ARTICOLO 46
“Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia
con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei
lavoratori a collaborare, nei limiti e nei modi stabiliti dalle leggi, alla
gestione delle aziende”
Per festeggiare i settanta anni dalla entrata in vigore della Costituzione Italiana, atto avvenuto il 1 gennaio 1948, "Racconto a mano libera" pubblica uno alla volta gli articoli della nostra carta fondamentale.
Il lavoro è dignità. Questo è uno
dei principi cardine della Costituzione Italiana che si fonda sul lavoro, come
dice il primo articolo della nostra legge fondamentale. Alla luce di questo
assioma l’articolo 46 è un corollario necessario. I lavoratori devono essere
protagonisti del loro destino. Devono essere parte necessaria nella conduzione
e nella gestione del progetto d’impresa di cui fanno parte. Il lavoro serve ad
elevare l’uomo. Serve a offrirgli gli strumenti per realizzare la propria
esistenza. Serve a dargli un reddito. Serve a offrirgli una vita serena e a
formare una famiglia. È necessario che l’impegno profuso sia in armonia con la
vita e con il progetto di un futuro migliore. Ecco perché è giusto che i
lavoratori siano compartecipi delle scelte aziendali. Devono fare proprie
quelle che si definiscono politiche aziendali, devono concordarle con il proprio
datore di lavoro. E’ possibile ottenere questo scopo creando spazi di dialogo fra
consiglio d’amministrazione aziendale e rappresentanti dei lavoratori. E’
possibile creare raccordi fra il managment e l’operaio. Questi coordinamenti
sono stati sperimentati in molte industri, con ottimi risultati, vedi il caso
Olivetti degli anni ’50 del secolo scorso. L’elevazione
economica e sociale dell’intera società italiana è perseguibile attraverso un
proficuo rapporto dialettico fra le parti sociali. Il lavoratore deve essere
parte in causa delle politiche aziendali, locali e nazionali. Questo principio
è scardinato dalla realtà che viviamo oggi. Le imprese industriali sono sorde
ai valori umani. Si permettono di compiere scelte economiche senza tenere conto
degli effetti che hanno sul territorio. Le fabbriche inquinano, incuranti della
salute degli operai e dei cittadini che vivono vicino al sito industriale.
Abbiamo sotto gli occhi i casi drammatici che leggiamo sui quotidiani. L’Ilva,
acciaieria di Taranto, per decenni ha ammorbato con i suoi fumi la città
incurante degli effetti malefici sui propri dipendenti e oggi vive una crisi
legata all’acciaio che rischia di far perdere migliaia si posti di lavoro. Il
caso della Wirpool , fabbrica di frigoriferi sita in Piemonte, che sceglie di
portare la produzione all’estero, incurante dei propri operai che perderanno il
posto di lavoro. In molte fabbriche e aziende si procede a licenziamenti e ad
espulsioni incuranti dei valori di solidarietà e di comunanza propri della
Costituzione. Il lavoro non solo è inascoltato e perfino vessato. Pensiamo alle
migliaia, forse milioni, di persone che hanno perso il lavoro. Alle genti che
hanno perso tutela e sicurezza. Persone la cui dignità è messa in discussione
da meri interessi economici. Ove sei costituzione! Perché solo i cattolici oggi
si elevano a difesa di coloro che perdono il lavoro? Perché solo papa Francesco
a speso parole forti a favore dei più deboli, dei meno fortunati, di coloro che
vivono una vita precaria. La solidarietà verso chi perde il lavoro, perde
certezze, non deve essere solo appannaggio del cattolicesimo. È la Costituzione
che impone a tutti, anche a chi non professa la fede in Cristo, ad essere
solidali con chi è in procinto di perdere il posto di lavoro. È ora di reagire.
È ora di imporre una politica economica fondata sull’etica. Niente
licenziamenti. Niente politiche economiche escludenti. Niente chiusure di
fabbrica. La gestione dell’impresa deve essere compartecipata. La produzione,
le leggi del guadagno, devono fare i conti con gli interessi dei lavoratori.
Interessi che consistono semplicemente nell’avere un’occupazione e una
retribuzione adeguata. I lavoratori devono essere protagonisti della loro vita.
I lavoratori devono partecipare alle scelte del consiglio d’amministrazione
dell’impresa di cui fanno parte. A questo punto urge affermare con forza una
cosa. Basta con l’idea che noi italiani siamo solo consumatori. Noi siamo
cittadini. Siamo compartecipi di un progetto nazionale che si fonda anche su
una sana economia industriale. E’ ora di dire: se l’azienda di frigoriferi non
vuole fabbriche in Italia, noi Italiani non compriamo quei frigoriferi. Se un’azienda
telefonica ha callcenter o uffici all’estero non ci serviamo di lei per
chiamare. Anche questa è compartecipazione al lavoro. Essere cittadini
consapevoli che le nostre scelte di consumatori possono determinare i nostri
destini. Deve essere chiaro che se un’azienda rinuncia a produrre in Italia, rinuncia
al mercato italiano. Solidarietà è questo. Avere la capacità di condividere le
tragedie dei nostri concittadini. Chi perde il proprio posto di lavoro subisce
un trauma gravissimo. Le leggi di mercato non possono giustificare il dolore
inferto a un uomo o una donna che con il posto perde anche la propria dignità.
Cambiare è necessario. Pensare ad un’economia che tiene al centro la persona è
possibile. Basta che si facciano propri i dettami della Costituzione Italiana
che mette al centro il lavoro come mezzo per tutelare la persona umana e non
come mero atto speculativo fondato sui guadagni e sui dividendi da dare agli
azionisti, che incuranti mettono in tasca soldi magari acquistati sulla pelle
dei lavoratori. L’Italia deve avere gli strumenti necessari per rendere il
lavoro migliore. È d’obbligo che lo stato vegli sull’economia. È necessario
pensare una strategia collettiva che sia in grado di affrontare e superare le
sfide che il secolo XXI ci impone. L’Italia deve essere unita, deve pensare al
domani come una marcia in cui nessuno deve essere lasciato indietro. Deve
pensare ad affrontare le difficoltà come se fosse un unico corpo sociale.
Questa è anche compartecipazione. L’idea che è possibile lavorare insieme,
ognuno nei propri ambiti e con le proprie competenze alla crescita del paese.
Alla luce di questo non appare impossibile, anzi appare auspicabile, che i
lavoratori partecipino attivamente alla gestione delle aziende in cui prestano
il loro servizio, magari partecipando agli utili e subendo le perdite che i
marosi finanziari possono comportare, ma sempre con lo spirito di corpo che
deve caratterizzare il lavoro. Io sono accomunato dallo stesso destino del mio
collega, io sono solidale con lui e sono fedele all’azienda in cui lavoro. È questo
il pensiero che deve vibrare nel cuore di ognuno!
Scritto da Pellecchia Gianfranco
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