come fecero i milioni di soldati durante la I guerra mondiale, sul fronte del Piave e del Grappa. Lo deve fare con la forza delle idee, quando un’ideologia o una filosofia intende scardinare i valori di solidarietà, uguaglianza e fraternità posti a base del nostro vivere sociale. Non ci sono solo le pistole per difendere la nazione. Ci sono le idee, le parole, che ben usate devono farsi latrici di un’idea di stato e di comunanza fra persone che si fondano sui valori iscritti nella nostra Costituzione. Ricordiamo con commozione i caduti per la patria in guerra. Ma con altrettanto coinvolgimento emotivo ricordiamo persone come Aldo Moro, Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e tantissime altre che non sono morte durante un conflitto bellico, ma sono morte per difendere i valori e i principi di legalità del nostro stato, colpiti e caduti per mano del vile terrorismo mafioso o brigatista. Anche quei martiri hanno difeso la patria. Noi siamo chiamati a difendere la nostra Italia non con atti eroici. Siamo chiamati a promuovere la sua bellezza, siamo chiamati a cambiare le cose che non vanno, siamo chiamati a vincere la corruzione e il malcostume che attanagliano le nostre istituzioni fino a farle morire. Questo dobbiamo fare. Cercare di vincere l’abiezione attraverso un comportamento moralmente ineccepibile. Noi siamo l’Italia. Noi siamo la Nazione. Noi dobbiamo difendere quei principi cardine del nostro ordinamento. Non dimenticando mai che è nostro dovere essere pronti anche a prendere le armi, se un nemico interno o esterno della nazione volesse conquistare l’Italia con la forza degli eserciti. Per questo motivo il secondo comma dell’articolo 52 impone il servizio militare obbligatori. Questo nell’ottica di un esercito di popolo chiamato a difendere il suolo patrio. L’Italia chiama i suoi cittadini alle armi quando il pericolo incombe. L’esercito di popolo, la chiamata alle ermi generali, è stata la caratteristica degli stati nazione dell’Ottocento e del Novecento. La Patria ha chiamato all’appello la meglio gioventù e la mandata a morire al fronte. Questo ci auguriamo che non accada più Ci auguriamo che le guerre non siano più usate come strumento per risolvere le controversie internazionali, ma che si usino gli strumenti del dialogo fra stati e la diplomazia, come auspicato dall’articolo 11 della Costituzione. Alla luce di questo si è pensato di dare una lettura più ampia del secondo comma dell’articolo 52. Si può servire la patria adoperandosi nella cooperazione internazionale, scongiurando così le tensioni latrici di guerra. Si può servire la patria anche attraverso il servizio civile, cioè l’impegno in gesti solidali verso le persone più bisognose. Insomma si può essere utili al paese anche senza imbracciare un arma. Ecco il senso della legge del 8 luglio 1998. Una legge che, a decorrere dal gennaio del 2005, sostituisce il servizio di leva obbligatorio con un esercito di soli professionisti, incrementando allo stesso tempo la spinta dello stato che invita donne e uomini al servizio civile. L’esercito è diventato di soli professionisti. Al contempo è stata data alle donne la possibilità di arruolarsi, superando un concetto vetusto che vedeva solo l’uomo in grado di difendere, armi in pugno, le sorti della nazione. Insomma oggi abbiamo un vasto settore sociale che si impegna nel volontariato e un esercito composto da professionisti, da esperti, che ha superato la divisione di genere e che si avvale del prezioso contributo di valenti donne che affrontano brillantemente la carriera militare. Noi che siamo cittadini Italiani, siamo chiamati a difendere la patria con la parola, con l’impegno quotidiano nel lavoro, con lo studio, con la nostra intelligenza che contribuisce a scoprire nuove cose e a combattere le ingiustizie e le brutture che ammorbano la nostra terra. L’ultimo comma dell’articolo 52 dice: L’ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica. L’esercito, la marina, l’aeronautica e i carabinieri sono istituzioni militari. Sono sottoposti a una disciplina ferrea. Sono ordinati gerarchicamente, colui che è situato in una posizione inferire nella scala di comando deve ubbidire al superiore. Questo principio non è messo in discussione dalla Costituzione. Rimane però un punto fermo. I militari non vivono fuori dal nostro sistema istituzionale. I valori fondanti di democrazia libertà e uguaglianza devono entrare nelle caserme. Sono i militari, anzi, che devono difendere con le armi questi principi. Ecco perché questi valori devono essere fatti propri anche nell’interno delle caserme. Si deve avere il coraggio di denunciare il superiore che non fa della Costituzione, della democrazia, il senso ultimo del proprio lavoro. Ci sono stati tanti militari, in molte parti del mondo, che hanno tradito la democrazia, che hanno tradito il proprio popolo, che hanno tradito le leggi del proprio stato compiendo golpe, colpi di stato, che hanno rovesciato l’ordinamento democratico. Ogni militare, dal più piccolo in grado al più alto, è chiamato a vegliare affinché in Italia questo non avvenga. È chiamato a inculcare anche all’interno delle caserme i valori di pluralismo di libertà di pensiero e di parola che la costituzione proclama valevoli per tutti i cittadini, militari compresi. Difendere la patria è un dovere, un dovere che i nostri militi fanno ogni giorno con abnegazione, di questo ne siamo profondamente grati. Difendere la patria vuol dire difendere i cittadini. Rimaniamo sbigottiti ripensando ai terribili gesti di alcuni militari compiuti nel 2001 a Genova, in occasione del G8. Questi hanno picchiato inermi cittadini, li hanno condotti in caserma e picchiati. Questo non è l’esercito italiano, non è la vera Italia. Sia chiaro la ricostruzione storica degli eventi ha chiarito che le vere colpe non furono dei militari, ma del governo allora guidato da Silvio Berlusconi che non è stato in grado di gestire l’ordine pubblico. La colpa è anche dei partecipanti alle manifestazioni che non si sono comportati con ordine decoro e disciplina. Rimane comunque che alcuni nostri militari hanno usato la violenza e ciò non è giusto .Il nostro esercito deve essere democratico, cioè stare vicino al popolo non picchiarlo e fargli violenza, questo è il senso dell’ultimo comma dell’articolo 52.


scritto da Pellecchia Gianfranco

domenica 25 febbraio 2018

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 50

ARTICOLO 50

“Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità”.

Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.

L’articolo 50  introduce una forma di democrazia diretta all’interno del nostro ordinamento. La comunità dei cittadini possono partecipare alla stesura e al dibattito di provvedimenti legislativi attraverso petizioni. Questo è un aspetto importantissimo del nostro ordinamento. Ognuno di noi, anche se non fa parte delle istituzioni, anche se non è stato eletto, può esporre le proprie idee che saranno dibattute e votate dalle assemblee dei nostri rappresentanti. L’istituto della petizione ha origini antichissime. Fin dall’antica Roma un suddito poteva appellarsi all’imperatore chiedendo grazia o proponendo una soluzione a problemi dell’impero. Con la nascita delle democrazie moderne, il governante o il legislatore deve ascoltare le richieste dei cittadini. Il Parlamento inglese, ad esempio, quotidianamente deve porre orecchio alle interpellanze del popolo compiute attraverso petizioni. Questo dovere è imposto da una tradizione plurisecolare che impone a coloro che detengono il potere di porre orecchio al popolo quale vero signore di fronte a una classe politica che lo deve servire. Negli Stati Uniti gli appelli al Congresso, la camera dei rappresentati americana, sono regolati dalla Costituzione e dagli emendamenti a questa, che raccolgono i diritti dell’uomo e dei cittadini. Insomma la possibilità da parte del popolo di partecipare alla attività normativa dello stato è una delle caratteristiche comuni a tutti i governi democratici. Purtroppo le proposte di legge a iniziativa popolare non sono molto tenute in considerazione nel nostro parlamento. In realtà non è mai capitato che una legge nascesse da iniziativa dei cittadini. Tutte le proposte di legge del popolo da quando è nata la repubblica non sono mai state approvate. Questo malgrado il dovere che ha il parlamento di dibattere almeno una volta in una commissione competente per materia la proposta. In questi decenni, ad onor del vero, alcune proposte di legge popolare sono state inglobate in provvedimenti legislativi di iniziativa o parlamentare o governativa simili. È un modo per prestare orecchio alla voce del popolo. Ma non basta. Sarebbe necessario che si facesse di più. Sarebbe auspicabile ad esempio che i regolamenti delle due camere imponessero che una proposta di legge o una petizione popolare fosse necessariamente dibattuta in aula. Questo consentirebbe almeno che la proposta sia discussa pubblicamente. Questo sarebbe un modo per attuare l’articolo 50, che nei fatti non è mai stato applicato, pur avendo contenuti ideali e giuridici di grande spessore. Le forme di democrazia diretta, come è appunto la petizione e l’iniziativa popolare di provvedimenti di legge, vanno utilizzate. È bene che ogni cittadini partecipi alla vita delle istituzioni statuali. Solo così potremmo superare quello iato che divide lo stato da noi comuni esseri umani. La partecipazione è uno strumento per esercitare la libertà non scardinando le regole di convivenza. Sapere che si può dire la propria, senza rompere sedie senza fare violenza, è un modo per diventare cittadini migliori e per rendere la nostra Italia migliore.


Scritto da Pellecchia Gianfranco

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 48

ARTICOLO 48

“Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età.
Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è un dovere civico.
La legge stabilisce requisiti e modalità per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti all’estero e ne assicura l’effettività. A tale fine è istituita una circoscrizione Estero per l’elezione delle Camere, alla quale sono assegnati seggi stabilito da norma costituzionale e secondo criteri determinati dalla legge.
Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge”.

L’articolo 48 è il primo dei sette articoli che fanno parte del titolo quarto della prima parte della Costituzione. Queste norme costituzionali regolamentano i rapporti politici fra i cittadini. Determinano le libertà politiche e i doveri civici propri di ogni membro della Repubblica. L’articolo 48 apre questa parte della costituzione proclamando che ogni cittadino è chiamato ad eleggere i propri rappresentanti nelle istituzioni. Ogni cittadino è elettore. Il termine “elettore” deriva dal verbo latino “eligere” che vuol dire scegliere. Ogni cittadino è chiamato a scegliere. Se si è acquisita la maggiore età, attualmente la si raggiunge a diciotto anni, si può concorrere alla vita pubblica nazionale attraverso il proprio voto. In passato, agli albori della nostra Repubblica, la maggiore età si acquistava a ventuno anni. La legge del 20 marzo 1970 ha abbassato la soglia in cui si acquista la capacità d’agire. Le elezioni comportano la partecipazioni attiva di tutti i cittadini maggiorenni alla vita delle istituzioni. Eleggendo senatori e deputati si delega loro il compito di fare le leggi, di accordare la fiducia al governo, di determinare in questo modo i destini della nazione. Siamo chiamati a eleggere i membri di altri organi costituzionali e di rilevanza costituzionale:le Regioni, i Comuni.  È una responsabilità gravosa. Impone una coscienza critica a tutti noi. Bisogna aver consapevolezza che i destini del paese sono affidati alle nostre mani. Nessuno è esentato da questo obbligo morale. Con la nascita della Repubblica, nel 1946, per la prima volta nel nostro paese è stato introdotto il suffragio universale. Per la prima volta anche le donne hanno partecipato alle consultazioni elettorali. Non solo hanno votato, ma alcune illustri esponenti della vita sociale dell’epoca si sono candidate e sono state elette all’assemblea Costituente il primo consesso di rappresentanti del popolo in Italia, la prima assemblea realmente democratica, perché eletta da tutti i cittadini. Da allora passi avanti ne sono stati fatti. Forti dell’articolo 48 le donne hanno sempre più partecipato alla vita pubblica, le loro idee hanno contribuito fortemente alla crescita della nazione. Lo stato è diventato più forte e migliore grazie al loro prezioso apporto. Insomma il voto esercitato dalla totalità dei cittadini, senza distinzione di sesso e censo, ha portato il paese a crescere culturalmente e idealmente. I cittadini sono diventati protagonisti della vita della nazione. I grandi movimenti di protesta e di partecipazione alle decisioni che riguardano gli interessi generali sono il frutto della grande spinta partecipativa che l’articolo 48 ha prodotto. Il voto è personale. Non vi può essere una delega al voto. Nessuno può dare mandato ad altri a votare. Ci sono casi limite, quali il voto per corrispondenza e per committenza. Sono casi in cui il cittadino non è in grado di esercitare in prima persona il proprio diritto e dovere di voto. Ma la committenza non è un delegare il voto. La lettera o la delega al voto non è un dare ad un altro il proprio diritto a votare. Il voto è un diritto inalienabile. È solo un affidare ad altri la propria volontà. Il delegato non sceglie il candidato, esprime la volontà del delegante, secondo modalità rigidamente previste dalla legge. Il voto è libero. Nessuno deve essere influenzato nella scelta. Nessuno deve subire condizionamenti e ricatti nell’esercizio della propria funzione di elettore. Il voto di scambio, pessimo costume oltre che un reato penale, è un vero e proprio flagello. In cambio di favori di natura economica l’elettore si fa corrompere. Questo costume rende la democrazia più debole. La compravendita di voti è un atto spregevole. Da pochi anni è stato introdotto il reato di “voto di scambio”. È una legge fondamentale. Grazie a questa norma i giudici hanno strumenti per incriminare coloro che inquinano il sistema politico piegandolo a fini di interesse economico e, cosa gravissima, malavitoso. La politica non può essere piegata al crimine. Il paragrafo terzo dell’articolo 48 è stato inserito solo recentemente nel corpus costituzionale. La legge costituzionale del 17 gennaio 2000 l’ha scritto e ha introdotto il principio che anche i cittadini italiani residenti all’estero possono votare. È una novità assoluta per il nostro sistema elettorale. Prima i nostri connazionali che vivevano loro vita lontani dal nostro stato non potevano votare, mancando di un requisito quale la residenza nel nostro territorio. È il tema del “sangue” caro alla destra italiana. Chi è figlio di genitori italiani ha diritto a votare. È una battaglia voluta e vita dal ministro Tremaglia, anello di congiunzione e ponte ideale fra la destra mussoliniana di ottanta anni fa e la destra berlusconiana di oggi. Bisogna notare che al di là del tema della razza, dare il diritto di voto a chi vive lontano è giusto. È d’obbligo notare che per chi non è di destra,. Per chi non crede nella razza, il diritto di voto ai cittadini italiani residenti all’estero è complementare al diritto di voto e alla cittadinanza per coloro che sono nati e vivono in Italia, ma che sono figli di persone con cittadinanza straniera. Per chi crede nei valori civici di inclusione e di partecipazione collettiva, una legge che dà la cittadinanza a queste persone è necessaria e indispensabile. La partecipazione alla vita pubblica attraverso il voto rende le persone responsabili. Sarebbe un modo per far crescere queste persone che già vivono con noi, già studiano con i nostri figli, già sono compartecipi delle vita sociale del paese. Fa un po’ impressione pensare che persone che vivono da sempre a New York, non avendo alcun legame con l’Italia, possono votare per il nostro parlamento, perché figli di Italiani e invece il nostro vicino di casa, il compagno di scuola di nostro figlio, con cui abbiamo magari da poco festeggiato il diploma, non possa votare perché figlio di stranieri. È un concetto difficile da accettare per uno come me che non crede ai principi della razza propugnati da Lega e Forza Italia. È un concetto difficile da digerire per chi scrive che considera le reggi razziali del 1938 non un atto di un grande statista (sono le parole di Silvio Berlusconi su Benito Mussolini), ma un atto deprecabile. Deve essere chiaro che chi non aderisce a Forza Italia, Lega e gli altri partiti di destra ha una visione dell’umanità che prescinde da ogni discriminazione legata al concetto di “razza”. Bisogna aprire un fronte di confronto basato su idee e valori, non sulla violenza. Gli scontri nelle piazze fra appartenenti a Forza Italia, Lega e casa Pound da una parte e centri sociali dall’altra sono deprecabili. È doveroso notare che ha ragione Silvio Berlusconi quando dice che la violenza è soprattutto a sinistra. Sono pochi i candidati di Lega e Forza Italia che prendono le armi, come è successo a Macerata. Mentre sono tante le manifestazioni di violenza dell’estrema sinistra nelle piazze. Ma non è vero che l’alternativa è l’estrema destra, capeggiata dall’ex cavaliere e da Salvini, promotrice dell’idea della razza, è l’estrema sinistra. C’è un’Italia che è legata ai valori civici, un’Italia dell’inclusione e della tolleranza, questa deve far sentire la propria voce per far placare gli opposti estremismi.  L’ultimo comma della costituzione prevede che chi ha avuto una condanna penale non può essere annoverato fra gli elettori, non può partecipare alle consultazioni elettorali, è espulso dalle attività di compartecipazione alla vita politica del paese. Può essere inibito al voto colui che è manifestamente indegno per atti che hanno nociuto alla vita pubblica del paese, gravi atti penali. Oppure non ha diritto al voto colui che ha commesso reati ed è stato condannato in via definitiva all’ergastolo. Chi viola legge, chi compie atti violenti e di frode gravi e gravissimi, non deve concorrere alla politica dello stato. È un principio chiaro, ribadito anche dalla legge recentissima voluta dal ministro della giustizia Severino, che espelle dal parlamento che, pur eletti in parlamento, sono stati condannati in via definitiva per gravi reati penali. Questo principio è fortemente contestato dagli elettori di lega e Forza Italia. Silvio Berlusconi, a nome di tutti gli elettori di destra, si è fatto latore di una difesa dei condannati in via definitiva davanti alla corte europea dei diritti dell’uomo. Ha impugnato la legge Severino. Staremo a vedere se hanno ragione coloro che votano Lega e Forza Italia, che asseriscono che chi commette reati penali anche gravi ha diritto a stare in parlamento. Sarebbe bene che, se avessero ragione loro, si cambiasse repentinamente l’articolo 48 nell’ultimo comma, che esclude i condannati dal diritto di voto

Scritto da Pellcchia Gianfrando

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE ARTICOLO 49

ARTICOLO 49

“Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.”

Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.


L’articolo 49 della Costituzione Italiana sancisce il diritto di ogni cittadino a concorrere alla vita democratica del paese. Questo è il concetto cardine che esprime. Nessuno ha diritto a far tacere l’altro. Tutti devono aver pari titolo nel decidere dei destini del paese. Come fare perché questo dettame costituzionale prenda forma? Utilizziamo i partiti, libere associazioni di cittadini, per fare in modo che tutti partecipino alla politica nazionale. Il partito diventa tramite fra stato e cittadino. Il partito è un corpo intermedio attraverso il quale il cittadino fa sentire la propria voce nelle istituzioni. Ma il partito non è solo una “cinghia di trasmissione”, come si diceva in passato, fra istituzioni pubbliche e singolo cittadino. Il Partito è anche luogo di confronto ideale fra le persone. È una palestra ideale in cui si forma un’idea di stato e un modo di governare la nazione. È lampante che non vi possa essere una sola visione del mondo e della società. Non vi può essere un solo partito che governa i destini di un paese. La pluralità di individualità e di idee, caratteristica di ogni società, deve esplicitarsi anche nella politica con la presenza di una pluralità di organizzazioni politiche che si sfidano nell’agone democratico. Quando una visione del mondo e delle cose vuole prevaricare sulle altre. Quando un partito impone l’abolizione degli altri partiti. Così sorgono i regimi totalitari. Ce lo ricorda la triste parabola del partito fascista in Italia nella prima parte del XX secolo. Ce lo ricorda la storia del partito nazista in Germania, con gli esiti tragici che ha prodotto la follia totalitaria di Hitler. Ce lo ricorda la parabola di morte che ha assunto la storia del partito comunista in Russia. Quando un partito e i suoi leader vogliono eliminare ogni avversario, vogliono imporre la loro idea con la forza e non con la ragione, allora si genera solo guerra e morte. Questo i nostri padri costituenti l’avevano ben presente. Scrivevano la Costituzione all’indomani di una guerra tragica, che il duce, Mussolini, aveva voluto incurante dei milioni di morti e delle sofferenze che avrebbe procurato all’intera nazione. Allora è necessario che la democrazia sia preservata. È necessario impedire che un uomo, una sola organizzazione politica, prenda in mano le redini del paese. Sia chiaro non si sta dicendo che se un partito prende il 50% + 1 dei consensi non debba formare e guidare da solo il governo del paese. Si sta dicendo che governare è cosa diversa dal comandare, o dall’imporre con la forza il proprio volere. Un partito che avesse la maggioranza dei consensi deve condurre il paese, ma lo deve fare rispettando i principi cardine di libertà di parola, di libertà di fare opposizione politica. Deve garantire che una volta che finirà il suo mandato sia possibile fare nuove elezioni libere e democratiche. Deve garantire che il paese respiri l’aria di libertà, che consiste nel diritto di dire ciò che si vuole anche se si è minoranza. Questi principi cardine dell’ordinamento democratico non devono essere mai messi in discussione. I partiti devono rendere la vita sociale del paese migliore garantendo la pluralità e il confronto. Ma cosa si intende per partiti? Partiti sono le organizzazioni, che ponendosi come fine plurali finalità sociali, uniscono alcuni cittadini in un progetto comune. L’unico chiaro limite alla formazione dei partiti è che devono essere democratici, cioè devono avere una struttura interna che garantisca che vi siano delle assemblee, dei congressi, degli incontri degli aderenti e degli iscritti per determinare sia la dirigenza del partito o organizzazione politica e le linee politiche più importanti. Questo è necessario. Ogni partito deve garantire la partecipazione interna. Non basta il voto degli elettori per garantire la democrazia, occorrono regole interne che rendano trasparenti gli atti politici delle organizzazioni. Lo stato, la repubblica, considera illegali i partiti che non hanno nella democrazia i suoi cardini fondamentali. L’articolo XII delle disposizioni Transitorie e finali della Costituzione vieta tassativamente la riorganizzazione del disciolto partito fascista. È una norma cardine. Partiti che predicano la violenza, che credono che ci sia una “razza” migliore delle altre, che ha diritto di comandare e di sterminare gli altri, partiti che perseguono gli oppositori, non possono avere posto nell’arco costituzionale, devono essere sciolti. La libertà di formare partiti non deve tracimare nella possibilità di violare i principi di dignità umana, di pluralità, di rispetto per il prossimo cardine dello stato repubblicano. I Partititi devono essere democratici, se no, non sono. Non hanno diritto a cimentarsi alle elezioni, e non solo, non hanno diritto a partecipare alla vita sociale del paese. Questo vale anche per i pseudo partiti di sinistra estrema che predicano la violenza e la prevaricazione. Fa rabbia la dichiarazione del leader politico di destra Silvio Berlusconi. Davanti alle critiche rivolte a Forza Italia, Lega ed alleati di essere di estrema destra, il cavaliere ha risposto facendo notare che l’alternativa allo schieramento di destra, che annovera esponenti del fascismo, sono i centri sociali che assaltano le camionette della polizia. Fa rabbia costatare che ha ragione. Che il dibattito politico in queste elezioni sia monopolizzato dall’estrema destra di lega e Forza Italia e dalla violenza dell’estrema sinistra. Dove sono i partiti costituzionali? Dov’è il PD? Dov’è il Movimento Cinque Stelle? Queste organizzazioni devono dare una risposta forte, ancora solo blaterata. Devono dire che una democrazia in Italia è ancora possibile! Che il dibattito politico non è relegato ai violenti. Che la democrazia e il principio di pluralismo scritto nell’articolo 49 è ancora raggiungibile. Che Berlusconi ha torto nel dire che il confronto politico si fa fra chi spara ai migranti, come ha fatto un esponente della Lega a Macerata qualche giorno fa, e chi assalta le camionette delle polizia.

Scritto da Pellecchia Gianfranco

giovedì 22 febbraio 2018

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 47

ARTICOLO 47

“La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito.
Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese”

Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.

Quando è stata scritta la nostra Costituzione l’Italia era appena uscita dalla tremenda tragedia della Seconda Guerra Mondiale. Il paese era distrutto. Le infrastrutture erano quasi inesistenti. Non c’erano strade. I mezzi di trasporto erano insufficienti ai bisogni del paese. Le grandi e piccole fabbriche stentavano a riprendere le loro attività produttive. Le infrastrutture industriali erano in parte distrutte, bombardate dagli aerei americani oppure saccheggiate dall’esercito nazista invasore. Solo alcune fabbriche del nord erano state salvate dalla valorosa difesa dei lavoratori, che avevano così contribuito alla lotta partigiana contro la barbarie nazifascista. Le industrie di Torino, Milano e Genova erano state gli scenari di atti d’eroismo e di scioperi contro l’occupazione straniera. Molti operai saranno insigniti della medaglia d’oro alla resistenza. L’articolo 47 vuole essere di stimolo alla rinascita della economia del paese. I padri costituenti intuirono che nel piccolo accumulo di ricchezze è la chiave del benessere delle nazioni. Bisognava che tutti i cittadini potessero accedere al risparmio. Bisognava che tutti avessero la possibilità di accumulare ricchezze per poter costruire una vita il più possibile serena. Il denaro doveva servire a vincere la fame, l’inedia, che attanagliava il paese. Alla luce di questo è compito della Repubblica garantire a tutti l’accesso al credito. Ovviamente non dando soldi a pioggia, come nel paese di Bengodi. Ma operando affinché in tutta la penisola vi sia un sistema bancario uniforme che abbia come finalità principale quella di finanziare i progetti dei cittadini più operosi. Il sistema bancario dovrebbe essere strumento di interscambio fra risparmio e investimento. Chi vuole depositare in banca  il frutto del suo lavoro deve sentirsi certo che i propri soldi siano ben custoditi. Chi vuole comprare una propria casa, non avendo i mezzi economici sufficienti, può chiedere in banca un mutuo agevolato, perché la Costituzione sancisce il diritto alla casa e promuove normative atte ad agevolarne l’acquisto attraverso il credito bancario. L’imprenditore che ha un progetto industriale valido deve chiedere finanziamenti agli istituti di credito. La banca deve concederglieli, perché la sua finalità è quella di far crescere l’economia reale del paese, creare in tal modo nuovi posti di lavoro e favorire il benessere generale. Insomma il sistema bancario deve essere strumento per adempiere il dettato costituzionale ricordato nell’articolo 41 della nostra carta fondamentale, che consiste nel favorire la libera iniziativa economica del singolo e di più persone associate. Bisogna notare che il diritto alla abitazione è sancito non solo dal nostro ordinamento costituzionale, ma anche dall’articolo 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Insomma il consesso delle nazioni, assiso al palazzo dell’ONU, ha riconosciuto come l’accesso al credito per acquisire l’abitazione è da considerarsi un diritto universale dell’umanità. Questo ci fa inorgoglire. La Costituzione italiana è stata scritta prima della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Sapere che i nostri padri costituenti sono stati precursori di un concetto in seguito riconosciuto come valore universale ci deve far meditare sul valore giuridico e morale della Costituzione. Importantissimo è il ruolo della Banca d’Italia questa ha il compito di vegliare affinché il credito e la circolazione interbancaria sia fatta con la massima trasparenza e secondo politiche economiche atte a prevenire dissesti finanziari. Quest’opera di controllo è coadiuvata dal Comitato interministeriale per il Credito e il Risparmio. Il ruolo della Banca d’Italia è stato ridimensionato con la nascita del sistema bancario unificato europeo e la fondazione della Banca Europea (BCE) e la nascita della moneta continentale (EURO). Dal 2001 la stampa e il controllo della circolazione del denaro è affidato alla BCE, le banche delle nazioni che aderiscono alla moneta unica europea hanno un ruolo di minore importanza. Ciò non toglie che il controllo da parte della Banca d’Italia sullo stato del sistema bancario italiano è indispensabile. Le crisi Bancarie che hanno segnato il paese in questi anni ci devono essere da monito. La cosiddetta Banca del Nord, la banca che doveva finanziare il partito “Lega Nord” e il suo progetto di costruzione dello stato Padano, ha portato gravi perdite ai risparmiatori e grandi nocumenti allo stato italiano, che ha dovuto coprire gli ammanchi. Uguale episodio è successo in Veneto, in cui banche legate alla Lega e a Forza Italia, partiti politici di destra, hanno distratto ingenti quantità di denaro per favorire imprenditori vicini ai capi politici dello schieramento di destra. In Toscana è successo che una banca, il Monte dei Paschi, sia quasi fallita per le sue commistioni con la sinistra, con il Partito Democratico e la sua dirigenza locale. Uguale sorte ha avuto “banca Etruria”, un altro istituto bancario toscano, nel cui consiglio di amministrazione faceva parte il padre del ministro Maria Elena Boschi, esponente di spicco del PD. È da notare che mentre la destra aumenta consensi quando si scoprono le sue connivenze con la finanza, alle prossime elezioni risulterà maggioranza nel paese, la sinistra perde voti. Il perché è facilmente intuibile. Silvio Berlusconi e Matteo Salvini hanno una politica semplice. Chiedono, senza infingimenti, voti per agevolare chi sa maneggiare il denaro. Le politiche finanziarie dei governi di destra hanno sempre fatto la felicità di chi aveva soldi all’estero e fondi neri, questa coerenza è stata sempre premiata dagli elettori. La sinistra ha avuto un ruolo ambiguo. A parole ha sempre voluto difendere il microcredito e i risparmiatori, quelli che guadagnano con loro lavoro, e ha sempre voluto combattere l’evasione fiscale. Ma la sua politica non è apparsa vincente sempre. Per questo motivo l’elettorato preferisce la Lega e Forza Italia che hanno difeso sempre coerentemente il patrimonio degli speculatori. La Costituzione invece, come dice l’articolo 47, vorrebbe che il denaro non fosse fine a se stesso. Vorrebbe che il denaro servisse a favorire l’acquisto di case per i senza tetto, pensiamo ai  terremotati che vivono in abitazioni precarie in molte zone d’Italia. Vorrebbe favorire l’agricoltura con forme d’investimento e con il credito agricolo. Vorrebbe che i soldi non servano per investire in Tanzania, mi riferisco all’investimento che ha fatto la Lega Nord con i soldi che lo stato ha erogato al partito, ma a finanziare le piccole e grandi aziende italiane, come fa il Movimento Cinque Stelle con l’apertura di un fondo per il microcredito. Utilizzare i soldi pubblici e delle banche è possibile. Basta adempiere i dettami costituzionali. Basta utilizzare con efficacia il cosiddetto prestito d’onore. Prestiti a tassi molto agevolati se non addirittura a tasso zero, che servono a finanziare studenti che non hanno i soldi necessari per pagarsi gli studi, famiglie bisognose, associazioni di volontariato e attività di impegno sociale. Il credito e il risparmio devono finanziare la parte migliore del paese. Non si cresce solo accumulando danaro, si cresce culturalmente e umanamente attraverso la solidarietà fra cittadini. Le banche devono saper conciliare il bisogno di non mettere in pericolo gli equilibri finanziari nazionali e la necessità di fornire microcredito. Senza dubbio è meno pericoloso per la nostra nazione che si presti soldi al volontariato, invece di agevolare gli oscuri e birbanti disegni di accumulo finanziario orditi da loschi figuri vicini alla politica e alla finanza. Ancora una volta la costituzione mostra la via corretta da perseguire, l’articolo 47 invita all’uso sociale del denaro bancario, invece la politica si mostra riottosa ad assolvere il ruolo solidale a cui è chiamata.

Scritto da Pellecchia Gianfranco



mercoledì 21 febbraio 2018

AGGREDITO LEADER DI FORZA NUOVA



ESCALATION DI VIOLENZA
Lascia basiti l'episodio avvenuto a Palermo ieri, 20/02/2018.Massimo Ursino, responsabile provinciale parlermitano di Forza Nuova, è stato brutalmente picchiato. L'uomo è proprietario di una palestra del capoluogo siciliano, che è stata in passato bruciata. Il movente sembra chiaramente politico. I movimenti di sinistra legati ai centri sociali hanno compiuto il vile attentato. E' l'ennesimo scontro fra estrema destra, Forza Italia lega, Casa Pound e Forza Nuova, con l'estrema sinistra organizzata. Anche a Palermo come a Macerata si fa politica con le armi e i bastoni. Nelle Marche fu Luca Traini, ventottenne candidato al comune maceratese per la Lega di Salvini, ad usare una pistola per sparare alcuni colpi di arma da fuoco sui migranti fermi in piazza.Oggi un non identificato esponente della sinistra surrezionalista picchia un esponente della destra. Lo sdegno è profondo. La politica deve essere estranea ad ogni tipo di violenza. Sarebbe meglio un invito alla moderazione. Lo scontro fra destra e sinistra extraparlamentare sta assumendo forme impensabili. Mentre l'arco costituzionale moderato, in primo luogo il Partito democratico, ma anche Movimento Cinque Stelle e gli altri partiti dell'arco costituzionale rimangono silenti. Bisogna dire basta a tutto ciò. Bisogna riconoscere il bisogno di moderazione nella politica. Basta all'estremismo. I gesti sconsiderati sono il frutto della violenza dialettica. Sia chiaro ha ragione Berlusconi nel dire "il nostro Traini è meglio di chi picchia i poliziotti", ma ci auguriamo che sbagli nel dire che lo scontro dialettico sulle idee sia solo fra la destra e l'estrema sinistra. I sondaggi gli danno ragione. La coalizione di Traini, cioè la colazione Forza Italia e Lega, si avvia a diventare maggioranza al senato e alla camera alle prossime elezioni, ma l'alternativa a questo stato di cose non è l'estremismo di sinistra, non sono i centri sociali che assaltano le camionette della polizia o picchiano il povero Massimo Ursino. L'alternativa è un arco costituzionale che rifiuta la guerra (la violenza) come dice l'articolo 11 della Costituzione Italiana. Per un gioco assurdo della legge elettorale l'estremismo di destra, assestato a un pur ragguardevole 35%, ma sempre minoranza nel paese, potrebbe avere la maggioranza in parlamento. Proviamo a scongiurare questa sciagura. Proviamo a convincere i nostri interlocutori a non votare Lega, Forza Italia e i suoi alleati e a scegliere la via moderata. A sinistra gli estremisti neanche si candidano, sanno di non avere chance. Speriamo che in futuro avvenga anche a destra. Ma la cosa più importante è che non avvengano più episodi di violenza come quello che ha dovuto subire Massimo Ursino a Palermo. Spero che la moderazione prevalga sempre.
Testo di Giovanni Falagario

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 46

ARTICOLO 46

“Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei limiti e nei modi stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”

Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
Il lavoro è dignità. Questo è uno dei principi cardine della Costituzione Italiana che si fonda sul lavoro, come dice il primo articolo della nostra legge fondamentale. Alla luce di questo assioma l’articolo 46 è un corollario necessario. I lavoratori devono essere protagonisti del loro destino. Devono essere parte necessaria nella conduzione e nella gestione del progetto d’impresa di cui fanno parte. Il lavoro serve ad elevare l’uomo. Serve a offrirgli gli strumenti per realizzare la propria esistenza. Serve a dargli un reddito. Serve a offrirgli una vita serena e a formare una famiglia. È necessario che l’impegno profuso sia in armonia con la vita e con il progetto di un futuro migliore. Ecco perché è giusto che i lavoratori siano compartecipi delle scelte aziendali. Devono fare proprie quelle che si definiscono politiche aziendali, devono concordarle con il proprio datore di lavoro.  E’ possibile ottenere questo scopo creando spazi di dialogo fra consiglio d’amministrazione aziendale e rappresentanti dei lavoratori. E’ possibile creare raccordi fra il managment e l’operaio. Questi coordinamenti sono stati sperimentati in molte industri, con ottimi risultati, vedi il caso Olivetti degli anni ’50 del secolo scorso.   L’elevazione economica e sociale dell’intera società italiana è perseguibile attraverso un proficuo rapporto dialettico fra le parti sociali. Il lavoratore deve essere parte in causa delle politiche aziendali, locali e nazionali. Questo principio è scardinato dalla realtà che viviamo oggi. Le imprese industriali sono sorde ai valori umani. Si permettono di compiere scelte economiche senza tenere conto degli effetti che hanno sul territorio. Le fabbriche inquinano, incuranti della salute degli operai e dei cittadini che vivono vicino al sito industriale. Abbiamo sotto gli occhi i casi drammatici che leggiamo sui quotidiani. L’Ilva, acciaieria di Taranto, per decenni ha ammorbato con i suoi fumi la città incurante degli effetti malefici sui propri dipendenti e oggi vive una crisi legata all’acciaio che rischia di far perdere migliaia si posti di lavoro. Il caso della Wirpool , fabbrica di frigoriferi sita in Piemonte, che sceglie di portare la produzione all’estero, incurante dei propri operai che perderanno il posto di lavoro. In molte fabbriche e aziende si procede a licenziamenti e ad espulsioni incuranti dei valori di solidarietà e di comunanza propri della Costituzione. Il lavoro non solo è inascoltato e perfino vessato. Pensiamo alle migliaia, forse milioni, di persone che hanno perso il lavoro. Alle genti che hanno perso tutela e sicurezza. Persone la cui dignità è messa in discussione da meri interessi economici. Ove sei costituzione! Perché solo i cattolici oggi si elevano a difesa di coloro che perdono il lavoro? Perché solo papa Francesco a speso parole forti a favore dei più deboli, dei meno fortunati, di coloro che vivono una vita precaria. La solidarietà verso chi perde il lavoro, perde certezze, non deve essere solo appannaggio del cattolicesimo. È la Costituzione che impone a tutti, anche a chi non professa la fede in Cristo, ad essere solidali con chi è in procinto di perdere il posto di lavoro. È ora di reagire. È ora di imporre una politica economica fondata sull’etica. Niente licenziamenti. Niente politiche economiche escludenti. Niente chiusure di fabbrica. La gestione dell’impresa deve essere compartecipata. La produzione, le leggi del guadagno, devono fare i conti con gli interessi dei lavoratori. Interessi che consistono semplicemente nell’avere un’occupazione e una retribuzione adeguata. I lavoratori devono essere protagonisti della loro vita. I lavoratori devono partecipare alle scelte del consiglio d’amministrazione dell’impresa di cui fanno parte. A questo punto urge affermare con forza una cosa. Basta con l’idea che noi italiani siamo solo consumatori. Noi siamo cittadini. Siamo compartecipi di un progetto nazionale che si fonda anche su una sana economia industriale. E’ ora di dire: se l’azienda di frigoriferi non vuole fabbriche in Italia, noi Italiani non compriamo quei frigoriferi. Se un’azienda telefonica ha callcenter o uffici all’estero non ci serviamo di lei per chiamare. Anche questa è compartecipazione al lavoro. Essere cittadini consapevoli che le nostre scelte di consumatori possono determinare i nostri destini. Deve essere chiaro che se un’azienda rinuncia a produrre in Italia, rinuncia al mercato italiano. Solidarietà è questo. Avere la capacità di condividere le tragedie dei nostri concittadini. Chi perde il proprio posto di lavoro subisce un trauma gravissimo. Le leggi di mercato non possono giustificare il dolore inferto a un uomo o una donna che con il posto perde anche la propria dignità. Cambiare è necessario. Pensare ad un’economia che tiene al centro la persona è possibile. Basta che si facciano propri i dettami della Costituzione Italiana che mette al centro il lavoro come mezzo per tutelare la persona umana e non come mero atto speculativo fondato sui guadagni e sui dividendi da dare agli azionisti, che incuranti mettono in tasca soldi magari acquistati sulla pelle dei lavoratori. L’Italia deve avere gli strumenti necessari per rendere il lavoro migliore. È d’obbligo che lo stato vegli sull’economia. È necessario pensare una strategia collettiva che sia in grado di affrontare e superare le sfide che il secolo XXI ci impone. L’Italia deve essere unita, deve pensare al domani come una marcia in cui nessuno deve essere lasciato indietro. Deve pensare ad affrontare le difficoltà come se fosse un unico corpo sociale. Questa è anche compartecipazione. L’idea che è possibile lavorare insieme, ognuno nei propri ambiti e con le proprie competenze alla crescita del paese. Alla luce di questo non appare impossibile, anzi appare auspicabile, che i lavoratori partecipino attivamente alla gestione delle aziende in cui prestano il loro servizio, magari partecipando agli utili e subendo le perdite che i marosi finanziari possono comportare, ma sempre con lo spirito di corpo che deve caratterizzare il lavoro. Io sono accomunato dallo stesso destino del mio collega, io sono solidale con lui e sono fedele all’azienda in cui lavoro. È questo il pensiero che deve vibrare nel cuore di ognuno!


Scritto da Pellecchia Gianfranco

martedì 20 febbraio 2018

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 45

ARTICOLO 45

“La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità.

La legge provvede alla tutela e allo sviluppo dell’artigianato”

Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
La Costituzione ha come fondamento la solidarietà fra gli uomini e le donne. In base a questo principio cardine si fondano molti articoli della nostra carta fondamentale. Uno di questi è proprio l’articolo 45. In esse si scrive che la Repubblica riconosce la funzione sociale della mutualità. Riconosce l’importanza dello sforzo dei lavoratori e degli utenti di aiutarsi vicendevolmente nel perseguimento di uno scopo comune. Uno scopo che non deve essere quello del guadagno o meglio della speculazione, ma quello di avere servizi e utenze volte a migliorare la vita. Insomma la costituzione intende incentivare la cooperazione fra le persone. Un obbiettivo comune si raggiunge se si lavora insieme. Ecco perché la legge ordinaria, ottemperando ai dettami costituzionali, incentiva e tutela, con opportune agevolazioni fiscali e di natura legale, il mondo cooperativo. Questa realtà è variegata. Vi sono cooperative di consumatori che hanno la finalità di tutelare i propri soci in quanto acquirenti. Ci sono cooperative di servizi, che hanno lo scopo di fornire un servizio ai soci di svariato carattere. Ci sono cooperative che si occupano di sanità, di trasporti. Non ci sono solo cooperative di utenti, ci sono cooperative composte da prestatori di mano d’opera. I lavorati si mettono insieme, si danno un’organizzazione stabile, al fine di offrire un servizio a privati ed aziende. La cooperativa non ha finalità di lucro, ha la finalità di permettere ai propri soci di lavorare e di ottenere un giusto guadagno. L’evoluzione storica ha mutato anche l’aspetto giuridico ed economico della cooperativa. Dalle prime associazioni di mutuo soccorso dell’Ottocento, si è passato alle attuali società cooperative che sono dei colossi finanziari, tanto da competere con le società quotate in borsa. Ma deve essere chiaro che la cooperazione non può essere finalizzata ad ottenere lauti guadagni. Non vi può essere speculazione finanziaria. La cooperazione è il comune intento di raggiungere un obbiettivo concreto e comune. Si può fondare una cooperativa per costruire delle case ove i soci abiteranno. Si possono costituire cooperative formate da pescatori che mettono in comune gli attrezzi e le navi utili per i loro mestieri. Si possono istituire cooperative di agricoltori. Ad esempio nella Puglia, la mia regione, gli olivicoltori si uniscono in cooperativa per fare l’olio, mettendo in comune i frantoi e tutti gli altri strumenti di trasformazione dell’olivo. Ma lo stesso principio è utilizzato per fare il vino, e altri prodotti della terra. Questo unirsi in cooperativa non è proprio dei pugliesi, ma è comune in tutta la nostra Italia. In ogni angolo della Penisola sorgono cooperative. Importantissima è la teleologia della società cooperativa. La finalità deve essere quella di essere quella di porre le basi per un interscambio solidale fra utenti e lavoratori. Se questo principio e questo valore non è alla base di una cooperativa lo stato deve intervenire. Il suo compito è vegliare. Se una società solo nominalmente è cooperativa, ma ha in realtà un padrone che utilizza questo istituto giuridico per avere le agevolazioni fiscali proprie del cooperativismo, deve essere fermato, deve non rinunciare alla sua attività, ma deve trasformare dal punto di vista giuridico la propria azienda in azienda a carattere commerciale. L’intransigenza e la trasparenza devono essere i fattori ponderanti per regolamentare tutto ciò che è cooperazione. La cooperazione è solidarietà fra le persone, non è speculazione economica. Il fare soldi è legittimo. La costituzione difende la libertà economica. La cooperazione è altro. Non è far soldi, ma è tutelare chi ne ha bisogno. Come le prime cooperative dell’Ottocento tutelavano i braccianti sfruttati nella bassa padana, così le cooperative di oggi devono avere un fine di aiuto e supporto alle persone.

Cosa diversa è l’artigianato, che è tutelato dal secondo comma dell’articolo 45. L’artigianato ha finalità di lucro. L’artigiano vuole vendere il frutto del suo lavoro. L’artigiano può essere un produttore di utensili. Pensiamo a un fabbro. Può essere un prestatore di servizi. Pensiamo a un idraulico o a un muratore. La caratteristica di questo soggetto economico è che la sua impresa non ha bisogno di imponenti strutture organizzative. Non è una fabbrica. L’artigiano può avere sottoposti, ma questi collaborano al suo lavoro manuale, non lo fanno come nel caso degli operai in fabbrica. È l’artigiano colui che in prima persona compie il lavoro manuale. Quest’opera importantissima è una delle più importanti nel nostro paese. Sono milioni gli artigiani che operano nei più svariati settori. La loro opera fonda la cultura economica italiana. Pensiamo ai panificatori. Il nostro pane, come i nostri alimenti tutti, sono il simbolo dell’Italia nel mondo. Il lavoro degli artigiani rende onore alla storia e alla tradizione del nostro paese. Per questo motivo è giusto che la legislazione tuteli queste attività. Agevoli fiscalmente il lavoro artigiano. Faccia leggi che finanzino questo settore. Molto c’è ancora da fare. I nostri artigiani sentono la concorrenza del mercato mondiale. La cosiddetta globalizzazione, il libero scambio di merci, ha messo in difficoltà il lavoro artigianale, che si fonda sulla qualità e non certo sulla quantità del prodotto. Bisogna fare in modo che la repubblica difenda il mondo dell’artigianato. Molto fanno le associazioni di categoria. La CONFARTIGIANATO ad esempio si impegna per difendere le piccole e piccolissime imprese. Lo stato deve supportare questi soggetti con leggi specifiche. Molto si è già fatto. La storia della Repubblica ha visto l’attuazione di leggi per la piccola impresa. Lo sviluppo portentoso dell’economia italiana negli anni ’50 è certo frutto dell’indefesso lavoro degli italiani, ma anche della politica di supporto della Repubblica. Bisogna continuare su questo spirito. Troppo spesso oggi si pensa a tutelare la grande impresa, sfavorendo il piccolo artigiano. Bisogna pensare all’Italia come la patria del lavoro ecosostenibile, cioè che ben si concilia con le esigenze di tutela ambientale, e artigiano, cioè composto da piccoli nuclei che fanno della qualità e della bellezza del proprio prodotto il senso del lavoro. Solo così l’Italia potrà superare i marosi della crisi finanziaria ed economica che l’attanaglia. Solo così l’Italia potrà vincere la concorrenza delle grandi potenze economiche straniere. È tempo che la politica si impegni a tutelare la cooperazione e l’artigianato per il bene dell’intero paese.

Scritto da Pellecchia Gianfranco

lunedì 19 febbraio 2018

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 44

ARTICOLO 44

“Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà privata, fissa limiti alla sua espansione secondo le regioni e le zone agrarie, promuove ed impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttive; aiuta la piccola e media proprietà.
La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane”.

Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.

Il rapporto dell’uomo con il suolo è sempre stato importantissimo. L’agricoltura è stata lo strumento non solo per la sopravvivenza dell’essere umano, ma anche per costruire le civiltà che hanno dato lustro alla storia umana. Tutte le società antiche fondavano la propria struttura sociale sull’agricoltura, non poteva essere altrimenti. Anche le società industriali di oggi si basano sulla necessità dello sfruttamento del suolo. Le fabbriche, per funzionare, hanno bisogno di occupare spazi. Non solo i capannoni occupano suolo, ma anche le infrastrutture necessarie per il funzionamento dell’industria: strade e costruzioni per strutture d’ausio. I costituenti si sono posti come obbiettivo di rendere possibile un utilizzo del terreno che non escluda nessuno. Si sono impegnati per rendere possibile che chi lavora diventi il gestore e il proprietario del suolo. Lo sfruttamento del suolo deve avvenire da parte dell’agricoltore, del piccolo industriale, la terra deve essere tolta dal grande latifondista. Per questo motivo la Repubblica impone vincoli alla proprietà privata. La terra non può essere considerata un mero strumento di speculazione economica. Non può essere considerata un semplice oggetto da vendere e comprare secondo le leggi della domanda e dell’offerta. La riforma agraria negli anni ’50 del secolo scorso ha dato la possibilità a tanti piccoli agricoltori di avere un proprio appezzamento. Il suolo deve essere non sfruttato, ma utilizzato al meglio per il miglioramento economico e sociale dell’intera società. Per questo motivo la Repubblica promuove e incentiva i lavori di bonifica. Le terre acquitrinose e paludose sono state per millenni luoghi in cui malattie, quali la malaria, hanno segnato la vita delle persone. Rendere quelle terre inospitali luoghi salubri e coltivabili è un obbiettivo che nei secoli tutti i potentati e i governi si sono posti. Nella prima metà del XX secolo il governo Mussolini ha portato avanti una politica di bonifica del territorio importantissima. La bonifica pontina, cioè la trasformazione del territorio del Basso Lazio da palude a terra ove si coltiva il grano, è stata voluta dal regime fascista. La città di Latina è stata fondata a seguito di quella grande opera di bonifica. Esempi si sono susseguiti nella storia Repubblicana. Gli anni ’50 sono stati anni di riqualificazione del territorio nazionale. Nel meridione migliaia di ettari sono stati sottratti all’abbandono e al latifondo per affidarli a piccoli agricoltori. La riforma agraria degli anni immediatamente posteriori alla seconda guerra mondiale sono stati importantissimi. Anche regioni del Nord Italia, come il Veneto, hanno beneficiato delle riforme. Terre da sempre proprietà dell’antica nobiltà veneziana, sono diventate patrimonio di piccoli imprenditori agricoli che hanno contribuito con loro lavoro al boom economico del Nord Est italiano, che sarebbe avvenuto alcuni decenni dopo. È importantissimo che vi sia una forte e rigorosa politica agraria. Lo afferma perentoriamente l’articolo 44. L’Italia, terra di vigneti e di vitelli come dice la stessa tradizione storiografica, deve preservare il suo patrimonio agricolo e di allevamento. Deve farlo soprattutto per difendere coloro che contribuiscono con il loro lavoro a rendere il nostro paese una meraviglia paesaggistica. I campi coltivati, i frutteti, gli oliveti sono una meraviglia visiva straordinaria. Guardare dall’alto le nostre terre è un privilegio che lascia stupefatti. Guardando da un aereo i campi coltivati, gli appezzamenti boschivi, le splendide coste, le alte montagne si può ammirare la sapiente opera dell’uomo che ha saputo rispettare il paesaggio naturale. Ciò è avvenuto per millenni nel nostro paese. Il Rinascimento è stato il manifestarsi dell’ingegno umano che rispetta la bellezza naturale. Ricordiamo gli splendidi giardini che caratterizzano l’Italia. Nella seconda metà del XX secolo le cose sono andate diversamente. L’Italia, divenuta potenza industriale, ha fatto dello sfruttamento smodato del territorio il suo credo. Ad esempio la Pianura Padana, la zona più ricca d’Italia, è diventata un immenso centro urbano. Gli urbanisti la mostrano ad esempio di come la cementificazione possa ricoprire un’intera area geografica, al di là del canonico riconoscimento della città come luogo di cementificazione. La Pianura Padana è un unico agglomerato di costruzioni senza che sia riconosciuta come città. Negli ultimi anni i governi di destra, guidati da Berlusconi, hanno fatto dei condoni edilizi il loro credo. Strutture ed edifici che la legge dello stato vietava, sono stati resi legali dalla politica della destra. Insomma il merito della compagine guidata da Berlusconi e Salvini è di essere riuscita a squarciare il velo dell’ipocrisia. Mentre le altre formazioni politiche si sono ipocritamente attenute a parole alle norme costituzionali. La destra è stata coerentemente contro ogni principio di armonico sviluppo del territorio. La Destra ha utilizzato terremoti, disastri ambientali, per favorire la speculazione. Lo ha fatto alla luce del sole. Ha firmato quel “patto con gli italiani” che autorizza Silvio Berlusconi e i suoi alleati a fare condoni a favorire ogni tipo di speculazione. La Lega e Forza Italia sono sempre stati coerenti. Quello che è mancata è la controparte. Non sono stati credibili gli avversari della destra che a parole promettevano tutela del territorio e nei fatti non facevano nulla contro gli speculatori. Allora scegliamo. Proviamo a pensare a una politica che fa propri i dettami dell’articolo 44, che propone uno sfruttamento del suolo razionale e volto a migliorare la vita dei cittadini, non a favorire la speculazione. Proviamo a pensare a un paese in cui la terra sia proprietà di chi la coltiva. Proviamo a pensare ad un paese in cui le comunità montane possano preservare il loro patrimonio umano e culturale, come dice l’ultimo comma dell’articolo 44 della Costituzione. Pensiamo a un paese che non distrugge i nostri monti, le nostre valli, i nostri mari, ma li preserva. Questa sarebbe un’Italia più bella, ben lontana dall’Italia del mattone, della speculazione edilizia, dello scempio del territorio che i giornali ci raccontano ogni giorno. Un‘Italia in cui non ci sia “la terra dei fuochi”, cioè dei posti in cui si rilasciano immondizie e liquami avvelenando il territorio. Cambiare questo paese, riportarlo alla sua originaria bellezza è possibile. Bisogna rispettare e rendere vivi i dettami costituzionali per raggiungere tale obbiettivo. Bisogna non votare chi, come Lega e Forza Italia, fanno dello scempio del paesaggio programma elettorale. E bisogna vegliare sugli altri partiti, quelli che hanno diritto di andare in parlamento perché rispettosi della Costituzione, affinché realmente attuino politiche di tutela del territorio.



Scritto da Pallecchia Gianfranco

domenica 18 febbraio 2018

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 43



ARTICOLO 43
“Ai fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscono a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”.
Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
La proprietà pubblica e privata deve essere finalizzata all’utilità generale. Questo è un principio basilare che la Costituzione Italiana ribadisce esplicitamente sia nell’articolo 41, dedicato all’iniziativa economica, sia nell’articolo 42, dedicato alla proprietà privata. Ogni singolo cittadino è libero di avere un’attività economica, i suoi beni sono di sua proprietà per un diritto giuridico sacrosanto. Affermato questo, però, i costituenti hanno sottolineato che l’interesse collettivo e generale deve essere salvaguardato anche se questo determina un nocumento dei diritti di natura economica del singolo. Vi sono alcune attività imprenditoriali che per la loro natura sono indispensabili per la tutela degli interessi nazionali. Pensiamo alle imprese che gestiscono e producono energia elettrica. Pensiamo alle imprese che si occupano della distribuzione di beni fondamentali per l’uomo, pensiamo alle società che si occupano della gestione della rete idrica. Ci sono servizi che travalicano il semplice gioco della domanda/offerta elemento fondamentale del libero mercato. Penso ai servizi di trasporto. Troppo spesso il mantenimento di un bus navetta, faccio un esempio, da un piccolo centro a una grande città è poco conveniente dal punto di vista finanziario, produce a chi lo gestisce poco profitto. Allo stesso tempo è un servizio indispensabile per la piccola comunità che ne usufruisce. Allora è lo stato che deve farsene carico, ove il privato non ha interesse a farlo. Lo stato deve garantire il servizio alla comunità, anche se è antieconomico. Alla luce di questa affermazione bisogna leggere l’articolo 43. Lo stato in nome dell’utilità generale può, anzi deve, gestire alcune attività economiche. Tali attività devono essere attribuite e ordinate dalla legge. Non può essere un atto amministrativo, atto proprio del potere esecutivo, a regolamentare in maniera generale la gestione dell’attività dello stato nell’economia. Deve essere una legge. Una norma emanata dal parlamento, diretta emanazione della volontà popolare. Questo per garantire che l’azione dello stato non sia frutto di una scelta interessata volta a garantire un’impresa, o un soggetto privato, che potrebbe avvantaggiarsi. La ingerenza dello stato sull’economia deve essere finalizzata agli interessi generali, non a quelli particolari. Lo stato può espropriare aziende, terreni, imprese per ottenere risultati economici che soddisfano l’interesse generale. Può affidare la gestione delle imprese anche a comunità di lavoratori. La Repubblica aiuta ed incoraggia la cooperazione, cioè il lavoro messo in comune da più soggetti finalizzato a un bene sociale, oppure, semplicemente, a garantire servizi e tutele a cittadini quali consumatori o prestatori d’opera. I lavoratori possono essere protagonisti dell’economia. Saper conciliare il lavoro manuale con le capacità dirigenziali è una sfida che la costituzione affida ai cittadini. Si può superare la divisione fra datore e prestatore di lavoratore. Si può pensare a un’azienda in cui le gerarchie padronali sono superate. La Repubblica prevede che vi possa essere un mercato economico in cui convivano le istituzioni di proprietà privata proprie dell’economia liberista e istituzioni di tipo cooperativo in cui la compartecipazione dei lavoratori è determinante. È una possibilità vincente. Il sistema economico denominato misto è stata l’arma vincente non solo dell’Italia del boom economico, ma di tante altre nazioni europee e successivamente dell’America Latina e dell’Asia. Il cosiddetto “modello emiliano”, chiamato così perché è nella regione Emilia Romagna che è nato, fondato sulla presenza nel territorio di tante piccole e grandi cooperative di lavoratori appare vincente. Sicuramente questo modello non è in contrasto con l’economia di mercato. Sicuramente la libertà degli imprenditori di utilizzare i modelli proprietari per fare impresa non è stata pregiudicata. È la dimostrazione che un’economia plurale è possibile. Che un sistema misto pubblico – privato è vincente. Per migliorare il sistema sarebbe indispensabile una legge che regolasse il “conflitto d’interesse” che in Italia purtroppo manca. Bisogna dirlo con chiarezza. Le storture, gli scandali finanziari, la corruzione che caratterizza il rapporto fra la nostra economia e la politica sono legate alla mancanza di regole rigide che evitino la commistione di interessi. Vediamo lo scandalo legato ad alcuni istituti bancari. La politica non è stata al suo posto, ha voluto essere protagonista e non arbitro dei giochi interbancari e ha prodotto danni. Penso al caso “Banca Etruria” che ha coinvolto tutta la dirigenza del Partito Democratico, il partito di maggioranza in questa legislatura. Ma vediamo anche gli effetti sull’economia della destra. Il cosiddetto conflitto d’interessi di Berlusconi che ha caratterizzato vent’anni di politica italiana ha reso l’economia asfittica. Allora cambiare si deve! Mutare la politica economica del paese rispettando i dettami costituzionali volti difesa della legalità, della trasparenza e della tutela dell’interesse generale, non certo di quello particolare. Bisogna rendere l’economia nazionale più funzionale. Bisogna aver sempre presente gli interessi generali del paese. Bisogna tener presente la tutela del piccolo credito, la tutela del lavoro salariato e di quello del libero professionista e dell’imprenditore. Bisogna rifuggire l’interesse della grande finanza, dei cosiddetti “pirati finanziari” cioè di quelli che ridevano per il terremoto, pensando ai lauti guadagni che il governo di Forza Italia e lega gli avrebbe fatto fare a discapito della povera gente dell’Aquila, senza casa a causa del sisma. Allora lo stato deve operare in economia, lo deve fare per il bene di tutti e per raggiungere tale obbiettivo deve essere trasparente. Bisogna che la pubblica amministrazione sia come un palazzo di vetro. Bisogna che tutti possano giudicare, guardare e mettere all’indice il comportamento scorretto della classe politica. Bisogna avere un moto d’orgoglio. Basta con i politici corrotti. Basta con gli ammiccamenti al potere. Bisogna avere il coraggio di cambiare le cose. Di voltare le spalle a persone come Berlusconi che hanno fatto della politica la latrina dei propri interessi economici. Ribellarsi è giusto. Bisogna farlo dicendo no a certi partiti collusi, non votandoli alle elezioni.
Scritto da Pellecchia Gianfranco