domenica 11 febbraio 2018

VIAGGIO NELLA COSTITUZIONE: ARTICOLO 36

ARTICOLO 36

“Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa.
La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge
Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e alle ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi”.

Continua la pubblicazione da parte di "Racconto a mano libera" degli articoli della Costituzione italiana in occasione dei settanta anni dalla promulgazione del testo fondamentale della Repubblica.

L’articolo 36 rende il diritto del lavoratore ad avere dignità un principio costituzionale. Tutti hanno diritto ad essere retribuiti adeguatamente per le loro prestazioni. Tutti hanno diritto a un salario congruo al lavoro svolto. Tutti hanno diritto a vivere la vita in maniera dignitosa grazie a un reddito congruo ai propri bisogni. Sono principi cardine dell’ordinamento giuridico in materia lavoristica. La costituzione pone al centro l’uomo. Chi lavora deve sentirsi soddisfatto. Deve poter essere orgoglioso del proprio faticare. Troppo spesso si assiste a casi di mobbing. Casi in cui un soggetto viene deriso e percosso, allegoricamente o nel vero senso della parola. Casi in cui un lavoratore viene messo all’angolo, schernito dalla dirigenza e da quelli che si chiamano colleghi. La risposta a queste brutture è la costituzione. La legge, i principi morali e giuridici, devono entrare nel mondo del lavoro. Il principio di solidarietà è un modo migliorare la vita. La legge che istituisce il reato di Mobbing è una vittoria giuridica, ma a una vittoria normativa deve seguire un cambiamento culturale nell’ambito lavorativo. Non basta stabilire che chi viene messo all’angolo, deriso, chi gli è impedito di lavorare subisce un reato. Bisogna avviarsi verso un cambiamento etico nelle istituzioni e nelle fabbriche. L’uomo deve essere messo al centro. L’obbiettivo del profitto deve essere messo in secondo piano. Guadagnare è indispensabile per far vivere un’impresa. Ma l’impresa non può sacrificare uomini e donne sull’altare del guadagno. Una visone etica del lavoro scongiura ogni forma di astio e di violenza fisica e psicologica. La solidarietà dei lavoratori è basilare. Bisogna essere vicini ai più deboli, vicini a coloro che hanno bisogno di sostegno. La solidarietà fra i lavoratori è fondamentale per pensare a un lavoro migliore. Le associazioni di mutuo soccorso sono nate nell’Ottocento. Erano improntate all’idea che i lavoratori fossero uniti da uno spirito solidale. Si lavorava per coloro che non potevano farlo, era questo il principio. La cassa di mutuo soccorso raccoglieva parte del salario di colui che lavorava per darlo a colui che non poteva lavorare, perché malato. Da questo moto solidale è nata quella che è oggi la mutualità, il sistema di protezione di chi non può lavorare in caso di malattia o infortunio. Ci sono tanti aspetti del mondo del lavoro che non sono in sintonia con l’articolo 36. Il lavoro nero e sottopagato è apertamente in contrasto con il diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro. Troppo spesso si può costatare che i salari non riescono ad emancipare  dalla povertà. Sono tante le famiglie, che pur avendo un componente in attività lavorativa, nei fatti e nella realtà hanno un reddito bassissimo. Bisogna cambiare questo stato di cose. Bisogna lottare contro il lavoro nero. Questo da un lato sfrutta e dall’altro altera la reale mappa della ricchezza della società. Quanti redditi non appaiono. Se un lavoratore pagato a nero ha poco con cui vivere, dietro a questo orrore c’è qualcuno che ci guadagna e ruba, letteralmente, risorse anche allo stato. Dirselo è indispensabile. Parlare di quello che sta avvenendo nel Meridione del nostro paese, e non solo, è doveroso. Parlare delle migliaia di persone che lavorano nei campi e nelle fabbriche senza alcuna tutela sanitaria, senza alcuna garanzia, senza alcuna protezione. Persone che lavorano per dieci, dodici ore al giorno. Persone che nei campi assolati dell’estate pugliese lavorano alla raccolta dei frutti della terra dall’alba al tramonto, con un astro solare che brucia la pelle. La legge italiana impone un massimo di otto ore giornaliere di lavoro. È una norma che adempie il dettame del secondo comma dell’articolo 36, che invita il legislatore a porre un limite massimo alla giornata lavorativa. In realtà questo limite è spesso superato. Lo sfruttamento delle persone arriva a livelli allarmanti. Nei grandi centri commerciali, nelle fabbriche di grande distribuzione, è l’esempio di Amazon,i lavorati sono sottoposti a ritmi inumani e ad orari di lavoro inaccettabili. Il “braccialetto”, un dispositivo messo in uso dalla famosa ditta di vendita online, è uno strumento aberrante. Un braccialetto elettronico viene dato al lavoratore, questo strumento monitorizza il lavoro del dipendente, lo controlla e anche gli ordina come muoversi, praticamente attraverso impulsi elettronici gli dice quali siano i movimenti più congrui per fare velocemente il proprio lavoro. Il lavoratore diviene così un robot. Viene controllato in ogni momento della giornata lavorativa e indirizzato, non vi sono spazi di libertà. Siamo ai limiti dell’indecenza. Nessuno può rendere l’altro una macchina. Nessuno può imporre un lavoro alienante al punto da annullare la mente. Attraverso gli impulsi del braccialetto i lavoratori dell’amazon non scelgono, eseguono ordini anche quando compiono piccolissimi gesti. Ribellarsi alla robotizzazione dell’uomo mi pare necessario. Il lavoro deve essere dignitoso. Si deve lavorare le ore previste dalla legge, si deve essere retribuiti adeguatamente se si superano i tetti previsti attraverso straordinari. Bisogna lottare per raggiungere questi obbiettivi, che non sono solo di natura economica ma anche culturale. Dare dignità al lavoro non vuol dire solo garantire una giusta retribuzione, significa anche rendere il lavoro quello che dovrebbe essere cioè un benefico modo per manifestare la creatività umana. Non siamo macchine. Non dobbiamo mettere timbri, o compiere gesti meccanici, dobbiamo, con la nostra creatività, contribuire alla crescita del paese. Questo è lavoro. Creare le condizioni per vivere meglio e far vivere meglio gli altri. Non è utopia. Si può pensare a un lavoro più inclusivo, dove chi è disabile può avere un ruolo, non è escluso e cacciato come oggi, dove si può costruire un’idea di comune sforzo in cui nessuno è escluso. Un modello in cui le crisi economiche non vogliano dire licenziamenti. Le crisi economiche dovrebbero essere un momento per ripensare al modello lavorativo, non arrivando alla conclusione che ridurre il personale è la scelta vincente, ma pensando che progettare un modello lavorativo che prevede la partecipazione attiva di tutti è possibile. L’ultimo comma è dedicato al diritto alle ferie retribuite. Oggi ferie è sinonimo di mobbing. In una società economica sclerotizzata l’essere in ferie è anticamera del licenziamento. Prima ti escludo e poi ti elimino, per usare termini duri. Chi lavora non va in ferie, chi va in ferie sarà licenziato. Questa logica è il frutto di una crisi economica che attanaglia il nostro paese da anni. Invece il diritto alle ferie dovrebbe essere il modo per armonizzare la propria vita. Il modo per conciliare le sfere della propria esistenza. Penso a chi non può mai andare in ferie. Come sarebbe bello per lui vivere alcuni momenti nella quiete del proprio focolare. Penso a colui, che super sfruttato, non ha mai visto un giorno di riposo. Queste sono le ferie. Diritti troppo spesso negati. Bisogna cambiare questo stato di cose. Bisogna pensare che il lavoro serve all’uomo, non il contrario. Bisogna pensare che non è giusto buttare via una persona. Non è giusto utilizzare uno strumento di diritti, quale le ferie, per ghettizzare l’altro. Le ferie devono essere felicità, non la plastica costatazione che il lavoro è negato a chi è oggetto di derisione. Chiedo scusa per il mio scrivere confuso. L’articolo 36, come tutta la parte della Costituzione dedicata al diritto al lavoro, offre spunti di dialogo complessi. I valori su cui si basa sono così importanti che necessitano un’elaborazione mentale complessa a cui il mio intelletto non è abituato. Il diritto al lavoro, alla dignità nell’ambito lavorativo, alla giusta retribuzione, alle ferie e al giusto orario di lavoro sono conquiste fondamentali che hanno necessitato l’impegno di milioni di lavoratori per ottenerli. Ancor oggi, come abbiamo detto, per moltissimi quei diritti vengono negati. Bisogna lottare, bisogna credere che una vita migliore è possibile per tutti. Bisogna avere quel senso di solidarietà che ci spinge a sentirci uguali, in quanto esseri umani, anche se svolgiamo attività lavorative diversissime, anche se siamo culturalmente distanti, anche se lavoriamo nei campi o negli uffici. Il lavoro è ricchezza non solo economica ma anche morale e umana. Si vive meglio se si lavora bene insieme agli altri. Scusate se in queste pagine non ho parlato del lavoro della donna. In Italia le statistiche dicono che il mondo femminile è sfruttato, sottopagato più di quello maschile. A parità di mansioni una donna guadagna meno di un uomo. Queste sono le realtà statistiche. L’Uguaglianza dei generi si conquista soprattutto nell’ambito lavorativo. La donna, che in questi anni ha raggiunto livelli di scolarizzazione ragguardevole, ci sono più donne laureate che maschi, deve avere un ruolo di primo piano anche nelle aziende e nelle imprese pubbliche è private. Bisogna difendere la dignità della donna. Bisogna riconoscere l’impegno del genere femminile, garantendogli stipendi adeguati al loro ruolo. Cambiare si deve. I diritti non devono essere un vessillo, ma devono concretarsi nel quotidiano. Il principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione deve diventare materia viva, deve manifestarsi nel quotidiano. Insomma l’articolo 36 offre grandi temi di dibattito e di spunti. A settantenni dall’entrata in vigore della Costituzione non è stato onorato. Ancor oggi si vive nello sfruttamento. Ancor oggi il lavoro esclude i meno pronti ad affrontare la vita, come i disabili, invece di aiutarli ad avere un ruolo sociale. Ancor oggi si è derisi e vilipesi nei luoghi di lavoro. Ancor oggi il riposo è un concetto vago. Cambiare è possibile, adeguarsi al dettame costituzionale è necessario per vivere meglio.

testo di Pellecchia Gianfranco

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