ARTICOLO 36
“Il lavoratore ha
diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo
lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia una
esistenza libera e dignitosa.
La durata massima
della giornata lavorativa è stabilita dalla legge
Il lavoratore ha
diritto al riposo settimanale e alle ferie annuali retribuite, e non può
rinunziarvi”.
Continua la pubblicazione da parte di "Racconto a mano libera" degli articoli della Costituzione italiana in occasione dei settanta anni dalla promulgazione del testo fondamentale della Repubblica.
L’articolo 36 rende il diritto del lavoratore ad avere
dignità un principio costituzionale. Tutti hanno diritto ad essere retribuiti
adeguatamente per le loro prestazioni. Tutti hanno diritto a un salario congruo
al lavoro svolto. Tutti hanno diritto a vivere la vita in maniera dignitosa
grazie a un reddito congruo ai propri bisogni. Sono principi cardine dell’ordinamento
giuridico in materia lavoristica. La costituzione pone al centro l’uomo. Chi
lavora deve sentirsi soddisfatto. Deve poter essere orgoglioso del proprio
faticare. Troppo spesso si assiste a casi di mobbing. Casi in cui un soggetto
viene deriso e percosso, allegoricamente o nel vero senso della parola. Casi in
cui un lavoratore viene messo all’angolo, schernito dalla dirigenza e da quelli
che si chiamano colleghi. La risposta a queste brutture è la costituzione. La
legge, i principi morali e giuridici, devono entrare nel mondo del lavoro. Il
principio di solidarietà è un modo migliorare la vita. La legge che istituisce
il reato di Mobbing è una vittoria giuridica, ma a una vittoria normativa deve
seguire un cambiamento culturale nell’ambito lavorativo. Non basta stabilire
che chi viene messo all’angolo, deriso, chi gli è impedito di lavorare subisce
un reato. Bisogna avviarsi verso un cambiamento etico nelle istituzioni e nelle
fabbriche. L’uomo deve essere messo al centro. L’obbiettivo del profitto deve
essere messo in secondo piano. Guadagnare è indispensabile per far vivere un’impresa.
Ma l’impresa non può sacrificare uomini e donne sull’altare del guadagno. Una
visone etica del lavoro scongiura ogni forma di astio e di violenza fisica e
psicologica. La solidarietà dei lavoratori è basilare. Bisogna essere vicini ai
più deboli, vicini a coloro che hanno bisogno di sostegno. La solidarietà fra i
lavoratori è fondamentale per pensare a un lavoro migliore. Le associazioni di
mutuo soccorso sono nate nell’Ottocento. Erano improntate all’idea che i
lavoratori fossero uniti da uno spirito solidale. Si lavorava per coloro che non
potevano farlo, era questo il principio. La cassa di mutuo soccorso raccoglieva
parte del salario di colui che lavorava per darlo a colui che non poteva
lavorare, perché malato. Da questo moto solidale è nata quella che è oggi la
mutualità, il sistema di protezione di chi non può lavorare in caso di malattia
o infortunio. Ci sono tanti aspetti del mondo del lavoro che non sono in
sintonia con l’articolo 36. Il lavoro nero e sottopagato è apertamente in
contrasto con il diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla
qualità del lavoro. Troppo spesso si può costatare che i salari non riescono ad
emancipare dalla povertà. Sono tante le
famiglie, che pur avendo un componente in attività lavorativa, nei fatti e
nella realtà hanno un reddito bassissimo. Bisogna cambiare questo stato di
cose. Bisogna lottare contro il lavoro nero. Questo da un lato sfrutta e dall’altro
altera la reale mappa della ricchezza della società. Quanti redditi non
appaiono. Se un lavoratore pagato a nero ha poco con cui vivere, dietro a
questo orrore c’è qualcuno che ci guadagna e ruba, letteralmente, risorse anche
allo stato. Dirselo è indispensabile. Parlare di quello che sta avvenendo nel
Meridione del nostro paese, e non solo, è doveroso. Parlare delle migliaia di
persone che lavorano nei campi e nelle fabbriche senza alcuna tutela sanitaria,
senza alcuna garanzia, senza alcuna protezione. Persone che lavorano per dieci,
dodici ore al giorno. Persone che nei campi assolati dell’estate pugliese
lavorano alla raccolta dei frutti della terra dall’alba al tramonto, con un
astro solare che brucia la pelle. La legge italiana impone un massimo di otto
ore giornaliere di lavoro. È una norma che adempie il dettame del secondo comma
dell’articolo 36, che invita il legislatore a porre un limite massimo alla
giornata lavorativa. In realtà questo limite è spesso superato. Lo sfruttamento
delle persone arriva a livelli allarmanti. Nei grandi centri commerciali, nelle
fabbriche di grande distribuzione, è l’esempio di Amazon,i lavorati sono
sottoposti a ritmi inumani e ad orari di lavoro inaccettabili. Il “braccialetto”,
un dispositivo messo in uso dalla famosa ditta di vendita online, è uno
strumento aberrante. Un braccialetto elettronico viene dato al lavoratore,
questo strumento monitorizza il lavoro del dipendente, lo controlla e anche gli
ordina come muoversi, praticamente attraverso impulsi elettronici gli dice
quali siano i movimenti più congrui per fare velocemente il proprio lavoro. Il
lavoratore diviene così un robot. Viene controllato in ogni momento della
giornata lavorativa e indirizzato, non vi sono spazi di libertà. Siamo ai
limiti dell’indecenza. Nessuno può rendere l’altro una macchina. Nessuno può
imporre un lavoro alienante al punto da annullare la mente. Attraverso gli
impulsi del braccialetto i lavoratori dell’amazon non scelgono, eseguono ordini
anche quando compiono piccolissimi gesti. Ribellarsi alla robotizzazione dell’uomo
mi pare necessario. Il lavoro deve essere dignitoso. Si deve lavorare le ore
previste dalla legge, si deve essere retribuiti adeguatamente se si superano i
tetti previsti attraverso straordinari. Bisogna lottare per raggiungere questi
obbiettivi, che non sono solo di natura economica ma anche culturale. Dare
dignità al lavoro non vuol dire solo garantire una giusta retribuzione,
significa anche rendere il lavoro quello che dovrebbe essere cioè un benefico
modo per manifestare la creatività umana. Non siamo macchine. Non dobbiamo
mettere timbri, o compiere gesti meccanici, dobbiamo, con la nostra creatività,
contribuire alla crescita del paese. Questo è lavoro. Creare le condizioni per
vivere meglio e far vivere meglio gli altri. Non è utopia. Si può pensare a un
lavoro più inclusivo, dove chi è disabile può avere un ruolo, non è escluso e
cacciato come oggi, dove si può costruire un’idea di comune sforzo in cui
nessuno è escluso. Un modello in cui le crisi economiche non vogliano dire licenziamenti.
Le crisi economiche dovrebbero essere un momento per ripensare al modello
lavorativo, non arrivando alla conclusione che ridurre il personale è la scelta
vincente, ma pensando che progettare un modello lavorativo che prevede la
partecipazione attiva di tutti è possibile. L’ultimo comma è dedicato al
diritto alle ferie retribuite. Oggi ferie è sinonimo di mobbing. In una società
economica sclerotizzata l’essere in ferie è anticamera del licenziamento. Prima
ti escludo e poi ti elimino, per usare termini duri. Chi lavora non va in
ferie, chi va in ferie sarà licenziato. Questa logica è il frutto di una crisi
economica che attanaglia il nostro paese da anni. Invece il diritto alle ferie
dovrebbe essere il modo per armonizzare la propria vita. Il modo per conciliare
le sfere della propria esistenza. Penso a chi non può mai andare in ferie. Come
sarebbe bello per lui vivere alcuni momenti nella quiete del proprio focolare.
Penso a colui, che super sfruttato, non ha mai visto un giorno di riposo.
Queste sono le ferie. Diritti troppo spesso negati. Bisogna cambiare questo
stato di cose. Bisogna pensare che il lavoro serve all’uomo, non il contrario.
Bisogna pensare che non è giusto buttare via una persona. Non è giusto
utilizzare uno strumento di diritti, quale le ferie, per ghettizzare l’altro.
Le ferie devono essere felicità, non la plastica costatazione che il lavoro è
negato a chi è oggetto di derisione. Chiedo scusa per il mio scrivere confuso.
L’articolo 36, come tutta la parte della Costituzione dedicata al diritto al
lavoro, offre spunti di dialogo complessi. I valori su cui si basa sono così
importanti che necessitano un’elaborazione mentale complessa a cui il mio
intelletto non è abituato. Il diritto al lavoro, alla dignità nell’ambito
lavorativo, alla giusta retribuzione, alle ferie e al giusto orario di lavoro
sono conquiste fondamentali che hanno necessitato l’impegno di milioni di
lavoratori per ottenerli. Ancor oggi, come abbiamo detto, per moltissimi quei
diritti vengono negati. Bisogna lottare, bisogna credere che una vita migliore
è possibile per tutti. Bisogna avere quel senso di solidarietà che ci spinge a
sentirci uguali, in quanto esseri umani, anche se svolgiamo attività lavorative
diversissime, anche se siamo culturalmente distanti, anche se lavoriamo nei
campi o negli uffici. Il lavoro è ricchezza non solo economica ma anche morale
e umana. Si vive meglio se si lavora bene insieme agli altri. Scusate se in
queste pagine non ho parlato del lavoro della donna. In Italia le statistiche
dicono che il mondo femminile è sfruttato, sottopagato più di quello maschile.
A parità di mansioni una donna guadagna meno di un uomo. Queste sono le realtà
statistiche. L’Uguaglianza dei generi si conquista soprattutto nell’ambito
lavorativo. La donna, che in questi anni ha raggiunto livelli di
scolarizzazione ragguardevole, ci sono più donne laureate che maschi, deve
avere un ruolo di primo piano anche nelle aziende e nelle imprese pubbliche è
private. Bisogna difendere la dignità della donna. Bisogna riconoscere l’impegno
del genere femminile, garantendogli stipendi adeguati al loro ruolo. Cambiare
si deve. I diritti non devono essere un vessillo, ma devono concretarsi nel
quotidiano. Il principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della
Costituzione deve diventare materia viva, deve manifestarsi nel quotidiano. Insomma
l’articolo 36 offre grandi temi di dibattito e di spunti. A settantenni dall’entrata
in vigore della Costituzione non è stato onorato. Ancor oggi si vive nello
sfruttamento. Ancor oggi il lavoro esclude i meno pronti ad affrontare la vita,
come i disabili, invece di aiutarli ad avere un ruolo sociale. Ancor oggi si è
derisi e vilipesi nei luoghi di lavoro. Ancor oggi il riposo è un concetto
vago. Cambiare è possibile, adeguarsi al dettame costituzionale è necessario
per vivere meglio.
testo di Pellecchia Gianfranco
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